Jefferson Airplane – Volunteers

Già il titolo fu oggetto di controversie, dato che la casa discografica si oppose all’aggiunta del termine “Of America ” a Volunteers . la band decide allora di “vendicarsi” inserendo in diverse tracce un corollario di cattive parole che a stento si salveranno dagli strali della censura. Ad iniziare da We Can Be Together , il sound è isterico e gridato senza ritegno, con le chitarre a pompare note a più non posso e la voce che si eleva forte come in una tribuna elettorale indipendente, senza che nessuno si possa opporre al fluire potente delle note, aiutate a sgorgare in questo caso anche dalla presenza del piano fluido di Nicky Hopkins, il cui tocco magico tanta gloria procurerà ad altri gruppi dell’epoca e successivi (bastano The Who, Rolling Stones e Beatles? ). Si procede con Good Sheperd e pare esservi un ritorno, brevissimo, all’amato folk degli esordi, in cui la band torna ad occuparsi della vita a sé stante non inserita nelle problematiche mondiali; ed anche il canto è più rilassato, teneramente nostalgico e sognante, di stampo quasi religioso, con le chitarre che non si limitano al semplice accompagnamento, ma si delineano con delicatezza a presentarci immaginarie praterie su cui correre senza paura, mettendo in risalto la vera natura del gruppo, qui del tutto avulso da ogni diatriba sociale o impegnata.
Eccoci a The Farm ed al suo incedere ancora folkeggiante, con linee pianistiche colme di lirismo che si completano con una superba chitarra-pedale del finalmente accreditato Jerry Garcia, grazie al cui lavoro la traccia diventa tra gli echi ancora roboanti della discografia, nonché memorabile per la sontuosa prestazione complessiva della band. Con Hey Fredrick è Grace Slick ad impadronirsi della scena: autentica Musa del panorama a stelle e strisce, qui divide la scena con la valida ed intensa chitarra di Kaukonen, che dipinge un autentico e cadenzato cerimoniale folk: se a questo uniamo il grande piano di Hopkins, ecco che la traccia assurge alla leggenda con la sua cadenza marziale, trascinante e culminante in una conclusiva cavalcata quasi “jammata” tra rock e blues. Turn My Life Down cerca di recuperare la dimensione onirica della band, che qui appare come un mix di sound gospel ed atmosfere quasi mistiche, come a farsi “perdonare” dei viaggi in acido troppo frequenti nella vita del combo californiano, che qui ancora (comunque) si rende protagonista di un’altra performance da sballo, qui corroborata anche dall’Hammond fatato di Stephen Stills. Si giunge dunque ad uno dei brani più controversi del disco: Wooden Ships (a firma Crosby, Stills e Kantner) cristallizza tutto il desiderio del gruppo di urlare il suo disprezzo per la guerra e la violenza in genere: Grace Slick si spolmona per essere al centro del villaggio con la sua voce ad incantare l’uditorio in un richiamo all’incombente Apocalisse, è tutto il suono ad essere ispessito, con la presenza anche del violino e del piano. Curiosità del brano fu quella di essere stato presente anche sull’album di esordio di Crosby, Stills e Nash.
Procediamo in bellezza, per così dire: Eskimo Blue Day ed il suo refrain di parolacce, in un ambito pur dedito a tematiche “naturalistiche” (!!) che vede ancora Grace Slick esibirsi magicamente in una doppia performance sia vocale che al flauto, consentendole di sfornare una performance molto recitata e teatralmente data in pasto al mondo, pur magicamente disincantato dalla voce austera e maestosa della singer. A Song For All Seasons appare come un maldestro tentativo di “appiopparci” nuovamente le tematiche country, sempre disincantate e stavolta fin troppo rilassate, tanto da sembrare quasi un disamato filler, pur ben cantato dall’ospite Laudner (ebbene sì, anche i Titani possono incorrere in questi intoppi). Avviandoci alla conclusione, troviamo lungo la strada la breve e strumentale Meadowlands, la cui decadente tristezza riesce a risaltare anche nei circa 60 secondi della sua durata, quasi raccapricciante per la sua malinconia disperata. Ma eccoci finalmente alla conclusiva e decisiva titletrack: ecco il vero inno che la band non vedeva l’ora di spararci in faccia: trascinante, cadenzato ed aggressivo, nessuno di questi aggettivi potrebbe descrivere con la medesima forza il grido rivoluzionario che il gruppo ordina ai suoi strumenti di sfornare; non più pacifismo edulcorato, ma altresì rivolta a tutto tondo per iscriversi al partito della lotta dura e pura.
Impetuoso il ruggito delle chitarre in uno dei riffoni più famosi dell’epoca,che Marty Balin tramanda essergli stato ispirato (non ridete…) dalla visione mattutina di un camion della spazzatura (!!), denominato appunto “Volunteers Of America”: sia quel che sia, a volte la leggenda supera la realtà, ben venga dunque una degnissima conclusione ad un album ancor oggi storico e fautore di ricordi e memorie indelebili.
Autore: Jefferson Airplane | Titolo Album: Volunteers |
Anno: 1969 | Casa Discografica: Rca |
Genere musicale: Rock Psichedelico | Voto: 7 |
Tipo: CD | Sito web: www.jeffersonairplane.com |
Membri Band: Grace Slick – voce, piano su tracce 3,4,7, e 10, flauto su traccia 7, organo su traccia 9 Marty Balin – voce, percussioni Paul Kantner – voce, chitarra Jorma Kaukonen – chitarra, voce Jack Casady – basso Spencer Dryden – batteria Nicky Hopkins – piano su traccia 1,4,6,8, e 10 Stephen Stills – Hammond su traccia 5 Jerry Garcia – chitarra su traccia 3 Bill Laudner – voce su traccia 8 David Crosby – percussioni su traccia 6 Joey Covington – congas su traccia 5 | Tracklist: 1. We Can Be Together 2. Good Sheperd 3. The Farm 4. Hey Fredrick 5. Turn My Life Down 6. Wooden Ships 7. Eskimo Blue Day 8. A Song For All Seasons 9. Meadowlands 10. Volunteers |