Bay Fest 2017 2° giorno@Bellaria Igea Marina (RN)
Mesi fa, quando fu annunciato ufficialmente il bill del BayFest 2017, a quelli della generazione di chi sta scrivendo cadde immediatamente l’occhio sul programma del 14 agosto. Bad Religion, Pennywise, Good Riddance, Shandon. Sembrava di essere tornati indietro di vent’anni; quando i bill dei festival di una volta, come il Teste Vuote Ossa Rotte o il Vans Warped Tour, presentavano spesso questi nomi. Quindi non c’è stato niente di sorprendente nel vedere il Parco Pavese di Bellaria-Igea Marina pieno di chi quei 90’s li ha vissuti pienamente, pronti per questo salto indietro nel tempo. E così che abbiamo vissuto questa seconda giornata del BayFest. Prima dei grandi nomi già citati c’è stato spazio anche per gruppi nostrani. Ad aprire questa giornata sono stati i Linterno, hardcore band bolognese attiva da circa quindici anni. Seppur il tempo a loro disposizione sia stato ridotto, la loro esibizione è stata di certo positiva. Energia, rabbia e tanta carica come una band hardcore sa fare. Molto bravi.
Dopo di loro arriva il turno dei 7Years da Livorno, gruppo attivo dal 2001 che propone un ottimo hardcore melodico. Freschi di pubblicazione del disco Lifetime, che vede la partecipazione nientemeno che di Joey Cape dei Lagwagon, i 7Years confermano tutto ciò che di positivo si era visto e soprattutto sentito riguardo loro. Come i Linterno, anche l’esibizione dei livornesi ha delle tempistiche un po’ troppo ridotte, peccato perché almeno dieci minuti in più li avremmo graditi con piacere, ma non mancherà occasione. Arriva il turno degli Andead e la prima cosa che ci è venuta in mente guardando il loro live e quanto sia semplicistico e riduttivo definirli banalmente “la band di Andrea Rock di Virgin Radio”: il loro è un sound ruvido, ma che si lascia ascoltare piacevolmente, ed è proposto con quella giusta dose di personalità, il che stupisce poco considerato che parliamo di un gruppo con dieci anni di esperienza in cui hanno condiviso il palco con mostri sacri del punk rock. Nella loro setlist non mancano brani di IV The Underdogs, disco che il gruppo milanese ha da poco pubblicato tramite Rude Records.
Se le premesse sono queste cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi che calcheranno il palco del BayFest in questa giornata? Ed è proprio da dopo l’esibizione degli Andead che ci troviamo catapultati nella seconda metà degli anni 90, anni d’oro per la scena punk hardcore, inclusa quella italiana, nella quale hanno fatto parte anche gli Shandon. La band di Olly sale sul palco quando la location romagnola è già abbastanza piena e alternano brani più datati come Noir, Questo Si Chiama Ska e Janet (con la quale hanno chiuso il loro show) a pezzi più recenti come Skate Ska. Il loro è stato uno show encomiabile, con Olly e gli altri membri (quasi tutti nuovi) che si sono presentati in ottima forma e con una voglia pazzesca di far divertire i presenti, riuscendo pienamente nel loro intento. Tra battute, insulti verso la musica elettronica o la cosidetta “indie” attuale, Olly omaggia anche Alessandro Soresini, batterista degli Africa Unite recentemente scomparso a causa di una brutta malattia, dedicandogli un brano e soprattutto lo show. Verrebbe da dire bentornati Shandon, ma l’hanno fatto già alcuni mesi fa, e stavolta definitivamente come lo stesso Olly ci ha confermato in una recente intervista disponibile a questa pagina. Con l’esibizione si chiude la parte italiana della seconda giornata del Bayfest. E in arrivo ora una sorta di Santa Trinità del punk hardcore. E ad aprirla sono i Good Riddance.
Russ Rankin e compagnia si presentano sul palco portando con loro una carica e un’energia che solo pochi sanno trasmettere; pur essendo l’ultima data del loro tour europeo i quattro californiani regalano uno show incredibile, fatto di poche parole e tanta musica. La loro setlist sembra quasi una sorta di “best of” della loro carriera: Libertine, A Credit To His Gender, Mother Superior e Shadow Of Defeat sono solo alcune delle perle che la band di Santa Cruz regala all’ormai corposo pubblico presente nell’area. Tra i brani proposti non mancano altri loro brani noti come, tra gli altri, Salt e Last Believer. Se proprio vogliamo fare un appunto, nella scaletta non c’è stata Steps, loro storico pezzo ma che soltanto noi “veterani” ne abbiamo notato l’assenza. Ma ciò non scalfisce quella che è stata una delle migliori esibizione, finora, dell’intero festival. Li aspettiamo, ancora e ancora. Se con i Good Riddance eravamo a Santa Cruz, California, per la prossima band ci dobbiamo spostare più a Sud di quasi 600 Km, ovvero sulle coste di Los Angeles, più precisamente a Hermosa Beach, cittadina che ha dato i natali ai Pennywise.
Assieme ai Good Riddance, avevamo visto i Pennywise un anno fa, al Market Sound di Milano, assieme agli Offspring, e, come spesso accade, difficilmente deludono quando salgono su un palco. E così è stato anche sulle rive dell’Adriatico. Non essendo un tour legato alla pubblicazione di un disco (l’ultimo, Yesterdays, risale al 2014) ci si aspettava una scaletta varia e, ancora una volta, Jim e compagnia ci hanno accontentati. Tra brani di vecchia data come la opener Wouldn’t It Be Nice, seguita da Can’t Believe It e Fight ‘til You Die, i Pennywise realizzano uno show che può tranquillamente essere paragonato ad una sound track della scena punk hardcore californiana dei 90’s. Difatti sono molti i brani tratti da dischi del passato che vengono proposti: Society, Pennywise, My Own Country, intervallati dalle consuete cover di Blitzkrieg Bop dei Ramones, (You Gotta) Fight For Your Right dei Beastie Boys e la classica quanto amata dai più fedeli Stand By Me di Ben E. King. Il loro concerto si conclude senza alcuna sorpresa, ovvero con Bro Hymn, storico brano che i quattro dedicano a Jason Matthew Thirsk, bassista scomparso nel 1996, e dal coro inconfondibile che i presenti, nessuno escluso, non ha mancato di accompagnare la band. Ci sono poche cose certe nella vita: le tasse, la morte, e i Pennywise che realizzano grandi concerti. Le tasse le paghiamo, per la seconda possiamo ancora aspettare, mentre per la terza abbiamo avuto un’altra conferma.
Spesso i Pennywise sono stati headliners in questo genere di festival, ma l’aria che si respira e tutt’altro che dimessa, anche perché sul palco stanno per salire coloro che di questo genere possono vantar d’essere stati tra i primi a crearlo: se l’hardcore melodico di stampo californiano ha avuto, e ha ancora oggi, tanti proseliti, lo dobbiamo sicuramente ai Bad Religion. E, come in una fiaba dal lieto fine, sono proprio loro a mettere il punto conclusivo per questa seconda giornata del BayFest. Il loro ultimo disco è True North, pubblicato nel 2013. Come per i Pennywise anche in questo caso è lecito aspettarsi una scaletta varia, considerato che stiamo parlando di un gruppo con quasi 40 anni di attività alle spalle. Chiunque, o quasi, avesse pensato ad una sorta di “greatest hits” dei Bad Religion, avrebbe inserito la setlist che il Prof. Graffin e soci hanno proposto in quel del BayFest. Se l’inizio con American Jesus ha stupito buona parte dei presenti, il seguito è stato ancor più stupefacente. In un’ora e un quarto circa di durata, i Bad Religion hanno regalato al pubblico un sunto della loro carriera, ripercorrendo più fasi della loro vita, e proponendo buona parte dei brani più amati dai loro fan. L’elenco merita uno spazio a sé, ma basta semplicemente citare brani datati come Generator, Atomic Garden, Recipe For Hate, Do What You Want, per arrivare a pezzi del nuovo millennio come New Dark Ages, Let Them Eat War o Los Angeles Is Burning. Non vogliamo tediare ancor di più su quanto i Bad Religion siano fondamentali per questo genere, ma basti solo pensare che questi ragazzini over 50 conservano ancora una carica esplosiva che pochi altri possono vantare.
Lo show prosegue e quando dalla voce e dagli strumenti del gruppo californiano arrivano Sorrow e Punk Rock Song è segno che l’epilogo è dietro l’angolo. C’è spazio ancora per gli encore, dove vengono proposti The Handshake (che di rado eseguono nei live), Infected e Fuck Armageddon…This Is Hell, altra loro perla che va a fungere da punto conclusivo della serata. E così eccoci giunti anche alla conclusione della seconda giornata del BayFest, una giornata che ci ha visti tornare indietro di vent’anni grazie a chi, quegli anni, li ha resi indimenticabili. Il paradosso, positivo o meno ma non è questo il luogo e momento per approfondire, è che sono sempre queste band a richiamare le masse durante questi eventi, ma da quel che abbiamo visto, ascoltato, percepito e assorbito, non c’è alcuna fretta di un ricambio generazionale. Lunga vita a loro dunque e che continuino a regalarci questi momenti e queste serate, che ti portano ad abbandonare la location con una sensazione mista tra felicità e quel pizzico di sana nostalgia. Ora è tempo di riposarsi perché la terza giornata non sarà da meno, bastano solo due nomi per capire a cosa andremo incontro: Anti-Flag e Rise Against.
Scaletta Bad Religion:
American Jesus
New Dark Ages
Do What You Want
Atomic Garden
Let Them Eat War
Stranger Than Fiction
Along The Way
I Want To Conquer The World
Fuck You
The Streets Of America
Modern Man
No Control
Recipe for Hate
Against The Grain
Come Join Us
Anesthesia
Los Angeles Is Burning
21st Century (Digital Boy)
Generator
Sorrow
You
Punk Rock Song
Encore:
The Handshake
Infected
Fuck Armageddon… This Is Hell
Live del 14 agosto 2017