Intervista ai Frozen Crown
In occasione del loro release party al Legend, abbiamo avuto l’occasione di fare quattro chiacchiere con Federico Mondelli, già leader dei Be The Wolf ed ora anche mastermind dei Frozen Crown, e la vocalist Giada, già cantante degli Ashes You Leave e dei Tystnaden. Intervista interessante che è partita dall’enorme successo fatto registrare dal loro debut album The Fallen King ed è proseguita parlando di generi musicali, etichette discografiche e del metal oggi. Ecco le risposte dei due disponibilissimi musicisti.
R.G.: Ciao ragazzi, partiamo dall’inizio. Come sono nati i Frozen Crown?
F.: I Frozen Crown nascono come progetto solista da studio al quale fin da subito si pensa di inserire una voce femminile per dare un volto oltre che ulteriori sfumature al progetto. La prima incarnazione del progetto era appunto Giada, scelta come cantante della band, per un progetto che doveva essere solo in studio. Poi lavorando ai pezzi alla fine ci convincevano così tanto che abbiamo deciso di renderla una band vera e propria; anche i feedback da parte delle etichette erano positivi e quindi di conseguenza la band è divenuta un progetto completo.
R.G.: Quindi nell’evoluzione da studio a band vera intendete ad una serie di impegni live. Prevedete anche date all’estero immagino.
F.: Sì speriamo di sì. Stiamo lavorando in questo senso.
R.G.: Ma parliamo dell’album. Come sono state costruite le tracce? Ci sono delle argomentazioni comuni tra tutti i brani?
G.: Abbiamo cercato di dare delle tinte epiche a tutto l’album. Non si tratta di un concept però ci siamo orientati sull’ambito fantasy, però è tutto organizzato in chiave metaforica. Quindi in ogni testo tu puoi trovare delle terminologie fantasy che però volevamo far rispecchiare sia nell’interiorità di ognuno di noi sia nella quotidianità. Quindi stare nei canoni nel genere però non così distaccati dalla realtà.
R.G.: Questa “filofosia” compositiva ha richiesto una contributo da parte di tutti i membri della band o solo qualcuno si è occupato della composizione?
F.: Prima ti parlavo di progetto studio perché i brani sono scritti principalmente da me. Tre pezzi, rispettivamente la prima, la seconda e l’ultima dell’album, sono stati scritti preventivamente e sono stati quelli che mi hanno spinto ad ampliare la band con una cantante. Infatti il pezzo numero due è stato utilizzato per l’audizione della cantante.
G.: Infatti a cavallo tra maggio e giugno, quando è stata avviata l’audizione con questi pezzi…mamma mia! Ho sudato! Addirittura ho allegato un video, un making of, per avvalorare la mia candidatura. Ci credevo tantissimo, il brano l’ho adorato, ci ho messo davvero l’anima.
F.: Ci credeva sicuramente più di tutte le altre.
R.G.: Quante voci avete provato prima di scegliere Giada?
F.: Una decina. E nessuna di queste era Giada perché lei è stata…
R.G.: Ripescata?? (risate generali ndr)
G.: Dì la verità Federico!! (risate ndr)
F.: La verità è che all’inizio erano state individuate delle figure che erano già vicine all’etichetta o persone che conoscevamo. Io non conoscevo Giada, ma era già impegnata in due progetti. Io stesso la vedevo come una cantante impegnata e non avevo idea del fatto che avesse tempo per noi. E poi soprattutto il genere cantato con le due sue band non c’entravano nulla con il nostro power metal. Non era una scelta facile. Poi semplicemente è stata chiamata ed è stata l’unica a rimandarci dietro il pezzo cantato come io me l’ero immaginato e come l’avevo scritto.
G.: In soli tre giorni, tra l’altro!
F.: Sì esatto. Prima inoltre si parlava di chi ha scritto i pezzi. Questi tre pezzi sono rimasti identici però quando lei è entrata nel progetto è stata determinante perché chiaramente il mio primo obiettivo è stato quello di cucire tutto il disco su di lei, non solo a livello vocale ma anche a livello di immagine, del suo modo di esprimersi. La sua figura ad esempio e il suo modo di cantare mi hanno indotto a strutturare il progetto sulla voce femminile, che però è abbastanza atipica rispetto a quella che di solito trovi nei gruppi symphonic metal, nel senso che lei non ha velleità liriche o operistiche. È molto diretta e potente e canta, per certi versi, un po’ come gli uomini cantano nel power metal.
G.: Sì, a tratti la mia formazione mi ha dato un approccio un po’ più maschile a questo genere. Nonostante poi, in uno dei due gruppi in cui canto, facciamo doom gothic e non c’è niente di meno maschile. Però dentro di me avevo questo!
F.: Ma al tempo stesso, cantanti operistiche che abbiamo provato riuscivano a cantare pezzi più morbidi ma non le parti più cattive e invece lei è riuscita ad interpretare egregiamente tutti i pezzi. Anche per questo io sono passato alla seconda voce e lei è la voce principale.
R.G.: E questo è un grande elogio Giada!
G.: Caspita!
F.: Sì sicuramente, io credo che in un progetto bisogna fare quello che è meglio per il progetto stesso. Poi Giada ha anche scritto un pezzo nell’album, essendo entrata alla fine della fase compositiva. Magari per il prossimo album scriverà più pezzi.
R.G.: Avete pubblicato il primo videoclip e avete superato, se non sbaglio le 30.000 visualizzazioni qualche giorno fa…
F.: Sì in realtà oggi siamo a 90.000.
R.G.: Ah ecco! La domanda è: come avete fatto? Si parla del primo videoclip del primo album! Come è stato possibile? Ci sono dei suggerimenti da poter dare alle altre band che ci leggono?
F.: Sì il segreto c’è. Fare tutto seguendo ogni singolo dettaglio della produzione. Mi spiego. Noi siamo un gruppo sotto etichetta discografica. Molto spesso i musicisti tendono a concepire il discorso di essere sotto etichetta come qualcosa che tende a “costruire” la band in maniera negativa. A dir la verità il discorso di “costruire” non solo è positivo ma è quello che dovrebbe fare qualsiasi band anche autoprodotta. Mi spiego meglio: ad oggi un prodotto musicale deve essere progettato, costruito e venduto. Di conseguenza qualsiasi, e dico qualsiasi, elemento, dal titolo dell’album ai titoli dei pezzi, al nome della band, alla parte promozionale, l’acconciatura…tutto è da tenere in considerazione se si vuole sperare di fare qualcosa di importante. Il discorso che fanno un po’ tante band giovani è: “Ma sì, non bisogna pensare a ste cazzate, all’estetica…ma in realtà non conta nulla, conta suonare e basta!”. I Judas Priest, le loro copertine, la loro estetica…
R.G.: Tu parli di iconografia…
F.: Esatto, l’iconografia è molto importante! L’iconografia definisce i generi.
R.G.: Ma questo secondo te è vero ancora oggi?
F.: Sì, anzi adesso va molto il revival. Ti faccio un esempio che riguarda noi. Noi abbiamo ricevuto tantissimi apprezzamenti da persone che ascoltano il metal vecchio, perché in realtà il disco ha quegli elementi ma non punta a fattori di innovazione, non abbiamo voluto inserire cose strane, tipo l’elettronica. L’importante è scrivere un bel pezzo, se il pezzo è bello e funziona lo fa negli anni 70 come oggi. Quindi, il consiglio da dare è pensare al progetto nella sua interezza e pensare che tutto è importante. Quando prima ti ho detto che Giada mi ha ispirato l’immaginario della band con tutte le sue caratteristiche, non solo quelle vocali, ad esempio il fatto che lei ha dei tratti nordici…
G.: Io direi slavi, visto che per anni sono stata in una band croata mi scambiavano tutti per croata! (risate generali ndr)
F.: No croata non direi. Però banalmente la sua immagine, nel videoclip in una scena con la neve, ha tutta un’altra forza. Se la cantante fosse stata diversa il videoclip sarebbe stato in una palude o non so dove.
R.G.: Infatti ad essere sinceri anch’io ascoltando l’album ho trovato le soluzioni del power metal classico, quelle che lo hanno reso famoso decenni fa. Questa è stata una scelta voluta o si tratta di un primo album e in futuro prevedete un’evoluzione verso un sound più personale?
F.: Ovviamente l’evoluzione c’è sempre che sia anche mantenere gli stessi elementi ma rafforzare solo alcuni fattori. Ma al di là di questo c’è una cosa che ci preme cioè scrivere pezzi buoni, brani che ascolteremmo anche noi. Penso che il genere e le sfumature siano un concetto molto relativo, ad esempio ascolto band considerate metalcore che hanno le Vans, i capelli corti…
R.G.: Be’ sì, il metalcore spazia tantissimo…
F.: Esatto, però per dirti, band che fanno i riff alla Dark Tranquillity come ad esempio i Parkway Drive che suonano con l’infradito e i pantaloncini corti ed è solo il loro sound che li rende metalcore. Addirittura sei fai ascoltare i Dark Tranquillity al ragazzino che ascolta metalcore gli piacciono. Però se vedono sti metallari con i capelli lunghi e vestiti di nero dicono “ma ch’è sta merda!”. Tutti siamo bravi a dire “conta la musica”, ma è difficile separare la musica dall’immagine.
R.G.: Questo discorso è interessante perché qui c’è un’iconografia che non è per forza legata al genere di riferimento al quale sono associati. Questo è diverso da quello che dicevamo prima dell’ “iconografia settoriale”.
F.: Sì, però ti faccio un esempio: quanti metallari avrebbero ascoltato i Dark Tranquillity se questi si fossero vestiti da clown. Io mi ricordo quando uscirono gli Slipknot tutti i miei amici metallari li prendevano per il culo…”ma che sono ste maschere!”…le maschere sono una “scusa” per non suonare bene…in realtà il metallaro va ad ascoltare quello con il chiodo, con il pantalone nero perché è così. Questo non vuole essere offensivo, io amo il metal e amo i metallari. Il punto è che è molto difficile pensare ad un progetto musicale che sia stato molto atipico. Io penso agli Aborym, uno dei miei gruppi preferiti italiani, hanno portato qualcosa di estremamente unico. Loro nascono con un immaginario diverso ma alla fine sono una black metal band, però ci mettono la techno, ci mettono tante cose ma alla fine sono black.
R.G.: Sempre parlando di power metal, di solito per questo genere l’attenzione è focalizzata su Paesi come Germania e Nord Europa in generale. Secondo voi l’Italia ha davvero qualcosa da dire in questo ambito?
G.: Secondo me abbiamo ancora molta voce in capitolo!
F.: Ma chi?!
R.G.: Interessante che avete due opinioni diverse. Siamo curiosi.
G.: Secondo me sì, abbiamo degli esponenti eminenti che continuano a lavorare nel power metal.
F.: Ah sì, quelli importanti sì, come Luca Turilli!
G.: Fabio Lione anche!
F.: Certo però Fabio Lione non scrive pezzi!
G.: Sì però il genere c’è e cammina, io lo sento. Ci sono ancora giovani che investono in questo campo.
R.G.: Forse Federico intende “nuove band” in questo genere.
G.: Sì ce ne sono, però non riescono ad emergere.
F.: Be’ però questo vuol dire che non ci sono.
G.: Ci provano! Le eccellenze certo sono i vecchi nomi. C’è qualcosa di più recente, negli ultimi cinque anni, che si fa sentire.
R.G.: Be’ Giada ha ragione, la stessa Scarlet Records, la vostra etichetta, ha molte formazioni nel power metal.
F.: Sì però mi permetto di dire che noi siamo l’unica band che sento che ha una sorta di coerenza. Le band tendono sempre ad innovare a presentarsi come “essere unici” e questo inevitabilmente va a danneggiare i pezzi. È un po’ un discorso da sala prove: se tu fai un pezzo che funziona, poi magari il batterista vuole aggiungere la parte in controtempo perché piacciono. Be’, se si vuole suonare prog allora va bene ma altrimenti no. La forma canzone viene spesso bistrattata, pochissimi tendono a proporre il genere fine a se stesso ma tanti cercano sempre di metterci del loro. Fabio Lione è un grande per me, abbiamo cantanti noti in Italia, la vecchia guarda, che rispettiamo tantissimo. Se però mi chiedi di progetti nuovi io penso alla composizione e ce ne sono pochi. Di Luca Turilli ad esempio io penso che il suo progetto sia nettamente superiore a quello che stanno facendo i Rhapsody dall’altra parte ma perché ha una consapevolezza differente però a parte lui non mi sento di citare nessuno a livello di songwriting per rispondere alla tua domanda.
R.G.: Quindi parliamo di power metal legato agli elementi classici degli anni 80 e 90 e di una scena fatta di pochi nomi nuovi. Proviamo a fare un pronostico: tra dieci o venti anni secondo voi la scena power metal sarà legata sempre agli stessi fattori, le stesse strutture o ci sarà un’evoluzione, dei cambiamenti stilistici che la intenderanno in maniera diversa?
G.: Stavo pensando ad una cosa che mi è stata detta da una mia amica che ha intervistato una band di cui non ricordo il nome, una band in stile AC/DC…
R.G.: Gli Airbourne?
G.: Sì esatto. Li ha intervisti e gli ha chiesto se avessero modificato il loro stile musicale in futuro e loro hanno risposto: “Da McDonald sono trent’anni che vai e trovi sempre il Big Mac perché a tutti piace il Big Mac”. Questa cosa mi ha colpito. Si continua a proporre la stessa cosa perché c’è sempre un feedback positivo. Per quale motivo cambiare una cosa che funziona?
R.G.: Però il feedback anche in termini numerici cambia. Negli anni 70 c’era il progressive rock, adesso è un genere assolutamente di nicchia.
G.: Sì però ci sono dei generi sui quali tu puoi contare su una determinata base. Dopo fa la differenza qualcos’altro però una base c’è. E uno di questi generi è il power.
F.: Noi siamo stati molto colpiti dal feedback che tra l’altro ci hanno riconosciuto un’attitudine forte.
R.G.: Poi c’è da dire che il pubblico power, rispetto ad altri fan, è un pubblico molto fedele, ti segue negli anni.
F.: Sì ma è anche giovane. I fan degli Epica ad esempio sono diversi dai fan dei Venom o dei Death.
R.G.: Be’ però quello è un genere che è cambiato. Il death metal si è evoluto.
F.: Sì certo, parlavamo prima del metalcore. I Death stessi si sono evoluti inserendo soluzioni prog. I Cynic ad esempio non sono affatto death per me.
R.G.: Be’ loro sono technical death metal.
F.: Sì ok però quando uscirono aprivano ai Cannibal Corpse e i Cynic con l’avvento di altri gruppi come i Rings Of Saturn e tutto questo flusso legato al djent…
R.G.: I Rings Of Saturn suonano death-core.
F.: Sì certo, però volevo dire…
G.: State veramente divagando, queste sono “nerdonate” (risate generali ndr).
F.: Mi spiego, questa è la mia opinione. C’era il metal vero in passato, quello suonato, e il pubblico metal. Poi è arrivato il nu metal, il metalcore e via via. Il metal per certi versi si è un po’ “youtubizzato”. Sono trend che ora stanno andando. Da quando si è passati dal metalcore al djent, hanno tirato fuoi i chapman, chitarre senza paletta…
R.G.: Tu intendi band come Animals As Leaders.
F.: Esatto! Da quando si è passati a generi molto tecnici guarda caso i Cynic sono tornati in auge.
R.G.: Be’ anche perché si sono fermati discograficamente per tipo quindi anni.
F.: Sì però ad esempio i fan dei Megadeth sono sempre restati fan dei Megadeth, i fan dei Kiss anche. Invece il pubblico dei Cynic è completamente cambiato. Prendi ad esempio i Wintersun, loro anche sono tornati molti anni dopo il primo album ma sono riusciti a tirare su molto seguito anche approfittando del periodo in cui la “tecnicalità” nel metal è tornata in auge tant’è che il provino che loro avevano fatto per cercare un chitarrista ha raggiunto tipo 500.000 visualizzazioni. Paradossalmente i Wintersun sono stati bravi a utilizzare youtube per farsi conoscere.
R.G.: È l’epoca giusta per fare questo tipo di iniziative di marketing musicale. Passiamo all’ultima domanda. Visto che voi al primo album siete entrati in un’etichetta importante come la Scarlet Records volevo chiedervi innanzitutto se sentite che questo vi abbia aiutati in qualche modo e sopratutto che consiglio potete dare alle band che sono in cerca di un’etichetta.
G.: Io parto con il mio consiglio. Suggerisco per le band nuove, il contesto tra gli amici, da garage…il dopo lavoro…non funziona più. C’è una mole di impegno nel tener viva una band che è una cosa che pochi si aspettano tra i miei coetanei che hanno iniziato a suonare 15 anni fa, figuriamoci i giovani. Bisogna fare le cose con impegno ed attenzione ai dettagli, ma tutti i dettagli. Quando si presenta un’etichetta si deve dare l’impressione di sapere il fatto proprio, di essere professionali, informarsi e stare attenti a non sottovalutare niente, perché il mercato è inflazionato, la competizione è folle, se devi presentare un pacchetto differente devi veramente stare attento a tutto, con occhio critico. Se vuoi fare le cose ad un certo livello non esiste più il farlo per divertimento o solo per passione. Questo va bene per scalare qualche gradino ma non per fare il salto.
F.: Cosa posso aggiungere di fronte a cotanta esattezza! Sono d’accordo, tutti i dettagli vanno curati. Anche perché c’è un discorso fondamentale: le band hanno la percezione che una volta firmato con un’etichetta tutto arriva da sé facilmente, in realtà non è vero. La Scarlet ci ha supportati sicuramente, però bisogna capire che un’etichetta deve vendere per poter vivere, quindi non si può pretendere di fare un prodotto invendibile e aspettarsi che l’etichetta la venda. La gente ha sempre la percezione che serva l’etichetta importante per avere risultati, in realtà è molto meglio essere sotto etichetta piccola che ha quindi un’economica piccola ma che permette di seguire ogni singolo prodotto e permette a te artista di guadagnare di più. Un altro pregio di questa etichetta è che si è fidata della nostra mossa promozionale, però il consiglio di Giada è perfetto per le nuove band.
R.G.: Ok ragazzi, grazie mille per il vostro tempo e in bocca al lupo per lo show!
F.: Grazie a voi!
G.: Grazie.