Intervista agli Shandon
Poche settimane dopo la nuova reunion degli Shandon, questa volta definitiva, che ha portato la band lombarda a pubblicare l’EP Brandelli d’Italia, lo storico cantante del gruppo Olly Riva ci ha invitato a casa sua per concederci un’intervista. Attraverso questa lunga conversazione Olly ci ha raccontato di questa nuova avventura, delle sue nuove motivazioni e della sua ritrovata serenità, ritrovata grazie anche agli altri progetti musicali che lo vedono coinvolto.
R.G.: Ciao Olly, e benvenuto su RockGarage! Allora come sta andando il tour?
O.R.: Ciao e grazie! Direi benissimo, anche se come spesso succede, ci sono alti e bassi. Ci sono delle città ad esempio dove l’affluenza è proporzionata alla location dove si suona. Mi spiego: certa gente fa dei ragionamenti assurdi tipo “questo locale ci sta sul cazzo e quindi non ci andiamo!”, piuttosto che “la birra lì costa troppo!” o “è un posto frequentato da discotecari!”. Ho notato quindi che ultimamente c’è questa sorta di “snobbismo” legato alle location. Assurdo.
R.G.: Parliamo dell’EP “Brandelli d’Italia” uscito nei primi del mese, com’è nata l’idea di questo lavoro?
O.R.: E’ stata diciamo un’esigenza. Quando hai una certa età prendi per scontato che chiunque sappia cosa accadeva anni fa in campo musicale. Durante questo tour abbiamo visto tanta gente che veniva anche da lontano per vedere gli Shandon ed anche padri di famiglia che ci seguivano vent’anni fa che si sono presentati con i propri figli, piuttosto che con il fratellino che all’epoca era un bambino. Succede che poi, quando questi giovani, magari nati nel 1995 (e tieni conto che noi Shandon siamo nati nel 1994) pensano che noi siamo stati tra i primi a proporre un certo genere. E noi ovviamente gli raccontiamo che prima di noi ci sono state tante altre ottime band. Chiacchierando tra di noi, della band, non ci rendevamo conto che erano ragazzi nati a fine anni 90 e che non sapevano, ad esempio, chi fossero i Negazione, gli Skiantos o gli Africa Unite. Ed allora abbiamo pensato all’idea di realizzare un EP, raccontando praticamente ciò che succedeva prima di noi nel panorama alternative italiano, per far capire ai più giovani anche quali gruppi ci hanno maggiormente influenzato. Quindi abbiamo pensato che in qualche modo dovevamo tramandare questa storia. Questa è stata dunque la start-up di questo EP.
R.G.: Immagino che sia stata difficile la scelta dei pezzi e che, a malincuore, qualcuno l’hai dovuto escludere, o sbaglio?
O.R.: Ovviamente. Anche perché non volevamo fare il classico album, cosa che abbiamo già fatto in passato e che, in qualche modo, suscitò alcune polemiche. Ed al giorno d’oggi, attraverso Facebook e altri social networks, le polemiche si sprecano, non hai idea di quante cagate siano state dette su di me e su di noi.
R.G.: Ti riferisci anche a quella dove si dice che la vostra reunion è avvenuta esclusivamente per questioni economiche vero?
O.R.: Ovvio infatti guarda dove vivo! (in senso ironico, trattandosi di un normale appartamento ndr) Ma anche se fosse? Cioè non penso che la gente lavori gratis o sbaglio? Se uno considera un musicista che fa questo lavoro esclusivamente per soldi è un ipocrita. La libertà di parola è sacrosanta, ma lo è anche quando io ti mando a cagare quando mi vengono dette queste cose.
R.G.: Il disco è stato accolto bene direi, leggende e sentendo vari pareri. Sei uno che legge le recensioni?
O.R.: Guarda, io ho quattro lavori e una moglie! Tra l’insegnamento di canto, lavori di produzione che a volte mi portano a stare in studio anche diciotto ore, ovviamente quando torno a casa vorrei rilassarmi in famiglia, nei weekend solitamente si suona, quindi la mia vita sui social è veramente risicata, tant’è che spesso mi sgridano perché “posto” poco o non faccio contenuti. Quindi, davvero non ho tempo! C’è anche da dire una cosa: siete veramente tanti oggi che scrivete! Quando ero più giovane ovviamente ero più curioso nel leggere recensioni, e la figura del giornalista era molto diversa da oggi; oltre ad essere, dico in generale, magari più competente, aveva un senso più cinico nel descrivere un disco. C’era quello che ti consigliava di non fermarti al primo ascolto, ma di approfondire più volte l’ascolto. Oggi, a causa della rete, o è tutto figo o tutto fa cagare!
R.G.: Dal disco “Back On Board” a questo EP c’è stato un anno intenso per gli Shandon, da dove arriva questa nuova carica?
O.R.: Dai SoulRockets! Ti sembrerà strano, ma è proprio così! Il tour con loro, di quasi quattro anni, mi ha portato una grande serenità. Tieni conto che venivo da vent’anni di tour, fatti di migliaia di chilometri, magari anche pagato poco o nulla, con sbattimenti sia fisici che mentali, precludendoti una vita “normale” per fare una vita da musicista, il che, visto dagli occhi del pubblico, può sembrare una cosa fighissima. I SoulRockets mi hanno riportato in quella dimensione dove andare in giro a suonare non è necessariamente sbronzarsi a fine serata, andare con le ragazze di mezzo locale…a me queste cose non sono mai interessate; non bevo, non fumo, non mi drogo e sono felicemente sposato! Certe cose, negli anni, ti fanno venire un fegato così ed intendo dal punto di vista psicologico. E quindi con i SoulRockets ho ritrovato serenità ed entusiasmo che mi hanno portato a scrivere, ad esempio, roba tranquilla, reggae, rock-steady, ska, tutta roba in levare. Cose che però non potevano andare né con i SoulRockets né con i The Fire, quindi sono rimaste lì. Una sera sono andato a cena con Max (trombonista degli Shandon ndr) e quando gli ho detto questo mi ha proposto di riformare gli Shandon. All’inizio ero molto scettico; il mio scetticismo era dovuto al fatto di non voler andare incontro a nuovi sbattimenti, al fatto che, con il precedente tour, avevamo detto chiuso definitivamente con gli Shandon, non volevo andare incontro nuovamente a futili polemiche. Lui mi consigliò di smetter di pensare che fossi io la causa dello scioglimento degli Shandon, e di godermi la parola Shandon come la mia band ed il mio progetto. Le sue parole sono state per me una forte motivazione, tant’è che ho preso i pezzi di cui ti parlavo poco fa e con Max abbiamo iniziato a provarli in sala prove, solo io e lui. E dopo ho pensato, cosa faccio richiamo gli altri? Non era facile perché alcuni vivono all’estero tra Dublino, Australia, quindi ho scelto Alecs dei The Fire che è un super batterista, oltre al fatto che per me è un fratello. Poi Iasko (trombettista ndr) che suonava già negli Shandon che mi ha segnalato Willi (bassista ndr) che suonava con lui nei Figli Di Madre Ignota ed infine Massa (chitarrista ndr) che ama il questo genere. Abbiamo provato e sin dalle prime prove è stato bello risentire alcuni nostri pezzi eseguiti da una band quasi totalmente nuova. E qui torno alla serenità che cercavo in passato, e che oggi la stiamo portando in tour con gli Shandon. Ed è bellissimo vedere che le nostre date sono andate sold out…tutte! Loro hanno rispetto per me, non mi considero un leader, ma sanno benissimo che io ho delle responsabilità che loro non hanno, come se fosse un’azienda, dato che mi occupo anche della gestione generale che può riguardare i contatti con i locali, fatture, merchandising, contatti con le etichette, sponsor e tanto altro. E’ un nuovo inizio, i concerti ce li godiamo di più, le performance vengono meglio, le registrazioni degli ultimi dischi le facciamo in pochi giorni.
R.G.: Possiamo dire quindi che la reunion degli Shandon non è una cosa temporanea, giusto?
O.R.: Esatto, non è temporanea. Certo non sappiamo fino a quando, però non è una reunion legata a questo EP e conseguente tour. Infatti con Max siamo subito arrivati all’accordo che non doveva essere una cosa di un anno e ci siamo messi nell’ottica che per i prossimi anni sarà così, kilt compreso!
R.G.: Shandon, Fire, SoulRockets, GoodFellas; negli anni ti sei dimostrato come un artista poliedrico; quali sono le tue influenze musicali, o comunque come ti sei avvicinato a suonare generi lontani da quello degli Shandon?
O.R.: Tieni conto che la vita dell’artista è sempre in salita. L’artista ha il compito di creare e non di intrattenere, io ragiono come artista e non come intrattenitore, altrimenti sembra che non ho nulla da dire. Ogni esperienza di cui ho fatto parte è logico che per me ha avuto una funzione di arricchimento personale quanto professionale. Per assurdo, nell’ultimo degli Shandon, c’è molto più di Pino Scotto che delle esperienze musicali che ho avuto in passato. Ma non Pino Scotto in senso musicale; Pino per me è un fratello anche se ha l’età di mio padre! Lui mi ha spronato eticamente, musicalmente ed artisticamente a fare determinate scelte, e quindi è stato più determinante lui per me che lo ska-punk. Lui è una persona meravigliosa, tutti pensano che sia un metallaro, ma lui è un esperto di jazz e blues, e ti sa fare nomi e cognomi di qualsiasi cosa. E’ una persona dolcissima nonostante sia volgare come la merda! (risate ndr) E’ uno che in studio tira fuori delle perle che ti lasciano sbalordito, è un ragazzino di sedici anni del corpo di un sessantasettenne. E questo mi ha insegnato che se non scrivo con entusiasmo, il tutto diventa una merda. Poi ovviamente arriva quello che ti dice che non siamo più gli Shandon di una volte..e quindi? Dov’è il problema? C’è sempre questo complotto che il cambiamento porti a voler vendere più dischi, ma magari! Ma poi nell’epoca di Spotify che devo vendere? Ma meno male che non sono più quello di Janet, nel senso che se creassi una Janet 2 in maniera naturale ben venga, ma se non viene, non viene!
R.G.: In altre tue interviste ho letto che condanni fortemente piattaforme proprio come Spotify, sei sempre della stessa idea?
O.R.: Assolutamente si! Ma rimane una battaglia persa. Quando una roba è gratis è gratis, puoi raccontarla come vuoi, ma la sostanza non cambia. C’è chi dice che se ascolti un disco su Spotify e ti piace, poi vai a comprarlo. Non ci crederò mai, proprio perché è gratis! Siamo anche stati accusati di non aver messo il disco su Sportify per fare soldi nelle vendite, roba assurda, anche perché i soldi che ho investito nel disco non li rivedrò mai perché i dischi non si vendono più ed i concerti sono sempre pagati meno, quindi come recupero il mio investimento? Va sfatato il fatto che dentro la musica circolano enormi quantità di soldi. Pensano che chi esce, ad esempio, da X-Factor fa soldi a palate, mentre in realtà rimangono con un microfono in mano e fregati per cinque anni, ed a parte rare eccezioni, vanno in giro per locali a far karaoke con le basi. Spotify mi fa l’effetto “all you can eat” ma gratis, cioè entri, mangi, ma non sai cosa stai mangiando, si è arrivati a punto che molta gente dice che gli piace una canzone di quel gruppo, poi due di quell’altra band.
R.G.: Dall’alto della tue esperienza, e non solo come musicista, qual è il primo consiglio che daresti ad un giovane che vorrebbe approcciarsi in questo mondo?
O.R.: Oggi è dura, quand’ero io ragazzino i consigli che ci venivano dati ad esempio era quello di andare da quell’etichetta e non da quell’altra. La prima cosa che direi oggi è quella di non farsi dei film in testa, dove tutto è bello, facile ed immediato. Io rispetto molto Fedez, dal punto di vista imprenditoriale, anche perché è uno che è partito dai concerti al Leoncavallo davanti a cinque persone, a fare due sold-out consecutivi al Forum di Assago. Lo prendo come esempio perché ha fatto tutto da solo, e in un periodo come questo non è affatto facile, sfruttando al meglio i social network e youtube. Una sorta di “do it yourself” degli anni 70, riportato a giorni nostri. Serve la tipica gavetta, ma diversa da com’era prima. Prima era sbattersi per locali per cercare delle date, ora la cosa è più ampia, anche a livello di immagine. E chi fa hip-hop l’ha capito prima, come ad esempio Salmo, che ha una band dove suona Dade dei Linea 77, è uno che è partito dall’estetica, dai video, e da come parlare alla gente. Come così nacque Caparezza, ed io, mi sento un po’ vecchio proprio perché non riesco a stare dietro i social, ma anche perché non ho un ego così sviluppato. Ben inteso che non considero l’egocentrismo una cosa necessariamente negativa, ma sono una persona che preferisce il lavoro “dietro le quinte”.
R.G.: Come procede la tua attività da produttore ed a tal proposito vorresti consigliarci qualche artista che merita d’esser seguito?
O.R.: Procede bene, ovviamente tra le band e le lezioni ho dei limiti di tempo. Ora sto lavorando al secondo disco dei Mataleon, è una band interessantissima perché riescono ad integrare testi in italiano cari all’alternative come possono essere quelli di Verdena o Afterhours, con le chitarre degli Slipknot. Quando mi si presentarono ero un po’ dubbioso ma lavorando mi hanno pienamente convinto, anche perché sono persone intelligenti, e che si fanno aiutare e consigliare. E fa piacere perché capita anche che gruppi che vengono da me, mentre lavorano si chiedono “ e qui cosa farebbe Olly?”. E per me è un motivo d’orgoglio.
R.G.: Grazie dell’intervista Olly, e buon proseguimento del tour!
O.R.: Grazie a te ed a RockGarage! A presto!