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02nd Ott2020

Quiet Riot – III

by Giancarlo Amitrano
Siamo giunti al quinto album, ma questo non sembra spaventare i Nostri i quali, anzi, reduci dal mezzo flop di Condition Critical di cui abbiamo parlato qui, approfittando di una piccola pausa di riflessione, trovano il modo di tornare alla grande in pista. Con Frankie Banali ricolmo di gloria per aver appena compartecipato in prima persona nientemeno che con Ronnie James Dio alla scrittura di Stars ed al conseguente megaprogetto Hear’n’Aid, il quartetto si ritrova pressoché al completo, con l’entrata come membro effettivo dell’altrettanto virtuoso Wright al posto di Sarzo. Ne consegue un disco del tutto diverso dai precedenti, che persegue sonorità molto più cromate e laccate, in linea con i gruppi più in voga del momento: ecco quindi un uso marcato delle tastiere ed una ricerca di sound molto manierato, che rasenta l’AOR senza dispiacersene. Si inizia con Main Attraction e con subito le tastiere in evidenza, mentre partono i rullanti di Banali e la traccia va forte con una inattesa esibizione di forza del cantato. Ma il brano è molto più semplice di quanto si prospetti, con cori a volontà e ritornello ben scandito, senza tralasciare ovviamente un breve ma solido assolo del buon Cavazo.

The Wild And The Young vede ancora l’intro poderosa del drumming di Banali, mentre Dubrow si dà da fare per mantenere alta la tensione, grazie anche ai background vocali che corroborano la traccia, sulla quale ancora incombono i tasti che ci ricordano la direzione intrapresa con questo lenght, vicino ad epigoni quali Def Leppard o Europe, pur con un maggior ispessimento del suono. Il miglior brano del disco è certo la terza traccia, Twilight Hotel, che si caratterizza per un cantato molto intenso e drammatizzato, su cui stavolta torreggiano tastiere da vero rock d’autore: Banali accompagna da par suo con battute e tempi davvero notevoli, mentre ambo le strofe sono davvero ben scritte, con l’ascia di Cavazo che fa capolino di qua e di là con la consueta precisione, senza sottrarsi alla gloria di un altro buon assolo che con progressione decisa vira verso elevate vette. Down And Dirty non fa sconti: pur con tempistiche quasi mid, resta scolpito forte in chi ascolta per la sua “confusione” sonora che ingloba tutta la strumentazione, ivi compresi i cori che stavolta appaiono addirittura anche più ruvidi, con Cavazo che alla fine mette tutti d’accordo.

Rise Or Fall è brano di spessore: Dubrow canta con la dovuta “arrabbiatura”, mentre le tastiere sono ideali per completare il refrain, Banali pesta da par suo e anche il vecchio/nuovo bassista dice la sua con entrate ben misurate ma non per questo di minor impatto; sei corde ancora su tutti per il suo solo ben strutturato che ben si mantiene lungo tutto il brano. Put Up Or Shut Up trova anche una buona dose di velocità: il singer si sgola bene per condurci al ritornello, che viene rafforzato dai cori anche in occasione di passaggi molto leggeri come quelli della traccia, che si divide tra l’hard classico e rock a stelle e strisce, certo sempre gradito. Bellissima l’articolazione iniziale di Still Of The Night, con la preparazione strumentale che spiana i riflettori sul canto liricamente ispirato nell’ambito di un brano molto intenso e quasi drammatizzato in alcuni passaggi, tra i quali si nota anche un insolito Bobby Kimball ai cori il tutto, senza cedimenti di sorta ma anzi con un progressivo innalzamento dei toni verso il punto massimo di pathos, che la chitarra di Cavazo punteggia alla grande. In un minuto Bass Case esalta le doti della quattro corde di Wright che con le tastiere in sottofondo ben si gioca il suo momento di notorietà, che continua con The Pump ed il suo stavolta non celato mid-tempo: ormai Dubrow tiene saldo il timone della band che lo “ripaga” della stessa moneta sonante in termini di validità tecnica ed esecutiva, pur su tracce assolutamente non trascendentali come questa.

Con Slave To Love si torna ad una band arrabbiata il giusto: la traccia, scritta in collaborazione con Stan Bush, vede eseguire alla perfezione il compito di tutti. Sono le tastiere a dominare la scena, creando un tappeto da easy listening grazie all’azzeccata timbrica del singer ed ancora un valido assolo di Cavazo che si porta sulle spalle la band sino alla fine del pezzo. Si chiude con la “pesante” Helping Hands ed il tono davvero aggressivo del pezzo: cori ancora a supportare la voce già di per sé decisa ed intensa, è una buona sezione ritmica a condurre le ritmiche del brano, mentre le tastiere sono ancora presentissime nel supportare il lato melodico dell’intero album che all’epoca fu ritenuto deludente, ma oggi (come al solito) ampiamente rivalutato.

Autore: Quiet Riot Titolo Album: III
Anno: 1986 Casa Discografica: Pasha
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.quietriot.band
Membri Band:
Kevin Dubrow – voce
Frankie Banali – batteria
Carlos Cavazo – chitarra
Chuck Wright – basso
Bobby Kimball – cori su traccia 7
John Purdell – tastiere
Tracklist:
1. Main Attraction
2. The Wild And The Young
3. Twilight Hotel
4. Down And Dirty
5. Rise Or Fall
6. Put Up Or Shut Up
7. Still Of The Night
8. Bass Case
9. The Pump
10. Slave To Love
11. Helping Hands
Category : Recensioni
Tags : Quiet Riot
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