Television 60’S – Celebr_hate
Italia violenta: parafrasando il titolo di un celebre “poliziottesco” anni 70’ presentiamo questa nuova proposta italica che promette sorprese sin dal primo ascolto. Non vogliono essere fautori di nessuna novità, non vogliono essere i nuovi profeti musicali e non intendono autoincensarsi, desiderano solo spararci in volto…con il loro sound aggressivo, potente, sporco ed irriverente come nei migliori/peggiori bassifondi newyorchesi. L’opening-track si mette subito al lavoro: con un riffone inziale inatteso e potente, il quartetto sbriga subito la pratica affidatagli imbarcandosi su di un giro di basso solido e deciso, mentre il cantato ci propone le regole del “perfetto maleducato”, con una sezione ritmica potente e ben modulata nel tenere il tempo del brano. L’assolo finale viene ben supportato dalla ritmica della seconda chitarra, che prelude all’esplosione finale di uno dei migliori brani del disco, mentore davvero di Bad Behaviours. Generation è il manifesto ideale di una protesta studentesca anni 60’: urlare il testo in maniera fine a sé stessa non porta da nessuna parte, ed allora la band ci innesta su una magica combinazione della sei corde con il cantato invero pulito a dispetto della materia grezza esposta, stante come detto il disinteresse del gruppo nel porsi in maniera pulita e perfettina. Una rivelazione, Don’t Call Back, è l’intenzione del gruppo di mostrarsi “buono” pagando un doveroso dazio a band storiche che tra le righe del prezzo rinveniamo senza meno negli AC/DC della gloriosa “Scott-era”, ma anche negli stradaioli, come e peggio di loro, Motley Crue. Questo specialmente nella impostazione del pezzo, davvero gradevole sia pur di breve durata, tuttavia il quartetto riesce ancora a comunicare il suo verbo festaiolo e godereccio su tematiche comunque di buon impatto sonoro ed anche molto ben arrangiate.
Sex Circus scuote le fondamenta sin dalle prime note: buono il cantato, ottimo il drumming che si rivela abile in repentini cambi di tempo, mentre la sei corde inanella le sue quartine senza perdere un colpo, aiutata validamente dal basso davvero perforante che dosa bene i suoi interventi. Il ritornello funge da spartiacque tra la fase iniziale, ben ritmata e modulata, e quella central/finale, dove la sei corde si libra in un assolo di rara intensità, amplificato dall’ossessivo refrain. Un’inattesa linea melodica ci presenta Seek Salvation, Find Damnation: per farci apprezzare anche le loro capacità tecniche, la band sciorina un lento iniziale che pare indulgere alla gentilezza ma a scanso di equivoci, dopo pochi secondi veniamo nuovamente catapultati all’inferno con il singer mefistofelico nella sua proposta sonora volutamente rallentata, ma che evidenzia bene le sue doti di “screamer” opportunamente microfonato a mezzo di validi distorsori della voce che conduce per mano al lungo solo finale che dirada con decisione e voluta lentezza. Per il godimento dei nostri condotti uditivi, proseguiamo su questa falsariga di ultraviolenza con Get Wasted: la caleidoscopica personalità del quartetto non lesina anche puntate in altri generi musicali. Una venatura prettamente punk anima il brano in questione, mentre clamorosamente sembra di rimembrare tra i solchi del pezzo un altro brano-leggenda dei canguri australiani di cui sopra (qualcuno riesce a scoprirlo?).
Davvero notevole la improvvisata jam di metà brano in cui al cantato molto “trippato” si unisce la sei corde che pare avvicinarsi al muro del suono con il suo solo finale, ad arte stoppato al momento giusto. La cavalcata prosegue con un altro brano di grosso spessore, Messaline, il tributo all’hard classico, senza fronzoli, in tutti i suoi stilemi. In meno di quattro minuti annotiamo la pulizia del cantato, la solidità della sezione ritmica e la precisione della sei corde, che pare aleggiare in maniera molto pericolosa all’interno del pezzo, pronto ad esplodere da un momento all’altro. Il tutto che puntualmente accade con il durissimo solo centrale, che continua a dipingere archi e distorsioni sonore, improntate esclusivamente a sorprenderci anche con il refrain ora davvero urlato ai quattro venti e che ci induce davvero ad infischiarcene di commenti poco benevoli al loro stile di vita, se riescono a farci emozionare. Anche con il brano conclusivo, la magia si ripete: con la title-track, la band si congeda nel miglior modo possibile con atmosfere in piena epopea metal. Il gruppo si esalta nella proposta sonora, con un giro di basso davvero notevole e l’ascia che pare oramai (di) partita per lidi celesti nella sua esaltazione. Il singer non intende essere da meno, intento com’è a caricare su sé tutto il peso del brano, rendendocelo cartavetrato, stentoreo e drammatico nella fase centrale, in cui è protagonista assoluta la sei corde, che davvero induce a celebrare la più che valida fatica discografica del quartetto, egregiamente testimoniata dal brano non a caso più lungo del disco.
Un disco che speriamo non resti episodio isolato, ma preluda anzi ad altre fatiche di tale intensità emotiva come quella scaturita da Celebr-hate.
Autore: Television 60’S | Titolo Album: Celebr_hate |
Anno: 2012 | Casa Discografica: Street Symphonies Records |
Genere musicale: Hard Rock | Voto: 7 |
Tipo: CD | Sito web: http://www.myspace.com/television60s |
Membri band:
Mikki – voce, basso Frizz – chitarra Mark– chitarra Cioxxx – batteria |
Tracklist:
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