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07th Apr2015

New Disorder – Straight To The Pain

by Trevor dei Sadist

New Disorder - Straight To The PainI romani New Disorder approdano alla loro terza fatica, con questo nuovo album, intitolato Straight To The Pain, un concept attuale, basato sulle sofferenze dell’uomo e sulle difficoltà della vita odierna. La band si presenta al pubblico in un ottimo stato di forma, alternative metal è l’etichetta che più calza ai nostri capitolini, visto che il loro genere è contaminato da diverse influenze musicali, ma la matrice più forte e più sentita all’interno dei brani è proprio quella metal. Ad aprire le porte di questo Straight To The Pain un intro malinconico, violini pensanti sono il preludio della distruzione che a breve si scaglierà su di noi, l’ultima corda tirata e siamo dentro, nel mezzo di riff avvincenti, mid tempo e chorus mozzafiato, che marchiano a fuoco i New Disorder. Slittando da un brano all’altro ci troviamo di fronte a sporadici growl voice, che confondono ancora le nostre idee, ma che al tempo stesso fanno acquisire alla band quel punto in più, esaltando il concetto di originalità e trademark. La title track risulta una delle song di maggior spicco, complice il riuscito duetto con la female voice Eleonora Buono, il suo falsetto lirico va a sposarsi a perfezione con la linea melodica principale, tra gli altri brani che ho apprezzato maggiormente, Love Kills Anyway, dove ho trovato un rimando agli Avenged Sevenfold, specie per un febbrile riff iniziale e poi ancora A Senseless Tragedy, anche se trovo sia doveroso andare ad elogiare l’esperimento più che riuscito quello di inserire all’interno del nuovo full lenght due ballad. La prima Lost In London, persi nella fumosa città anglosassone, grigia come l’arpeggio che echeggia nel nostro cervello, solo per una notte, e qui, non chiedetemi perché, vado a scomodare nomi illustri, quali Red Hot Chili Peppers, Skid Row e Tesla; dei primi emerge una simile follia, dei secondi la genuinità, dei terzi il viaggio senza fine.

La seconda love song che voglio premiare è The Perfect Time, la voce straziata, esibisce linee melodiche alla System Of A Down, mentre ancora una volta la band romana si fa ammirare per la scelta coraggiosa. Abbiamo parlato dei riff, della voce (a tratti ho trovato anche qualcosa di 80’s punk) lode anche però alla sezione ritmica, un basso partecipe gioca un ruolo di assoluto primattore, così come la batteria, che, grazie ad un ottimo lavoro diviso tra casse e rullo, va a spartire tutto quello che concerne ritmo e mid-tempo. Quello che ho gradito in maggior misura è l’audace decisione di affidarsi a registrazioni molto acustiche, naturali, una scelta ardita, che merita un grande plauso. Siamo quasi al termine di Straight To The Pain, ma prima di chiudere c’è ancora spazio per un reprise acustico, la nebbia sale nuovamente, inesorabile, e noi siamo persi un’altra volta, sulle rive del Tamigi. In alto il nostro saluto!

Autore: New   Disorder Titolo Album: Straight To The Pain
Anno: 2014 Casa Discografica: Agoge Records
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 7,75
Tipo: CD Sito web: http://www.facebook.com/newdisorderband
Membri band:

Francesco Lattes – voce

Fabrizio Proietti – chitarra

Alessandro Cavalli – chitarra

Ivano Adamo – basso, voce

Luca Macini – batteria

Tracklist:

  1. Into The Pain
  2. Never Too Late To Die
  3. A Senseless Tragedy
  4. Judgement Day
  5. Straight To The Pain (feat. Eleonora Buono)
  6. What’s Your Aim?
  7. Lost In London
  8. Love Kills Anyway
  9. Bitch On My Wall
  10. The Perfect Time
  11. The Beholder
  12. Lost In London (acoustic version)
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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19th Gen2015

Stage Of Reality – The Breathing Machines

by Giancarlo Amitrano

Stage Of Reality - The Breathing MachinesQuando dietro ad un progetto c’è un autentico mastermind, il risultato è garantito: la sagacia e la perizia di chi conduce le danze, sia in prima linea che dietro la consolle, è direttamente proporzionale all’esito conclusivo. Il preambolo di cui sopra ben si attaglia al primo lenght di questo ambizioso gruppo romano, capitanato per l’occasione dal navigato Andrea Neri (già mentore di varie band quali ad esempio Astarta Syriaca), che per questo lenght assembla una line-up di tutto rispetto che lo assecondi nel suo progetto visionario, ovvero quello di trasporre in musica gli scritti di due titani della letteratura mondiale quali Pasolini ed Orwell. L’ambientazione del disco è proiettata in una dimensione a noi sconosciuta, laddove le “macchine che respirano” sono ormai imperanti ed il loro dominio sulle menti umane è pressoché assoluto. Di conseguenza, tutte le tracce che compongono il concept risentono di questa visione onirica che Neri infonde alla storia; dobbiamo però dire che il risultato non ne risente assolutamente, stante il fatto che l’hard rock di fondo cui pur si abbevera il gruppo ad esempio si fonde anche con la padronanza tecnica del vibrato: l’uso innovativo dell’ascia a 7 corde rende le note ancor più corpose, al confine addirittura con il crossover. La sezione ritmica dal canto suo fa, eccome, il suo dovere tra il basso che rende il tutto quasi nu metal ed il drumming molto “lappato” grazie agli arrangiamenti davvero da rimarcare.

Tutto ciò si può ascoltare sin dalla prima traccia, laddove il cantato sa molto di anni 90 quando il crossover iniziava a muovere i suoi primi passi: non sarà estraneo a questo la collaborazione del Nostro tra l’altro con l’ex Vergine di Ferro Blaze Bailey? Vorremmo far assurgere a protagonista, tra gli altri, il solido basso di Marco Polizzi che con il raffinato groove fa sentire la sua impellenza in brani quali Grey Men (i famosi “grigi” del racconto, ovvero le persone mortali cui è negata anche l’informazione dalle macchine). Ma faremmo torto così al resto della band, che ben si districa tra fiammeggianti cavalcate che a volte paiono non voler mai aver fine a causa dei lunghi e sfiancanti finali delle tracce. Ma al tempo stesso, il gruppo non lesina assoli catarifrangenti e melodie che restano scolpite sin dall’inizio, sempre nell’ambito di una ben definita impronta italica. Sicuramente, la vena prog viene fuori senza poter essere contenuta dalla linfa metallica che scorre nelle vene del gruppo, tuttavia, le prove singole dei musicisti non lasciano dubbi di sorta su quale sia la proteina che li abbia nutriti: ascoltare il cantato selvaggio della titletrack non ha prezzo, pur nel suo essere incanalato in una discreta melodia. Anche l’interpretazione di brani quali la coinvolgente Where Are We Going? mette i brividi a causa di un inaspettato ed innovativo uso del mid tempo con tanto di cori azzeccatissimi, mentre step quali Five Senses regalano energia allo stato puro grazie anche al lotto di axeman davvero ben assortito, energico e potente.

Nulla è lasciato al caso, anche i momenti apparentemente più distesi quali ad esempio Mindless (pur enorme nei suoi 11 minuti di durata) sono percorsi da un frenetico rombo di motore di fondo che anima alla fine il turbo del gruppo. Un turbo che si differenzia dal resto anche per il gradito e grazioso omaggio che ci dona all’interno dell’ampio packaging dell’album: oltre ad essere già deluxe di per sé grazie ad una veste grafica molto coinvolgente e misteriosa,veniamo gratificati dalla produzione anche di una pennetta usb dove si possono ascoltare teaser del gruppo, videoclip e vedere un book fotografico ad alta definizione. In definitiva, una sorpresa più che piacevole l’ascolto di questo disco e di cui dobbiamo essere grati ai componenti per il coraggio, l’impegno, tecnico, mentale e compositivo…ancora bravi e continuate così.

Autore: Stage Of Reality Titolo Album: The Breathing Machines
Anno: 2014 Casa Discografica: Nuvi Records
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 7
Tipo: CD

Sito web: http://www.stageofreality.com

Membri band:

Francesco Martino – voce

Andrea Neri – chitarra

Marco Polizzi – basso

Alessandro Accardi – batteria, percussioni

Bernardo Nardini – chitarra

Tracklist:

  1. The Breathing Machines

  2. Shadows From The Past

  3. Good & Evil

  4. The Lies Box

  5. Five Senses

  6. Grey Men

  7. The Building

  8. Mindless

  9. Where Are We Going?

  10. The Next Generation

Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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27th Set2014

Chaoswave – Dead Eye Dreaming

by Marcello Zinno

Chaoswave - Dead Eye DreamingI mezzi nostrani Chaoswave giunsero nel 2009 al loro secondo full-lenght, forti dell’esperienza ottenuta con il precedente The White Noise Within, prodotto ben quattro anni prima. Il moniker assume sempre più rispetto e la proposta musicale cresce “progressivamente” così come le loro capacità tecniche. Si avverte fin da subito nel sound della band un approccio heavy molto italiano soprattutto grazie al cantato di Fabio, deciso a riutilizzare le stesse elucubrazioni musicali tipiche del metalcore (10 Years Of Denial) ed a creare un impasto con suoi alla Trivium per intenderci. Ma per fortuna i Chaoswave non sono solo questo. Infatti la loro abilità sta nel mixare sensazioni molto diverse tra loro: basta passare alla seconda traccia, Fork Tongues And Foul Times, che già il suono inizia a mutare faccia ed assumere la maggiore compostezza del nu-metal insediata da un taglio puramente alternative. È la “solita” diversità di influenze, magari dei singoli musicisti, a colpirci? Be’ in realtà non solo, perché la proposta targata Chaoswave va al di là di un discorso di genere (che, se vogliamo, attinge al termine “generale” e quindi per definizione si intende nulla di specifico) ma vuole mettere a frutto la maturità del combo producendo un suono che esprime la calda intenzione della sua evoluzione fin dal suo primo vagito.

Non a caso già il terzo brano, How To Define A Race (uno dei migliori del lavoro), sembra l’estratto di un album ancora diverso che partendo da un prog sofisticato approda ad un death tecnico ma non meticoloso né indulgente, sfoggiando la caratteristica saliente della superba mutevolezza compositiva. In alcuni casi la produzione non risulta eccelsa ma è ottimamente compensata appunto dalla varietà stilistica, tanto che la successiva A March For The Dying dopo un’eco alla Lacuna Coil (e il ruolo della cantante Giorgia non è da poco) ci appare come un parto anticipato di Mudvayne e Stone Sour alternando blast beat a parti lenti e cadenzate. Another Lie To Live In Vain è solo un passaggio introspettivo che lascia spazio ad una Blind Eye Focus matura e consapevole, un’impronta nel sound della band che vuole assumere una sembianza possibilmente nuova e che pur appiattendo le diversità precedentemente proposte, mostra una luce chiara ed al contempo debole, una luce che come un bisogno essenziale attinge la propria alimentazione anche dalla successiva Dead Eye Dream, la quale purtroppo non si prefigge l’obiettivo di brillare. Il colpo di coda prende il nome di Two Shadows che sapientemente riprende l’anima ribelle dei primi brani e la suddivise salomonicamente tra parti atmosferiche, ai confini con il gothic e l’ambient, ed altre puramente metal, in una tempesta in stile opethiano che si apre a metà traccia. Il resto è puro e regolare caos.

Una ottima scelta quella della Nightmare Records che in concomitanza a delle uscite non di primo livello (69 Chambers solo per citarne una) ne piazza una di sicuro distinguo nel panorama alternative metal internazionale.

Autore: Chaoswave Titolo Album: Dead Eye Dreaming
Anno: 2009 Casa Discografica: Nightmare Records
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.chaoswave.it
Membri band:

Raphael – batteria

Guf – chitarra

Michele – basso

Giorgia – voce

Fabio – voce

Tracklist:

  1. 10 Years Of Denial

  2. Fork Tongues And Foul Times

  3. How To Define A Race

  4. A March For The Dying

  5. Another Lie To Live In Vain

  6. Blind Eye Focus

  7. Dead Eye Dream

  8. Rise

  9. Picture Perfect

  10. Two Shadows

  11. The Evident

  12. From The Stare To The Storm (bonus track)

Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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16th Lug2014

Klogr – Black Snow

by Matteo Iosio

Klogr - Black SnowAbbiamo già avuto modo di parlare dell’interessante band modenese dei Klogr in occasione di una recente intervista che ci ha dato modo di approfondire il loro universo ed il modo in cui si esprimono musicalmente. Questa giovane alternative metal band scalino dopo scalino è stata in grado di tagliare importanti traguardi facendosi conoscere al grande pubblico che ne ha apprezzato grinta e determinazione. È giunto il momento di analizzare approfonditamente il frutto di tanto interesse ovvero il loro secondo album intitolato Black Snow. Il disco si sviluppa su dodici tracce al fulmicotone, un adrenalinico viaggio che porta l’ascoltatore ad immergersi totalmente nel concetto di fondo che pervade l’intero progetto: lo sfruttamento smodato della natura da parte dell’uomo nel nome del dio profitto. Ad un primo ascolto il disco presenta sonorità cupe e cariche di tensione con ridondanti riff di chitarra rabbiosi e caustici, che ci portano ad immaginare enormi mostri meccanici intenti a violentare e ferire una natura già messa a dura prova dalla follia umana. La sezione ritmica appare granitica ed incalzante, supportata dalle urla del cantante Gabriele “Rusty” Rustichelli che vomita tutta la sua indignazione verso un’insensibilità oramai generalizzata. Le registrazioni di quest’opera sono avvenute con tempistiche alquanto ristrette presso gli Zeta Factory Studios di Carpi ed i Green River Studios di Varese con un suono grezzo e privo di levigature che a noi non dispiace affatto.

Tecnicamente parlando il disco appare ben suonato ed ottimamente assemblato anche se appare evidente come la maturazione della formazione sia solo all’inizio e di come necessiti ancora di tempo per mostrare, al pari di un buon vino da meditazione, tutti gli aspetti della propria personalità che senza dubbio è già in atto, come possono testimoniare i numerosi passi avanti avvenuti dall’album di esordio Till You Decay. Nonostante le buonissime basi il prodotto pecca ancora di una spinta propulsiva importante, la mancanza di una personalità perfettamente definita porta ad una omogeneità sonora che rischia di minarne la longevità. I piccoli peccati di gioventù non sono così gravi da inficiare l’ottimo lavoro di concept eseguito a monte, ci troviamo comunque di fronte ad un’eccellente band capace potenzialmente di divenire un punto di riferimento per il genere anche oltre confine. Il brano più rappresentativo è senza dubbio la traccia di apertura denominata Zero Tolerance, potente e cattiva, ottima anche la sontuosa Hell Of Income perfetto bilanciamento tra melodia e riffing accattivante.

In conclusione possiamo dire di aver analizzato un buon prodotto che lascia intravedere enormi potenzialità non ancora sfruttate nella loro interezza, non ci resta che attendere la definitiva maturazione che a nostro avviso avverrà quanto prima. Fermiamoci a riflettere prima di essere spazzati via da una nevicata nera come il veleno che noi stessi abbiamo prodotto.

Autore: Klogr Titolo Album: Black Snow
Anno: 2014 Casa Discografica: Zeta Factory
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.klogr.net
Membri band:

Rusty – voce, chitarra

Eugenio – chitarra

Giampi – chitarra

Jo – basso

Ste – batteria

Tracklist:

  1. Zero Tolerance
  2. Refuge
  3. Draw Closer
  4. Hell Of Income
  5. Life Is Real
  6. Heart Breathing
  7. Failing Crowns
  8. Guilty And Proud
  9. Plunder
  10. Room To Doubt
  11. Severed Life
  12. Ambergais
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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20th Giu2014

Bioscrape – Exp. Zeroone

by Piero Di Battista

Bioscrape - Exp. ZerooneDirettamente dal biellese ecco i Bioscrape, combo nato nel 2006 che propone alla scena nostrana un nuovo disco, il primo della loro carriera, intitolato Exp. Zeroone, edito OverDub Recordings. La loro proposta avviene in maniera tutt’altro che leggera; l’album proposto da questi quattro piemontesi irrompe come un vero e proprio pugno nello stomaco. Il loro sound non è semplicemente catalogabile come alternative metal; le loro influenze riprendono sonorità thrash ma anche nu-metal, soprattutto quelle in voga a fine anni 90. Il disco dei Bioscrape, tramite dieci brani, propone dunque un sound violento, con cantato in growl in inglese, con ritmiche serrate e chitarre che fanno dell’aggressività il loro punto di forza. Come detto poc’anzi le loro influenze sono molteplici: Age Of Leeches e Distortion Cell riprendono un po’ quel thrash di qualche anno fa, mentre Rew Punch richiama un po’ band più note come, ad esempio, i Soulfly. Sonorità invece più devote al nu-metal sono più riscontrabili in brani quali Mentalmorphosis e Last Involution, pezzo che funge anche da chiusura di questo disco.

Exp. Zeroone è assolutamente un discreto lavoro, l’attitudine e la competenza messa in campo dai Bioscrape sono certamente doti non indifferenti, ed il disco riesce a proporre anche una linearità che non fa altro che accrescere il livello qualitativo di questo lavoro. Disco (e band) adatta a chi è cresciuto ed a chi ama realtà come Soulfly o Fear Factory, con l’assoluta garanzia che, chi è più affine al genere, non si pentirà di essersi avvicinato a questa nuova realtà italiana: i Bioscrape.

Autore: Bioscrape Titolo Album: Exp. Zeroone
Anno: 2012 Casa Discografica: OverDub Recordings
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.bioscrape.com
Membri band:

G. – voce

S. – chitarra

L. – basso

V. – batteria

 

Tracklist:

  1. Age Of Leeches
  2. Distortion Cell
  3. Drop In Loop
  4. Rew Punch
  5. Mentalmorphosis
  6. Half Man
  7. Mist Enemy
  8. Chemical Heresy
  9. Filth Blood
  10. Last Involution
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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06th Mar2014

Primus – Pork Soda

by Carlo Verzegnassi

Primus - Pork SodaPork Soda è il terzo album in studio del gruppo nord californiano Primus, pubblicato nel 1993 dalla Interscope Records. Quest’album vede la conferma dei Primus, del loro sound e di quanto avevano fatto in Sailing The Seas Of Cheese. Pork Soda è probabilmente l’album che li ha consacrati, nonostante Les Claypool e compagni abbiano sfornato dischi più orecchiabili. Questo è un album duro dei Primus, che non si concede ad un facile ascolto. Le vostre orecchie si possono anche adattare alla follia che avanza brano dopo brano, ma questa è una corsa che sfianca, ed ogni nuova traccia colpisce più forte della precedente. Il collaudato trio ha completato l’evoluzione, portando alle massime conseguenze tutta la loro dialettica ed il loro immaginario. Nella penombra i pupazzi dei Primus sono cresciuti così tanto da rubare la scena alla melodia. Marciando su un’impalcatura ritmica scheletrica o facendosi corrodere da chitarre e suoni asciutti, i Primus rendono il discorso totalmente scarno e violento. Prevale il lato oscuro dell’album, quello della gracchiante e minacciosa My Name Is Mud, della psicotica DMV o della lunga strumentale Hamburger Train. I singoli estratti da questo album sono My Name Is Mud, DMV e Mr. Krinkle. L’album è stato certificato disco di platino nel 1997. All’indomani di Sailing The Seas Of Cheese, domandandosi la direzione ideale per i Primus, non tutti avrebbero risposto con Pork Soda: un album che ribadisce l’indipendenza, la tecnica e la loro voglia di navigare liberi nell’avanguardia del rock.

Un breve intro, Pork Chop’s Little Ditty, apre questo CD così noi, spettatori della scena acchiappati per bene da un foot stomp e da un banjo, accogliamo per bene l’entrata della leggenda…My Name Is Mud un classico dei Primus: un cozzare di teste, di basso e di batteria che  accompagnano il racconto omicida di Mud. Un suono secco su cui Les domina su terzine strisciate, fatte esplodere e noi bombardati dal basso e storditi dalla chitarra, da ben due assoli di LaLonde. Ripetitiva ci incassa contro la poltrona e noi ben felici di essere il punchingball dei Primus. Così ci risvegliamo nell’allucinazione grottesca e divertente di Welcome To This World. Una chitarra cigolante ed un basso funky si intrecciano su frasi senza senso…senza mai dimenticarsi di picchiare come fabbri. Bob dimostra quanto è pericoloso il mondo reale, da dove Claypool canta di un amico suicida su una linea di basso che nervosa scatta, si muove e tira i fili del personaggio messo in scena. Le corde pizzicate da Les, suonano in DMV une delle più incredibili e virtuosistiche linee di basso di Les che, irritato dalle code della motorizzazione (giuro, parla di questo il testo!!), si lancia accompagnato dalle colate acide di Ler in uno dei brani cardine dei Primus.

Con Ol’ Diamondback Sturgeon (Fisherman’s Chronicles, Pt. 3) ritornano le cronache sullo sport preferito da Les e sul protagonista di questo brano: un vecchio ed argentato pesce gatto. Un brano ripetitivo ma che si lascia ascoltare e canticchiare. Nature Boy è un viaggio appeso ad una chitarra statica ed ipnotica che ci lascia cadere sistematicamente tra le lame dell’interplay ritmico fra Les ed il batterista Tim. Ci vogliono un paio di ascolti per assorbirla. Per prender forza ed aprire un’altra porta sull’assurdo…Wounded Knee un simpatico intermezzo di percussioni che nessuno si aspetterebbe dopo Nature Boy o che nessuno si aspetterebbe dai Primus. Puniti ed ingozzati a forza di Pork Soda siamo in balia di un allucinato grasso violoncello punzecchiato da intermittenti riff di LaLonde che ci servono il piatto della title track. The Pressman e Mr. Krinkle ci portano nel cuore nero di quest’album dove rallentano i tempi e si abbassano i toni, tra un giornalista ed un professore severo si allungano le ombre dei personaggi inventati dai Primus. The Air Is Getting Slippery ridà respiro ed allegria all’album, anche se con i Primus e con LaLonde al banjo l’allegria modula presto nella sfilata del grottesco.

Ma è un modo per accelerare e mordere la super funky Hamburger Train, una jam ad ostacoli di 8 minuti. Un pezzo strumentale e lo si vede dal basso di Les che traina totalmente il pezzo, con Ler lontanissimo che vola su una chitarra lenta ed atonale. Non è un pezzo facile, ma è il finale forte di Pork Soda. Poi abbiamo la versione integrale di Pork Chop’s Little Ditty ed Hail Santa registrazione improvvisata di: un campanello che suona senza sosta, una voce radiofonica lontana e Les che suona il basso o meglio il ricordo svanito di Les che suona il basso. Alla fine Pork Soda  necessita di un po’ di pazienza, è il più oscuro ed il più alienante di ogni altro loro lavoro. Detto ciò resta assodato che il terzetto di San Francisco rappresenta oggi una delle espressioni più stimolanti e poco propensa ai compromessi che possiate trovare nella musica alternativa.

Autore: Primus Titolo Album: Pork Soda
Anno: 1993 Casa Discografica: Interscope Records
Genere musicale: Alternative Metal, Funk Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.primusville.com
Membri band:

Les Claypool – voce, basso, mandolino, contrabasso

Larry “Ler” LaLonde – chitarra, banjo 6 corde

Tim “Herb” Alexander – batteria

Tracklist:

  1. Pork Chop’s Little Ditty
  2. My Name Is Mud
  3. Welcome To This World
  4. Bob
  5. DMV
  6. The Ol’ Diamondback Sturgeon – Fisherman’s Chronicles, Pt. 3
  7. Nature Boy
  8. Wounded Knee
  9. Pork Soda
  10. The Pressman
  11. Mr. Krinkle
  12. The Air Is Getting Slippery
  13. Hamburger Train
  14. Pork Chop’s Little Ditty (Full Version)
  15. Hail Santa
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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21st Feb2014

Skindred – Kill The Power

by Marcello Zinno

Skindred - Kill The PowerQuando si dice “alternative metal” si punta il dito contro un calderone praticamente infinito. Cosa entra nel minestrone in cui si incontrano il metal e il suo spirito più alternative? Rap, hip hop, crossover, nu metal, drum’n’bass, trip hop, Limp Bizkit, Korn, Sepultura, System Of A Down, e chi più ne ha più ne metta. Una terra di cui è davvero difficile delimitarne i confini e il rischio di oltrepassare le strisce a righe diagonali bianche e rosse che ne tracciano larghezza e lunghezza è davvero alla portata di tutti. Gli Skindred sono un’ottima rappresentazione attuale di quanto la scena si sia spinta e abbia deciso di fagocitare letteralmente altri generi musicali. Giunti con Kill The Power al quinto capitolo discografico, gli inglesi hanno deciso di fregarsene altamente dei canoni, pur mettendo a frutto la maturità all’insegna di un sound che risulta allo stesso tempo intransigente e mainstream. Infatti nelle dodici tracce di questo lavoro uscito proprio ad inizio 2014 si mescolano Black Eyed Peas con gran parte della scena nu metal degli anni 90, passando per testi rappati in classico stile statunitense a parti urlate, in un mix che sa di una compattezza disarmante. La sperimentazione è sempre all’agguato: il reggae/dub di Playing With The Devil (tra l’altro molto “marleiano” nelle linee vocali) si schiaccia contro se stesso nel ritornello folgorante, per poi essere stuprato da effetti dance.

Qualche passaggio ci sembra un pò troppo ostile per noi come la parte iniziale di Worlds On Fire ma il frullato di sonorità che in ogni singola traccia viene preparato produce un’estati di sapori che stonano e ci mandano in completo trip. Nella stessa Worlds On Fire si toccano il groove metal, alcune influenze progressive e il nu metal, tanto è lo spessore proposto. Così non ci si può approcciare ad un loro brano senza essere travolti da un tifone di cui non si riconoscono né imponenza né potenza: incredibile l’opener, anche title track, che subito mette le carte sul tavolo (anche se non tutte) e fa schizzare le aspettative su questi 50 minuti di musica. Peccato che nella seconda parte dell’album un pò di mordente venga meno: troppo romantica We Live che suona quasi come una ballad, Dollars And Dimes che potrebbe entrare tranquillamente in una classifica di grandi ascolti americani, la inizialmente giamaicana Saturday che suona come un esercizio punk rock adolescenziale. Per fortuna sul finire si torna al metal con Proceed With Caution, cadenzata e precisa come un pugno sulle gengive mentre More Fire può essere vista come una sperimentazione coraggiosa in ambiti assolutamente non conformi alle sonorità della band.

Cosa aspettarci di più da questo pazzo combo? Difficile inserire un numero maggiore di generi musicali diversi nello stesso album. Ma con loro si può.

Autore: Skindred Titolo Album: Kill The Power
Anno: 2014 Casa Discografica: DoubleCross Records, Cooking Vinyl Limited
Genere musicale: Alternative Metal, Crossover Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.skindred.net
Membri band:

Benji Webbe – voce

Mikey Demus – chitarra

Dan Pugsley – basso

Arya Goggin – batteria

Tracklist:

  1. Kill The Power
  2. Ruling Force
  3. Playing With The Devil
  4. Worlds On Fire
  5. Ninja
  6. The Kids Are Right Now
  7. We Live
  8. Open Eyed
  9. Dollars And Dimes
  10. Saturday
  11. Proceed With Caution
  12. More Fire
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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21st Dic2013

Godlike – Malicious Mind

by Emanuele Tito

Godlike - Malicious MindDalla Finlandia, Malicious Mind dei Godlike: a primo impatto ci suona subito come un album alternative metal, ma alla lunga ci rendiamo conto che in realtà questo lavoro presenta molto di più. Da buoni finlandesi, non mancano influenze provenienti da generi più estremi, soprattutto death, il tutto mescolato anche a classiche atmosfere nu metal. Lahtinen è un cantante dotato di grandi capacità: abilissimo nel rapping, lo si può sentire spesso cantare in pulito o addirittura in scream. Il flow che riesce a creare rappando è in perfetta sintonia con le atmosfere dei pezzi e i momenti in cui canta in scream vanno a braccetto con la rocciosità dei riff di chitarra. Brani come Sickness  e Original Rebel ne sono un’ottima prova. I suoi testi sono perlopiù denunce di carattere sociale, trattanti tematiche come il disagio e la rabbia. Nyman e Nieminen hanno probabilmente suonato di tutto da ragazzini: non si limitano ai soliti riff di stampo nu, possiamo ascoltare vari tipi di assoli, dai più tecnici e rapidi, a quelli dedicati ad esaltare una particolare melodia. Come già detto, non mancano influenze da death e thrash (Reasons For My Rage, Meth) e anche un pizzico di stoner. L’intro di Confrontation è un ottimo esempio. Entrambi utilizzano pochi effetti, anche se in alcuni brani si può notare qualche sperimentazione sonora. Bellissimi i riff in Shi No Negai, veramente compatti e perfettamente incastrati con i giri di basso dell’altro Nieminen (probabilmente fratello). Ismo rimane un po’ “dietro le quinte” ma sorprende particolarmente facendo notare influenze funky nel suo modo di suonare e andare a braccetto con la batteria. Inoltre si occupa anche dei cori, difatti lo si può ascoltare in svariati pezzi mentre accompagna Lahtinen.

Behind The Gate (così come The Story Of Sandra Jones) presenta un intro pulito, per poi sfociare aggressivamente in un groove fantastico, introdotto da Alanko. Rami è un batterista prettamente ritmico…e che ritmo! I suoi giochi di cassa (spesso in controtempo), danno una peculiare ritmicità ad ogni brano, accompagnati da un bel set di piatti. Non mancano cambi di velocità e accenni di doppia cassa, il tutto tenendosi quasi sempre su 4/4 secchi e precisi. Molto bello l’intro di Artificial Eminence, dove percuotendo timpano e tom, crea un bel ritmo da base per gli altri strumenti. In quasi ogni brano del lavoro, ciò che colpisce è il groove; gli strumenti spargono rabbia e potenza dappertutto: scream e rapping aggressivi, muri di chitarre distorte e basso, batteria concisa, per poi sfociare in frammenti melodici qua e là (il più bello è in The Story Of Sandra Jones ). Un album particolarmente versatile, in cui i finlandesi Godlike danno il meglio, evitando di suonare “la solita vecchia canzone” nu metal.

Autore: Godlike Titolo Album: Malicious Mind
Anno: 2012 Casa Discografica: Inverse Record
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.godlike.fi/home.cfm
Membri band:

Jussi Lahtinen – voce

Jarkko Nyman – chitarra

Ilka Nieminen – chitarra

Ismo Nieminen – basso

Rami Alanko – batteria

Tracklist:

  1. Showdown
  2. Reason Or My Rage
  3. Sickness
  4. Meth
  5. Original Rebels
  6. Confrontation
  7. Shi No Negai
  8. Behind The Gates
  9. Artificial Eminence
  10. Greed
  11. The Story Of Sandra Jones
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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29th Set2013

Steel City – Now It’s Time

by Alessio Capraro

Il vecchio cuore metal batte ancora nella penisola italica? Fortunatamente sì e questa band di Crema fa sicuramente parte del muscolo cardiaco di cui sopra. Nati nel 2010, gli Steel City attingono da vari filoni metal, con riff di stampo Metallica e linee vocali alla Alter Bridge. Reduci da un EP, Welcome To Steel City, prodotto nel 2012, oggi si presentano con il loro primo album, Now It’s Time. Questo quintetto irrompe con la giusta aggressività, tipica del genere, aprendo l’album con un intro, dalla giusta durata, che incuriosisce. Esplodono nella seconda traccia, che porta il nome del disco, Now It’s Time, ed è sicuramente la perla del disco. La batteria è prorompente, sinuosa, accompagnata da una linea di basso stile Motörhead, con passaggi ben fatti. Le chitarre, dalla cattiveria prettamente metal, fanno da cornice, accompagnando una voce che alterna un timbro assolutamente melodico con uno molto più aggressivo e rauco. Davvero ottimo. La band, insomma, inizia benissimo, ma non riesce a tenere lo stesso livello di apprezzabilità per tutto il disco. È come se avessero speso tutta la loro energia nell’apertura, non riuscendo poi a ritrovarla. I successivi brani non perdono di certo il loro impatto nell’ascolto, ma non riusciranno ad eguagliare la bellezza della prima parte. Sarebbe interessante, però, ascoltarli live, dove immaginiamo possano dare veramente il meglio.

Ad ogni modo, questa band porta avanti il proprio credo, in un’ epoca musicale dove determinati generi forse sono stati un po’ dimenticati. Ed è proprio questo che a noi porta ad apprezzare opere del genere. Tecnicamente efficacissimi, con la batteria che è il vero elemento portante del gruppo. Non ce ne vogliano il resto dei componenti, che si sposano comunque benissimo tra loro, fondendo insieme le rispettive influenze. Le idee non mancano, con riff di puro rock ed un’orecchiabilità non sempre facile da portare avanti in un genere come il loro. Punto a favore anche per questo. Questa band si lascia andare anche a momenti più melodici e riflessivi, come in Where Is My Home? dimostrando di essere versatili ma coerenti. L’immagine del retro della copertina, potrebbe essere significativa per questa band, diretta verso cose ben più grandi, credendoci, lavorandoci, con il cuore e con la testa.

Autore: Steel City Titolo Album: Now It’s Time
Anno: 2013 Casa Discografica: logic(il)logic Records
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/pages/Steel-City/132078490180993
Membri band:

Fabio Ricci – voce

Alessandro Cannatelli – chitarra

Samuele Cremonesi – chitarra

Andrea Brambilla – basso

Francesco Valente – batteria

Tracklist:

  1. Intro
  2. Now It’s Time
  3. I Don’t Belong
  4. Last Evolution
  5. No One’s Guilty
  6. Mandragora
  7. Under Your Face
  8. Where Is My Home?
  9. Faster
  10. Black Heart Monster Tears
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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12th Set2013

New Disorder – Dissociety

by Marcello Zinno

L’heavy metal moderno continua ad essere un forno dal quale estrarre nuovi prodotti dalle temperature sempre più calde. Con l’avvento del metalcore degli ultimi anni e con l’impatto che l’alternative metal ha generato a cavallo del nuovo millennio, molti giovani musicisti hanno avuto molto su cui studiare e tante nuove forme di espressione delle proprie idee. Così tra i tanti vogliamo segnalare la nuova uscita dei romani New Disorder, un buon equilibrio tra questi due generi preferendo un songwriting molto ragionato ai soliti tempi al fulmicotone. A livello concettuale si poteva creare qualcosa di più personale, questo va detto. Dal moniker e dal titolo dell’album si prevedeva qualcosa di più forte e riluttante alle convenzioni social-musicali, mentre le liriche non sono di certo il fiore all’occhiello dei Nostri. La musica compensa bene questa piccola nota fuori dal coro, le capacità del singer (in alcuni passaggi con sagge sovraincisioni) elogiano la componente compositiva e viceversa in uno sposalizio dalla felicità eterna che probabilmente è insito nello stile della band e rimarrà tale anche in futuro. Le strofe potenti di Atomic Suicide, alcuni chorus di Free Me From The Dark, gli arrangiamenti di Sick Feeling As You sono gli elementi che più ci convincono di questo combo tutto italiano che però dovrebbe puntare maggiormente sulla potenza evitando di ridurre mordente al momento del riascolto. I brani infatti riescono a coinvolgere ma al riascolto perdono qualche punto a causa di una debole caratterizzazione in termini di riff e suoni dell’intera opera; una Another Hero To Save ad esempio porta dei punti di rottura molto interessanti ed una sezione ritmica incisiva quanto deve, ma non è il mood che si percepisce lungo l’intero album che non resta impresso quanto dovrebbe.

Qualche riff deciso salva il tutto (come in Last Breath) e anche certo rock’n’roll coinvolgente (Hollywood Burns) ma si vive nell’attesa del colpo mortale che i New Disorder non compiono in questi quaranta minuti di metal moderno. Andrà meglio per il loro prossimo album.

Autore: New Disorder Titolo Album: Dissociety
Anno: 2013 Casa Discografica: Revalve Records
Genere musicale: Alternative Metal Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.youtube.com/user/newdisorderband
Membri band:

Lin-up in rinnovamento

Tracklist:

  1. From Life To Death
  2. Escape
  3. Break Out Into Disorder
  4. Atomic Suicide
  5. Free Me From The Dark
  6. Another Hero To Save
  7. Sick Feeling As You
  8. Last Breath
  9. Blue Skies
  10. Hollywood Burns
  11. Escape Pt. II
Category : Recensioni
Tags : Alternative Metal
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