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18th Ago2016

Bay Fest 1° giorno@Bellaria Igea Marina (RN)

by Piero Di Battista

Bay Fest 1Mare e punk rock? Sì, dallo scorso anno in Riviera questa combinazione è fattibile. E perché non passare il weekend di ferragosto all’insegna di una due giorni di festival? Abbiamo così “testato” il BayFest, rassegna che quest’anno giunge alla sua seconda edizione. Lo scorso anno era racchiusa in un’unica data, con i Millencolin da headliner. Per l’edizione 2016 l’organizzazione, la LP Rock Events, ha provato con la doppia, portando ai tanti vacanzieri e non della Riviera ben dodici gruppi. E che gruppi! Nofx, A Wilhelm Scream, Strung Out, ed i nostrani Derozer sono nomi certamente di grido, ma che comunque gli appassionati sono abituati a vederli esibire dentro i nostri confini. L’eccezione, o meglio, i colpi grossi sono ben due: i Satanic Surfers, reduci da una reunion dopo quasi dieci anni di inattività, reunion che, al momento, riguarda solo l’aspetto “live”, e soprattutto gli Screeching Weasel, band capitanata dal carismatico Ben Weasel e che soprattutto ha avuto un’importanza rilevante nell’ambito punk rock. La presenza di Weasel e compagnia è anche l’unica in Europa, e soprattutto, è la prima in assoluto in Italia. Insomma, le premesse ci sono tutte. Vediamo come sono andati questi due giorni.

Il menù del prima giornata del BayFest offre dei piatti molto interessanti: Nofx a chiudere, preceduti da Strung Out, A Wilhelm Scream, Talco, Coffeeshow e I.S.. Le porte vengono aperte a mezzogiorno e nelle sei ore di tempo che precedono l’inizio del festival, è possibile assistere alle esibizioni del progetto P.G.A. (Punk Goes Acoustic) all’interno di un piccolo stand, accompagnati da un servizio di food & beverage abbastanza vario. Giungono così le 18:00 ed i primi a calcare lo stage sono gli I.S., band nostrana che offre ai non pochi presenti un delizioso quanto energetico ska-core. Il gruppo dimostra di saperci stare su un palco di questa rilevanza, d’altronde parliamo di una realtà attiva dal 2002 e con un bagaglio di esperienza non indifferente. La loro esibizione dura quasi mezz’ora, ma strappa diversi applausi e consensi. Promossi.

Per i secondi ad esibirsi restiamo sempre in Italia. Parliamo dei Coffeeshower, punk rock band abruzzese ed attiva dal 1999. Per chi non li conosceva, sono stati un’autentica sorpresa; difatti realizzano uno show tipicamente punk rock; poche chiacchiere e tanta musica. Una setlist la loro con brani tratti da loro ultimo disco, Houses, pubblicato lo scorso novembre tramite Ammonia Records. Concerto indubbiamente degno di nota. Ed anche loro escono tra gli applausi ed i consensi di un pubblico che, mano a mano, inizia a crescere numericamente.

E’ ora di cena, e arriva il momento dei Talco. Parliamo di un’altra band dalla notevole esperienza, soprattutto internazionale nonostante i Nostri vengano dalla zona di Venezia. Non è facile non farsi catturare e trascinare dai loro ritmi che variano dal folk, allo ska, al punk rock più crudo e così è stato. Attraverso brani, tra i quali, Dalla Pallida Mirò, La Danza Dell’Autunno Rosa, La Torre e St.Pauli, i Talco, in quaranta minuti circa di show, hanno sprigionato un’energia non comune, facendo ballare e divertire i tanti presenti. Il rispetto se lo sono guadagnati con tanta gavetta, accompagnata da tanta qualità; d’altronde non fai un tour in Francia con i Nofx per puro caso. Show enorme il loro. E siamo ancora alla terza band, nel frattempo, oltre alla qualità dei gruppi, abbiamo notato una buona organizzazione dell’evento, una bella location soprattutto per gli alberi presenti in un lato, che hanno creato una zona d’ombra non indifferente. Siamo ad agosto, e quindi è ben accetta.

Dopo i sostanziosi antipasti made in Italy, arriva il momento delle band straniere, più precisamente a stelle e strisce. Gli A Wilhelm Scream li abbiamo visti diverse volte qui in Italia, hanno accompagnato band come Anti-Flag, Lagwagon o Dropkick Murphys, e tutte le volte siamo stati travolti da quel concentrato di punk hardcore che fuoriesce dalle casse come uno tsunami pronto a travolgerti. Non avevamo dubbio alcuno sulla conferma di tutto ciò: Nuno alla voce, accompagnato dagli altri membri regala ai presenti un show dalla carica devastante. La band del Massachusetts si mostra in una forma tendente all’eccellente, proponendo brani tratti da molti dei loro dischi, tra i quali The King Is Dead, The Soft Sell, e chiudendo con Famous Friends And Fashion Drunks. Cinquanta minuti di puro terremoto. Questi sono gli A Wilhelm Scream, a noi e al sempre più folto pubblico piacciono così.

Tempo di cenare, di una o più birre, o di uno spritz, giunge l’ora degli Strung Out, band che ha bisogno di poche presentazioni soprattutto per il fatto di essere uno dei gruppi di punta della Fat Wreck Chords. Reduci dal successo del disco Trasmission.Alpha.Delta, pubblicato lo scorso anno, Jason Cruz e soci offrono una scaletta che attinge da un po’ tutta lo loro carriera. Rispetto però a chi li ha preceduti, e nonostante le indubbie qualità, non regalano uno show memorabile. Cruz non sembra in una forma eccellente anche se, tra le note di In Harm’s Way, Solitaire e Firecracker riesce comunque a coinvolgere il pubblico, soprattutto in occasione della cover di Soulmate dei No Use For A Name, in omaggio al compianto Tony Sly. Ce li aspettavamo più carichi è vero, da rivedere in un’altra occasione che siamo certi non mancherà. Peccato anche per l’assenza nella setlist di due brani fondamentali come Analog e Ultimate Devotion.

Arriviamo alle 23:00 e mancano “solo” i Nofx. L’attesa per Fat Mike e soci è molta. E, con qualche minuto di ritardo, accompagnati da un sottofondo reggae, li vediamo entrare in scena. Lo show, come di consueto ha come intro un po’ di teatro tra Fat Mike ed il chitarrista El Hefe, ma finalmente si comincia: 60%, Linoleum, Stickin’ In My Eye e Idiots Are Taking Over sono alcune tra le canzoni proposte dai quattro californiani. La scaletta da loro proposta ripercorre ampiamente la loro discografia, da brani più datati, come Bob o The Moron Brothers, ai più recenti come Seeing Double At The Triple Rock o The Man I Killed, passando per pezzi storici come Lori Meyers e Champs Elysees. Tra tutto questo i Nostri ci offrono un antipasto di quel che ci sarà nel loro nuovo disco, First Ditch Effort, in uscita ad ottobre. Da questo propongono il singolo Six Years On Dope e I’m So Sorry, Tony, brano che Fat Mike dedica alla memoria di Tony Sly, artista di cui abbiamo più volte parlato in diverse occasioni e che, proprio Fat Mike ha contribuito, tramite la sua Fat Wreck Chords, al successo con i suoi No Use For A Name.

Anche i Nofx appaiono in una forma più che discreta. Il pubblico canta e si lascia trascinare dalle ritmiche punk rock dei quattro fino all’ultima nota. I Nofx viaggiano verso la conclusione del loro show attraverso Dinosaurs Will Die, Bottles To The Ground e la conclusiva Theme From A Nofx, nella quale l’altro chitarrista, Eric Melvin, fatica scherzosamente ad abbandonare lo stage continuando a suonar la sua fisarmonica.

Lo show si conclude poco dopo la mezzanotte; un concerto, quello della band californiana magari non di livello eccelso, ma sicuramente apprezzabile, in particolare riguardo la scaletta proposta. Come prima giornata possiamo ritenerci totalmente soddisfatti. Ottime band, organizzazione di livello, insomma la formula del BayFest distribuito in due giornate sta funzionando. Abbandoniamo la location, ma con la mente siamo già pronti e carichi per l’indomani.

 

Live del 14 agosto 2016

Category : Live Report
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07th Ago2016

Fosch Fest 2016@Bagnatica (BG)

by Antonluigi Pecchia

Fosch-Fest-2016Con l’arrivo dell’estate giunge il momento per i metalheads italiani di preparare le valigie e partire alla volta dei festival estivi europei. Tra le mete principali ci sono Wacken, Hellfest e Brutal Assault. Negli ultimi anni, però, in provincia di Bergamo è nato e cresciuto un festival con l’idea di competere con gli eventi citati: si tratta del Fosch Fest, festival nato nel 2009 con lo scopo d’essere il primo evento folk metal in Italia. Nel corso delle edizioni si è allargato, presentandosi al pubblico quest’anno con un’organizzazione di due palchi su cui, in tre giornate, sono stati previsti gli show di nomi importantissimi della scena metal mondiale come Anthrax, At The Gates, Korpiklaani e Destruction. Un manifesto quindi che avrebbe fatto gola a qualsiasi amante del metal. Noi non potevamo essere immuni al fascino di questo evento e quindi ci siamo fiondati in questi tre giorni di metal: ecco il nostro resoconto.

Prefestival (22/07/2016)

Splende ancora il sole quando varchiamo le porte dell’area concerti, di pubblico presente nell’area ce ne è già e, mentre la maggior parte di questi sono intenti a fare le code alle casse (chi per poter avere la propria Foschpay -per effettuare i pagamenti di cibo e bevande nell’area festival- chi invece per poter nutrirsi o gustarsi una fresca birra), i bergamaschi Rise Of Tyrants danno il benvenuto ai presenti con il loro sporco e marcio death metal. Giunge il turno degli A Tear Beyond e il loro classico gothic metal, buona la loro prova, resa ancor più convincente dai giochi col fuoco a cura dei performers che accompagnano la band, andando a catturare l’attenzione di tutti nei momenti in cui avrebbe visto incombere la pesantezza del loro stile, problematica che si riscontra soprattutto quando i brani che si ascoltano non sono familiari.

Cala la sera sulla location del festival e abbiamo modo di vedere un pubblico numeroso e caldo ad accogliere gli Ancient Bards. Con il loro power metal forgiato dal calore di innumerevoli prove live riescono a farsi amare da tutti i presenti che si presentano in modo eterogeneo per età e gusti musicali, complice l’ingresso libero di questa prima serata della manifestazione. Ammaliante risulta la voce di Sara, frontwoman dell’act ed è piacevole per la platea lasciarsi trasportare dalle melodie dei brani suonati, divertendosi tutti, accennando alle volte anche dei moshpit, immaturi alle volte, simbolo che l’ora dei Folkstone è ormai vicina e la voglia di divertirsi è tanta.

Ed ecco scoccate le 23:00. La platea rovente e folta dona il giusto benvenuto ai Folkstone, band che per anni è stata la padrona di casa del festival e torna per l’occasione nelle vesti di protagonista dopo quattro anni di distanza dal manifesto dell’evento. Nella Mia Fossa e Fuori Sincronia danno inizia alla scorribanda, mostrando al pubblico il nuovo volto della band, volto a cui la platea sembra non apprezzare particolarmente, dato anche un inizio un po’ fiacco da parte della formazione on stage, anche dal punto di vista dei suoni. La prova si riprende, i suoni vengono sistemati e la band ritrova la grinta con una doppietta di estratti a tutti noti Nebbie e Grige Maree, cavalcando l’onda con In Caduta Libera. La band necessita di pause e come sempre Lorenzo, frontman della band, coglie l’occasione per presentare i brani in scaletta con discorsi che ormai però non trovano più il giusto equilibrio tra essere fomentatori e passare per slogan “populisti” a sfondo sociale, risultando alle volte un po’ eccessivi. La festa inizia per tutti con Un’altra Volta Ancora, Anime Dannate, l’acustica Vortici Scuri, Non Sarò Mai, Frerì, Rocce Nere, brani che tutti conoscono, cantano e sudano volentieri insieme alla band. Dopo ancora qualche estratto dal loro ultimo Oltre… L’Abisso, così Con Passo Pesante, in collaborazione con Mario Monzani dei Cidodici la band chiude in chiave festosa questa anteprima del festival.

Prima giornata (23/07/2016)

Inizio del festival non dei migliori a causa di un forte temporale che si abbattuto sul Paese in tarda mattinata rendendo il palco underground inagibile, cancellando le esibizioni delle band in programma. L’inizio ufficiale del festival viene quindi affidato all’orgoglio tricolore Fleshgod Apocalypse con uno show magistrale di brutalità, impeccabile, non privo di problemi tecnici, facendoli esordire con un brano proposto in duo batteria/voce e una perdita di tensione in chiusura. Nonostante questi disguidi la loro è risultata una prova godibile, diversamente da quanto si possa dire per lo show dei Destruction. Peccato, infatti, per il loro concerto, con una setlist che avrebbe mostrato il meglio del loro repertorio live old school per celebrare i 15 anni dall’uscita di Alive Devastation. Il trio teutonico si è ritrovato a combattere tutto il tempo contro le perdite di tensione, avendo la possibilità di proporre interamente solo alcuni dei brani in scaletta tra cui Curse Of The Gods, Mad Butcher, Nailed To The Cross, Bestial Invasion e Thrash Till Death. Purtroppo la band abbandona il palco lasciandoci insoddisfatti dalla poca musica goduta ma meritandosi un grande applauso per non aver gettato la spugna dopo l’ennesima ripresa e aver continuato a dare il massimo per il pubblico presente.

Il sole brucia ancora quando il palco mostra il logo dei Sacred Reich. La passione è stata la protagonista della performance della band americana alla prima esibizione italiana, la passione che ancora spinge questi quattro ragazzi di ormai mezza età con mogli e figli al seguito a suonare in giro per il mondo i brani che hanno fatto la storia del thrash metal mondiale. Quindi ci gustiamo con il sorriso stampato in volto, come quello che porta la band on stage, brani come The American Way, Free, Death Squad, One Nation, Love… Hate, Ignorance, Crimes Against Humanity, Who’s to Blame, Indipendent e la celeberrima Surf Nicaragua. Quindi tutto il meglio estratto dai lavoro studio della band. Nonostante il caldo ci faccia sudare sette camicie poco importa, i thrashers si divertono e sono consapevoli che potrebbe essere l’unica occasione per poter gustarsi questi brani live, quindi a tutto mosh!

La sera è ormai calata da tempo su Bagnatica. In ritardo rispetto al programma, le tenebre calano anche on stage, così le casse introducono l’arrivo degli At The Gates introdotti dalle parole dello scrittore Ernesto Sabato in El Altar Del Dios Desconocido. La band è ben consapevole di non avere troppo tempo a disposizione: così, senza presentazioni e perdite di tempo, spara un colpo dietro l’altro tutto il meglio tratto dal loro ultimo At War With Reality e dal classico Slaughter Of The Soul. Non c’è attimo di respiro, il moshpit è serrato ed è veramente impresa ardua riuscire a prender fiato: Death And The Labyrinth, Slaughter Of The Soul, At War With Reality, Cold. La band lascia un attimo di tregua con la più cadenzata Terminal Spirit Disease, per poi riaprire le violente danze con i colpi The Circular Ruins, Suicide Nation, Heroes And Tombs, Under A Serpent Sun, Eater Of Gods, Nausea, Need. Il folgorante show della band svedese viene concluso dall’immancabile Blinded By Fear, abbandonando la scena con le note da brivido di The Night Eternal. Uno show superlativo, con cui la band si è fatta perdonare per i problemi avuti con le scorse date italiane (una realizzata con solo un chitarrista e un’apparizione da headliner annullata). Siamo già distrutti, eppure, però, la serata non è ancora finita.

La platea è ben gremita quando le note dell’intro Impaled fanno saltare on stage gli Anthrax! Inizio non scoppiettante per la storica thrash band a stelle e strisce: prova l’effetto di due brani freschi dal loro ultimo For All Kings, You Gotta Believe e Monster At The End, i quali non creano gran movimento tra il pubblico. Il moshpit è inarrestabile invece con gli attesissimi Caught In A Mosh, Madhouse, Got The Time per poi diventare feroce con i ritmi serrati della più recente Fight ‘Em ‘Til You Can’t. L’ultimo singolo Evil Twin viene accolto bene dai presenti e con il classico Medusa riprendono le danze nel moshpit, chiudendo la canzone con il riffone di March Of The S.O.D. (cover dei S.O.D.) durante il quale Jon Dette si diverte a pestare sul suo drumkit. La band annuncia il termine della loro performance, affidandolo alla doppietta rodata tra nuovo e vecchio formata da In The End e Antisocial. La farsa è ben risaputa tra il pubblico, così la band attende giusto un attimo per riprendere fiato per tornare al proprio posto on stage: decide di farlo con un colpo nuovo Breathing Lightning e l’immancabile Indians, con cui c’è ancora voglia da parte di tutti di correre e saltare, per scaricare le ultime energie rimaste da questa giornata distruttiva. Long live rock’n’roll!

Seconda giornata (24/07/2016)

La seconda giornata di festival ha rispettato il programma del manifesto con l’unica eccezione per gli Embryo, costretti ad annullare il loro show, sostituiti dagli Ulvedharr che hanno avuto l’onore di aprire le danze sul palco principale con il loro death metal in stile Unleashed. Giornata all’insegna delle sonorità folk e pagan. Abbiamo ritrovato godibili tutti gli show sul palco underground tra cui i migliori: i giovani milanesi Atlas Pain, i marchigiani Nightland e il loro violento death metal sinfonico e verso la conclusione i veneti Kanseil con il loro folk metal in dialetto. Convincente è lo show dei pagan metallers abruzzesi Atavicus, giovane band promettente nata dalle ceneri dei Draugr, che conserva lo spirito e la forza a cui la precedente formazione ci aveva abituati. Gradevole sorpresa è stato lo show dei giovani spagnoli Drakum che ha fatto divertire tutto il pubblico presente. Mentre, su tutte, la performance migliore giunge con stupore in pieno pomeriggio a cura degli islandesi Skalmòld: coinvolgente, energica, precisa e divertente, con i colpi migliori estratti dai tre album da loro prodotti. Esibizione perfetta per un’apparizione ad un festival folk metal.

Show di classe per i norvegesi Enslaved con un set che ha presentato tutte le forme della loro sperimentale carriera venticinquennale, durante la quale la band ha sconfinato in tutti i generi della faccia più oscura del metal, rendendola materia propria. Performance, la loro, precisa e completa presentando brani del primo periodo, come Convoys To Nothingness, Jotunblod, Fenris e altri dal periodo più recente e progressivo, come Isa e Ruun. Performance non convenzionale e tipicamente folk per poter essere apprezzata da tutti, gli Enslaved hanno sempre realizzato musica piuttosto complessa e di nicchia, ma abbiamo assistito ad un’ottima performance. Peccato solo per la chiusura di festival un po’ sottotono affidata ai finlandesi Korpiklaani, una delle colonne portanti di questo genere, quindi alte erano le aspettative per la loro esibizione. Lo show ha previsto una setlist che ha ignorato il primo periodo della band, fatto di brani veloci e divertenti, presentando un programma ricco di brani cadenzati e malinconici del suo repertorio. Pochi gli attimi memorabili del loro show tra cui Vodka con cui la band ha salutato e chiuso il sipario di questo evento, lasciando che il pubblico si sgranchisse un po’ le gambe.

In ogni caso torniamo a casa soddisfatti per aver preso parte ad una manifestazione che, con i suoi problemi e tanto margine di miglioramento (dai prezzi del cibo e bevande, all’organizzazione, alla sicurezza e alle attività complementari alla musica), ha cercato di introdurre la possibilità di farci avere un vero e proprio festival metal estivo nel nostro Paese. L’idea sembra sia stata promossa dato il numero di pubblico che ha popolato il festival e si spera in eventuali miglioramenti per quanto riguarda il futuro di questo evento. Ci dispiace non aver avuto la possibilità di gustarci gli show dell’ottima selezione di band underground prevista per il primo giorno di festival e per alcuni show penalizzati da vari problemi tecnici, però smontando la tenda il giorno dopo questo evento ci possiamo definire soddisfatti da tutto ciò che è stato. Una buona edizione, per essere un festival italiano.

 

Live del 22-23-24 luglio 2016

Category : Live Report
Tags : Folk
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27th Lug2016

Sonisphere Rock In Roma@Ippodromo Delle Capannelle – Roma

by Piero Di Battista

Sonisphere Rock In Roma 2016 Iron MaidenEstate nuova ed edizione nuova per il Sonisphere, festival itinerante che anche quest’anno ha toccato il nostro Paese. Anche la location è diversa, difatti dopo la discutibile venue della scorsa edizione, ovvero il parcheggio del Forum di Assago (MI) dove da headliners si esibirono i Metallica, è la volta di Roma che, tramite la rassegna Rock In Roma, ospita il noto festival all’insegna del metal. La location è l’Ippodromo Delle Capannelle, anch’esso posto più volte criticato in occasione dei passati concerti dei Metallica e Muse…vediamo se le tante critiche negative hanno avuto qualche risultato. Il bill è di tutto rispetto: Sabaton, Saxon, Anthrax, tutti anticipati dai Wild Lies, dai nostri connazionali A Perfect Day e dai The Raven Age, quest’ultimi noti per accompagnare lungo tutto il tour i principali protagonisti della serata: gli Iron Maiden. Inizialmente nel programma era prevista anche la presenza dei Bullet For My Valentine. Purtoppo a causa di problemi logistici (così hanno sostenuto nel loro comunicato ufficiale), a due settimane dall’evento hanno comunicato la loro assenza dal festiva. Ovviamente, a causa dei tempi molto ristretti, non c’è stato modo di sostituirli.

Purtroppo circostanze esterne ci hanno impedito di seguire il Festival dall’inizio, e quindi il nostro racconto avrà inizio dall’esibizione dei Saxon.

SAXON

Siamo nel tardo pomeriggio e la band inglese fa il suo ingresso sul palco. Biff Byford e compagnia appaiono in più che discreta forma, regalando ai tantissimi presenti (se ne conteranno alla fine circa 20.000) un show degno di questo nome. Il loro ultimo disco, Battering Ram, è uscito nell’ottobre del 2015, ma nella setlist della band inglese trovano spazio diverse epoche della loro carriera che, proprio quest’anno, compie la bellezza di quarant’anni. Vengono dunque così proposti storici brani quali 747 (Strangers In The Night) e Wheels Of Steel, tratti dall’omonimo eccellente disco pubblicato nel 1980. Ma anche brani datati come Princess Of The Night, 20.000 Ft e Power & The Glory, oltre ai pezzi più recenti come Battering Ram, tratta appunto dall’omonimo disco pubblicato quasi un anno fa. L’esibizione dei Saxon dura circa un’ora, e non abbiamo alcun dubbio nel sostenere che sia stata ineccepibile, a prova che, nonostante l’età, tante band nate in quel periodo sono ancora attualmente tra le migliori riguardo la resa live. Avercene ancora.

ANTHRAX

Dopo una mezz’oretta di pausa si arriva all’ora di cena. Il clima meteo è dalla nostra parte, considerano anche una leggera pioggia rinfrescante che ha accompagnato l’esibizione della band successiva, gli Anthrax. Sono le 19:15 circa quando Joe Belladonna, Scott Ian e compagnia si presentano sullo stage del festival. La band statunitense, attiva anch’essa da quasi quarant’anni, ha da pochi mesi pubblicato il suo nuovo album, For All Kings, e, come logico attendersi, è da questo disco che la setlist attinge con più frequenza, attraverso Breathing Lightning, Evil Twin e You Gotta Believe. Gli Anthrax si presentano in una forma tendente all’eccellente, e rispetto ai pur ottimi Saxon, riescono a coinvolgere molto di più i presenti, grazie all’energia trasmessa dalla potenza del loro sound. Oltre ai brani più recenti, i nostri regalano al pubblico romano anche dei loro storici cavalli di battaglia, come Caught In A Mosh, tratto dal disco Among The Living pubblicato nel 1987, e Madhouse (da Spreading The Disease, 1985). La purtroppo breve esibizione dei cinque newyorkesi si conclude con Indians ed a noi non resta che sostenere di aver assistito ad uno show di buonissima fattura. Un paio di nei ci sarebbero: uno a livello personale, ovvero al fatto che gli Anthrax non hanno proposto pezzi tratti da State Of Euphoria, l’altro, certamente più importante, è l’acustica che ha parecchio condizionato l’ascolto soprattutto delle parti vocali. E purtroppo stiamo parlando di un problema tutt’altro che nuovo. Andrà meglio con gli Iron Maiden?

IRON MAIDEN

Premesso che le precedenti band hanno regalato degli show di ineccepibile fattura, il folto pubblico che ha riempito l’area dell’Ippodromo delle Capannelle ha tanta fame di Iron Maiden. Anticipati, come di consueto, da Doctor Doctor degli UFO, e da un breve video mostrato dagli schermi ai lati del palco, ecco la Vergine Di Ferro fare il proprio ingresso davanti a più di 20.000 romani e non. The Book Of Souls Tour è il tour promozionale dell’omonimo disco pubblicato circa un anno fa. Disco che, rispetto ai suoi predecessori, ha avuto tantissimi riscontri positivi a livello di critica. E logicamente è quest’ultimo lavoro a far da sceneggiatura al loro show, difatti Dickinson e compagnia aprono le danze con If Eternity Should Fail e Speed Of Light. La scenografia è sempre di livello eccelso; ad ogni canzone abbiamo uno sfondo diverso ma in cui è sempre Eddie il protagonista. Sin da subito però riscontriamo anche questa volta alcuni problemi riguardo l’audio delle parti vocali, ma non riguardano assolutamente le conseguenze del grave problema fisico che ha colpito Dickinson un anno e mezzo fa, bensì l’acustica in generale che, come dicevamo poc’anzi, ha condizionato anche il concerto degli Anthrax. Lo show prosegue, tra Bruce che urla spesso “Scream for me Roma!!” (ad un certo punto sbaglia anche città, dicendo Milano), e con i vari Harris, Gers, Murray, Smith e McBrain in una forma al limite dell’eccellente, si prosegue facendo un balzo nel passato attraverso le note di Children Of The Damned e Powerslave, dove in quest’ultima Dickinson si esibisce indossando una maschera da simil-lottatore di wrestling. Intervallato da storici cavalli di battaglia come The Trooper, Hallowed Be Thy Name e Fear Of The Dark, è sempre l’ultimo disco ad esser la colonna portante della setlist. Si susseguono dunque Tears Of The Clown, The Red And The Black, Death Or Glory e The Book Of Souls. Il tutto fino alla conclusive Iron Maiden, dove, come spesso è accaduto nel passato, appare Eddie dietro la band, mostrandosi con attraverso un volto meccanico enorme. La curiosità era soprattutto legata alla resa live dei nuovi brani, e c’è da dire che la resa è stata eccellente, soprattutto nel caso di Speed Of Light e The Red And The Black, dove certamente il pubblico non s’è fatto pregar nell’accompagnare la band con le loro voci.

Dopo qualche minuto per riprendere fiato, gli Iron si ripresentano sul palco per concludere definitivamente lo show, e lo fanno attraverso The Number Of The Beast, Blood Brothers e Wasted Years. E’ dunque il brano presente in Somewhere In Time a siglare il punto conclusivo delle show. Quanto volte abbiamo detto che gli Iron Maiden dal vivo sono una garanzia? Tante, e lo confermiamo, a maggior ragione riguardo i brani tratti da The Book Of Souls. Ma a costo di esser ripetitivi, stona fortemente, ed in senso negativo, l’acustica delle parti vocali, che, anche in questo caso ha deteriorato l’impatto vocale di Dickinson. Un vero peccato.

Per il resto, per quanto abbiamo potuto constatare, non ci sentiamo di muovere critiche eccessive riguardo l’organizzazione ed i vari aspetti dello show e del Sonisphere in generale, sarà che forse venivamo dall’esperienza milanese di un anno fa, esperienza che ci ha fatto pensare che peggio del 2015 non poteva essere. Ce ne andiamo così dall’area concerti, soddisfatti, e consapevoli di aver assistito ad un altro spettacolare concerto degli Iron Maiden. Ad un certo punto del concerto Dickinson sosteneva che nella storia tutti i grandi imperi prima o poi sono caduti. Vero. Gli Iron Maiden fanno parte della storia, ma una storia a sé.

Setlist Saxon:

  • Battering Ram
  • Motorcycle Man
  • Sacrifice
  • Power And The Glory
  • 20.000 Ft
  • Dogs Of War
  • Haevy Metal Thunder
  • Crusader
  • Princess Of The Night
  • Wheels Of Steel
  • 747 (Strangers In The Night)
  • Denim And Leather

 

Setlist Anthrax:

  • You Gotta Believe
  • Caught In A Mosh
  • Got The Time
  • Madhouse
  • Fight ‘Em ‘Til You Can’t
  • Evil Twin
  • Antisocial
  • Breathing Lightning
  • Indians

 

Setlist Iron Maiden:

  • If Eternity Should Fail
  • Speed Of Light
  • Children Of The Damned
  • Tears Of A Clown
  • The Red And The Black
  • The Trooper
  • Powerslave
  • Death Or Glory
  • The Book Of Souls
  • Hallowed Be Thy Name
  • Fear Of The Dark
  • Iron Maiden

Encore:

  • The Number Of The Beast
  • Blood Brothers
  • Wasted Years

 

Live del 24 luglio 2016

Category : Live Report
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24th Lug2016

Santana@Auditorium Parco della Musica – Roma

by Giuseppe Celano

Carlos Santana Roma 19 luglio 2016Dopo molti anni Santana torna a Roma con una band di tutto rispetto e una setlist diversa dalle solite. La location è l’Auditorium Parco della Musica, per la rassegna Luglio Suona Bene che si svolge nella sala esterna Cavea. Se non è un sold out è perché manca qualche posto nelle tribune laterali con visibilità ridotta e nel parterre probabilmente per il costo elevato dei posti a 150 €. Mezzora prima dello show i tentativi maldestri di personaggi, anche molto noti, di entrare senza pagare il biglietto rasentano l’assurdo. Il vincitore assoluto della serata è il tipo che, piangendo al botteghino, chiede di entrare gratis perché per venire al concerto ha saltato il matrimonio del suo migliore amico suscitando così espressioni d’imbarazzo negli addetti ai lavori, crampi nell’addome per le risate. Alle 20:59 sono già tutti sul palco, Carlos nel frattempo passa dal corridoio inseguito da una fan scatenata che, nel vano e maldestro tentativo di attirare la sua attenzione, a momenti spacca con le mani un vetro di protezione. Mentre prendiamo posizione, la band attacca con l’introduzione dell’ormai storico set di Woodstock sulle note di Soul Sacrifice pompata da ben nove elementi di fine grana e seguita da Love Makes The World Go Round.

Il chitarrista, con cappello bianco e camicia azzurra, si muove ancora leggiadro per il palco sfoggiando la trama armonica di Freedom In Your Mind mentre i due singer si passano il testimone pungolando il pubblico con ancheggiamenti e sorrisi. Carlos è in serata, sebbene negli ultimi anni il suo modo di suonare abusi pesantemente delle ribattute, marchio di fabbrica che ha caratterizzato il suo sound, scivola veloce sul manico infilando qualche abbellimento armonico inaspettato. Ovviamente l’improvvisazione di un tempo e le lunghe jam sono sacrificate per lasciare spazio a brani amati dalla massa che hanno fatto la fortuna commerciale rintracciabili in Maria Maria e Corazon Espinado. Il meglio arriva con Europa, generatrice di un incontrollabile tsunami emozionale, e A Love Supreme (John Coltrane) introdotta da Evil Ways (Clarence “Sonny” Henry). Quella che doveva essere originariamente la scaletta ufficiale viene modificata a favore di una lunga introduzione composta da una sezione di Paint It Black (Rolling Stones) fusa con la prima parte di Samba Pa Ti (Abraxas) che fanno da antipasto per Black Magic Woman (Fletwood Mac) accolta da un boato. Nonostante i fan dell’ultimo periodo conoscano vagamente la prima parte della carriera di Carlos, questo brano rimane uno snodo fondamentale conosciuto e amato da tutti.

Con Gypsy Queen e Oye Como Va, su ritmiche latine e potenti virate reggae, la Cavea si trasforma in dance hall in cui i presenti improvvisano passi di danza per la gioia della band. Santana fa salire un bambino sul palco “permettendogli” di strimpellare l’elettrica, poi prova a ritornare al suo lavoro ma viene interrotto dalla festa (a sorpresa?) di compleanno, anticipato di un giorno, organizzata da moglie e figlia con tanto di Happy Birthday, torta e spumante. Immancabile il momento topico in cui ogni singolo musicista nei seventies dava sfoggio delle proprie doti solistiche. Qui il passaggio virtuos(ol)istico è affidato al bassista Benny Rietveld impegnato in un lungo assolo comprensivo delle linee melodiche di O’ Sole Mio cantato a pieni polmoni dagli astanti. L’altra metà della sezione ritmica è nelle mani della batterista Cindy Blackman che si allunga un po’ troppo senza sfoggiare in realtà pattern complicati. Nell’esibizione non possono mancare Smooth, cavallo di battaglia capace di smuovere anche le mummie e proprio sul finale una chicca affidata a Neal Schon, secondo chitarrista forte di una voce molto simile a quella di Sting capace di confondere anche le orecchie esperte. Sulle note di Roxanne, infatti, il nostro sfoggia un canto che sfida per tonalità, timbrica e tecnica canora quella stridente e quasi fastidiosa dell’ex biondino dei Police. La somiglianza fra le due timbriche è davvero strabiliante.

Sul finale infuocato metà parterre è in piedi già da un pezzo per la gioia della sicurezza che ormai da anni lascia sfogare la gioia dei presenti senza opporre un’inutile resistenza. Vederlo almeno una volta nella vista è un must insindacabile, in questo particolare tour direi che diventa un passaggio vitale.

Live del 19 luglio 2016

Category : Live Report
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17th Giu2016

Killswitch Engage+August Burns Red+Atreyu+Bury Tomorrow@Alcatraz (MI)

by Massimo Volpi

Killswitch Engage+August Burns Red+Atreyu+Bury Tomorrow@Alcatraz (MI)La carta dice che le portate sono ottime e il menù di questo mercoledì 15 giugno all’Alcatraz di Milano sarà ricco di metallo e poco adatto ai più deboli di stomaco. Si parte subito forte con un aperitivo. I Bury Tomorrow fanno letteralmente tremare il pavimento dell’Alcatraz durante la loro breve ma intensissima esibizione. Non è mai facile essere il primo gruppo a salire su un palco davanti a un pubblico che comunque è lì per gli headliner ma se i Bury Tomorrow hanno il compito di scaldare l’atmosfera diciamo che ci riescono nel migliore dei modi. Il circle pit è già acceso e gira che è un piacere. Un’esibizione pazzesca, basso vibrante e cambi di ritmica precisi e originali, questi Bury Tomorrow sono una rivelazione, soprattutto per chi come me non li aveva mai visti live. Il cantante è subito entrato nelle grazie della gente anche per il suo interagire e parlare. “C’è una cosa che noi odiamo, e parlo anche a nome delle band che saliranno su questo palco dopo di noi, e sono i pacchetti Vip e Meet&Greet che gli organizzatori vogliono rifilarvi” dice a un certo punto, “tutto quello che vogliamo siete voi e quando avremo finito scenderò giù a conoscervi, a battervi il 5, a fare fotografie, per tutto il tempo che sarà necessario” ha poi aggiunto, e fatto. Sette le canzoni, principalmente dall’ultimo album Earthbound, tirate e ben suonate. Ottima la presenza sul palco. Davvero un’apertura di lusso.

La seconda portata servita sono gli Atreyu. Il gruppo californiano non fatica troppo a mantenere alta la temperatura. Molto affiatati e coesi sul palco nonché sociali e simpatici. La sensazione generale è proprio quella di una festa tra amici con la stessa passione; i suoni sono molto pesanti e duri, la gente nel pit e fuori è molto coinvolta e incattivita quanto basta dalla musica e le band hanno come obiettivo principale quello di divertire divertendosi, cosa non sempre scontata. Gli Atreyu riempiono il tempo a loro disposizione con una raffica di canzoni tirate e pestate. Non mancano gli intermezzi con il pubblico, una “happy birthday to random person” per augurare felice compleanno a qualcuno a caso nel pubblico (perché c’è sempre qualcuno che compie gli anni). Una canzone tra la gente per il cantante e soprattutto un pezzo intero suonato senza basso perché Marc McKnight, il bassista, si trova nel mezzo del circle pit a spassarsela. Gli Atreyu sottoscrivono le parole di chi li ha preceduti anche a fatti. Non appena il cantante è sceso tra il pubblico è stato avvicinato da telefoni e macchine fotografiche che ha prontamente allontanato in malomodo al grido di “fuck cameras, let’s have fun” per poi buttarsi anche lui in mezzo al pogo. A onor del vero bisogna dire che i telefonini presenti sulle teste del pubblico erano davvero pochissimi, quasi nessuno. Tra i loro pezzi spicca anche una riuscitissima, e divertente, cover di You Give Love A Bad Name dei Bon Jovi.

L’abbuffata continua con gli August Burns Red. Attesi e con il difficile compito di sopperire al forfait degli Architects al quale era stato affidato il secondo posto in cartellone. Ma gli ABR non si fanno certo intimorire, anzi. Sfoderano tutte le capacità da primi della classe, quali sono, e consegnano al pubblico uno show davvero potente. Pochi fronzoli, chitarre dritte, growl alternati a piccoli passi melodici ma, in generale, pestare pestare pestare. Il circle pit si fa rovente. Tanti i pezzi dall’ultimo Found In Far Away Places, album che ha dato al gruppo della Pennsylvania la meritata spinta verso il grande pubblico. Nota: Marc McKnight degli Atreyu è ancora nel circle pit.

Ed ecco arrivare il piatto forte. Paladini del metalcore, i Killswitch Engage, ritrovato il cantante Jesse Leach, si presentano più in forma che mai. Una serie di canzoni da coro rende lo show apparentemente più morbido ma sicuramente più coinvolgente. Immancabili pezzi come This Is Absolution e My Last Serenade, i KSE hanno proposto anche qualche pezzo dall’ultimo lavoro Incarnate. Protagonista assoluto, Adam Dutkiewicz, chitarrista e seconda voce, con il suo fare decisamente unico e bizzarro. Poco più di un’ora. Uno spettacolo duro e godibile. Apprezzato dai presenti che hanno riempito la metà chiusa dalla tenda dell’Alcatraz. Ancora troppo poco il pubblico per questo genere nonostante tra la folla ci siano molti giovanissimi, in canotta e shorts, e tante ragazze che confermano di gradire parecchio le tonalità più forti e, a volte estreme, del metal. Capelli corti e barba curata per lui, capelli lunghi, colorati e spesso dimenticati per lei, l’identikit del nuovo fan del metalcore è questo. Per il resto è tutto circle pit con crowdsurfing e qualche maglietta strappata a causa di un eccesso di coinvolgimento, se così possiamo chiamarlo. Ore 23:20 tutti fuori. Piove. Ma con quel muro di suono avrebbe potuto esserci anche la guerra fuori mentre all’interno sarebbe stata comunque pace. O forse perché la musica a volte è così alta e potente da non farti sentire nemmeno i pensieri.

Live del 15 giugno 2016

Category : Live Report
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15th Giu2016

The Offspring + Pennywise + Good Riddance@Market Sound (MI)

by Piero Di Battista

Punk Rock Summer Nationals 2016 The Offspring + Pennywise + Good Riddance@Market Sound (MI)C’era molta attesa attorno al Punk Rock Summer Nationals 2016, evento che quest’anno ha toccato due location nostrane (Milano e Rimini) e con un bill di tutto rispetto: Good Riddance, Pennywise e The Offspring. Parliamo di nomi altisonanti per quanto riguarda il punk hardcore californiano, band che da più di vent’anni calcano i palchi di tutto il mondo, tenendo alta la bandiera di un genere e soprattutto di uno stile. Anche gli Offspring, da anni sdoganati verso un pubblico più ampio ma, checché ne dicano i puristi del punk, parliamo di una band che ha sfornato dischi capolavoro come Ignition e Smash. Noi eravamo presenti alla data svoltasi nel capoluogo lombardo, presso l’area del Market Sound, rassegna giunta alla seconda edizione e che accompagnerà l’estate milanese proponendo eventi che spaziano su generi diversi tra loro. E’ andata più o meno così.

La scaletta vede i Good Riddance aprire le danze. Ma purtroppo incorriamo sin da subito in un problema organizzativo: la band capitanata da Russ Runkin doveva iniziare alle 19:50, e, sempre leggendo il timing, l’orario d’apertura dei cancelli della venue era previsto per le 19:00. E le 19:00 sono state, peccato che c’era un unico ingresso, congestionato da chi possedeva già il biglietto, da chi doveva ancora acquistarlo e da chi doveva ritirare accrediti. Un’unica fila per migliaia di persone, con la conseguenza che il deflusso del pubblico è stato lento, tant’è che la maggioranza purtroppo si è persa lo show dei Good Riddance.  “Fortunatamente” (e le virgolette non sono casuali) riusciamo a raggiungere l’area concerti quando i Good Riddance hanno iniziato da una ventina di minuti, e mentre arriviamo stanno eseguendo A Credit To His Gender. I quattro appaiono in buona forma e riescono ad offrire ai non molti presenti per i motivi citati poc’anzi, uno show più che apprezzabile. Non essendo un tour promozionale per l’uscita di un nuovo album, Russ e compagnia ci propongono una scaletta più che soddisfacente, offrendoci perle tratte dal loro repertorio come Salt, Weight Of The World, Libertine o Shadow Of Defeat. Un concerto indubbiamente positivo per la band californiana, apparsa in discreta forma, e complice anche un’acustica soddisfacente, cosa rara per quanto riguarda gli impianti e le location all’aperto di Milano e dintorni. Peccato che sia stato uno show che non tutti hanno avuto la possibilità di goderselo appieno. Sarebbe semplicemente bastato anticipare di un’ora l’apertura delle porte.

Torniamo a parlare di musica ed è quella dei Pennywise che stiamo aspettando. Il tempo necessario per il cambio dell’attrezzatura e delle scenografia sul palco ed ecco i quattro di Hermosa Beach presentarsi davanti a pubblico milanese. Anche loro non sono nel corso di un tour promozionale, e quindi è lecito attendersi una scaletta che attinge da un po’ tutti i loro dischi. Per la gioia dei fan di vecchia data come chi vi scrive, la setlist ha toccato soprattutto i primi dischi: partenza a razzo con Peaceful Day, seguita da Rules, tratta dall’omonimo disco del 1991 e che difficilmente propongono in sede live ed a sua volta seguita da My Own Country. I Pennywise assumono sin da subito le sembianze di rulli compressori e l’inevitabile conseguenza infatti è quella di un pubblico assolutamente travolto dalla potenza e dalla energia di Jim Lindberg e compagnia. Lo show tira dritto come un fulmine ignorando la conoscenza del verbo “frenare” o “rallentare”. Perfect People, Same Old Story, Society e Alien sono alcune delle perle proposte dai Pennywise, accompagnate da due cover: Fight For Your Right dei Beastie Boys, e la consueta Stand By Me di Ben E. King, con l’aggiunta di un accenno di TNT degli AC/DC, cantata dal chitarrista Fletcher. Ovviamente il loro show si conclude con Bro Hymn, loro brano storico che non ha bisogno di presentazioni. Uno show impeccabile quello dei Pennywise, ma stiamo parlando di un gruppo che raramente fallisce quando si ritrova su un palco e con davanti un pubblico, che sia un piccolo club, o un’area più ampia. Macchine da guerra erano e macchine da guerra rimangono. C’è altro da aggiungere?

Ed arriviamo ai The Offspring. L’attesa per l’ultimo gruppo è un po’ più lunga, e finalmente, quando sono circa le 22:40, Dexter ed il resto della band si presentano sul palco del Market Sound ed aprono lo show con You’re Gonna Go Far, Kid. Parliamoci chiaro: negli ultimi anni gli Offspring non hanno offerto delle prestazioni “live” indimenticabili, e questo costituiva una ragione in più per esser curiosi della loro esibizione, oltre ovviamente al gusto personale. Dexter ci mette del suo come impegno, pur non essendo mai stato un fulmine di guerra sul palco, e, assieme a Noodles ed al resto della band offrono un’apprezzabile show, regalando una setlist che attinge molto da Americana (1998), quindi brani come Have Your Ever, Staring At The Sun e soprattutto le hit Pretty Fly, The Kids Aren’t Alright e Why Don’t You Get A Job?, ma che non trascura il loro capolavoro Smash (1994), da cui vengono tratte Come Out And Play, Bad Habit e Gotta Get Away. Lo show degli Offspring, pur con alcuni difetti, come, ad esempio i suoni lievemente più bassi rispetto alle band precedenti, assomiglia molto ad una sorta di “greatest hits” in versione live. E proprio per questo non mancano altri brani arci-noti quali Gone Away, All I Want ed il singolo di Splinter Hit That. Lo show degli Offspring volge alla sua conclusione ed il punto conclusivo spetta ad un’altra pietra miliare del loro repertorio, ovvero Self Esteem, anticipata negli encore da Americana. L’esibizione degli Offspring raggiunge una sufficienza sì piena ma senza lodi, tenendo conto anche dalle aspettative non altissime riguardo l’aspetto live. Ciò non toglie che è sempre un piacere riascoltare dal vivo brani che hanno in qualche maniera segnato la tua adolescenza, e perdonatemi questa chiosa mielosa.

Lo show giunge al termine e con esso tutto l’evento. Evento tutto sommato che poteva essere organizzato in maniera migliore, soprattutto riguardo alle problematiche raccontate prima, che tra l’altro hanno creato non poche difficoltà a chi era lì non solo come appassionato, ma anche per motivi lavorativi. Vogliamo però essere certi che le lamentele e le osservazioni poste nei vari canali social portino a dei miglioramenti a riguardo. Vogliamo decretare i migliori della serata? Senza ombra di dubbio i Pennywise. Ma non avevo dubbio alcuno.

Setlist The Offspring:

·         You’re Gonna Go Far, Kid

·         Want You Bad

·         Come Out and Play

·         Coming for You

·         Hit That

·         Have You Ever

·         Staring at the Sun

·         Cool to Hate

·         Bad Habit

·         Gotta Get Away

·         Gone Away

·         Kristy, Are You Doing Okay?

·         Why Don’t You Get a Job?

·         All I Want

·         (Can’t Get My) Head Around You

·         Pretty Fly (For a White Guy)

·         The Kids Aren’t Alright

·         Americana

·         Self Esteem

Setlist Pennywise:

·         Peaceful Day

·         Rules

·         My Own Country

·         Something to Change

·         Perfect People

·         My Own Way

·         Same Old Story

·         Living for Today

·         Fight for your right

·         Pennywise

·         Straight Ahead

·         Society

·         Fuck Authority

·         Alien

·         Stand by Me

·         Bro Hymn

 

Live del 13 giugno 2016

Category : Live Report
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11th Giu2016

Zakk Wylde@Teatro degli Arcimboldi (MI)

by Massimo Volpi

Zakk Wylde@Teatro degli Arcimboldi (MI) 6 giugno 2016Due ore di musica e un milione e mezzo di note almeno. Sudore e passione. Zakk Wylde al Teatro degli Arcimboldi di Milano non si è certo risparmiato. Scenografia fissa, minimale, un albero spoglio e qualche teschio. Un piedistallo al centro, dove il chitarrista si mostra quando non è al microfono e niente più. Zakk apre il concerto con Sold My Soul dal primo album, e scende subito dal palco per avvicinarsi ancora di più al pubblico. La distanza sembra pesare ma presto sarà colmata dalle note della sua chitarra. La setlist procede con pezzi del freschissimo Book Of Shadows II e ogni canzone è un trionfo di note e assoli emozionanti. Zakk Wylde si dona al suo pubblico, composto ovviamente da fan dei Black Label Society, e lo fa aprendo i due libri della sua carriera solista. Intimista e romantico, a tratti malinconico. Le melodie che nascono dalle sue chitarre sono qualcosa di incredibile e non è raro rimanere incantati ad ascoltare in religioso silenzio. Purtroppo tra il pubblico c’è chi non è abituato agli spettacoli teatrali o forse semplicemente manca un pochino di educazione e rispetto. L’entusiasmo è comunque comprensibile anche se il tenore delle canzoni dovrebbe indurre a momenti di estasi musicale più che di scene da groupie.

Quando Zakk decide di oltrepassare la balaustra e andare a suonare tra le poltrone della platea, purtroppo viene circondato dalla folla che non permette di godere a pieno delle note. Le cose importanti, come ormai di consueto, sembrano essere foto e video con il telefonino che però non rendono giustizia al sudore che cade dalle possenti braccia, dalla fronte e dalla barba del nostro vichingo. L’emozione continua anche dietro le tastiere di Road Back Home e nei successivi pezzi; la scaletta prevede esclusivamente brani dai due album da solista. Niente Black Label Society né tantomeno Black Sabbath, nonostante l’influenza di Ozzy si senta parecchio, nelle melodie e nel cantato. Voce che, se vogliamo dirla tutta, è un po’ troppo penalizzata da un’acustica strana o semplicemente da un settaggio dei suoni particolare da risultare poco chiara o comunque troppo impastata con il suono generale. Cosa che invece non era successa durante le esibizioni di Chris Cornell e dei Dream Theather. Ma quando è solo la chitarra a parlare, lo fa in un modo eccezionale.

La band è completamente al suo servizio, una cornice, ma è bello vedere quanta complicità ci sia e quanto affetto; ogni cambio di chitarra è un abbraccio con i tecnici, ogni inizio canzone è un “bro fist” con il batterista. Tutti vestono i colori e le toppe dei Black Label Society, e Zakk li presenta con uno stile tra wrestling e notte degli Oscar dando a loro il meritatissimo momento di gloria. Poi è la volta di Lost Prayer e Sleeping Dogs, singolo trainante dell’album, per chiudere le due ore di magia.

 

Setlist Zakk Wylde:

  1. Autumn Changes
  2. Tears of December
  3. Lay Me Down
  4. Road Back Home
  5. Yesterday’s Tears
  6. Between Heaven and Hell
  7. Darkest Hour
  8. Throwin’ It All Away
  9. Dead as Yesterday
  10. Eyes of Burden
  11. Way Beyond Empty
  12. The King
  13. Lost Prayer
  14. Sleeping Dogs

 

Live del 09 giugno 2016

Category : Live Report
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08th Giu2016

Juliette & The Licks@Circolo Magnolia (MI)

by Massimo Volpi

Juliette & The Licks 6 giugno Magnolia MilanoJuliette Lewis è Wonder Woman. No, non sarà la nuova protagonista del film tratto dal fumetto della DC comics, lei lo è veramente. E non solo perché sul palco del Magnolia si presenta con una tutina a stelle e strisce e microfono coordinato. Lei è un’icona. Attrice ma soprattutto grande performer. Non importa se sia il grande palco di un festival internazionale o il piccolo second stage del Magnolia, se lei vuole prendersi il pubblico se lo prende. Perché è vero che parliamo di un’attrice ma la musica live e il rock’n’roll scorrono in modo massiccio nelle vene di Juliette. Non ha mai smesso di recitare ma è chiaro che il palco è qualcosa di completamente diverso, più energico e vero. Queste solo le parole che meglio riassumono il suo live. Sì perché sarà anche un’attrice ma risulta molto più vera ed energica di tantissime altre band. Voglia di suonare, di divertirsi, di emozionare. Voglia di rock. Juliette Lewis aveva “abbandonato” la scena qualche anno fa, dopo la parentesi con i New Romantics e l’unico album Terra Incognita. Qualche film ma la musica chiamava. La voglia di avere una band che spaccasse, l’idea di rimettere in piedi i The Licks, con i quali aveva calcato palchi importanti e fatto buone cose.

La reunion, se così la possiamo chiamare, il tour e probabilmente il nuovo album, dieci anni dopo Four On The Floor. Un live infuocato. Breve ma intenso, come un amore passionale. Juliette è una frontman eccezionale. Balla e si muove con una sensualità tutta sua, movenze particolari e le poche volte che resta ferma lo fa con le sue pose tipiche. Un’icona di erotismo rock non volgare, senza bisogno di grandi forme né di scollature o gonne corte. La musica al centro. Dall’hard rock, con la classica cover di Dirty Deeds Done Dirt Cheap degli Ac/Dc, al blues, al pop dance del nuovo singolo Hello Hero, a un’incredibile versione di Proud Mary dei Creedence Clearwater Revived. Juliette Lewis vocalmente è molto in forma, ottimo cantato anche a cappella e su note alte e lunghe. La sua voce è roca al punto giusto e sui pezzi più soft e blues richiama Janis Joplin. Azzardando un parallelo, l’atmosfera era un po’ in stile woodstock. Chitarre suonate con la bocca, chitarristi sdraiati per terra, sudore e sorrisi. Passione. I The Licks sono una grande band. Le due chitarre si alternano egregiamente alla conduzione ed entrambi i chitarristi si dimostrano, come detto, abili e virtuosi in assoli e improvvisazione. La parte più ritmica segue e si prende qualche piccola piacevole finestra. Uomini e donne sono affascinati e innamorati, ma lei è “semplicemente” un animale da palco alla costante ricerca di contatto con il suo pubblico.

Certo, Juliette Lewis è un’attrice famosa e per questo attira gente, il prezzo un po’ alto invece allontana ingiustamente i curiosi. La verità è che è brava e carismatica come poche altre, dalla quale tante cantanti dovrebbero imparare e ha ricevuto anche la benedizione di Nostro Signore Dave Grohl “Io do a voi, voi date a me; è così che funziona” spiega dal palco. E forse verso la fine anche il solito pubblico freddino milanese riesce a “parlare la sua lingua”.

Live del 6 giugno 2016

Category : Live Report
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20th Mag2016

Dan Logoluso ft. John Macaluso@Dundee Pub (MI)

by Piero Di Battista

Dan Logoluso ft. John Macaluso Dundee Pub (MI)RockGarage da sempre pone la sua attenzione verso la scena underground nostrana. E di questa scena fa parte anche Dan Logoluso, chitarrista originario della provincia di Milano che, presso il Dundee Pub di Caleppio di Settale, alle porte del capoluogo milanese, ha presentato il suo primo disco da solista, intitolato Back From A Journey. Alla realizzazione dell’album abbiamo un vero e proprio special guest: John Macaluso, batterista italo-americano che vanta nel suo curriculum collaborazioni, tra gli altri, con James LaBrie, Yngwie Malmsteen e Symphony X.

Ad accompagnare Dan ed il suo special guest ci sono i Dead Behind The Scenes, gruppo della provincia milanese che, alle 22:00, dà il via alla serata. La giovane band propone un rock dalle numerose contaminazioni che vanno dal prog al post-punk, passando per un semplice ma incisivo hard rock. Nonostante la giovane età media, la band mostra una più che apprezzabile personalità, sentendosi a proprio agio sul piccolo palco del locale e soprattutto riuscendo a catturare l’attenzione, e di conseguenza, il consenso di buona parte dei presenti nella venue. Lo show dei Dead Behind The Scenes dura circa 45 minuti e termina tra i sinceri applausi del pubblico, con la certezza che tanti di essi continueranno a seguire questa giovane realtà. Noi per primi.

Giusto il tempo per sistemare il palco ed arriva il momento di Dan Logoluso. Accompagnato alle bacchette da Macaluso ed al basso dall’ottimo Andrea Dominoni, lo show inizia e le note di Dan ci portano subito ad Outdoor, open-track anche del disco presentato in questa serata. L’esibizione dei tre, con Dan come protagonista, ci portano lungo la tracklist di Back From A Journey e lo stesso Dan, nonostante la comprensibile leggera emozione, dà sfogo a tutta la sua tecnica alla chitarra, eseguendo ogni singola parte dei brani con precisione, scioltezza, trasportando il pubblico in questo viaggio a tratti emozionante. Macaluso si diverte, abituato a palchi ben più rilevanti (senza nulla togliere all’ottimo Dundee Pub) accompagna il nostra Dan in questo viaggio, sfoggiando con le sue bacchette un misto tra tecnica elevata e sano divertimento, in particolare nel drum-solo che ha regalato al pubblico a metà concerto.

Lo show volge al suo termine ed a Dan non resta che ringraziare i presenti, e chi l’ha supportato in quest’avventura. Il pubblico ha certamente gradito la serata e gli artisti presenti, tesi dimostrata dal fatto che parecchi, al termine dello show, si sono avvicinati al banchetto del merchandising per l’acquisto del disco, di cui presto pubblicheremo la recensione. La serata si conclude con volti felici, sia degli artisti che del pubblico…proprio nel migliore dei modi.

Live del 13 maggio 2016

Category : Live Report
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17th Mag2016

Muse@Mediolanum Forum (MI)

by Massimo Volpi

Muse Drones TourUn grande show multisensoriale di due ore. Un blu-ray dal vivo. Questi sono i Muse live, alla seconda delle sei date di Milano. Giochi di luci e ombre, immagini proiettate su schermi trasparenti che creano scenari virtuali, grandi palle giganti radiocomandate, cannoni lancia coriandoli e ovviamente musica. Rumori, suoni e distorsioni. Se negli ultimi anni ci si sta chiedendo chi sarà in grado di sostituire i grandi della musica, sicuramente il trio inglese è tra questi; insieme a Foo Fighters e pochi altri. Non si parla di musica fine a se stessa ma di spettacolo. Di esperienza live. Se per la band di Dave Grohl il discorso è puramente di classico concerto rock, i Muse sono allora gli eredi naturali di band come U2, anche se forse hanno addirittura qualcosa di più, e dei Rolling Stones. Pochi come loro hanno imparato la lezione di Bono e soci: che la musica dal vivo deve essere un’esperienza che va oltre le canzoni e gli album. La differenza con la band irlandese forse sta nel fatto che Matt Bellamy non è Bono, né tantomeno Mick Jagger, in fatto di espansività sul palco ma, a suo favore, ha una capacità musicale davvero sopra la norma che può bastare a coprire il suo lato “social” un po’ debole. Si presentano con un palco centrale, rotante. Loro fermi ma in continuo movimento, un carillon per mostrarsi a tutto il pubblico. Una disposizione moderna e generosa ma allo stesso tempo autocelebrativa. I Muse si mettono al centro dello show e tutto il resto è contorno. Il fulcro di tutto, il nucleo, sono loro. Le sfere che girano intorno al palco sono pianeti, il resto dell’universo, la galassia che gira intorno ai Muse, che sono il sole che dà la vita e l’energia.

I suoni di Drones riecheggiano nel buio del forum, dal soffitto sfere radiocomandate scendono sul pubblico; bolle d’aria illuminate e fantascientifiche. Le loro canzoni parlano di vita, universo, dischi volanti e androidi, apocalisse, guerre e politica, fino alla religione che nel loro ultimo lavoro si fanno ancora più espliciti. Sorveglianza al fine di raggiungere la sicurezza o controllo degli individui e della società? Fare la guerra per conquistare la pace. Lo spettacolo portato in scena vede i brani dell’ultimo disco, e di quello precedente, tra i grandi protagonisti, con l’aggiunta di qualche classico che non può certo mancare. Volumi alti, strumenti distorti e spesso volutamente ruvidi. In alcuni tratti sonorità grunge. Il ritorno al rock più puro iniziato in studio continua anche dal vivo. Matt Bellamy si conferma un alieno da palco con la sua chitarra e anche nel cantato, nonostante la voce non sia la sua arma migliore. Straordinario anche quando lascia la sei corde in favore del pianoforte, la sua interpretazione di Feeling Good è davvero emozionante. Dominic Howard pesta sulla batteria che è una meraviglia, in un mix di tecnica e potenza pura. Chris Wolstenholme si aggira con il suo basso illuminato. E poi giochi di luce. Raggi laser, teli che diventano schermi per immagini apocalittiche e luoghi extraterrestri. Uno show forte ma allo stesso tempo non inquietante, anzi.

C’è una voglia di credere che un giorno sarà tutto migliore, nonostante le telecamere, la politica, le guerre; l’illuminazione a giorno durante le esplosioni di coriandoli su Mercy in coda al concerto sono la metaforica liberazione da quel senso di oppressione e controllo messo in scena per tutto lo show. Lo troviamo nei droni illuminati che girano sopra la gente, nelle parole di JFK nel famoso discorso del 1961 al Waldorf-Astoria di New York (da molti considerato come una delle cause che portò al suo assassinio) proiettato sui videowall, nelle mani robotiche che “muovono” Matt e Chris come marionette su The Handler. Mentre The Globalist viene addirittura suonata all’interno di teli che mostrano una città in distruzione, con un aereo che sorvola minacciosamente il palco. Oltre ai brani di Drones, le più cantate sono sicuramente Supermassive Black Hole, Starlight, Resistance e Time Is Running Out. Ancora esclusa Neutron Star Collision che, dopo il tour del 2010 (che toccò anche San Siro) è stata messa fuori scaletta dal gruppo inglese. Una cosa da non perdere è Chris che suona la sua Status Kitara Doubleneck su Madness per sentire quel “suono figo strano” fatto dal vivo: ipnotico. Emozionante anche il suo intro di armonica di Morricone su Knights Of Cydonia, canzone che chiude lo spettacolo.

Uno show a 360 gradi, un successo annunciato e un pubblico eterogeneo, dai ragazzini ai non più giovanissimi, dal pop al metal. I tre Muse non arrivano ancora a 40 anni ma più di 20 li hanno passati sul palco. Sono il presente e anche il futuro. Tanto visual, tanta immagine, ma anche tanta musica suonata. E bene. I Muse sono uno spettacolo tutto da guardare, ascoltare e godere, senza genere e senza categorie. Stop.

Setlist Muse:
Psycho
Reapers
Resistance
Dead Inside
Supremacy
The 2nd Law: Isolated System
The Handler
Supermassive Black Hole
Prelude
Starlight
Feeling Good
Munich Jam
Madness
Revolt
Stockholm Syndrome
Time Is Running Out
Uprising
The Globalist
[Drones]

Encore:
Mercy
Knights of Cydonia

Live del 15 maggio 2016

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