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24th Lug2018

Dogmathica – Start Becoming Nothing

by Marcello Zinno

Dogmathica - Start Becoming NothingNuovo progetto musicale, i Dogmathica, e primo album, Start Becoming Nothing. La band registra otto tracce che si muovono nel solco della tradizione djent, di quella che ha condotto progetti a livello mainstream (Meshuggah) ma che dà sempre nuova linfa anche in ambito emergente (A Total Wall, Kazah, Prologue Of A New Generation giusto per citarne alcuni). Nei Dogmathica la vena più “Meshuggah-style” è però molto forte (ascoltare Obzen per avere un riferimento), nelle loro tracce manca la tecnica fine a sé stessa, piuttosto i riffoni si accavallano compatti in un turbinio di tempi asimmetrici e finemente aritmetici che conducono l’ascoltatore alla follia. Anche le linee vocali seguono pedissequamente quelle di Jens Kidman rendendo ancora più ruvida e cruda la proposta. Tendenzialmente l’intero full-lenght conferma queste nostre considerazioni, ci sentiamo di segnalare Rise Up che manifesta un incedere più groovy, seppur sempre parente del djent, e che sul finire rallenta i ritmi per una sorta di intermezzo strumentale breve ma intenso; ma anche Screaming In The Darkness, che spinge il piede sulla violenza sonora e che piacerà anche a chi è appassionato di altre aree (sempre estreme) del metal.

La prova è, come detto molto molto affine alla proposta già creata e diffusa dalla band svedese che in questo genere ha fatto scuola. Questo ne spiega i lati positivi e quelli negativi: indubbiamente può creare puro godimento per i fan del genere, anche grazie ad una produzione molto ben curata; d’altra parte va bene come debutto ma ci si aspetta di più in futuro in termini di personalità e di differenziazione. Interessante l’artwork, peccato per la mancanza di testi e di un booklet che avrebbe potuto arricchire la natura artistica del progetto e magari delinearne qualche tratto di singolarità.

Autore: Dogmathica

Titolo Album: Start Becoming Nothing

Anno: 2018

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Djent

Voto: 7,25

Tipo: CD

Sito web: https://dogmathica.bandcamp.com/

Membri band:

Stefano Pilloni – voce

Sergio Boi – chitarra

Matteo Spiga – chitarra

Gianni Farci – basso

Alessandro Castellano – batteria

Tracklist:

  1. Praghma

  2. Chanel N°0

  3. Decadancers

  4. Start Becoming Nothing

  5. Rise Up

  6. Screaming In The Darkness

  7. Hatred

  8. Burnum

Category : Recensioni
Tags : Djent
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13th Giu2018

Kazah – Feed Your Beast

by Marcello Zinno

Kazah - Feed Your BeastArrivano dall’Ungheria e dopo qualche anno per mettere a fattor comune le proprie idee sono pronti a dare alla luce il loro primo album di stampo metal moderno come nell’Est Europa non è poi così comune. Per quanto concerne i suoni siamo nei territori del djent, al netto però dei tempi ritmici e degli stacchi che di solito fanno impazzire i fan del genere, un vero e proprio esercizio di modern metal cadenzato e regolare con growl che ispessisce la proposta e la rende più adeguata per fan di Fear Factory e compagnia, anche se in alcune parti si accelera e sopraggiungono le influenze più estreme (la band scomoda l’hardcore per descrivere il proprio genere ma sono indubbiamente più sbilanciati sul metal). Qualcuno potrebbe parlare di alternative metal anche se noi vediamo un rimando più al metal di decenni fa per struttura, nonostante sia vestito in maniera assolutamente attuale e potenziato da una produzione assolutamente di impatto. Before I Die, uno dei brani che più ci è piaciuto, presenta un ottimo riffing, devastante nell’intro ma poi si rilassa e passa ad un palm mute molto cadenzato nelle strofe, mentre Modern Slave ha qualcosa di più orecchiabile ma allo stesso tempo eroga headbanging senza limiti.

Brani molto lunghi e che talvolta presentano delle buone variazioni per condurre l’ascoltatore fino alla fine della singola traccia. Se però si scava in profondità si nota ben poco di particolarmente innovativo, una buona interpretazione di metal moderno con cantato ruvido che può trovare spazio sicuramente oltre i confini nazionali, anche se può sentire la competizione di proposte più originali.

Autore: Kazah

Titolo Album: Feed Your Beast

Anno: 2017

Casa Discografica: Ghost Label Record

Genere musicale: Djent, Heavy Metal, Death Metal

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: https://kazah.bandcamp.com

Membri band:

Bodnár Péter – voce

Szabácsik István – chitarra

Adamcsik Zsolt – chitarra

Németi Zsolt – batteria

Stephen Ollak – basso

Tracklist:

  1. Puppets

  2. Never Look Back

  3. Straight Ahead

  4. Before I Die

  5. Modern Slave

  6. Another Me

  7. Hope And The Truth

  8. Xis

Category : Recensioni
Tags : Djent
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28th Nov2017

Nothing More – The Stories We Tell Ourselves

by Trevor dei Sadist

Nothing More - The Stories We Tell OurselvesThe Stories We Tell Ourselves è il nuovo full length in casa Nothing More. Ci troviamo di fronte a nuove forme di rock più o meno duro, anche se la band spazia su varie regole e molto dipende dalla singola canzone. Potremmo considerare la band djent metal, metalcore, nonostante le sfumature si sprechino. Chorus melodici e di facile interpretazione, metriche costituite da buon groove, suoni electro, synth, le intenzioni insomma non mancano. Trovo che tale genere sia figlio illegittimo del rock di penultima generazione dove già con l’ondata nu metal nuovi tentativi erano stati sperimentati, poi c’è stato l’avvento del metalcore e ora queste band che sfociano nel djent, math metal. Da sempre il rock è il parallelo di un albero, dove i rami prendono forme personali pur restando collegati al fusto di partenza. Devo dire che non sono un amante di tali generi forse anche per un discorso puramente anagrafico, tuttavia riconosco che la band è preparata e certamente le linee di voce non passeranno inosservate specie tra le ragazzine che si vogliono avvicinare a qualcosa che non sia necessariamente mainstream ma che al tempo stesso non gli possa fare troppo male. In alto il nostro saluto!

Autore: Nothing More

Titolo Album: The Stories We Tell Ourselves

Anno: 2017

Casa Discografica: Better Noise Records

Genere musicale: Djent, Metalcore

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.nothingmore.net

Membri band:

Jonny Hawkins – voce, batteria

Mark Vollelunga – chitarra, voce

Daniel Oliver – basso, voce

Ben Anderson – batteria

Tracklist:

  1. (Ambition: Destruction)

  2. Do You Really Want It?

  3. (Convict: Divide)

  4. Let ‘Em Burn

  5. Ripping Me Apart

  6. Don’t Stop

  7. Funny Little Creatures

  8. (React: Respond)

  9. The Great Divorce

  10. Still In Love

  11. (Alone: Together)

  12. Go To War

  13. Just Say When

  14. (Accept: Disconnect)

  15. Who We Are

  16. Tunnels

  17. (End: Degin)

  18. Dafein / Fadeout

Category : Recensioni
Tags : Djent
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31st Ott2017

Currents – The Place I Feel Safest

by Trevor dei Sadist

Currents - The Place I Feel SafestSarebbe una tremenda menzogna dicessi che i Currents non hanno una buona dose di adrenalina, sfogata attraverso un sound deciso che svaria tra i canoni del groove metal ma non solo, anche perché dentro la musica dei terribili ragazzacci del Connecticut ci sono diverse sfumature, dall’electro al nu metal degli anni novanta e qui mi sento di scomodare band quali i primi Linkin Park, nonostante i Currents sono certamente più “cattivi”. Si sale in sella a questo The Place I Feel Safest con l’opener Apnea si tratta della classica song apripista con un buon tiro, capace di farti immergere nelle sonorità del disco, tuttavia il lato più “melodico” della band lo troviamo dalla successiva Tremor, capace di portare l’ascoltatore dalla sua con un chorus che entra in testa senza alcuna difficoltà. I temi “morbidi” durano poco con Night Terrors, siamo rigettati nelle sonorità più estreme, ma questo non è un travestimento, i Currents sono dannatamente americani e di questa loro tradizione hanno ereditato proprio tutto: i temi decisamente violenti, le trame melodiche, quelle che tanto gradiscono i liceali. Inutile dire che la produzione rende tutto più semplice, specie il giudizio poiché ogni singola canzone è esaltata da suoni potenti, nitidi, cristallini nella rabbia di questi giovani. Brian Michael è il singer dei Currents, devo dire che il ragazzo ci sa davvero fare, la sua voce ti stordisce, complice la passione per l’hardcore e qui tutta la veemenza è sputata fuori con decisione, i temi si fanno più oscuri ci pensa il growl di Brian a rendere tutto quanto più malvagio ma non è tutto, il frontman non ha difficoltà neanche a vestire i panni del bravo ragazzo, regalando ai fan una grande prestazione dove c’è da tirare fuori pillole di amore e melodia.

Delusion, Withered, Dreamer, Forget Me, mi trovo a metà full lenght in un batter d’occhio, di certo non mi sono annoiato, anzi il sali/scendi del sound Currents mi diverte e mi fa sentire più giovane, tra rimandi a Slipknot, Lost Prophets, Avenged Sevenfold, 30 Second To Mars, dei Linkin Park abbiamo già parlato. Giungo alla title track con la consueta curiosità, sarà questo il brano migliore? Difficile da dire, in effetti non ci sono trame deboli, a conferma le ottime idee di quest’ultima. Una durata media di 3:30 a canzone fa sì che i Currents siano sempre d’attualità e mai stucchevoli, e così Silence prima e Best Memory poi ci conducono verso l’ultima parte dell’album sferrando colpi letali, sotto a riff che appaiono e scompaiono come granate, così la sezione ritmica sempre in grado di sostenere le idee delle sei corde, facendo spazio quando serve a chorus ammiccanti. Non credevo di amare questo genere, forse è così, tuttavia il mio giudizio non può certo andare a compromettere l’ottimo lavoro dei Currents: The Place I Feel Safest è un album ricco in tutti i sensi che proietta la band nei quartieri alti della musica. In alto il nostro saluto!

Autore: Currents Titolo Album: The Place I Feel Safest
Anno: 2017 Casa Discografica: SharpTone Records
Genere musicale: Djent, Metalcore Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.currentsofficial.com
Membri band:

Jeff Brown – batteria

Chris Wiseman – chitarra

Brian Michael – voce

Dee Cronkite – basso

Ryan Castaldi – chitarra

Tracklist:

1.      Apnea

2.      Tremor

3.      Night Terrors

4.      Delusion

5.      Withered

6.      Dreamer

7.      Forget Me

8.      The Place I Feel Safest

9.      Silence

10.  Best Memory

11.  Another Life

12.  I’m Not Waiting

13.  Shattered

Category : Recensioni
Tags : Djent
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06th Set2017

Prologue Of A New Generation – Mindtrip

by Marcello Zinno

Prologue Of A New Generation - MindtripRigorosamente italiani, i Prologue Of A New Generation puntano a bucare la scena djent/prog-core italiana con intenti simili ai Destrage, tentando di creare una scena tricolore in questo filone musicale molto esterofilo. A differenza però dei “cugini” milanesi, i POANG inseriscono meno violenza e tempi più djent che non di metal estremo, per questo li vediamo più vicini a band come TesseracT e Protest The Hero: il loro stile si poggia completamente su un riffing stoppato e calibrato ma, ciò che ci colpisce, è che riescono anche di tanto in tanto ad inserire una buona visione melodica grazie anche alla presenza di due chitarre e all’idea di rendere il tutto più commestibile (alcuni ritornelli in clean vocal possono essere cantati dopo pochi ascolti, come con Introspective). L’incedere militare e aritmetico (si ascolti ad esempio la titletrack o Shiva), quasi math-core, è la base del sound dei Nostri che evitano tecnicismi esasperati, piuttosto creano una visione musicale propria e compatta; qualcuno potrà trovare più di un accostamento ai Meshuggah ma le melodie citate prima, comunque non del tutto onnipresenti, li distinguono dalla band di Jens Kidman e Soci.

In parallelo a questi momenti vi sono tracce ben più distruttive come Karmic Law (in particolare le sanguinarie strofe) in cui il metal prende il sopravvento e l’headbanging diventa spontaneo. Un altro fattore frutto di un ascolto puramente personale è l’evidenza di un approccio post-metal che aleggia dietro alcune tracce, dietro la cadenza canora e le ambientazioni cupe, come se la band avesse trascorso anni ad ascoltare Deftones e simili e abbia metabolizzato quel sound facendolo proprio. Al di là di ciò il personale djent rappresenta un buon esercizio di stile che permette l’ingresso dei Prologue Of A New Generation tra le band della scena da tenere sotto controllo in futuro.

Autore: Prologue Of A New Generation

Titolo Album: Mindtrip

Anno: 2017

Casa Discografica: Antigony Records

Genere musicale: Djent, Prog-core, Math-core

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://soundcloud.com/prologuebandofficial

Membri band:

Mirko Antoniazzi – voce

Cris Merz – chitarra

Nico Tommasi – chitarra

Filippo Tonini – batteria

Dionis Platon – basso

Tracklist:

  1. Roots And Bones

  2. Black Hands

  3. Introspective

  4. Mindtrip

  5. Karmic Law

  6. The Perfection Exists

  7. Neverbloom

  8. Shiva

  9. Skyburial / Jhator

Category : Recensioni
Tags : Djent
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05th Set2017

A Total Wall – Delivery

by Trevor dei Sadist

A Total Wall - Delivery albumIl sound degli A Total Wall è difficile da collocare e questo fatemi dire è un punto a loro favore. Certo qua e là ci sono rimandi a band del passato e del presente, ma quello che ho apprezzato è appunto il provare a miscelare diverse soluzioni per poi riuscire a costituire il proprio suono, contaminato da groove metal, con riff di scuola Meshuggah, metriche di voce schizoidi e improvvisi chorus melodici di matrice heavy classic. Il moniker della band ci trascina dritti a un muro, quel muro di suoni che fanno male, tra accelerazioni, tempi dispari, riff mai banali. Andare a ripetermi potrebbe non essere bello, forse ormai è una cosa scontata, tuttavia ancora una volta ci troviamo di fronte a una band davvero interessante con residenza nel nostro Paese, non cerchiamo fuori quello che di buono possediamo già in casa. Ma torniamo al disco. Nonostante sia l’album di debutto suona già come un qualcosa di consolidato, a dimostrazione che la band nel corso di questi anni e dopo diversi EP è maturata, avendo acquisito l’esperienza giusta, quella che fin dalle prime note di Delivery emerge. L’apripista Reproaching Methodologies è un concentrato di rabbia sonora, potenza, adrenalina e follia, c’è poco spazio per rilassarsi, il muro di suoni è ormai alzato, solo qualche respiro dettato appunto da chorus a voce pulita, come nel caso di Maintenance, dove i nostri provano a travestirsi da “nu metaller”.

Si picchia duro con l’entrata di Lossy, tra ossessione e psichedelia, siamo in affanno. La successiva The Right Question figura tra le tracce più interessanti dell’intero disco, qualcosa di Textures, Cynic, anche se la band picchia certamente più duro l’intenzione è di far male. Mi sto avvicinando alla chiusura di Delivery un disco davvero interessante, otto song di ottima fattura, grazie alla caratura tecnica di cui la band è in possesso. Inutile vi dica che questo è un album da avere. Complimenti ragazzi. In alto il nostro saluto!!

Autore: A Total Wall

Titolo Album: Delivery

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Djent, Heavy Metal

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: http://www.atotalwall.com

Membri band:

Gabriele Giacosa – voce

Umberto Chiroli – chitarra

Riccardo Maffioli – basso

Davide Bertolini – batteria, programmazione

Tracklist:

  1. Reproaching Methodologies

  2. Evolve

  3. Sudden

  4. Maintenance

  5. Lossy

  6. The Right Question

  7. Delivery

  8. Pure Brand

Category : Recensioni
Tags : Djent
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06th Ago2016

Eisen – 1536

by Marcello Zinno

Eisen - 1536Musica estrema ma anche intromissioni elettroniche. Così potremo presentare in teoria il sound degli Eisen ma che in pratica abbraccia platealmente la scena djent. Il loro primo passo nella musica estrema prende il nome di 1536, un EP che in sole quattro tracce mette in luce tutti i canoni classici (ammesso che classici possano essere definiti) della musica djent: voce in growl, riff prodotti da un numero di corde superiore al normale, sezione ritmica serratissima che spesso si sovrappone a quella delle chitarre. Accostamenti con i Meshuggah sono abbastanza evidenti, più per approccio estremo che non per sezioni asimmetriche; infatti in 1536 sembra di percepire alcuni avvicinamenti a scenari math ma non è di certo questa l’arma segreta degli Eisen che fanno del muro di suono prodotto il proprio biglietto da visita. Dei Fear Factory portati nel nuovo millennio, con quattro tracce che si muovono in assoluta coerenza, non presentando ingredienti che fanno intuire un’evoluzione particolare della proposta (fatta eccezione per Black Rose e i suoi effetti psycho-melodici che conferiscono quel sapore horror al tutto). Vedremo in futuro cosa ci regaleranno.

Autore: Eisen

Titolo Album: 1536

Anno: 2016

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Djent

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/EisenBand/

Membri band:

Tito

Yezus

Damien

Mitch

Tracklist:

  1. Scream Of Sorrow, Teas Of Blood

  2. Blood On The Wings Of A Butterfly

  3. Black Rose

  4. Forsaken

Category : Recensioni
Tags : Djent
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22nd Gen2015

Grorr – The Unknown Citizens

by Marcello Zinno

Grorr - The Unknown CitizensOgni tanto anche dalla vicina Francia giunge qualche realtà metal di interesse (chi ricorda i Gojira?), nonostante la Francia non sia famosa per essere un vero focolaio di band heavy metal rivelazione. I Grorr si collocano nella scena djent con una certa predisposizione verso il death metal super tecnico, ma va sottolineato che nel loro album The Unknown Citizens infilano spunti estranei all’intransigenza di questi generi e ne fanno apprezzare quello che, con una maggiore creatività la band potrebbe realizzare in futuro (per così dire, “a briglia sciolte”). L’album si divide asimmetricamente in tre parti: la prima The Fighter che comprende le prime tre tracce, la seconda The Worker con le tre tracce centrali e gli ultimi tre brani sotto il cappello di The Dreamer. La prima parte risulta un po’ troppo stereotipata: l’opener ricalca troppo fedelmente i Meshuggah e il loro technical death metal stoppato (di quello ripetuto fino allo sfinimento come avveniva su Catch Thirty-Three); nella seconda traccia si inseriscono degli arrangiamenti epici e in parte si cambia registro vocale, elementi questi interessanti e maggiormente innovativi ma che espongono il fianco debole quando i tempi si rallentano troppo e il groove, che un pezzo djent dovrebbe offrire, svanisce. In Oblivion si leggono entrambi gli stereotipi delle prime due tracce: parti ritmate, quasi math, figlie indiscusse del trademark Meshuggah e momenti invece quasi post-metal (che però paradossalmente ci ricordano più la debolezza degli Staind che la sperimentazione di nomi come ISIS).

Lo stile continua su questi binari e se da un lato ammettiamo che le somiglianze con la band del folle Jens Kidman sono molto evidenti, dall’altro va detto che i Grorr optano di tanto in tanto per una buona innovatività, pattern che non suonano prodotti da strumenti canonici, cori e altri ammennicoli che li fanno sembrare “nuovi”. Sono i samples che aggiungono molto ma di certo una proposta musicale non potrebbe reggersi solo su questi arricchimenti e quindi a nostro parere bisognerebbe lavorare per rendere il tutto ancora più speziato. Vanno bene le mitragliate di But Still Hope… però quello che ci aspettiamo da loro sono percorsi più coraggiosi. Qualcosa si tocca con le ultime tre tracce dove influenze mediorientali, ritmi rilassati e a tratti psichedelici (da cui il titolo The Dreamer?!), voci pulite caratterizzano maggiormente il sound e pur non restando impresse ne danno una ragion d’essere. Speriamo che i Grorr trovino il loro personale canale d’espressione.

Autore: Grorr Titolo Album: The Unknown Citizens
Anno: 2014 Casa Discografica: ViciSolum Productions
Genere musicale: Djent, Technical Death Metal Voto: 5,5
Tipo: CD Sito web: http://grorr.bandcamp.com
Membri band:

Bertrand – chitarra, voce

Gael – chitarra

Yoann – basso

Jérémy – batteria

Sylvain – samples

Tracklist:

  1. Pandemonium

  2. Facing Myself

  3. Oblivion

  4. Don’t Try To Fight…

  5. You Know You’re Trapped…

  6. But Still Hope…

  7. Unique

  8. A New Circle

  9. Alone At Last

Category : Recensioni
Tags : Djent
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