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14th Gen2015

Intervista ai Codeina

by Piero Di Battista

Codeina intervistaIn occasione dell’ultima data del loro tour, avvenuta all’Arci Area di Carugate (MI), abbiamo incontrato i Codeina, band lombarda attiva già da alcuni anni, che, poche ore prima del loro concerto ci hanno concesso una piacevole chiacchierata, nella quale ci hanno parlato della loro storia, di Allghoi Khorhoi, loro nuovo album e di tanto altro.

R.G.: Ciao ragazzi, benvenuti su RockGarage, presentatevi a chi ancora non vi conosce.
C.: Ciao! Siamo i Codeina e ci siamo formati nel 1998 grazie a Mattia che possiamo considerare come fondatore principale. Abbiamo, come tutti, iniziato negli scantinati, facendo cover dei Nirvana o degli Smashing Pumpkins. Poi piano piano, dopo alcuni cambiamenti all’interno della nostra formazione, abbiamo iniziato a buttar giù delle nostre idee, creando così i nostri primi pezzi. Dai tre anni abbiamo questa formazione; ci troviamo bene tra noi e, soprattutto, musicalmente ci completiamo.

R.G.: Da cosa nasce il nome Codeina?
C.: E’ una parola che deriva dal greco e significa “testa di papavero”, che è il nome di un oppiaceo che, in confronto ad altre droghe più conosciute, è molto meno potente, e comunque è una sostanza che fa parte di alcuni dei medicinali di uso comune come lo sciroppo per la tosse, ed ha un effetto “calmante” come qualsiasi altro oppiaceo. Il nome “Codeina” ci piaceva molto, e di conseguenza l’abbiamo scelto come nome del nostro gruppo, non sapendo che negli anni 90 esistevano i Codeine, gruppo slow-core americano.

R.G.: Avete da poco pubblicato il nostro nuovo album, “Allghoi Khorhoi”, innanzitutto cosa significa il nome?
C.: L’Allghoi Khorhoi è un essere mitologico facente parte della cultura mongola-cinese, è una specie di verme gigantesco, tipo quelli del film Tremors che, secondo la leggenda, vive sotto il Deserto del Gobi; nessuno l’hai mai visto ma da quelle parti tutti nutrono un profondo rispetto ma anche timore dato che si narra che attacchi l’uomo. Il nome ci piaceva, ma anche la sua storia e la sua specie, ovvero il verme, un essere che vive nascosto sottoterra che però all’improvviso esce ed attacca violentemente. Come un qualcosa che viene dal basso ma quando esce ti travolge inesorabilmente… troviamo questa tesi abbastanza rappresentativa per una band come la nostra. Una sera, se non ricordiamo male eravamo sbronzi, e tra le varie opzioni, guardando un libro siamo arrivati a questo.

R.G.: Da dove arriva l’ispirazione per i vostri testi? C’è un filo conduttore che lega le tracce di questo disco?
C.: L’ispirazione arriva dalla quotidianità, i testi li scrive Mattia, ma in qualche modo collaboriamo un po’ tutti con le nostre idee. La componente principale nei testi del nostro ultimo disco è sia la quotidianità, ma soprattutto il nervoso, nervoso che può nascere da piccole esperienze personali di vita, a qualcosa di più globale come può essere l’attuale situazione di generale di crisi.

R.G.: Ascoltandovi mi sembra di ricordare i primi Afterhours, vi piace come paragone? Quali sono le band che vi hanno maggiormente influenzato?
C.: Il paragone con gli Afterhours di Germi o di Quello Che Non C’è ci può anche stare. Per noi, con tutto il rispetto per gli Afterhours, è un paragone che non è né un complimento ma neanche un’offesa, è accettabile perché comunque il cantare in italiano condiziona molto. Diciamo che come songwriter Manuel Agnelli non ci dispiace, ma a livello di musica, se non per qualche rara eccezione come appunto dicevamo prima, non ci sentiamo molto affini a loro. Le band che ci hanno maggiormente influenzato? Beh chi mi ha spinto a suonare (parla Mattia, voce e chitarra del gruppo), a prendere in mano una chitarra sono stati i Nirvana, ma anche tutto quello che si ascoltava negli anni 90 come ad esempio i Melvins o The Jesus Lizard, se parliamo di cose italiane ti cito i CCCP.

R.G.: Come vedete l’attuale scena underground in Italia? Non intendo come qualità delle band, più che altro riguardo le possibilità di suonare, rapporti con le etichette, internet.
C.: Insomma la vediamo a volte triste, per non dire disastrosa. Fortunatamente in Italia esistono alcuni locali o luoghi che promuovono delle piccole realtà come noi, che danno spazio a chi veramente tenta di sperimentare o di proporre qualcosa di nuovo, mentre altri luoghi ci sembrano molto stereotipati, legati alle solite sonorità dalla quali non si slegheranno mai. Il problema delle etichette è che la maggior parte non ha più soldi da investire, purtroppo non siamo più negli anni 90 dove le etichette supportavano band piccole diventate poi famose come gli Afterhours dei quali si parlava prima, i Marlene Kuntz o i Subsonica, erano molto più interessate a tutto ciò che veniva dal basso. Internet invece è un ottimo strumento per promuovere musica, quindi ben vengano portali legali come Spotify, inoltre, tramite i social network si riesce ad avere un contatto più diretto con chi ti segue e ti apprezza, senza filtri da parte di etichette o agenzie.

R.G.: Avete dei progetti per il nuovo anno?
C.: Innanzitutto continuare a promuovere il nostro disco suonando dal vivo. E nel frattempo lavorare per qualcosa di nuovo, perché pensiamo che bisogna riuscire a star sempre sul pezzo, proponendo sempre qualche novità, tant’è vero che stiamo lavorando ad un EP.

R.G.: Grazie dell’intervista, salutate i nostri lettori!
C.: Grazie a te! Salutiamo tutti quelli che ci conoscono e soprattutto i lettori di RockGarage!

Category : Interviste
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