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14th Gen2016

Teo Manzo – Le Piromani

by Paolo Tocco

Teo Manzo - Le PiromaniCome quando avevo voglia di una carbonara grandiosa con chili di parmigiano spolverati come neve, il tutto fatto come si deve e a regola d’arte ovviamente. Mi consigliano un ristorante e come sempre entro scettico. Ormai siamo tutti bravi nell’arredamento, chi ha più gusto chi ne ha molto meno. Mi siedo e aspetto la mia carbonara che ho ordinato come da prassi al cameriere che conosce bene il suo mestiere. Tempi snelli. Ecco il piatto. Esattamente quello che volevo. La mia pancia, l’anima e il palato tutto in festa grida con godimento delle parti. Evvai si parte…ma…ma…manca il parmigiano!!! Vita vissuta ragazzi…e sono drammi di proporzioni importanti. Così Teo Manzo mi invita a “casa sua” con questo nuovo disco, il primo, dal titolo Le Piromani che la cover appena richiama alla memoria Costellazioni di Vasco Brondi ma per fortuna in questo disco c’è della musica. Visionaria introspezione, universo infinito, un concept di 16 brani preziosissimi di un calore immutevole che raccontano di stelle, di luna ma anche di vita terrena. Il tutto incastonato in una forma canzone che di tradizionale ha davvero poco: ritornelli in senso stretto del termine neanche l’ombra, incisi da contare col colino per cercatori d’oro dello Yorkshire e suoni acustici intrecciati con pattern digitali che emozionano la pelle e le idee.

La voce del 28enne di Milano è bella matura, sincera, sicura che danza su un fingerpicking di chitarra che non ha vezzi di chissà quale scuola me resta pur sempre stiloso ed educato. Ci sono tratti di assoluta elevazione spirituale quando Manzo canta Placenta e mi riporta immediatamente nella meraviglia acustica che avevo sempre attribuito a Ani Di Franco con il brano Sorry I Am solo che qui da Milano arrivano suoni elettronici che abbracciano ogni cosa con un velo di dolcissimo calore materno. E ci sento il deserto e l’estate, e ci sento la solitudine di chi si rifugia dal mondo, e ci sento il rumore dei passi per le strade del vecchio paese. E ci sento il peso dell’anima…tutta l’anima… Poi però arriva la carbonara, è quella che volevo…ma manca il parmigiano. Il dramma è compiuto. L’elettronica per quanto affascina nel suo restituire eleganza, la stessa che Teo Manzo ha saputo dosare con garbo e raffinatezza, manca però di dinamica espressiva restituendo alle atmosfere un andamento piatto fatto ugualmente simile nell’ascolto ovunque. La title track del disco stanca nonostante sia cortissima di neanche 3 minuti. Così ci si perde un po’ durante questo disco i cui brani, già privi di appigli “normali”, si mescolano in un ascolto che fa difficoltà ad etichettare i passaggi e a ricordarne i dettagli.

In Delirio E Sollievo molto dalliana in Come È Profondo Il Mare – solo con alcune vene di “cornamuse” e soluzioni diverse sul compimento dei periodi – Teo Manzo perde di forza strada facendo, restituendo al “mare” di parole proprio quella sensazione di sentire “troppe parole” e poca comprensione. Il vero dramma giunge in Doors Open On The Right: perché la chitarra acustica è distorta? Non una distorsione artistica come quella della chitarra elettrica dei Kiss…ma quella distorsione di cattiva registrazione, di troppo gain dato in fase di pre-amplificazione, quella distorsione che quando la sento devo farmi una doccia…perché? Forse uno dei brani più dolci e più cantautorale del disco, forse quello che avrei ascoltato più e più volte…ma perché quella distorsione? Ok Teo…mi faccio una doccia… Se poi il problema è solo il mio ascolto, allora ti chiedo scusa pubblicamente. Insomma un bellissimo disco, personale, sicuro, moderno e antico allo stesso tempo. Un buon esordio come pochi ultimamente. E se l’appetito vien mangiando allora proprio di fronte un simile risultato resto “deluso” e dispiaciuto nel vedere che ci si perde appena in arrangiamenti e produzioni, in soluzioni stilistiche che, a differenza di molti, qui si sono proprio cercate, volute ed inseguite. Il risultato spesso non regge. Troppo tutto. E là dove gli ingredienti sono piccoli e sottili, questo “tutto” significa mal messo, mal mixato, mal gestito.

Se un disco simile fosse stato prodotto meglio forse oggi avremmo un altro nome da mettere nell’album delle figurine. Fatta salva sempre la possibilità di aver io ed io soltanto una cattiva educazione all’ascolto, non mi stupirebbe che il suo nome saltasse fuori come dovrebbe meritare. Se la smettessimo di sentire dischi idioti del “mainstream indipendente” ci accorgeremmo di quanta bellezza c’è altrove…e a casa di Teo Manzo ce ne sta parecchia. Buon sentire in questo nuovo 2016. Play Softly.

Autore: Teo Manzo

Titolo Album: Le Piromani

Anno: 2015

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://www.teomanzo.com

Membri band:

Teo Manzo – testi e musica

Tracklist:

  1. Se La Luna Cadrà

  2. Stelle Elettriche

  3. Doors Open On The Right

  4. Polvere E Sole

  5. Buco Nero

  6. Placenta

  7. Lo Strano Caso Dell’incendio All’anagrafe

  8. Le Piromani

  9. Il Processo

  10. Canzone Breve

  11. Delirio E Sollievo

  12. La Leggenda Della Luna

  13. I Ragazzi Del ’99

  14. La Tregua

  15. L’astronave Del Pirata

  16. Valzer Dei Mille Colori

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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22nd Dic2015

The Hangovers – Different Plots

by Marcello Zinno

The Hangovers - Different PlotsI casi della vita sono incredibili e non sempre sono dimostrati da incontri inaspettati ma anche da coincidenze non colte. Scopro che Victor M. de Jonge ha vissuto in Via Mascarella, a Bologna, la stessa via in cui ho abitato io, eppure non ci siamo mai incrociati. Incrocio ora l’album del suo nuovo progetto: dopo la parentesi ska rock dei Braghe Corte, ecco arrivate l’esordio dei The Hangovers, nuovo combo che pesca un po’ da varie scene. La radice cantautorale dei ragazzi infatti si infonde di ritmica; la chitarra, pur se in prima linea, cede spesso il passo ad un groove caraibico, estivo e che tiene il piede in costante battuta. Nell’opener c’era subito balzato in mente un instancabile Bennato agli albori, ma poi il senso cambia passando per gli effetti (musicali e non solo) di Postumi Della Viltà, un brano che abbraccia anche il reggae. Certo, il folk pseudo americano (Bob Dylan) di Qui Da Me è lampante, ma in questo brano e in varie parti dell’album sono presenti refrain spiccatamente pop che posizionano la proposta dei The Hangovers come poco impegnata anche se non del tutto banale strumentalmente (e soprattutto complessa da produrre essendo composta da molti suoni e strumenti che si sovrappongono). Ogni Sera chiude il primo lato del disco e spinge di più sul lato stilistico mainstream, diciamo popolare.

Nella seconda parte dell’album le cose cambiano, si sostituisce alla ritmica una espressività da facile ascolti, molto inglese, marcatamente brit (pop), come in It’s On che potrebbe essere un b-side degli Oasis con una spruzzata di anni 50. L’eccezione è data da Curse The Day, brano dal sapore western ma sempre interpretato alla maniera The Hangovers. Noi reputiamo un po’ più caratterizzante la prima parte, stile che trovava anche una maggiore collocazione a parer nostro a livello live. Difficile a questo punto capire in quale direzione si consoliderà il sound dei The Hangovers. Forse in una terza direzione. Staremo a vedere.

Autore: The Hangovers

Titolo Album: Different Plots

Anno: 2015

Casa Discografica: Unhip Records

Genere musicale: Cantautorale, Folk

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: http://www.thehangovers.it

Membri band:

Victor M. de Jonge – voce, tromba, chitarra

Tristan Vancini – basso, voce

Filippo de Fazio – chitarra, voce

Michele Mantuano – percussioni, voce

Tracklist:

  1. Invece No

  2. Un Anno Fa

  3. Qui Da Me

  4. Postumi Della Viltà

  5. Ogni Sera

  6. Sinner

  7. It’s On

  8. I’am All Right

  9. Curse The Day

  10. Different Pots

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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09th Dic2015

Joseph Martone And The Travelling Souls – Glowing In The Dark

by Marcello Zinno

Joseph Martone And The Travelling Souls - Glowing In The DarkNon poteva non essere dedicato ai viaggi il nuovo lavoro di Joseph Martone accompagnato dai Travelling Souls. Un EP di scarsi 20 minuti che inquadra bene il marchio di Joseph: il suo è un sound a stelle e strisce, un po’ country (40.000 Suns) ma anche un po’ dylaniano, una musica in cui l’importanza della voce e degli strumenti a fiato non mettono in discussione il ruolo della chitarra acustica che tratta solo le linee di demarcazione per il disegno, lasciando appunto agli altri il compito di colorarne i suoi interni. Proprio 40.000 Suns, un buon pezzo, ricorda vagamente nel ritornello Have You Ever Seen The Rain? mentre Wounded Love ritorna sugli scenari americani seppur con una trama di facile ascolto; Resta Cu Me mantiene tutto il fascino partenopeo (eccetto per le liriche), sa (giustamente) di mezzo secolo 900 e ci affascina in buona misura, mentre l’EP si conclude con Big Brown Honey in cui noi ci vediamo un Nick Cave più ritmato e con un pizzico di sapore western.

Un lavoro intricato, che non va in un’unica direzione anche se nel complesso il nostro Martone si avvicina più all’immagine e allo stile del cantautore americano che non di quello tricolore. Musicalmente da apprezzare dal vivo, nell’atmosfera giusta, nell’attesa di riscoprirlo su un full-lenght.

Autore: Joseph Martone And The Travelling Souls

Titolo Album: Glowing In The Dark

Anno: 2015

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautore, Rock d’autore

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: http://www.josephmartoneandthetravellingsouls.com

Membri band:

Joseph Martone – voce, chitarra

Tom Aiezza – chitarra, banjo

Frank Marocco – fisarmonica

Charles Ferris – tromba

Ned Crowther – basso, voce

Ron Grieco – basso

Andrea De Fazio – batteria

Stefano Costanzo – batteria

Valerio Middione – chitarra

Tracklist:

  1. Across The Universe

  2. 40.000 Suns

  3. Wounded Love

  4. Resta Cu Me

  5. Big Brown Honey

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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09th Nov2015

Danilo Di Florio – Scateniamoci

by Alberto Lerario

Danilo Di Florio - ScateniamociImmagini di vita legate alla e dalla musica. Questa è la strada maestra su cui i cantautori si muovono, in particolare quelli del Belpaese, proprio come l’abruzzese Danilo Di Florio. Al monito, titolo del suo album di debutto, Scateniamoci, tuttavia Di Florio non fa seguitare i fatti. Nonostante la sua idea di base sia quella di tornare all’autenticità più vera, per combattere e controbattere la commercializzazione spinta e l’omologazione della musica italiana attuale, il musicista italiano si accosta senza troppo nascondersi ai grandi (cliché) del genere come De Gregori, Dalla ed in parte Rino Gaetano. Naturalmente non c’è nulla di male nel seguire le proprie “muse ispiratrici”, ciò nonostante si dovrebbe avere il coraggio di discostarsene per comunicare in maniera meno omologata e più personale rischiando, per l’appunto, di scontentare qualcuno, rischiando quindi di vendere qualche disco in meno pur di esprimersi più liberamente. Difficile farlo in pieno al primo tentativo e difficile anche pretenderlo dopotutto, l’importante è che i testi siano gradevoli e la musica piacevole e di buon gusto. Di Florio raggiunge proprio questo obiettivo, forse il più importante e difficile da realizzare quando si compone un album. Tra tutte le tracce spicca la title track, Scateniamoci, grazie all’influenza rock ed al groove differente rispetto agli altri brani che gli conferisce un’anima più aggressiva.

Forse per nostro gusto personale attendiamo e speriamo che il prossimo album segua maggiormente questi dettami, in modo che Di Florio si crei un proprio percorso.

Autore: Danilo Di Florio Titolo Album: Scateniamoci
Anno: 2015 Casa Discografica: Music Force
Genere musicale: Cantautorale Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.danilodiflorio.com
Membri band:

Danilo Di Florio – voce, chitarra

Tracklist:

  1. Volevo Fare Il Cantautore
  2. Scateniamoci
  3. Se Ti Va
  4. Così Lontano
  5. I Vestiti Di Marlene
  6. Se Stai Marciando
  7. Canzone Di Natale
  8. La Casa In Campagna
  9. Strane Visioni
  10. Woody Allen
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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03rd Set2015

Turkish Café – Cambio Palco

by Paolo Tocco

Turkish Café - Cambio PalcoPoco da dire. L’ascolto di un disco è sempre altamente condizionato dalla genesi del suo fruirne. Frasi difficili, come a dire in parole spicciole: la bellezza e la comprensione di un’opera dipende da come la si approccia, quale ordine segui per l’ascolto, se ne vedi un video prima o ne leggi un testo poi…Ecco che torna l’importanza di un supporto fisico che impone (almeno blandamente ci prova) una consecutio tempore al da farsi. Inutile qui ricacciare vinili e audiocassette dove il tema diveniva imperante e ineluttabile. Ora siamo al play da click. Desolazione. Archiviamo tutto questo e passiamo oltre. Per il disco dei Turkish Café, purtroppo ho commesso il grave errore di pigiar play sul video del singolo L’amore Cade Addosso. Bellissimo. Ben fatto. Ottimo. Buonissima scrittura, bella voce, bei suoni…un design gustoso in tutte le sue parti che sposa a pieno quel lieve sentore circense di una musica che non cerca novità ma che fa incetta di semplicità. Neanche il video sprizza originalità da tutti i pori, anzi, tema visto e rivisto in più salse. Ma non importa e ci va bene così. Bel viaggio davvero. Poi son passato alla biografia del trio marchigiano nato tra le strade di Bruxelles e dall’incontro di Veronica (voce) e Julián. Poi l’aggiunta di Simone Pozzi e il trio al completo dà vita ad una stagione di live, un esordio discografico e questo secondo capitolo già vecchio di un anno dal titolo Cambio Palco. E forse, che sia un “cambio di scena” anche…perché dalle prime tracce del disco che subito confermano il sentore di strade, di viaggio, di quelli ornamenti circensi, il disco poi si tradisce e perde di spunto, di ispirazione, di semplicità ma soprattutto di contenuto.

Difficile esprimere un commento che sia meno banale di quello che ho in canna pronto a sparare…ma davvero l’ascolto mi porta fuori strada lasciandomi perdere in un nonsense melodico e di genere. Non un disco etnico come volevano anticipare i primi dettagli che ho avuto modo di raccogliere strada facendo. Non un disco elettronico anche se poi ad un tratto i synth la fanno da padrone. Non un disco acustico pur avendo sempre alla mente la bellissima traccia inserita in seconda posizione Il Tempo Che Ho Perduto che senza se e senza ma mi trascina di prepotenza tra le strada di una Turchia multietnica. Bellissima atmosfera che poi…che poi si perde inspiegabilmente e che con sé porta via il filo logico che speravo continuasse a lustrare il cammino di un bel progetto da carovana nomade a spasso per l’Europa e non solo, di sicuro a spasso tra carrozzoni e teatri di periferia, quasi a voler ricordare e ricordarsi com’era il circo di anni fa, prima dell’avvento del touch screen. Sempre brutto per il mio ascolto un italiano che canta in inglese. Insopportabile direi. Ma questi sono limiti miei e i Turkish Cafè così si giocano due brani della tracklist…ma questi, ripeto, sono problemi miei.

E dalla Turchia e i suoi tappeti, passando per il più ovvio pop italiano (che c’entra???), gettando l’occhio ad un’America che è sì molto lontana almeno a questo giro (che c’entra???), scopro una delicatissima nenia dedicata alla vita e qui si raggiunge addirittura l’Islanda dei Sigur Ros…che c’entrano??? Quindi a dirla tutta, non sono riuscito troppo a coglierne il senso. Viaggiare si…ma così è troppo…troppo difficile dargli un senso…almeno per me. Forse è il viaggio a zonzo. O forse manca una struttura artistica e una linea stilistica da seguire. O magari è solo l’estate che ancora deve smettere di carburare.

Autore: Turkish Café

Titolo Album: Cambio Palco

Anno: 2015

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 5

Tipo: CD

Sito web: http://www.turkishcafe.it

Membri band:

Veronica “Annie Hall” – voce, tastiere

Juli·n “Julico” Corradini – voce, chitarra

Simone “Sus” Giorgini voce, contrabbasso

Simone “Gordo” Pozzi – voce, batteria

Cristiano “Doc” Giuseppetti – voce, violino, tastiere

Tracklist:

  1. Controlla

  2. Il Tempo Che Ho Perduto

  3. L’amore Cade Addosso

  4. Sto Piangendo

  5. Specchio

  6. Johnny The Seahorse

  7. Porcellana Fragile

  8. Sorridi

  9. Locanda San Rocco

  10. Fuoco Sacro

  11. C’ë

  12. A Million Years

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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06th Ago2015

Vallone – Multiversi

by Paolo Tocco

Vallone - MultiversiConosco Paolo Farina di fama e devo dire che il gioco dell’ascolto partiva male, pregno di un mio infantile quanto banale pregiudizio, approccio italico che spesso condanno a me stesso prima e agli altri poi. Il suo progetto Humana Prog – Fiori Frutti Farfalle è forse il capitolo della sua carriera che meno ho compreso. Ma ritengo siano problemi miei e tali devono restare. Poi ho premuto play sul primo brano dal titolo Le Montagne Sono Alte, ballata dall’inciso ficcante che si impone (forse) con eccessiva prepotenza. Attenzione: ritrovare le stesse identiche note e la stessa identica cellula melodica di Wake Up When September Ends dei Green Day come primissimo incontro sonoro direi che non mi ha affatto aiutato a venir fuori dal fango delle aspettative. Ma il saggio dice che si è tali quando ci si mette in discussione. E così, continuando a sperare che questa sia solo un’ovvia citazione, sfoglio il resto del disco e scopro che Multiversi di Vallone (nome in codice per questo nuovo inaspettato progetto di Paolo Farina) è un gran bel disco di musica d’autore italiana. La risalita dai “fanghi” è stata dura ma onore al merito ce l’abbiamo fatta. Come si dice: oltre il valico, la luce.

Paolo Farina sotto mentite spoglie ci riporta con assoluto incanto nell’Italia musicale degli anni ’70 / ’80 con una timbrica vocale che difficilmente non assoceremmo al Celentano nazionale, ma con un ventaglio di canzoni ben prodotte, ottimamente suonate e dai testi semplici ma mai banali. Il popolo adulto e il suo ascolto maturo di anni e di esperienze è il target principale di questo lavoro che non strizza mai l’occhio all’ovvio e al commerciale ma solo a quello che, di ovvio e commerciale, un tempo affollava le charts. E ritroviamo stilemi che hanno fatto epoca, da quel vintage di Rimmel alle fondamenta di Alan Sorrenti passando per il boom economico dei grandi magazzini. Ballate della tradizione folkloristica italiana quindi, quando la musica leggera raccontava prima ancora di emozionare. Ed è così che Paolo Farina (Vallone per gli amici di oggi) racconta prima ancora di emozionare, celebra Raf Vallone, giornalista e attivista politico e tanto altro, ne indossa il nome, e celebra quel modo “antico” di fare musica.

Torniamo alle cellule melodiche: spesso e volentieri ne troviamo una ed una soltanto che – attenzione: niente di assurdo ma solo mestiere – si ripete per tutto il brano senza annoiare ma inchiodando all’ascolto. Raramente ci sono incisi da ritornello facile, raramente anche i testi si delineano in questa forma strutturale. L’apice di tutto questo, il vertice in merito a gusto e mestiere – a mio umile parere – è il brano Camilla che devo riascoltare a ripetizione per capire cosa ci sia di tanto stregante dentro. Lele Battista e altre firme importanti alla produzione che lasciano evidenziare da subito un certo modo di produrre, maturità nei suoni e nelle esecuzioni, senza gridare al miracolo e senza inventarsi organze fuori stile in cerca di inutile originalità…e senza neanche far finta di riprodurre un vintage che non saremmo mai capaci di riportare in vita che che se ne dica nei corridoi dei benpensanti da bar del mestiere che adornano studietti improvvisati di tecnologie fintamente analogiche mai in uso…di sicuro mai in uso corretto.

Il passato di oggi nei tempi moderni, una scrittura fuori moda ma proprio per questo, probabilmente, fascinosa nel suo essere “nuova” per le nuove generazioni di ascoltatori. Dagli abissi alle stelle. Bel disco. Bravo Vallone. Bravo Paolo Farina.

Autore: Vallone

Titolo Album: Multiversi

Anno: 2015

Casa Discografica: I Musica

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/progettoVallone

Membri band:

Paolo Farina – musica e produzione artistica

Musicisti: Paolo Farina, Lele Battista, Giorgio Mastrocola, Silvio Centamore, Donato Pugliese, Evasio Muraro, NiccolÚ Bodini, Val Bonetti, Stefano Danesi, Guido Rolando, NiccolÚ Pozzi, Ermanno Fabbri, Nicolas Schrecklinger, Antonio Valente, Massimo Bonuccelli, Armando Illario, Emanuele de Francesco, Marta Charlotte Ferradini, Cristina Greco

Tracklist:

  1. Le Montagne Sono Alte

  2. La Stanza Delle Tre Ombre

  3. Giorni Uguali

  4. Giulia Giura

  5. Camilla

  6. Polo Nord

  7. Oltre

  8. Non Sognare

  9. Sette Anni Fa

  10. Quando Saremo

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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21st Lug2015

La Linea Del Pane – Utopia Di Un’Autopsia

by Alberto Lerario

La Linea Del Pane - Utopia Di Un’AutopsiaLa decadenza moderna è ormai un rifugio per molti artisti contemporanei, la Musa dei tempi moderni. La Linea del Pane, band del milanese, decide però di fare un passo indietro per guardare tutto da una prospettiva differente. Basta stare fermi e crogiolarsi nella malinconia anestetizzante che fa da sfondo a tutti noi, soprattutto per alcuni artisti di stampo cantautorale. Sarebbe ora di auspicare una fine, sarebbe ora di fare un elogio alla fine che soppianti la fine delle idee. Tutto questo forse è ancora da considerarsi un’utopia, un’Utopia Di Un’Autopsia per l’appunto. Concept album che racconta di storie in cui il confine tra inizio e fine è talmente vicino da poterle considerare la medesima cosa. Certo viene da pensare che la band milanese basi tutto il suo concept sulla decadenza, argomento che vorrebbero rifuggire in realtà, ma essendo il loro primo full length album è forse anche giusto che sia questo il loro punto di partenza. Lo stile dei testi è quello del cantautorato italiano, nel bene e nel male. Le parole sono soppesate e posizionate al millimetro, tuttavia l’eccessivo allegorismo annacqua il messaggio di fondo, cadendo oltretutto in una sovrabbondante verbosità, compromettendo la gradevolezza delle armonie vocali.

Per fortuna La Linea del Pane riesce ad esprimersi con sonorità coinvolgenti e per certi versi più moderne dato il genere. Arpeggi morbidi si fondono con riff distorti, la bussola musicale traccia una strada che parte dal pop rock made in UK ed arriva al rock US ispirato da Neil Young. Urlo di Ismaele, Ambrosia e Solstizio d’Inverno le tracce più riuscite e coinvolgenti. Nel panorama cantautorale italiano, Utopia Di Un’Autopsia è una bella novità che potrebbe far presa non solo sul popolo del rock. Album gradevole che però corre su un filo radical chic (come accade spesso in questo genere), senza per fortuna spezzarlo, ma è anzi teso a dovere. La Linea del Pane dovrà dosare attentamente i suoi passi anche in futuro.

Autore: La Linea Del Pane

Titolo Album: Utopia Di Un’Autopsia

Anno: 2015

Casa Discografica: QB Music

Genere musicale: Cantautorale, Rock

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: http://lalineadelpane.com

Membri band:

Teo Manzo – voce, chitarra

Marco Citroni – basso

Kevin Every – batteria

Tracklist:

Preludio

1. Apologia Della Fine

Tempo Primo

2. Urlo Di Ismaele

3. Tempo Da Non Perdere

4. Favola Non Violenta (Indovinello n°1)

5. Specchio

6. Ambrosia

Tempo Secondo

7. Occhi Di Vetro

8. Gli Alberi Di Sophie

9. Favola Non Violenta (Indovinello n°2)

10. Nekropolis

Epilogo Primo

11. Solstizio D’Inverno

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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16th Lug2015

Bifolchi – Diario Di Un Vecchio Porco

by Paolo Tocco

Bifolchi - Diario Di Un Vecchio PorcoBukowski gioca a carte ubriaco con un pazzo divenuto pazzo per amore, tornato da una Germania lontanissima e ritrovando la dolce Carmela in un’Italia in cui la retorica e belle parole di etiche (fin troppo didascaliche) la fanno da padrone, giocherellando tra feste di piazza, carrozzoni e quel maledettissimo divano che ci tiene inchiodati davanti alla tv (parlando dei più vecchi) o davanti ai social network (parlando dei più giovani). Dalla toscana mi suona l’esordio dei Bifolchi dal titolo Diario Di Un Vecchio Porco, un disco che non ha peli sulla lingua, che non la manda a dire, che s’indigna e che fa denuncia ma – ben intenso – sempre dal suo divano come fa l’esperto conoscitore del mondo che conosce e che racconta a tutti noi la vita di queste maledette città e lo fa attraverso colori accesi e prepotenti, “circenserie” varie e quel folk irriverente e strafottente di chi sceglie personaggi e quotidiana crisi sociale per sbeffeggiare casa nostra…anche sua. Allora direi niente di nuovo sul fronte occidentale, un disco come tantissimi che oggi quasi va di moda, come troppi aggiungerei, oggi che abbiamo preso l’abitudine malsana e ormai di cattivo gusto (come tutte le cose perpetrate e ripetute troppo a lungo) di fare dell’ironia facile e ben piazzata sulle nostre stesse colpe. Arte e ben mestiere, quello italico, di parlare e giudicare e puntare dita e far denuncia…e poi…”poi fatela voi la rivoluzione” – parafrasando e citando versi dell’inciso de Divano Revolution, prima traccia del disco e di cui in rete abbiamo anche un gran bel videoclip che penso racchiuda in sé tutto o quasi l’entourage di ingredienti portanti di questa opera prima.

Ascoltandola, personalmente richiama alla memoria le mie prime produzione degli U’Papun (2011 – Fiori Innocenti), solo che questa volta abbiamo un taglio decisamente più morbido e popolare. Sono 9 le tracce di questo disco che siedono su un letto sonoro ben arrangiato e custodito con mestiere, frutto anche della firma di Antonio Castiello che, come da copione, realizza anche produzioni di generi abbastanza complici a questo, come Bobo Rondelli, Gatti Mezzi etc. Si gioca con la ritmica e con i suoi matti, si fa questo dalla prima all’ultima traccia in Diario Di Un Vecchio Porco. C’è del rock, del timidissimo rockabilly, c’è del reggae abilmente smascherato come nella seducente La Bella Del Paese fino a ripescare i colori a pastello dell’Irlanda e le cere statuarie di Rino Gaetano nella splendida Anche I Matti Impazziscono Per Amore. Benvenuti amici Bifolchi, rivoluzione o no, scendete in campo dove siamo tutti, lo stesso campo che tutti condanniamo e che nessuno ha voglia di rivoluzionare. Io per primo, s’intenda. Non sono migliore e peggiore di nessuno. Per fortuna esistono le critiche e i commenti a sciacquar le coscienze e per fortuna, di quando in quando, esistono dischi belli di giovane e fresca musica italiana, come questo, che sanno come dir qualcosa d’importante strappando qua e là divertimento e sorrisi senza mai abbandonare il gusto per il buon mestiere.

C’è ancora molto da fare…ma le premesse sono molto molto interessanti. Premo play di nuovo dal mio vecchio divano…meno male che abbiamo i telecomandi.

Autore: Bifolchi

Titolo Album: Diario Di Un Vecchio Porco

Anno: 2015

Casa Discografica: Cornia Dischi

Genere musicale: Cantautorale, Folk

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: https://it-it.facebook.com/ibifolchi

Membri band:

Samuel Pellegrini – basso, voce

Francesco Giomi – batteria, percussioni

Salvatore Brasco – voce, chitarra

Nico Grassi – chitarra, voce

Tracklist:

  1. Divano revolution

  2. Un vecchio porco

  3. Gli amanti

  4. Anche i matti impazziscono per amore

  5. Il farmacista

  6. La gente mormora

  7. La banda della gallina

  8. La nana e la scimmia

  9. La bella del paese

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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13th Lug2015

Nicolas J. Roncea – Eight

by Amleto Gramegna

Nicolas J. Roncea - EightL’autoproduzione, il registrare un disco “in casa”, il diy, il low-fi sono state grandi conquiste, nell’ambito musical-discografico, degli ultimi anni ma, anch’esse non sono state prive di errori: per una gemma che nasceva in questo modo vi erano orrori in giro di tutti i tipi e di tutte le fogge. Youtube, tanto per dire un nome, è un esempio lampante. Chiunque può mettersi chitarra (o altro) alla mano e snocciolare il suo rosario di canzoni. Ancora di più con i vari social musicali. Perché questa premessa? Perché il disco che recensiamo del cantautore italo-belga Nicolas J. Roncea nasce proprio così. Autoproduzione, chitarra acustica, un ventaglio di canzoni, otto come dice il titolo, sparate al microfono. Nelle intenzioni dell’autore questo è il primo lavoro di una trilogia, con stili adottati di volta in volta differenti. In questo lavoro è la vena intimista ed acustica– come già detto – a prevalere ed i brani funzionano. Inutile negare che il faro musicale del nostro è Elliot Smith, a tratti sembra quasi imitarlo ed è probabile (vedi The Storm) che alcuni brani siano proprio tributi allo scomparso musicista americano.

Degli otto brani è presente una cover, The Animals Were Gone di Damien Rice, unico brano in cui il protagonista approda al pianoforte rispetto alla chitarra acustica. Teniamo d’occhio i prossimi capitoli di questo musicista, siamo sicuri che riserverà grandi sorprese. Intanto non possiamo che suggerirlo a chi cerca musica sofisticata, d’autore e lontana dai suggerimenti commerciali.

Autore: Nicolas J. Roncea

Titolo Album: Eight

Anno: 2014

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.nicolasjroncea.com

Membri band:

Nicolas J. Roncea – voce, chitarra, pianoforte

Tracklist:

  1. Forever With Her Ghost

  2. Sand In My Eyes

  3. The Storm

  4. Find Me

  5. He’s Wrong

  6. Mary J.

  7. December

  8. The Animals Were Gone

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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02nd Lug2015

KPNB – Katsushiro Perso Nel Bosco

by Paolo Tocco

KPNB - Katsushiro Perso Nel BoscoDa Milano a Genova passando per l’Appennino emiliano per fermarsi a casa di Giovanni Lindo Ferretti, ascoltando De Gregori e Da Andrè senza sosta e senza pregiudizi. Alla fine, prima di chiudere occhio e archiviare la giornata, passiamo a far cena con un vecchio anziano un tempo soldato della resistenza e rubiamogli quella sempre verde energia divenuta matura di attese e di contemplazione. Mescoliamo il tutto in un contenitore gigante, prezioso, ricco di dettagli e di ricami fatti a mano. Lasciamo decantare per giorni perché, se mangiato subito il disco d’esordio dei KPNB non restituisce a pieno il suo potenziale. Ecco il loro debutto, omonimo: Katsushiro Perso Nel Bosco. Da una Milano di reazione ostinata e contraria, dall’incontro tra Massimo Conte e cesare Biratoni, viene fuori un lavoro che salta a piè pari la staccionata del pop e si va a sedere comodamente in una nicchia di saccenti intenditori della parola e di quella musica che non fa ballare ne tanto meno deve divertire o riempire spazi di sottofondo per chi sta facendo altro. È musica da sentire, da vivere, da assimilare, astuzia dopo astuzia, intimo dettaglio dopo intimo dettaglio. Non è un lavoro che sulle prime mi ha fatto impazzire avendo una personale repulsione verso la voce narrante sui brani di musica leggera. Un qualche tipo di scimmiottante emulazione di quello che hanno cercato di replicare Lo Stato Sociale…tutti figli e figliocci mai registrati all’anagrafe di quel che un Lindo Ferretti e suoi CSI e contaminazioni limitrofe hanno fatto in anni in cui la musica era politica, era rivoluzione.

Un parlato non è canzone e si veste di maggiori responsabilità nei messaggi. E in questo disco non credo che le parole narrate reggano il peso dei significati che vogliono restituirci. Ma basta concedere armonia al tutto per scoprire la vera faccia dei KPNB che incantano con una semplicità espressiva incastonata in una forma canzone assai poco banale e per niente scontata. Bel viaggio in musica, calda, solitaria, intima e ricca di una calma apparente che diventa rabbia che diventa passione, che diventa testimonianza. Cantano e inneggiano ad una coscienza civica, ad un pluralismo di vedute, rimarcando i grandi errori e auspicando ad un’utopia di miglior futuro. Bellissimo e suggestivo il video che traina a sé il singolo, titletrack del disco e poi ancora, opera omnia di tutta la tracklist, è la suite di oltre 7 minuti dal titolo Il Paesaggio Di Un Lunedì Qualunque. Per raccontare un paesaggio ci vuole tempo, ci vuole calma d’ascolto e pazienza di cura e di dettaglio. Probabilmente si vorrebbe un’attenzione vocale maggiore e migliori soluzioni per chi ha il palato fine. Probabilmente una suite così lunga tradisce ancora molto un’ingenuità che, nel contesto di un esordio, forse si può anche perdonare.

In ultimo avrei scelto ben altri suoni e maggior mestiere nella produzione soprattutto dopo aver letto che questa è firmata da Giuliano Dottori, uno dei nomi che maggiormente stimo nella nuova scena della canzone d’autore italiana. Archiviato questo, premo di nuovo play e mi immergo in questo bel viaggio a spasso tra città distrutte dalla guerra ma in piena rinascita. La rinascita: ecco un bel leitmotiv di questo disco. “Ogni gesto di resistenza è un gesto d’amore”.

Autore: KPNB

Titolo Album: Katsushiro Perso Nel Bosco

Anno: 2015

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Cantautorale

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.kpnb.org

Membri band:

Giorgio Albani – batteria e percussioni

Cesare Biratoni – chitarra

Massimo Conte – voce, chitarra

Alberto Moscatelli – basso

Leonardo Sala – voce, piano, diamonica

Tracklist:

  1. Tifiamo Rivolta

  2. Katsushiro Perso Nel Bosco

  3. Lieve

  4. Pratica

  5. Cf

  6. Il Paesaggio Di Un Lunedï Qualunque

  7. Prometeo Su Dresda

  8. Chas

  9. Thyssenkrupp

  10. Considerazioni Sulla Crisi Contemporanea

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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