Pierpaolo Scuro – Tu Che Guardi
Un giorno sono entrato in un negozio di scarpe che vendeva lampadari e vinili, anche lampadari e vinili assieme alle scarpe e il tutto in un unico locale. Piccolo peraltro. Avevo bisogno di nuove polacchine per i miei piedi e invece ho speso ore intere a sfogliare dischi e sono uscito con un pezzo di Mr. Harrison e niente scarpe. Amen. Alla fine, una volta a casa mi sono accorto che avrei dovuto tornare in cerca di scarpe il giorno dopo, che in fondo questo disco non è che mi interessasse poi molto e che, sommando il quel che potevo sommare di questa morale, quel negozio non era né carne né pesce né carbonara. Non ci ho capito nulla e il disco che ho riportato a casa ne è piena testimonianza. Tra l’altro, passata l’eccitazione di vedere in fila centinaia di vinili, smaltita l’adrenalina, capisci che i pezzi che aveva in fondo non erano poi così di valore e le scarpe alla fine manco le ho guardate. Pierpaolo Scuro pubblica con Dormiveglia Dischi questo Tu Che Guardi ed io ho rivissuto la stessa sensazione di quel giorno in quel negozio. Sono in una difficoltà immensa perché in fondo riporto a casa un nulla di fatto. Non è un disco rock. Si ok, scimmiottare l’indie che si scimmiotta da sé e scimmiotta l’America e la controcultura punk ci vuol poco, basta urlare di non voler fare niente e di odiare le regole e mettere distorsioni anche al clavicembalo. Ma tanto per cominciare i suoni sono davvero poco gustosi soprattutto nei momenti di maggiore dinamica e il pezzo Io Non Posso Fare Niente soffre di un mix malconcio – la batteria e il charleston prima di tutto come anche l’aria e la dinamica. Le basse dove sono? Si avete ragione: nell’indie non si usano.
È un disco cantautorale sicuramente e punta sull’intimità la sua carta migliore. Ma sinceramente ho ascoltato una distesa di torch song che nell’aspetto sembrano somigliarsi, ripiegarsi su se stesse, restare chiuse e indisposte al dialogo con l’ascoltatore. Tanto che dopo tre ascolti io non ne ricordo una. Ho il player aperto per citarle: interessante l’elettronica di Deserto che forse macchia di una personalità il tutto. Tempo è una nenia sostanzialmente di chitarra e voce nell’ossatura che dura circa 4 minuti (cori e sviluppi a parte che sono poche finestre e variazioni sul tutto): troppo, distraevole come disse il saggio, monotonicamente infausta per chi ascolta. Sembra davvero una confessione a se stessi e di voialtri, scusate ma non mi frega un ca… Le ballad: da Non Cercarmi Mai (il cui video ufficiale mette alla prova anche la pazienza di un prelato missionario: tutto fermo, tutto monotono, tutto uguale…per 4 minuti!) a Una Notte Ancora che un poco strizza l’occhio al Vasco nazionale con quel modo di mischiare melodia a metriche vocali, sono brani troppo corposi e privi di sviluppo, di evoluzione, di anima. C’è davvero tanto dentro ma non c’è forma. Credo che – nel mio piccolo sempre – siano brani privi di un corretto arrangiamento. Non ci sono punti di appiglio con il pubblico che inevitabilmente – a meno di non essere direttamente chiamati in causa per un qualche motivo sentimentale – si distrae e non viene reso partecipe al messaggio.
Ma Torna E Scompare non è uguale a Tempo? Certo che no, mi si risponderà. Ma siamo proprio sicuri? Certo che sì…mi si risponderà. Ma guarda che io non mi riferisco al design. Ma quando la Tipo uscì sul mercato per replicare il design della Golf sinceramente in alcuni momenti non so se erano proprio due macchine così tanto diverse. Ancora elettronica con Occhi con questa chitarra molto noir da tex mex messicano e poi una voce distorta a dare una forma epica al brano. Si forse questo è il momento migliore del disco. Forse: perché di nuovo se i suoni e la struttura fossero meglio lavorati allora avremmo di sicuro un risultato così diverso da sembrare…decisamente diverso. E poi le lunghissime (“troppo lunghissimissime”) Bambino e poi Troppo che di nuovo impastano la stessa trama, lo stesso scrivere, lo stesso cocktail e le stesse soluzioni. Probabilmente nell’ultima traccia davvero ritroviamo quel Vasco che vomita prima di dirci quanto sia tutto stupendo. Sempre parlando di sensazioni e non di estetiche sia chiaro.
Per carità, questo è il mio parere sempre e comunque e come tale va trattato. Io spero soltanto di non aver l’orecchio offeso e la mente allucinata. Me ne scuso nel caso. Ma un disco del genere mi ha allontanato dal disco stesso, dalle sue canzoni e dal valore del messaggio. Credetemi: faccio davvero fatica a trattenermi addosso una parola, un motivo da fischiare, un significato, una bellezza. E di tutto questo ce ne sta tanto dentro in ogni singolo brano. Eppure se avessi girato meglio in quel negozio, se avessi insistito, avrei capito qualcosa…forse devo solo insistere…o forse solo comprando un disco di George Harrison in un negozio di scarpe che vende anche lampadari si capisce quanto davvero sia sbagliata una tale confusione di marketing. Spero che l’esempio sia arrivato.
Autore: Pierpaolo Scuro |
Titolo Album: Tu Che Guardi |
Anno: 2017 |
Casa Discografica: Dormiveglia Dischi |
Genere musicale: Cantautorale |
Voto: 4 |
Tipo: CD |
Sito web: http://pierpaoloscuro.bandcamp.com |
Membri band: Pierpaolo Scuro – voce, chitarra Daniele Pulpito – basso Vito Rizzi – pianoforte Gianmario Scuro – chitarra |
Tracklist:
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