Intervista ai Night Demon
Sono passati due anni da quando i Night Demon hanno iniziato ad esibirsi anche qui in Europa portando in lungo e in largo la fortunata formula del loro classico heavy metal tradizionale che ha fatto sì che il trio sia costantemente in tour. Un po’ di cose sono cambiate dall’uscita del loro primo album Curse Of the Damned, per questo abbiamo incontrato Jarvis, leader della band al basso e alla voce, nel loro backstage del Live Club di Trezzo, ritornati per la prima volta in Italia per promuovere il loro ultimo Darkness Remains. A voi la nostra chiacchierata avvenuta a qualche ora dal loro show in compagnia degli Accept.
R.G.: Bentornato in Italia Jarvis! Dall’ultima volta che vi abbiamo visti dal vivo, tre anni fa qui in Italia, sono cambiate un po’ di cose. Ho notato per esempio che avete a disposizione una crew personale, oltre al fatto che siete di spalla ad una band storica come gli Accept!
J.: In realtà non è cambiato così tanto in questi ultimi anni, siamo stati quasi sempre in tour e abbiamo registrato un disco. Forse ad essere cambiato è che siamo diventati un po’ più intelligenti per quanto riguarda il business ma forse solo perché, essendo spesso in tour, abbiamo bisogno di un po’ più di comfort: quindi avere una crew che lavori per noi ma ancora non facciamo i soldi, è la crew a farseli! (ride, ndR). I soldi che guadagniamo li reinvestiamo per la band, non abbiamo più un lavoro dal 2013 ma viviamo uno stile di vita basilare, non siamo rockstars (ride, ndr) ma sai, quando vivi on the road c’è molto lavoro da fare e quindi è decisamente meglio avere la possibilità che qualcuno che lavori al posto tuo per sistemare le luci e il suono, oppure qualcuno che si occupi di vendere il merchandising senza che tu debba correre a farlo subito dopo essere saltato giù dal palco o che sistema la tua strumentazione dopo lo show, quindi tutto quello che guadagniamo al momento lo stiamo reinvestendo nella band. Ora non abbiamo più bisogno di noleggiare un van perché ne abbiamo comprato uno tutto nostro, grazie al quale spendiamo circa seicento euro al mese contro i cento euro al giorno che spendevamo prima per il noleggio. Quindi diciamo che le cose si stanno evolvendo per quanto riguarda la band, stiamo cercando di rendere la nostra vita on the road più confortevole affinché possa essere piacevole, perché credimi, è veramente duro fare un tour anche solo di due settimane e pensare a tutto da soli, si rischia di perdere poi l’attenzione allo show stesso. Essenzialmente è questo ad essersi evoluto ma solo perché vorremmo rendere i nostri show sempre migliori, non vogliamo scadere nella monotonia e fare sempre le stesse cose.
R.G.: Detto questo, ora siete in tour con gli Accept, come sta procedendo?
J.: Sta andando alla grande! Stavamo aspettando l’occasione di andare in tour con una grande band da tanto tempo! D’altronde in Europa non siamo mai stati in tour in compagnia, abbiamo sempre fatto tour da soli, qualche festival e occasionalmente qualche data in compagnia di altre band ma mai un vero e proprio tour. E la cosa interessante tra l’altro è che siamo l’unico supporto in questo tour, spesso ne ho visti con quattro o cinque band come supporto a quella principale, poi loro con noi sono molto gentili e oltretutto rappresentano una delle principali influenze musicali per noi tutti, diciamo che siamo stati ripagati per il duro lavoro svolto.
R.G.: “Darkness Remains“ è uscito lo scorso anno, siete già al lavoro per il prossimo disco?
J.: Sì, noi proviamo sempre a scrivere il più possibile, abbiamo sempre il pensiero al prossimo disco anche se tutto è al rallentatore, dato che siamo ancora in promozione per Darkness Remains. La promozione per il disco precedente è durata due anni e ora abbiamo ancora qualche video in fase di produzione per Darkness Remains che usciranno nei prossimi mesi, quindi abbiamo ancora tanto da lavorare. Pensa che non abbiamo neanche fatto il tour negli Stati Uniti, quindi ci stiamo preparando per questo, in programma per il periodo primaverile, poi ritorneremo in Europa per il periodo dei festival estivi e abbiamo appena registrato un live album che uscirà in estate e poi di nuovo in tour a settembre, ci sarà da fare tutto questo prima che le nuove canzoni escano ma tra noi stiamo già parlando del prossimo disco che dovrebbe uscire nel 2019, probabilmente nel primo periodo dell’anno.
R.G.: Quali sono le differenze per te tra “Darkness Remains“ e il precedente “Curse Of The Damned“?
J.: Allora, per Darkness Remains ci siamo concentrati maggiormente sul suono, lo abbiamo registrato più velocemente rispetto al precedente e ci siamo detti: “hey, spendiamo più tempo per dare al lavoro il giusto suono che dovrebbe avere!” Poi un’altra enorme differenza è che volevamo avere sì un suono più pieno ma che fosse anche più reale: così abbiamo deciso di non registrare tracce di chitarra ritmica. Sai, in studio puoi fare tutto ciò che vuoi, molte band abusano di ciò, prendi per esempio un disco dei Pantera: Dimebag registrava ben sei tracce di chitarra per comporre quel muro di suoni dei loro dischi. In studio non esistono limiti, noi invece abbiamo voluto dare un limite a noi stessi, al pubblico piacciamo come live band e dicono che non avremmo bisogno di un secondo chitarrista e quindi abbiamo deciso di non averlo neanche in studio così da poter raggiungere l’obiettivo di suonare in studio esattamente come suoneremmo dal vivo.
R.G.: Ricordo che durante un’intervista hai dichiarato di preferire suonare in piccoli club situati in periferia e non nelle città principali, essendo tu un ragazzo cresciuto in un piccolo centro, rispetto a suonare magari in grandi club come per esempio questo Live Club che vi ospiterà stasera. La pensi ancora così?
J.: In realtà è diverso, mi piace avere a disposizione spazio sul palco su cui potermi muovere liberamente e non uno in cui sono costretto a restare immobile per tutto il tempo ma non mi piacciono i grandi club dove ci sono barriere, il pubblico è troppo distante e quindi non c’è interazione con la folla. Quando abbiamo iniziato a suonare lo abbiamo fatto nei piccoli club e per esempio il giorno dopo ci siamo ritrovati a suonare in un festival, è una cosa bella però è diverso. I festival hanno un’atmosfera diversa, tutti sono lì a vedere tante band diverse, ti ritrovi sempre a suonare per qualcuno che non ti conosce e quindi è anche una prova per se stessi, ma suonare sera dopo sera in grandi club è una bella cosa sì, poi sai avere un camerino è una cosa fantastica! (ride, ndr) Ma credo che così si perda un po’ di contatto con il proprio pubblico e per questo noi stiamo provando a suonare ogni sera con tutta la nostra energia. Sai quando eravamo bambini vedevamo le band sui grandi stage e pensavamo “wow, sarebbe un sogno!” Ma quando suoni da qualche anno capisci che suonare per un pubblico compatto e molto vicino a te con un muro di amplificatori dritti sparati in faccia sui loro volti è figo, non lo scambieresti per nient’altro al mondo! E’ una cosa molto buffa quando la gente dice “non ci saranno più altri come Iron Maiden o Metallica” e cose del genere, non so se questo sia vero ma per me va bene così, cioè specialmente qui in Europa negli anni ’80 non c’era la cultura di fare concerti negli stadi, qui le arene del rock non sono mai esistite, quindi i grandi club erano quelli che attualmente ci sono ancora oggi e dove suonano oggi le grandi band. Questo è un buon livello da raggiungere e non credo di aver bisogno di dover crescere più di così. Cioè vedi per esempio il club dove suoneremo stasera, quindi mi chiedo “quanto ancora credi di voler crescere?!?” ed è anche divertente salire sul palco e vedere quanto questo sia grande. Sarebbe bello magari poter suonare più sere nello stesso posto e proporre ogni sera una setlist diversa, questo è quello che penso.
R.G.: Da qualche anno so che organizzi il Frost And Fire Festival in America, un festival di heavy metal classico, mi sembra strano pensare ad un festival del genere in California, sarebbe automatico pensare ad un evento di tipo ‘core…E’ difficile organizzare un festival di questo tipo negli Stati Uniti?
J.: (ride, ndr) Sì, è una grande sfida però abbiamo un sacco di visitatori provenienti da tutto il mondo. L’idea è nata dal fatto che volevo realizzare un festival come i vostri qui in Europa ma in California, sulla spiaggia e perché no insomma?! Il festival sta crescendo sempre più di anno in anno! Ci sono un sacco di persone negli Stati Uniti, è una grande nazione e i metallari sono sparsi in ogni punto, abbiamo viaggiato in lungo e in largo e li abbiamo visti con i nostri occhi, diversamente in Europa ci sono molti metallari pro-capite ma sono condensati, il metal è più popolare qui come genere, mentre non è per niente mainstream negli States, per niente! Qui in Europa invece puoi renderti conto che sia un po’ più mainstream, ascoltando la radio hai la possibilità di sentire un po’ di metal, probabilmente non qui in Italia ma sicuramente in Germania o in Svezia è possibile. Quindi abbiamo trovato un pubblico per organizzare un festival, inoltre in Europa voi avete letteralmente centinaia di festival mentre negli States ce ne sono cinque o sei, anche di grandi dimensioni. Con i Night Demon lo scorso anno abbiamo suonato a qualcuno tra i festival più grandi in cui si riesce sempre ad assaporare un po’ di metal vero, ovviamente nel bill ritrovi anche band come Disturbed, Five Fingers Death Punch, Slipknot e via dicendo ma ogni volta che siamo parte di una cosa del genere ne siamo felici. Siamo felici di mostrare la nostra musica ad un pubblico più mainstream che non conosce affatto questo stile, non apprezzo il metallaro chiuso di mente che pensa “questo è nostro e tutto ciò che esce da questo tipo di genere è poser!“. Piuttosto mi piace mostrare e far conoscere questo genere a chi non sa che oltre a quello più mainstream esistono tanti altri tipi di metal lì fuori. Ma ritorniamo al Frost And Fire festival: ci sta regalando soddisfazioni e il pubblico lo ama, sta diventando un po’ dura per noi perché ci limita con le attività della band. Per esempio lo scorso anno avevamo già organizzato il festival con un anno in anticipo e nel periodo del festival ci sono capitate ben tre offerte di tour, tre offerte molto allettanti ma a cui abbiamo dovuto rifiutare, non potevamo di certo annullare il nostro festival. È come se ora avessimo una vera e propria responsabilità perché la gente lo attende ma lo organizziamo di anno in anno, ogni anno pensiamo “dobbiamo farlo quest’anno? Cosa vorrebbe vedere il nostro pubblico?“. Quindi per il momento va molto bene, inoltre faremo un’edizione a Londra a maggio che è stata più complicata da organizzare a causa delle alte tasse e, stranamente perché ognuno di noi penserebbe che sia più facile in Inghilterra essendo la patria natia dell’heavy metal classico ma non è così. La gente si lamenta per il prezzo del biglietto e non ci sono molti fan del genere, la maggior parte del pubblico del Frost And Fire arriva da tutte le parti d’Europa. L’idea dell’edizione inglese è nata dal fatto che avremmo voluto portare i Cirith Ungol in Inghilterra e avevamo trovato un promoter interessato ma che non avrebbe voluto vedersela con la parte economica e così ho deciso di farlo da me. Così sono partito per Londra e ho visitato tutte le location possibili, le ho scelte e le ho affittate, sai quando non ci sono opportunità per farlo allora puoi creartele da solo! Quindi vedremo cosa accadrà.
R.G.: Tutti sappiamo che gli anni 70-80 sono stati gli anni d’oro per l’heavy metal classico, tu credi che questo genere potrà mai ritornare allo splendore del passato?
J.: Non so se riuscirebbe a tornare come era in quegli anni, io credo che oggi abbia raggiunto una buona popolarità e penso che ci sia un potenziale di crescita ma c’è bisogno di avere più nuove band ma che siano di qualità, una qualità che sia data da un mescolamento di stile personale e di un sound moderno, che possa dare un senso di evoluzione perché il problema delle band nuove è che… Aspetta che forse così mi spiego meglio: noi prendiamo ispirazione dagli anni 70 e 80 perché quella è la musica che ci piace ma non cerchiamo di essere come loro, molte nuove formazioni prendono ispirazione anche nel modo di vestirsi da quelle anni 80 e forse questo non gli permette di farsi prendere seriamente, è vero sono divertenti e sono carini per ciò che sono ma risultano una copia esatta di quello che era, quasi come se fossero un tributo. Noi con i Night Demon facciamo un tributo alle band che amiamo perché ci ispiriamo a loro ma non pretendiamo di essere come loro, sì mi piace vestirmi da metallaro, lo amo ma devo essere me stesso, porto i capelli corti ma scapoccio la mia testa molto più forte di qualsiasi altro metallaro con i capelli lunghi (risate, ndr). Quindi non deve essere tutto basato sull’apparire, se provate a ricreare un look retrò, personalmente non ho problemi a riguardo, ma non aspettatevi che il pubblico possa prendervi seriamente e credervi di alto livello.
R.G.: E cosa ne pensi di questo ritorno agli anni 80 nell’arte? Sembra che stia ritornando di moda grazie anche alle serie TV che tanto stanno spopolando ultimamente come per esempio Stranger Things. Non credi che questa possa essere una giusta strada per avvicinare un po’ di pubblico nuovo al genere?
J.: Sì, assolutamente. Ricordo che negli anni 90 si è ritornati agli anni 60 con gli hippie, sono ritornate di moda le high tide shirts, in quegli anni c’è stato un ritorno di fiamma per la musica di Jimi Hendrix e The Doors, credo che il mondo giri ciclicamente da questo punto di vista. Quindi a distanza di trent’anni dagli anni 80 troviamo persone che sono cresciute e sentono la nostalgia di quegli anni. Io ho 36 anni, tu sarai più giovane di me ma credo che tu sia comunque della generazione cresciuta senza internet, l’informazione avveniva tramite i giornali e la generazione dei nostri genitori pensava a cose del tipo “un giorno i computer parleranno e prenderanno il posto di noi esseri umani“, parlavano del futuro ma il futuro è oggi. Noi siamo quella generazione cresciuta nel mezzo di questa trasformazione: ci ricordiamo cosa vuol dire uscire a giocare per strada con altri ragazzi, fare sport, andare in bicicletta, guardare un film, leggere un libro o essere emozionati grazie alla nostra immaginazione ma siamo anche giovani abbastanza da poter conoscere, apprezzare e saper utilizzare la tecnologia. Penso che oggi i personaggi che vestono i panni di artisti, facendo i loro film, vogliano utilizzare le vecchie tecniche, oppure per esempio i musicisti che registrano un album su cassetta, come voler rivisitare queste vecchie forme di arte ed è una bellezza per noi che abbiamo potuto vivere quel periodo, magari anche solo in parte, fa comunque ricordare la loro infanzia, come era a quel tempo. D’altronde puoi anche notare come ora nel Regno Unito stia ritornando di moda il nu metal e il pop punk degli ultimi anni 90: sembra che tutti vogliano vedere i Limp Bizkit e i Sum 41. Tutto gira ciclicamente, in fondo tutte questi nuovi musicisti che suonano metal anni 80 sono nati negli anni 90, suona tanto come “avrei voluto tanto essere negli anni 80” perché lo hanno vissuto da film, libri e fotografie e quindi avrebbero voluto tanto viverlo. Questa è la mia breve ma lunga risposta (ride, ndr).
R.G.: Dato che il nome Cirith Ungol è uscito più di una volta nel corso di questa chiacchierata, ti chiedo per concludere: come è suonare in questa band? Come è nata la loro reunion?
J.: I Cirith Ungol sono della mia stessa città, Ventura, luogo che non ha mai avuto una scena metal, nonostante sia la terra natale di molte hardcore punk band, addirittura lo skate punk è nato proprio nella mia zona. Io sono quindi cresciuto nella scena punk ma come metallaro. Ho sempre suonato in band metal ma, quelle volte che c’era l’opportunità di suonare a qualche concerto erano sempre di natura punk, c’è stato sempre un grande rispetto tra di noi nella scena perché in fondo c’era anche una sorta di fratellanza tra musicisti ma inoltre, grazie a quella fetta di band metal dalle radici punk come Slayer, Anthrax, DRI, Metallica e qualcosa dei primi Maiden loro capivano in qualche modo il genere. Tutti conoscevano il nome Cirith Ungol, era noto nel posto e trovavi sempre i loro album a pochi dollari nei negozi di dischi di seconda mano ma nessuno li apprezzava, semplicemente non venivano capiti musicalmente. Nel periodo in cui ho suonato in varie formazioni loro erano inattivi, lo sono stati per un lungo periodo, ma tramite amici comuni incontravo in giro i membri della band e con il passar del tempo siamo diventati amici e nel corso degli anni gli ripetevo in continuazione che avrebbero dovuto riunire il gruppo e la loro risposta era sempre che a nessuno interessava la loro musica. Quando ho fondato i Night Demon e abbiamo iniziato a girare in tour, i ragazzi della band mi scrivevano, eravamo diventati amici sai, ci chiedevano sempre “dove siete stasera ragazzi?“. E noi rispondevamo per esempio “hey ragazzi stasera siamo in Italia e c’è qui una una pupa che indossava la maglietta dei Cirith Ungol!“. Oppure “stasera siamo in Spagna, guardate il tatuaggio dei Cirith Ungol che ha sul braccio questo ragazzo!“. E loro rimanevano sempre sorpresi dalla cosa, ogni volta che vedevamo qualcosa del genere scrivevamo immediatamente a loro. Così, quando i Night Demon hanno riscontrato un discreto successo, i ragazzi della band ci hanno chiesto di provare ad organizzare qualcosa nel nostro Paese così ho creato il Frost And Fire Festival con Night Demon e Cirith Ungol, chiesi loro di fare solo un meet and greet e la gente è accorsa da tutte le parti del mondo solo per foto e autografi. Così i membri della band, che non si erano mai incontrati tutti insieme da decenni, sono rimasti stupiti vedendo che la gente era lì solo per incontrarli. Di questo io ero già consapevole, così uno alla volta i membri della band sono venuti nello studio di prova dei Night Demon, abbiamo imparato e reimparato a suonare i pezzi e a provarli insieme; così abbiamo avuto di nuovo una band e ripreso l’attività live, il resto è storia! Ora stiamo lavorando sul materiale nuovo ma ci vorrà ancora un po’ di tempo affinché possa essere pubblicato. Il fatto è che nessuno ci avrebbe mai scommesso su, ma io sapevo che la band sarebbe ritornata di nuovo insieme, sapevo che sarebbe successo, ad un certo punto doveva succedere e ne sono veramente contento.
R.G.: Perfetto, grazie mille per la chiacchierata Jarvis!
J.: Grazie a voi di RockGarage!