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19th Gen2021

Il Pretesto – Distratta-mente

by Marcello Zinno
Il Pretesto è una rock band che ormai festeggia la decade di attività anche se con questo Distratta-mente firma praticamente l’esordio discografico, grazie anche alla Alka Record Label. Nonostante tanti anni a coniare un sound, va detto che le coordinate di questo album (che dura quanto un EP, sfiorando i 30 minuti di ascolto complessivi) sono tutt’altro che univoche: in diversi momenti si sentono echi alla Management e Voina (l’opener è emblematica in questo, l’ingrediente personale è il basso che qui finalmente c’è!) e anche lo stile canoro, un po’ dannato, un po’ tanto alternativo di Raffaele Doronzo sembra legato alla scuola di Lanciano. Poi si apprezza una impronta indie rock, con quel sapore britannico nelle chitarre (Magnum) e un po’ fresco, molto giovanile, che ci dà la sensazione di quanto sia attuale la proposta del trio (ai tempi quartetto); ed è qui che probabilmente Il Pretesto si gioca il futuro perché, come hanno fatto le band prima citate, il rischio è quello di farsi conquistare troppo da synth e melodie pop (Vorrei Cambiare Canale Alla Tua Voce) per strizzare l’occhio ad un certo pubblico molto giovanile e alle playlist sulle piattaforme di streaming. Speriamo quindi che per il prossimo album non ci sarà da attendere un’altra decade, ma soprattutto che il sound costruito sia deciso, rock e intenso senza cedere a lusinghe troppo orecchiabili.

Autore: Il Pretesto Titolo Album: Distratta-mente
Anno: 2020 Casa Discografica: Alka Record Label
Genere musicale: Alternative Rock Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: www.facebook.com/ilpretestoband
Membri band:
Stefano Doronzo – batteria
Raffaele Doronzo – voce, chitarra
Alessio Luigi Dastoli – basso
Tracklist:
1. Fiori Di Fenice
2. Gente Distratta
3. Condanna
4. Magnum
5. Vorrei Cambiare Canale Alla Tua Voce
6. Novembre
7. Eclissi
Category : Recensioni
Tags : Alternative Rock, Nuove uscite
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18th Gen2021

Nether – Between Shades And Shadows

by Cristian Danzo
I belgi Nether esordiscono sul mercato con il loro Between Shades And Shadows in maniera sontuosa. Band nuova che va a rinfoltire le fila numerose che vedono oramai da anni i prodotti black metal abbondare sul mercato, vengono definiti nel leaflet di presentazione melodic black metal, cosa che dopo l’ascolto lascia abbastanza perplessi. La strada battuta dalla band è quella del sound classico, oscuro e cattivo dei padri fondatori e dei monumenti del genere, che differisce totalmente da ciò che il mbm propone. Qui nessuna contaminazione è presente, né strumentale né compositiva. Al di là di questa considerazione, i quattro musicisti ci mostrano una impressionante ed elevata preparazione, sia in fase di arrangiamento che in fase di esecuzione. I blastbeat continui dietro le pelli di B sono qualcosa di devastante. Ma il maggior pregio di Between Shades And Shadows è quello di non afflosciarsi su sé stesso. Dopo l’opener The Hand Of The Unspoken e la seguente Mouths Sealed Clenched Fists le prime impressioni sono le seguenti: due pezzi devastanti, ok, in puro stile black metal originario, duro e puro, con il tipico riff che distingue il genere da tutti gli altri.

Però ci sono altri 6 pezzi: se sono tutti così ora della fine ci si addormenta. Ed invece da Abandon subentrano degli arrangiamenti e dei cambi di stile, sempre ben amalgamati, che offrono diverse soluzioni e rendono l’album diverso. Certo, quello che viene utilizzato è sempre in ambito estremo e metal, senza andare a pescare chissà cosa per diventare originali a tutti i costi, cosa che di solito rovina tutto. Si tratta di riff ossessivi e ripetuti, ma che si fanno notare anche ad un orecchio non allenato. Anche il sound è pulito e ben prodotto, mantenendo quella sensazione di registrazione casalinga e non troppo curata dietro la quale però si cela una produzione accurata e ben studiata. Una sorpresa questo esordio.

Autore: Nether Titolo Album: Between Shades And Shadows
Anno: 2020 Casa Discografica: Art Gates Records
Genere musicale: Black Metal Voto: 7,5
Tipo: Album Sito web: https://www.facebook.com/netherofficial
Membri Band:
J – voce, basso
P – chitarra
K – chitarra
B – batteria
Tracklist:
1. The Hand Of The Unspoken
2. Mouths Sealed Clenched Fists
3. Abandon
4. To The Shores
5. Humanity’s Crescendo
6. The Blood Is Gone
7. The Oathbreakers
8. So All Adore Me
Category : Recensioni
Tags : Black metal, Nuove uscite
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18th Gen2021

Ghost Track – Ghost Track

by Marcello Zinno
4 ragazzi all’esordio, una manciata di canzoni, un’autoproduzione e soprattutto tanta dose elettrica per dare grinta. La maggior parte delle band emergenti può essere riassunta così, anche se negli ultimi anni si cerca sempre più di sperimentare, di inventare qualcosa, di aggiungere pur di uscire dal mucchio. E invece i Ghost Track scelgono una strada differente: sì al connubio di generi ma nel loro omonimo album non inventano nulla, piuttosto si ricollocano diversi fattori che però sono già noti da qualche decennio. Ascoltare Gun Woman rende l’idea: cavalcate ritmiche in stile heavy metal (potremo dire NWOBHM) un sound alla sei corde decisamente figlio del grunge, linee di basso soliste dal sapore burtoniano (Cliff, si intende), solismi che hanno un retrogusto di prog e chi più ne ha più ne metta. Ma per trovare tutti questi fattori va analizzata la proposta dei Ghost Track nemmeno fosse un corpo da sottoporre ad un’autopsia, perché in realtà in cuffia altro non sono che una rock band con tanta carica e che vuole omaggiare le tantissime ore spese ad ascoltare i propri paladini tramite degli inediti. E cosa c’è di più bello nella musica che perseguire questa missione?

A noi piace Rain, il momento più roccioso del lotto, ma attenzione a Surrender: sarebbe davvero sbagliato intenderla come una ballad, anche solo per la prima metà; in realtà è un momento elegante e soffuso, “methenamente” (Pat, si intende) jazzy, che mostra la saggezza compositiva, prima di esplodere nella carica adrenalinica tipica del combo. Certo, la maturazione deve ancora arrivare (un esempio per tutti il finale di Baresian Friday, da migliorare), però ci sono tante idee, tanta grinta e soprattutto tanto rock! Bravi!

Autore: Ghost Track Titolo Album: Ghost Track
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock, Heavy Metal, Grunge Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/ghosttrackofficial
Membri band:
Loris Grifa – voce, chitarra
Marcello Pisconti – basso
Nico Giangregorio – chitarra
Angelo D’Addio – batteria
Tracklist:
1. The Awakening
2. Baresian Friday
3. Gun Woman
4. Rain
5. Surrender
6. The Hole
7. Today
8. Scorpion Mozkal
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock
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17th Gen2021

Voodoo Glow Skulls – Firme

by Marco Pisano
Tra gli esponenti più influenti e rappresentativi della scena ska punk californiana sorta tra la fine degli anni 80 e gli inizi dei 90, (o third wave of ska che dir si voglia) che lancerà sulla scena internazionale gruppi del calibro di Rancid, Mighty Mighty Bosstones, No Doubt, Goldfinger, Sublime, ecc., meritano un posto d’onore anche i Voodoo Glow Skulls. Nati nel 1988 grazie a Frank, Jorge e Eddie Casillas e al loro amico Jerry O’Neill, a cui in seguito si aggiungerà anche la sezione dei fiati, fonde magistralmente la furia, la velocità e l’aggressività dell’hardcore punk, con l’allegria e la leggerezza dello ska, sull’onda della lezione proveniente dai gruppi d’oltremanica appartenenti alla second wave of ska quali The Madness, The Specials, The Selecters e altri. I Voodoo Glow Skulls forniscono la loro personale interpretazione di questa unione creando un sound immediatamente riconoscibile e decisamente d’impatto, che difficilmente può passare inosservato e lasciare indifferenti; Firme, il primo album che incidono con la major Epitaph, è un perfetto esempio di quanto detto poco sopra; violente sfuriate e accelerazioni in puro stile HC si alternano, e più spesso, si fondono con la sezione fiati in perfetto stile ska, dando vita ad un sound piuttosto strambo, fino al punto di risultare a tratti quasi comico e paradossale, ma che funziona proprio per questo, per questa sua capacità di unire e far convivere alla perfezione due stili che di per sé, si prenderebbero più volentieri a pugni piuttosto che andare d’accordo.

Eppure la maestria della band ispano-californiana sta proprio nel dare vita ad un sound frenetico, dinamico, aggressivo e tosto, ma allo stesso tempo scanzonato, ironico, divertente e festaiolo, che di tutto ha voglia tranne che di prendersi sul serio. La furia, la rabbia e l’aggressività tipiche dell’HC vengono stemperate e alleggerite dal tocco scanzonato, giocoso e festaiolo dello ska e dei fiati. Come se al bullo della compagnia, metteste in testa il più buffo cappellino da festa che trovate e improvvisamente si trasformasse nel più feroce e incallito festaiolo. Lo spirito che contraddistingue quest’album è profondamente adolescenziale, festaiolo, allegro, goliardico, ironico e paradossale e, anche a giudicare da alcuni titoli quali Empty Bottles e Drunk Tank, molto alcolico. L’album, che fila via come un razzo, dato che le 16 tracce durano in totale appena 40 minuti, non risulta mai noioso, al contrario la sua velocità estrema non vi concederà mai un attimo di tregua e di riposo, vi terrà sempre sull’attenti e vi metterà addosso un’allegria e un’energia incredibili.

Da gustare tutto d’un fiato senza mai mettere in pausa e senza prendere fiato. Forse alla fine sarete un po’ stanchi, ma quasi sicuramente, molto più felici e allegri di prima. Altamente consigliato durante questo periodo di quarantena per tirarsi su il morale, per chi avesse voglia di fare un salto indietro nel tempo, tornando per un po’ alle sensazioni e alla libertà tipiche dell’adolescenza e sentirsi nuovamente adolescente e libero.

Autore: Voodoo Glow Skulls Titolo Album: Firme
Anno: 1995 Casa Discografica: Epitaph
Genere musicale: Ska, Hardcore Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.voodooglowskullsofficial.com/
Membri band:
Frank Casillas – voce
Eddie Casillas – chitarra
Jorge Casillas – basso
Jarry O’Neill – batteria
Joey Hernandez – sassofono
Brodie Johnson – trombone
John McNally – tromba
Tracklist:
1. Shoot The Moon
2. Closet Monster
3. Charlie Brown
4. Drunk Tank
5. Jocks From Hell
6. Trouble Walking
7. Give Me Someone I Can Trust
8. Empty Bottles
9. Fat Randy
10. Thrift Shop Junkie
11. El Coo Cooi
12. Method To This Madness
13. Construction
14. Malas Palabras
15. Nicotine Fit
16. Land Of Misfit Toys
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Ska
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16th Gen2021

Camel – Stationary Traveller

by Fabio Loffredo
Dopo lo scarso successo di The Single Factor di cui abbiamo parlato qui e i vari problemi legali con il primo manager della band, Andrew Latimer reinventa nuovamente la band, arrivano altri musicisti provenienti da altre formazioni, quasi sempre dal mondo del prog come Paul Burgess alla batteria, già con i Jethro Tull e i 10cc, Tom Scherpenzeel dei Kayak alle tastiere più altri ospiti tra cui Mel Collins al sax. Con questa formazione la band incide Stationary Traveller, sempre un buon album che fonde nuovamente il rock progressivo con tentazioni più pop. Pressure Points è un breve strumentale con basi di tastiere in parte elettroniche e la chitarra di Latimer che incanta con un guitar work anche tecnico e Refugee prosegue con quel progressive rock dal taglio più commerciale ma pur sempre marchiato Camel e Vopos torna a parlare un linguaggio più progressive, grazie a tastiere molto presenti e che creano paesaggi anche space rock. Ancora Cloak And Dagger Man, song più rock e trascinante con la voce di Chris Rainbow. La title track, Stationary Traveller è un altro ottimo brano strumentale, a tratti struggente e malinconico con Latimer che imbraccia la chitarra acustica nella parte iniziale e anche l’elettrica da metà a fine brano con solos molto poetici e melodici.

Si torna a una forma canzone più pop e radiofonica con West Berlin, mentre con Fingertrips si esplorano territori più fusion e da Canterbury sound e con la presenza di Mel Collins al sax. Ancora tre brani, Missing e After Words, due strumentali oramai marchio indelebile dei Camel e la suggestiva e romantica Long Goodbyes, in cui la band di Latimer torna al progressive rock degli esordi. Un album di transazione, ma Latimer rimarrà il collante per non far morire mai la band.

Autore: Camel Titolo Album: Stationary Traveller
Anno: 1984 Casa Discografica: Gama/Decca Records
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.camelproductions.com
Membri band:
Andrew Latimer – chitarra, pianoforte, basso, drum machine, synth, panpipes, voce
Ton Scherpenzeel – organo, synth, pianoforte, accordion
Paul Burgess – batteria, percussioni
Chris Rainbow – voce nei brani 4 e 10

Special Guests:
Haydn Bendall – fairlight nei brani 1 e 3, PPG nel brano 8, synth
Mel Collins – sax nel brano 7
David Paton – basso nei brani 3 e 4, basso fretless nei brani 7 e 10
Tracklist:
1. Pressure Points
2. Refugee
3. Vopos
4. Cloak And Dagger Man
5. Stationary Traveller
6. West Berlin
7. Fingertips
8. Missing
9. After Words
10. Long Goodbyes
Category : Recensioni
Tags : Progressive
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16th Gen2021

Red Roll – At The End The Beginning

by Marcello Zinno
Arrivano dall’Emilia e ci mettono tutta l’energia che il rock necessita. I Red Roll non inventano nulla di nuovo ma suonano in maniera genuina e ci tengono tanto a creare un progetto che non sia solo una manciata di serate live insieme (hanno creato una birra artigianale personalizzata acquistabile tramite il loro sito web e un brano, The World Scream, il cui testo è stato composto direttamente dalla community allargata della band). At The End The Beginning è il loro esordio, non privo di pecche (dalla fonetica dell’inglese nei testi fino ad alcuni passaggi un po’ acerbi) ma spontaneo e soprattutto suonato: sicuramente il sapore dell’album è il medesimo che si può provare sia in cuffia che di fronte ad un palco, perché i ragazzi non hanno altri modi di intendere i loro riff, le loro strofe, il sudore e la passione che ci mettono. Il ritornello di Your Truest Part dimostra tra l’altro una certa maturità, la band in questo passaggio si toglie gli abiti di realtà emergente e cerca di svettare, e lo conferma anche la seconda parte di Colors, laddove invece nella prima parte del brano il quartetto approda al punk rock.

Una bella prova quindi che ha tutti i connotati di un esordio ma che traccia la direzione giusta per procedere nel cammino del rock.

Autore: Red Roll Titolo Album: At The End The Beginning
Anno: 2020 Casa Discografica: (R)esisto
Genere musicale: Rock, Post-Grunge, Punk Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: www.redroll.it
Membri band:
Passo – voce, chitarra
Leo – chitarra, voce
Cesi – basso
Jonny – batteria
Tracklist:
1. Red Lights
2. Call Me Mad
3. Your Truest Part
4. The World Scream
5. Colors
6. Song For You
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, post-grunge
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15th Gen2021

Vanadium – Seventh Heaven

by Giancarlo Amitrano
Purtroppo, oltre che a malincuore, giunge anche per i Nostri il fastidioso momento delle vacche magre, causato anzitutto dalla fine dell’avventura con la storica casa distributrice, tanto che la band non riesce a reagire come si deve alla chiusura forzata della Durium. La conseguenza immediata è uno sbandamento totale che avviluppa la band che si trova priva del suo punto di riferimento principale: a questo si aggiunga la scelta di affidarsi alla consolle nientemeno che a Guy Bidmead, reduce da fasti in campi musicali totalmente diversi da quelli della band (Elvis Costello o Brian Eno, ad esempio) ed il dado è tratto, con questo Seventh Heaven che testimonia appieno il rilassamento totale dei Nostri. Fortemente commerciale, lo stampo delle tracce è evidentemente rivolto verso questa direzione, che con l’iniziale Italian Girl pare indirizzata verso lidi che ci stupiscono per il loro approccio: pur con la sempre valida voce di Scotto e la sezione ritmica di spessore, sono le atmosfere tastieristiche a farci immaginare album “laccatissimi” che all’epoca imperavano (vogliamo dire, ad esempio, il cotonatissimo 1987 del Serpente Bianco?), il tutto nonostante il sempre valido Tessarin all’ascia che dimostra di avere ancora cartucce da sparare.

Natural Born Loser si pregia ancora delle solide acrobazie di Zanolini e della voce stavolta saggia e modulata dell’inossidabile singer, che dunque rallenta leggermente i tempi, coadiuvati stavolta anche da piacevoli cori femminili che ammorbidiscono ed addolciscono i ritmi affrontati con evidente spensieratezza e degne del più bell’AOR dell’epoca, senza che questo suoni a disdoro del beneamato gruppo. Con Take My Blues Away la band ci delizia appunto in un simil-bluesone che viene rivisto e rimodulato secondo i canoni del quintetto: ancora tasti in evidenza che consentono a Pino Scotto di esibirsi con voce decisa e morbida al tempo stesso. Sono ancora i cori a rafforzare il già valido range vocale, che viene supportato ancora dal fido axeman che non lesina svisate ed archi sonori a piene ganasce. E si giunge così alla titletrack, con un monumentale Zanolini a disegnare paesaggi spaziali ed incantati, che vengono in fretta rafforzati dall’accompagnamento a sei corde del fido Tessarin: questo, per poi partire in quarta e sparati verso una cavalcata che più metal non si può. E meno male, aggiungiamo noi, per magnificare lo speed-thrash che la band riesce a raggiungere nella sua emozionante spedizione “punitiva” verso i malcapitati amplificatori: la produzione, stavolta, riesce a far risaltare ogni singolo strumento senza cadere nel “melodic-pomp” che fino ad ora ha fatto spesso capolino; l’uditorio è , anzi, alla fine piacevolmente massacrato nei suoi condotti, pur con i background vocali che ancora imperano.

One Way Ride torna lesto agli stilemi cari alla band: voce in primo piano, tastiere da sottofondo e non solo, cori validissimi ad innervare un brano gradevole al primo impatto e quattro corde e pelli a dettare tempi serratissimi, che non sfigurano nemmeno nella decade finale dei gloriosi anni 80: anche stavolta, merito alla produzione ridotta all’essenziale e tesa a valorizzare il lavoro di ogni musicista, pur apparendo proprio la batteria lo strumento maggiormente penalizzato dal lavoro in studio, indipendentemente dal sempre solido e valido lavoro di Mascheroni. L’esecuzione di Kill The Killer non fa sconti: pur gravitando attorno ad un refrain semplice ed anche elementare, la band riesce tuttavia a tirarne fuori una traccia magica, che Zanolini rende ancor più di classe con i suoi tocchi da maestro delle tastiere e, se permettete, Scotto non vuol sembrare da meno con la sua esecuzione vocale perfetta ed incisiva; pur nella relativa brevità del brano, riusciamo egualmente ad ascoltare la struttura “classica” di un brano hard come si deve. Step Ahead Of Time si mantiene sulla ottima falsariga del sin qui ascoltato: vigoroso ed energico come sempre, il lavoro del quintetto viene stavolta condotto per mano dalle striscianti ed insinuanti tastiere di Zanolini, mentre la stentorea e ruvida voce del Leader Maximo si fa sentire eccome, accanto alle evoluzioni dei tasti d’avorio, che stavolta decidono di travalicare tutto e tutti e sfornare arpeggi e melodie a tutto tondo che impreziosiscono anche questa traccia.

To Be A Number One corre via deciso verso la conclusione con una intensità sempre a noi gradita ed i tempi ristretti consentono al quintetto di andare “relativamente” per le spicce con esecuzioni concise per quanto di competenza di ognuno, senza tuttavia inficiare la qualità del brano, “arruffato” piacevolmente ancora da un signor assolo di Tessarin e da una evoluzione tastieristica, con tanto di momento “clou” delle coriste che rallegrano il tutto. Si chiude con la potenza di Warriors, tanto per consentire al vocione di Scotto di apparire al tempo stesso potente e melodico: ma il suddetto mix non dispiace ai Nostri, che in questa occasione si beano tra cori, stacchi di drumming sfacciati e ritornello sbarazzino che fa da degna apertura al solo di Tessarin, qui quasi speed in alcuni passaggi, tanto per chiudere degnamente anche questo album, pur gravato dalle “problematiche” di cui in premessa, ma che non mutano di un’oncia il valore dei paladini Nostrani.

Autore: Vanadium Titolo Album: Seventh Heaven
Anno: 1989 Casa Discografica: Green Line
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: www.vanadium.it
Membri Band:
Pino Scotto – voce
Steve Tessarin – chitarra
Ruggero Zanolini – tastiere
Mimmo Prantera – basso
Lio Mascheroni – batteria
Tracklist:
1. Italian Girl
2. Natural Born Loner
3. Take My Blues Away
4. Seventh Heaven
5. One Way Ride
6. Kill The Killer
7. Step Ahead Of Time
8. To Be A Number One
9. Warriors
Category : Recensioni
Tags : Vanadium
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15th Gen2021

Madison Spencer – Madison Spencer

by Marcello Zinno
Dopo l’EP Magma, di cui avevamo parlato a questa pagina, i Madison Spencer decidono di dare alla luce un altro album, ancora una volta a metà strada tra un EP e un full-lenght (come Zirconia) e lo fanno in un periodo non molto fortunato (il 2020) che sicuramente ha influenzato la scrittura e la registrazione dei pezzi (di sicuro, come loro stessi confermano, ha condizionato l’artwork). I Madison Spencer guardano sempre dall’altra parte dell’Oceano, ad una produzione e un songwriting molto statunitensi (spesso rimarcati anche dallo stile delle linee vocali); in questo album omonimo lo fanno sia attraverso brani più pacati (la suadente Days in cui la voce e la chitarra piena di wah wah fanno quasi tutto e Reverie, un brano che parte lento per poi abbracciare il grunge nel ritornello) che tramite momenti più elettrici (Walk Alone che però trova proprio nelle linee vocali delle pecche che richiedono una profonda revisione e Monster con delle chitarre che perdono tutti i muscoli acquisendo un certo imprinting indie rock che si lascia apprezzare). Lasciamo da parte Turning Point invece con cui si esce fuori dal rock e si ripescano reminiscenze ottantiane.

Ci sono band il cui posto è sicuramente il palco, la musica dei Madison Spencer noi la preferiamo ascoltare in cuffia, ci ispira posti lontani e classifiche diverse dalle nostre. E li che ci auguriamo che questo quartetto riesca ad arrivare.

Autore: Madison Spencer Titolo Album: Madison Spencer
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 6,5
Tipo: Digitale Sito web: https://www.facebook.com/MadisonSpencerband/
Membri band:
Marco Fersini – voce, chitarra
Filippo Longo – batteria
Mauro Varratta – chitarra
Carlo Cazzato – basso
Tracklist:
1. What You Gonna Do
2. Days
3. Walk Alone
4. Reverie
5. Turning Point
6. Monster
7. Nothing Compares 2 U
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock
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14th Gen2021

Flavio Ferri – Testimone Di Passaggio

by Paolo Tocco
Scrivo di getto. Ci sono mille ragioni per non mollare la presa, non arrendersi a questo stato di cose superficiali e immensamente omologate su basi di follia becera (stupida, non romantica). Ci sono mille ragioni per continuare a desiderare il bello e a non giustificare il luogo comune. In I Nemici Della Musica, ultimo libro di Antonello Cresti, che devo ancora capire quanto io sia d’accordo o meno sul tutto, si dice una cosa meravigliosamente saggia: basta giustificare questo stato di cose con frasi di comodo del tipo “noi non abbiamo gli strumenti per capire i nuovi linguaggi dei giovani”… basta! Noi gli strumenti ce li abbiamo eccome. E questi nuovi linguaggi sono di una povertà che dovrebbe mettere paura solo a veder quanta stupida superficialità seminano e raccolgono in breve tempo. I nuovi teenager avvinghiati nelle trame di questo “nuovo mondo” che da pochissimo tempo abbiamo tirato su, mi fanno pena. E lo dico con amore e rispetto verso la loro immensa energia che – grazie alle altrettanto immense opportunità di oggi – potrebbe risolversi tutto in una bomba atomica pronta ad esplodere ogni giorno. E non solo i teenager sia chiaro. Ci sono cinquantenni rimbecilliti più dei loro nipoti. E invece, non per colpa loro e contro ogni loro coscienza e consapevolezza (sia chiaro!), sono sottilmente ed invisibilmente ridotti a questo pattume di superficiale ignoranza. Lo capiamo benissimo noi altri. E, riprendendo i concetti di Cresti, trovo che un gesto salvifico o quantomeno rispettoso per il loro bene, sia denunciarlo a gran voce. Almeno questo possiamo farlo. Oggi, il nuovo linguaggio musicale dei giovani, che poi diviene anche il nuovo linguaggio di vita quotidiana, fa davvero paura per la sua povertà. Agli artisti, se vogliono protestare, chiedo un linguaggio alto.

Detto questo ci sono mille ragioni per non mollare la presa. Ed una la capisco ogni volta che guardo casa mia priva di televisione, radio e finestre a portata di centri commerciali. Fuori dal mondo? Sì, quanto basta per far buoni i polmoni. Ascolto vinili, mi siedo, blocco il mio tempo e respiro cose. Sono un partigiano non un coglione. Testimoniare il passaggio per Flavio Ferri – secondo me – significa anche e soprattutto questo. Nella follia (romantica questa volta) che usa nel deformare i suoni, nel rompere le abitudini, nel nascondere voci che neanche avrei mai sentito, nello straziare la forma. Testimone Di Passaggio è un disco visual, PARTIGIANO, che i dormienti inebetiti di oggi neanche hanno gli strumenti per ascoltarlo, figuriamoci di capirlo. E loro sì che non hanno strumenti. A questo disco ho dedicato molto spazio anche nella mia nuova piccola radio – Radio Terapia. Lo conosco bene tanto da riascoltarlo quando sento che il tempo ne ha bisogno. Perché di dischi così ferrosi, così di rottura, così privi di abitudini e di simbologie sistemiche, il tempo ne ha sempre bisogno…l’uomo in prima battuta ne ha bisogno. Flavio Ferri testimonia il suo passaggio denunciando che la verità è come ferro fuso, rovente, parla dell’odio, di burattini, di canzoni, di segreti, di convenzioni comode.

Non si racconta questo disco distorto e lisergico fatto da non-canzoni, fatto di declamazioni, di liriche figurative scritte da Luca Raganin, dove il tutto non ha forme comode e non si può certo catalogare con etichette che i più omologati direbbero di post-industrial o robe simili. E per questo invito a non mettere etichette all’album. Il suono si cementa dentro, se abbiamo coscienza. Tutto il resto sono chiacchiere per i colletti bianchi di qualsivoglia girone organizzato dell’umana condizione. Testimone Di Passaggio è parte di quella scellerata follia (alta questa volta) che io riconosco in artisti degni di stima e di encomio per la loro guerra, quotidianamente partigiana. Ascoltatelo questo disco. Non per gusto o per moda. Ma per bisogno.

Autore: Flavio Ferri Titolo Album: Testimone Di Passaggio
Anno: 2020 Casa Discografica: Vrec label
Genere musicale: Psichedelia Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/FlavioFerriProducer
Membri band:
Flavio Ferri
Tracklist:
1. Beckett
2. Bambina Da Canzone
3. Le Verità Roventi
4. Moderna
5. Houdini
6. Testimone Di Passaggio
7. Odo
8. Ligeti
9. Scoppio Di Oppio
10. Xfiles
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Psichedelia
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14th Gen2021

Moltheni – Senza Eredità

by Marcello Zinno
Era da tantissimo tempo che non sentivamo parlare discograficamente di Moltheni, la raccolta del 2009 era l’ultimo lavoro a suo nome. Umberto Maria (il suo vero nome) sembrava aver abbandonato il moniker Moltheni e non potevamo biasimarlo. Al di là del valore qualitativo, che per un progetto come questo è davvero difficile da definire perché molto soggettivo, il sound costruito da lui è sempre stato molto ancorato alla scena alternative rock degli anni novanta, con echi di Afterhours. Però nel frattempo Moltheni è cresciuto, anagraficamente e come musicista, e in questi anni ha fatto crescere anche la propria musica (con Ingrediente Novus questo era abbastanza evidente), così c’era da aspettarsi un nuovo passo avanti, una ulteriore maturazione. Ed invece Senza Eredità riprende le coordinate già note nel sound dell’artista, riempite musicalmente certo, ma pur sempre Moltheni al 100%. In alcuni frangenti (pochi) si apprezzano i contributi elettrici (come in Il Quinto Malumore), non manca però qualche momento dalle sonorità più pop (Spavaldo) perché in realtà Moltheni possiede un’eterogeneità sonora che punta molto sulla parte vocale (davvero particolare la sua timbrica, come sempre) e sulle linee di chitarra che costruiscono il contorno; il resto sono per lo più arrangiamenti ed abbellimenti, anche se in questo album come dicevamo risultano più piene, anche strumentalmente parlando, ma sempre con la medesima bussola. Senza Eredità sembra un album semplice e orecchiabile, ma in realtà è arduo inquadrarlo e soprattutto collocarlo nei nostri tempi.

Autore: Moltheni Titolo Album: Senza Eredità
Anno: 2020 Casa Discografica: La Tempesta Dischi
Genere musicale: Alternative Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/Moltheniofficial/
Membri band:
Moltheni
Marco Marzo Maracas
Paolo Narduzzo
Massimo Roccaforte
Salvatore Russo
Egle Sommacal
Gianluca Schiavon
Floriano Bocchino
Emanuele Alosi
Carmelo Pipitone
Riccardo Tesio
Tracklist:
1. La Mia Libertà
2. Ieri
3. Estate 1983
4. Se Puoi, Ardi Per Me
5. Il Quinto Malumore
6. Ester
7. Nere Geometrie Paterne
8. Spavaldo
9. Sai Mantenere Un Segreto?
10. Me Di Fronte A Noi
11. Tutte Quelle Cose Che Non Ho Fatto In Tempo A Dirti
Category : Recensioni
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