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29th Gen2019

Lightpole – Dusk

by Maurizio Trentin
Uscito nell’ottobre 2018, Dusk è il primo album completo che i Lightpole ci offrono. Hanno al loro attivo già due EP pubblicati nel 2015 dal titolo Lightpole e nel 2016, Besides Order. Nel 2017 viene pubblicato un singolo Shadows, che rientra nella compilation internazionale Artists Love Italy. Stilisticamente si definiscono electro-rock psichedelici, infatti le loro esperienze raccolgono numerose contaminazioni che derivano appunto da ricerche all’interno del rock psichedelico, ambient, minimal e dello space rock, ma ci teniamo a sottolineare che il loro prodotto riassume la propria originalità staccandosi da stereotipi che in un certo modo legano la propria libertà di espressione. Nascono nel 2015 con l’attuale formazione: Eug Iommi, voce e programmazioni; Claudio Marcozzi, chitarre, programmazioni e sintetizzatori; Davide Tossici, sintetizzatori, tastiere, piano, basso; Dominguez Marcos, batteria, percussioni, pad elettronica. Si propongono subito attraverso live, ma nello stesso momento partecipano e vincono vari contest, rafforzando la loro popolarità. Difendono tematiche in ambito sociale ed ambientale partecipando in numerosi festival, ed aprono ai concerti del Teatro Degli Orrori, Any Other, Giorginess e Lili Refrain.

La concentrazione è troppo forte e la curiosità mi spinge subito ad inoltrami nella loro realtà. Non vi è dubbio che la tendenza stilistica influisca appunto sull’immaginario ed in questo ambito lascio completamente liberare la mia coscienza in un percorso che permette il mio inconscio di creare nuove realtà. Con le prime note di The Hucksters’ Meal lo shock temporale apre ad una dimensione naturale, il paesaggio e le ambientazioni possono riconoscerci nelle geografie nordiche, ma la mia realtà costruisce infinite sfaccettature, modificando continuamente ogni cosa, ogni oggetto ed ogni panorama. Ascolto le note che i Lightpole mi offrono e confermano questa condizione. Le tastiere e chitarre in ambito elettronico, creano un tutt’uno e ti accompagnano subito: The Same Old Glory, un pezzo cristallino tendenzialmente “jazzato”, anzi armonicamente “swingato”. Sonorità dove appunto i colori dei synth, spaziano creando tonalità che ricordano il vibrafono. La voce di Eug sottolinea questa tendenza, anche la mia visione materializza questi impulsi in sensazioni astratte, cristallino luminose. What, You Leave Back ci apre improvvisamente in un paesaggio acquatico, dove la forza e l’energia di questo elemento si scontra con la terra. Un rock molto raffinato dove ogni strumento si intreccia e nello stesso tempo la voce emerge in maniera delicata ed armonica.

In The Founding Father ritorna il suono sintetico e cristallino simile al vibrafono, emerge la voce in questo caso graffiante e citofonata. La composizione rimane sempre ancorata all’ambientale, ma è più acida. Qui i colori si fanno sempre più determinati ed i dettagli della visione mi portano ad una astrazione cromatica che spaziano nella realtà pittorica del divisionismo e dell’arte concreta. Il minimale arriva con Colapse, l’intreccio delle note elettroniche essenziali, ma ricche di energia, spingono la mia immaginazione in un spazio corposo buio, o meglio nero, arricchito dalle note ad impulsi luminosi. Un ottimo pezzo molto sottile ed energico nella sua fragilità. Sansara, il titolo dice tutto. Le sonorità non devono ingannare e pensare ad una influenza tendenzialmente goa, al contrario i suoni, anche se sintetici, sono legati alle strumentazioni che ricordano l’oriente. Tutto comunque è rarefatto mentre le immagini visionarie offrono colori ben marcati e potenti, inseriti in un ambiente di tipo naturale. Euphelia, il rock è sempre corale ed ambientale. Le atmosfere sono nordiche ed anche il mio viaggio è molto indicativo e mi spinge ad una tonalità ambientale tendenzialmente rocciosa e bruna, quasi lavica. Shadows è per me un capolavoro compositivo. Strutturato in una parte cantata ed una parte completamente strumentale. Due variazioni che spingono in un determinato contesto. La parte strumentale per me è come il polline sui fiori. Invitante e coinvolgente dal punto di vista visionario. Il vortice delle note mi mettono in una condizione ormai in completa sintonia.

Questo primo album è ottimo sia in ambito musicale che nella sua tematica interiore. Ciò che ne ricaviamo nel messaggio che Lightpole ci hanno trasmesso sta nell’approccio con l’energia della natura e la potenzialità tecnologica della musica. Un aspetto che non vede conflitti tra loro, ma che può essere un esempio di pura convivenza creativa e costruttiva. Dal punto di vista grafico Dusk, si presenta con un paesaggio pittorico molto semplice, tecnicamente essenziale o naif . Un paesaggio dai colori bruni determinati, elementari e contrastanti. Nelloo sfondo un cielo sfumato in maniera netta che va dal rosso all’arancio. Un lampo che si ramifica, forse simbolicamente. L’intento è appunto portare l’attenzione alla forza ed all’energia. Credo che in questo caso la composizione pittorica andrebbe più curata, ma ciò che importa per noi è il contenuto che i Lightpole ci hanno meravigliosamente offerto.

Autore: Lightpole Titolo Album: Dusk
Anno: 2018 Casa Discografica: Overdub Recordings
Genere musicale: Alternative Rock, Electro Rock, Psichedelia Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/lightpoleband
Membri band:
Eug Iommi – voce, programmazione, cymbals
Claudio Marcozzi – chitarre, voce, programmazioni, synth
Davide Tossici – synth, tastiere, piano, basso
Dominguez Marcos – batteria, percussioni, pad elettronico
Tracklist:
1. The Hucksters’ Meal
2. The same Old Glory
3. What You Leave Back
4. The Founding Father
5. Collapse
6. Sansara
7. Euphelia
8. Wakes
9. Shadows
Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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18th Gen2019

Sun’s Spectrum – Sun’s Spectrum

by Marcello Zinno
Uno dei territori musicali in cui i duo project si muovono più a loro agio è quello della musica elettronica o comunque dell’electro rock. Due soli musicisti possono davvero mettere in gioco tanti ingredienti se aiutati dall’elettronica, cosa non così facile invece per una band con strumenti elettrici e questo i Sun’s Spectrum lo sanno bene. Ma ascoltando il loro EP d’esordio ci sembra che questa scelta non sia stata una condizione in cui il duo si è trovato a comporre, ma una decisione consapevole in quanto il suono non è figlio della musica elettronica in senso stretto bensì un’interpretazione di certo industrial portato all’esasperazione, contaminato dai suoni ed effetti digitali che offrono una veste più moderna alla “semplice” anima elettronica. Certo, alcuni passaggi ricadono più in territori da dance floor, come Elevate che starebbe benissimo in una scena cinematografica di una discoteca del futuro con cyber-punk “venduti” al mondo della notte, e anche Just A Destiny ci conferma che il duo è molto influenzato da questi contesti.

Noi cerchiamo però di andare oltre le righe, ascoltare oltre la sezione ritmica martellante e ci vediamo tante incursioni nel dark, nella new wave, nel gothic (ascoltare l’opener ad esempio)…incursioni che potrebbero essere valorizzate se contestualizzate in altro modo e potrebbero rendere il progetto Sun’s Spectrum proponibile ad ascoltatori diversi e più attenti alla componente suonata, qui il senso stretto è d’obbligo.

Autore: Sun’s Spectrum Titolo Album: Sun’s Spectrum
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Ambient, Industrial, Dark, Electro Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://soundcloud.com/suns-spectrum
Membri band:
Caenazzo – chitarra, voce
Daniele Iannacone – tastiere, programming
Tracklist:
1. Redemption
2. It Was Like Autumn
3. Elevate
4. Just A Destiny
5. Every Word Is A Lie
6. 1000 Silent Ways
Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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03rd Gen2019

Mildred – Il Colore Degli Inverni

by Marcello Zinno
I Mildred sono a nostro parere l’incarnazione fatta musica dei tempi che cambiano. Se fossero usciti sul finire degli anni 90 o anche ad inizio (nuovo) secolo si sarebbero collocati perfettamente nella scena nu metal e ad ascoltare Il Colore Degli Inverni (loro seconda uscita) avrebbero potuto davvero scalare vette. Ma i Mildred sono usciti a metà degli anni ’10 e si presentano come una band alternative rock, o meglio diremo noi electro rock, perché in fondo di nu metal nessuno ne parla più. Questo, per le orecchie della critica musicale, non è un punto negativo, in fondo se una band è valida lo è anche quando è in controtendenza, ma per il mercato si traduce in una differenza abissale. A noi comunque questi ragazzi piacciono, con i testi in italiano che si apprezzano sempre e quei riff che alternano muri del suono tipici del metalcore (si ascolti Prendiamo Forma) a partiture più rock oriented come nella potente Benjamin Button.

Ma ci piace anche il fatto che Il Colore Degli Inverni, con i suoi alti e bassi, non sia un album unidirezionale: Muoiono Gli Eroi ad esempio potrebbe sembrare la classica ballad inserita a metà tracklist ma secondo noi ha un’intensità più particolare dei brani acustici e con riff già sentiti che servono per far prendere ossigeno in un album; la title track è un esercizio più dubstep che rock, Amen! sfiora il pop metal. In generale comunque la vena elettronica e quella rock si incontrano nei Mildred per un sound che ha tanto groove, come in Salta con quel suo sapore alla Subsonica, uno stile che abbiamo ascoltato in molte altre proposte ma che in questo album troviamo comunque originale. A meno di alcune incursioni un po’ troppo distanti dalle loro radici i ragazzi sanno il fatto loro e sappiamo già che alcuni brani inclusi in questo album gireranno parecchio nelle nostre playlist.

Autore: Mildred Titolo Album: Il Colore Degli Inverni
Anno: 2018 Casa Discografica: Libellula
Genere musicale: Electro Rock, Nu Metal Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/mildredmusic
Membri band:
Gianluca Era – voce
Marco Era – chitarra
Niki Langiu – chitarra
Angelo Paddeu – basso
Francesco Zizi – batteria
Tracklist:
1. Ancora
2. Benjamin Button
3. Je Suis Figaro
4. Prendiamo Forma
5. Muoiono Gli Eroi
6. Salta
7. Il Colore Degli Inverni (feat. Increase The Light)
8. Dio Chi È?
9. Amen!
10. Venirne Fuori
Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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01st Gen2019

Bad Pilot – Inverse

by Igor Cuvertino
Piacevole. Questo potrebbe essere l’aggettivo giusto per introdurre Inverse, l’ultima fatica discografica dei francesi Bad Pilot. Un’elettronica minimale, che porta in grembo suoni ed atmosfere vecchie di qualche decennio che fa chiudere gli occhi ed immaginare luci e colori. La batteria si incastra perfettamente tra i pattern elettronici, proponendo soluzioni interessanti e molto curate, che prendono in un certo senso le distanze dalle classiche ed abusate drum machine anni ’80. La voce di Alex De Selve risulta essere il vero punto forte del disco, capace di cullare in un dolce francese e di caricare con il passaggio all’inglese, creando una contrapposizione che aiuta a far scorrere lisce tutte le 14 tracce. Anche i non appassionati del genere potranno apprezzare i synth e la musicalità di A l’Envers et Contre Toi, a nostro parere il brano più riuscito del disco, di cui è raccomandato l’ascolto agli amanti degli M83 e della scena elettronica francese in generale.

Il bello dei Bad Pilot a nostro parere è che sono di piacevole e coinvolgente ascolto, ma anche che a dispetto del genere prettamente “da ascolto”, noi ce li immaginiamo anche ottimi in chiave live, su di un palco tra luci e giochi visual ad effetto, e ci viene una grande voglia di cercare la prossima data italiana e abbandonarci semplicemente alle sensazioni. “à bientôt!”.

Autore: Bad Pilot Titolo Album: Inverse
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Electro Rock, Pop Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.bad-pilot.com
Membri band:
Alex De Selve – voce
Antoine Eole – chitarra, tastiere
Benjamin Corbeil – batteria
Tracklist:
1. Alyss
2. Violette
3. Arctica
4. Robot
5. A l’Envers Et Contre Toi
6. Interlude
7. Human Guard
8. Crowd
9. Last Night Kiss
10. Loie
11. The Queen Ann’s Revenge
12. Crash
13. La Colère Des Anges 14. Black Hole (ft. Mc Ride)
Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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27th Dic2018

Telegraph Tehran – Marea

by Marcello Zinno
I Telegraph Tehran hanno preso un’uscita lungo la tangenziale della loro biografia e hanno cambiato direzione. Un EP molto breve per presentare la nuova direzione stilistica, ciao ciao rock ed ecco che vengono fuori strumenti che hanno poco a che fare con i nostri suoni, ma di base una idea c’è. Lo possono chiamare synth pop o electro rock ma in realtà quello che vediamo sotto la cute dei “nuovi” Telegraph Tehran è il funky, un funky decisamente anni 80 anche se molti suoni sono resi più moderni, imbastiti per un pubblico meno colto e probabilmente più giovane. Grande plauso alla chitarra e al basso che si dimostrano all’altezza del genere, l’uso del synth invece non ci convince, non tanto per le note o le strutture scelte ma proprio per una questione di suono, un suono che poteva essere meno frivolo (Marea), meno dance/new wave (Cinema Metropolis), meno sintetico (Habitude); noi ci avremo visto meno synth in questo album e più strumenti “veri”, magari con groove ricercati e tempi non sempre intuitivi per far uscire fuori il carisma tecnico della band.

Buona comunque la prova, interessante il cammino che hanno imboccato i ragazzi, attenzione ai ritornelli ripetuti eccessivamente e ad uno stile che comunque sappia davvero valorizzare l’operato del quartetto evitando di finire nel calderone delle band tutto synth e niente sostanza (senza voler togliere a tutti i costi importanza a questo strumento).

Autore: Telegraph Tehran Titolo Album: Marea
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Eletro Rock, Funky, Synth Pop Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/telegraphtehran
Membri band:
Marco Faggion – synth, voce
Andrea Buccio – basso, voce
Casper Adamov – batteria
Francesco Cardinali – chitarra
Tracklist:
1. Marea
2. Cinema Metropolis
3. Habitude
Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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23rd Dic2018

Someday – Una Giornata Breve

by Marcello Zinno

Someday - Una Giornata BreveArrivano i Someday che con due album si iniziano a creare un loro spazio nella scena italiana e non solo se consideriamo i live anche oltreoceano che i ragazzi hanno tenuto. Però, al loro secondo album e puntando su delle liriche tutte in italiano, devono per forza di cose fare i conti con il nostro Paese e, aggiungeremo noi, con la loro città d’origine. Sì perché la band proviene da Torino e negli ultimi anni sembra che tutte le formazioni che provengono dalla “capitale piemontese” non possano non attingere dall’elettronica targata Subsonica e i Someday non sono da meno. Questa componente elettronica a parer nostro è troppo invasiva nel sound dei Someday che invece dovrebbero lasciar respirare maggiormente l’animo rock o anche lo spirito alternative che in Una Giornata Breve è troppo tenue. Principi E Principesse è uno dei momenti meno riusciti dell’album: le linee vocali sono completamente da rivedere in quanto non si sposano con le melodie create quasi completamente da basso ed effetti…non appare una parte musicale davvero incisiva; anche i suoni in generale non vengono valorizzati a pieno. Quello Che Mancava cela una certa ricercatezza, influenze cantautorali nella voce che anche qui potevano essere potenziate da una struttura elettrica muscolosa o in alternativa intricata e che invece si “accontenta” di fare da accompagnamento.

Interessante il ritornello di Altre Vite e il rock che viene fuori in alcuni frangenti di Bambino + Caffè, ma poco per segnalare come degno di nota questo combo. A parer nostro la band deve puntare su una personalità più forte e uscire fuori allo scoperto con uno stile univoco ed incisivo.

Autore: Someday

Titolo Album: Una Giornata Breve

Anno: 2018

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Electro Rock

Voto: s.v.

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/somedaytorino

Membri band:

Daniele Bianco – voce, chitarra

Michele Fierro – basso, cori

Luca Curci – synth

Marco Tirapelle – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Week-End

  2. Principi E Principesse

  3. Quello Che Mancava

  4. Altre Vite

  5. Bammbino + Caffè

  6. Sentire

Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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06th Dic2018

Nasti – Incomprensioni

by Marcello Zinno

Nasti - IncomprensioniÈ più forte di noi, sarà la loro origine torinese o il loro sound contaminato con l’elettronica ma ai primi secondi dell’EP d’esordio dei Nasti ci balzano nella mente i Subsonica. Seppur l’EP Incomprensioni sia molto breve (15 minuti scarsi) le idee ci diventano più chiare dopo una manciata di minuti: i Nasti infatti puntano decisamente su melodie affini al pop (in primis alla voce) e arricchiscono la loro proposta con dei ritmi che intendono essere in primis orecchiabili. Alaska ad esempio è un brano che nell’indie contemporaneo, di quello molto affine al pop, avrebbe di che dire, discorso simile per Dimmi Dimmi in cui spiccano le tastiere che pur non essendo in primo piano valorizzano il chorus accentuandone la sua semplicità; al contrario un po’ di verve arriva con Sottosopra, un brano anch’esso che simpatizza le attese radiofoniche ma con una costruzione più ricercata (fatto salvo per il ritornello ripetuto un po’ troppo) e con l’ultima Alibi in cui finalmente i tempi si accelerano.

In generale i Nasti non puntano tanto all’ambiente rock che alimenta le nostre emozioni ma non cadono nemmeno nel banale come molte pop band in circolazione. Da seguire per capire come evolverà il loro stile.

Autore: Nasti

Titolo Album: Incomprensioni

Anno: 2018

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Electro Rock, Pop Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: http://www.facebook.com/nastiband

Membri band:

Luca Maran – chitarra

Andrea Bergese – batteria

Giuseppe Gariglio – basso

Stefano Maran – synth

Federico Rittatore – voce, chitarra

Tracklist:

  1. Incomprensioni

  2. Alaska

  3. Sottosopra

  4. Dimmi Dimmi

  5. Alibi

Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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01st Dic2018

Imperatori – Karmarock

by Marcello Zinno

Imperatori - KarmarockImperatori è un nuovo progetto che si dichiara subito legato all’electro rock. Su questo si concentra quasi tutto il nostro discorso riferito a loro in quanto le band (nel nuovo millennio davvero tante, spinte da fenomeni mainstream che si sono contaminati con la musica elettronica) che si inseriscono in questa scena sono consapevoli del voler unire due mondi molto diversi. Da un certo punto di vista è vero che l’eccessiva segmentazione in generi diventa un esercizio accademico fine a se stesso, ma la cultura elettronica e quella rock sono distanti come l’acqua e la vodka e usarli congiuntamente richiede estrema sapienza. Per ogni band di questo filone quindi, più che la singola traccia (che spesso punta a fare breccia nelle playlist giuste) o il singolo pattern è proprio la conformazione della ricetta ciò che conta di più, come il progetto amalgama gli ingredienti in modo che il risultato finale sia piacevole al palato (apparato uditivo). Nel caso del duo Imperatori la componente elettronica sovrasta decisamente quella rock, suoni digitali e campionati si espandono coprendo tutta la vista; brani come Semprevivo o In Sincrono sono assolutamente collocabili su una dance floor e lontani anni luce da un palco live (rock). Compaiono delle strutture rock (si ascolti ad esempio la intima Jellobrain in cui sembra di ascoltare degli strumenti veri) ma è davvero troppo poco e contrario a quanto il titolo di quest’album ci aveva fatto immaginare.

Interessante la scelta di usare sia testi in inglese che in italiano, che dimostra una certa voglia di spaziare, in un genere musicale che è indubbiamente figlio unigenito della lingua anglo-americana. Al contrario, anche ascoltando solo le costruzioni elettroniche (per quando possiamo valutare noi, non essendo esperti di musica elettronica) arriva poco di interessante artisticamente.

Autore: Imperatori

Titolo Album: Karmarock

Anno: 2018

Casa Discografica: Crow Records

Genere musicale: Electro Rock

Voto: 4,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/Imperatoriband

Membri band:

John North

Emanuele D’Ignazio

Tracklist:

  1. In Sincrono

  2. Astral

  3. Semprevivo

  4. Misscaline

  5. Stay

  6. Jellobrain

  7. Trasparente

  8. Androgeno

Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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26th Nov2018

God Of The Basement – God Of The Basement

by Marcello Zinno

God Of The Basement - God Of The BasementPrimo full-lenght per i God Of The Basement, band che si presenta come realtà di alternative rock ma che a parere nostro stira molto il concetto di “alternative”, migrando dall’elettronica al pop e combinando contesti diversi comunque molto spesso legati ad ambiti melodici. Ma la loro natura è questa, i suoni e gli effetti sono al servizio della melodia quindi l’accezione rock si perde non tanto per la commissione di strumenti ed arrangiamenti ma più che altro per le melodie e l’orecchiabilità di diverse tracce. Alla base di tutto sentiamo un certo groove, non di quello che ti fa battere il piede a terra o che ti coinvolge in sede live, piuttosto il groove che fa da cornice ad una ricetta musicale per certi versi electro pop, che preferisce stendersi su di un lungo tappeto sonoro più che saltare in mezzo alla folla. Il confronto calzante a parer nostro è con i Gambardellas, simile genere musicale ma mentre nel loro caso c’è potenza, refrain e ritmi tirati, i GOTB optano per effetti ed arrangiamenti all’interno di tracce tendenzialmente pacate.

Quello che ci aspetteremo da un esordio discografico è una maggiore incisività stilistica: brani come With The Lights Off o Beaten Up sono buoni ma mancano di mordente, sembrano deboli per entrare nella nostra mente e restarvi a lungo; inoltre spesso le ritmiche non sono molto veloci e questo non aiuta a coinvolgere l’ascoltatore. Un esempio positivo è Kay, un brano che non farà gridare al miracolo ma in cui chitarra e basso escono fuori e lasciano la loro firma; intrigante anche Boddy Bones ma anche qui manca l’esplosione che ci carichi del tutto. Speriamo in qualcosa di più incisivo nel loro futuro.

Autore: God Of The Basement

Titolo Album: God Of The Basement

Anno: 2018

Casa Discografica: Alka Record Label

Genere musicale: Electro Rock, Alternative Rock

Voto: 5,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.godthebasement.com

Membri band:

Tommaso Tiranno – voce

Rebecca Lena – basso

Stefano Genero – chitarra

Enrico Giannini – chitarra, piano, voce

Tracklist:

  1. Intro

  2. Hell Boar

  3. Monday Monkey

  4. With The Lights Off

  5. Intermission #1

  6. We Do Know

  7. Beaten Up

  8. Kay

  9. Boddy Bones

  10. Intermission #2

  11. Get Loose

  12. The Saviour

  13. The Sinner

Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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01st Nov2018

Blumia – Wild Type

by Paolo Tocco

Blumia Wild TypeCerto che fa uno strano effetto sedersi in poltrona, attendere che il film inizi, cullare le aspettative e alla fine lasciarsi un poco illudere. Nelle prime battute, superate le sigle di apertura, la pellicola tiene e somiglia alle atmosfere del trailer che ci ha spinto in sala. Poi piano piano si mescolano, non con arroganza e violenza ma con un volo morbido a planare che se stai attento non ricordi neanche quale sia il momento in cui tutto ha preso un’altra direzione. Che poi la mira rientra da quella parte, che poi di nuovo parte per la tangente…che poi insomma si esce e si rientra da quello che era il leitmotiv che avevamo sperato semplicemente dal trailer. Quindi all’uscita del film, come faceva Andy Warhol ci chiedono: piaciuto il film? Direi di no. Ma anche sì. Insomma non lo so. Non lo capisco. Sì ma una risposta devi darmela…ok allora rispondo no, così sto al sicuro. Delirante o meno è esattamente quel che è accaduto oggi con questo esordio del duo pugliese Blumia che sfornano un Wild Type per niente esoterico e istintivo, deciso di carattere, conforme a tanti cliché e alla fine – va detto – per niente randagio. E non è certo un male anzi. Di sicuro è un disco in cui avrebbe sguazzato il buon Nile Rodger con queste chitarre funk che ogni tanto escono fuori dal muro di elettronica raramente privo di fascino.

Il trailer del disco, come di un film: beh il video di lancio del singolo Life’s Trains. Bellissima clip ricca di tantissimi significati, anche attualità sociale di grande spessore se vogliamo. Poi gli attori fanno la differenza. Quella semplicità di una melodia snella e caratterizzante, con questa voce femminile altamente internazionale, quasi francese, quasi nord europea. E qui le analogie di etichetta sono numerose e possiamo fare a gara a chi ne cerca di più. Dunque a trailer finito, si porta a casa la sensazione che questo disco prometterà questa resa. Ed infatti il primo brano Adolf Hipster sale di livello di dieci e più piani che quasi penso ai bellissimi esperimenti elettronici di Suz o magari – e qui sarò banale ma inevitabile – alle tinteggiature degli Eurythmics. E a seguire Nature’s Light regge il tiro, quel famoso tiro di cui parlavamo tanto: sensazioni metropolitane del futuro, luci in tubi lungo pareti di antico cemento, fumi dal sottosuolo ma anche industrializzazione massiccia di possibilità e frontiere superate. Ed è così che il singolo di cui parlavamo a guisa di traile, il brano che segue appunto, smorza i toni scuri e restituisce quel gusto melodico, appena francese appunto, di chi sa dimostrare padronanza e gusto raffinato. E in tutto questo apprezziamo i momenti corali che quasi, dosando in altro modo gli arrangiamenti, potrebbe ospitare benissimo la voce di un Micheal Stipe di quando i REM facevano brani come Outsiders. Perché alla fine sempre di outsiders si parla in qualche modo.

Ma poi il tiro cambia. Cambia la direzione e lo fa, ripeto, con una morbidezza quasi trasparente. Cosa ci fa questo rock quasi epico di elettronica dovuta in italiano come Salvati? Per carità, un bel pezzo sicuramente ma sembra quasi un altro disco. Ma quel bel piglio alla Subsonica d’America viene lacerato dal timbro di voce che in italiano sembra fare solo i compiti a casa e, grazie a testi non troppo elevati, restituisce al tutto le sembianze di un pop leggero che forse si poteva evitare. Di nuovo inglese. Ok avevate scherzato perché Unconscious Wolrd che si apre con questa meravigliosa nenia al tramonto, tra chitarre western e una bellissima armonica da pensieri romantici che arriva da lontano. Si scansa il tutto in modo comodo e coerente e di nuovo elettronica e voce (molto Noemi questa voce) che costruisce un brano. Forse il brano del disco. Bellissime aperture. Belli gli arrangiamenti di drumming. Belle sensazioni di altro. Ok, allora era uno scherzo quel pezzo li? No, ecco che si torna drasticamente in Italia con Horror Dream e quindi…come sopra. E così via via fino a concludere l’ascolto tanto che alla fine se prendo il primo pezzo del disco Adolf Hipster e l’ultimo Il Sangue Di Iola mi chiedo: chi sono i Blumia? Mi è piaciuto questo disco? Boh…non lo sto capendo.

E nell’interminabile gioco dell’incertezza faccio anche un altro appunto: elettronica sì, così invasiva mi sta bene, il genere forse ne avrebbe richiesta anche dell’altra. Ma variamola un poco…non credete? A farci caso, differenze di dettaglio a parte, il sottofondo elettronico che sostiene tutto l’ascolto sembra essere (e dico sembra perché non voglio esserne sicuro) uguale dall’inizio alla fine. Alcuni suoni si ripetono troppo spesso e troppe volte nello stesso modo. Dunque come uscire da questa pellicola? Piaciuto il film? Beh se il disco si fosse fermato a quel mood direi che l’esordio dei Blumia era davvero un esordio da sottolineare. Con queste escursioni di pop per niente trasgressivo e con questo synth che ritorna fa sembrare che ad un certo punto il disco abbia perduto di ispirazione o di evoluzione. Va detto che questo disco vien fuori dall’evoluzione di un EP…però più che di evoluzione qui si parla di distrazioni, di evasioni, di confusioni direzionali. Preferisco il film che ho visto al Traile e non quello che alla fine mi suona in quest’ultimo pezzo, che sembra uscito da uno dei tanti format italiani. Sigh…

Autore: Blumia

Titolo Album: Wild Type

Anno: 2018

Casa Discografica: La Rivolta Records

Genere musicale: Electro Rock

Voto: 5

Tipo: CD

Sito web: http://www.blumiaband.com

Membri band:

Azzurra Buccoliero – voce, sax, armonica, effetti

Cristiano Meleleo – chitarra, cori, piano, synth, batteria

Tracklist:

  1. Adolf Hipster

  2. Nature’s Lights

  3. Life’s Trains

  4. Salvati

  5. Unconscious World

  6. Horror Dream

  7. La Sicurezza Dell’amore

  8. My Street

  9. Lupo Della Steppa

  10. Il Sangue Di Lola

Category : Recensioni
Tags : Electro Rock
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