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21st Mar2013

Huldre – Intet Menneskebarn

by Giancarlo Amitrano

A volte le bands che provengono “dalla fine del mondo” (per citare una azzeccata affermazione del nuovo Pontefice) suscitano curiosità e perplessità, nel senso di chiedersi a quali livelli di attenzione possano esse far giungere l’uditorio con le loro proposte musicali. Nel caso di specie, la lontanissima Danimarca ha catturato il nostro interesse con un album davvero ben azzeccato e molto ben congegnato. Affondando le sue radici in un insolito folk metal, il sestetto riesce a confezionare un prodotto ben riuscito e che cattura l’ascolto sin dai primi solchi. L’impronunciabilità dei titoli dell’album può inficiare solo la grammatica italiana, mentre invece il sound proposto riesce a far giustizia delle perplessità di cui sopra. Lo stesso cantato in lingua originale è un’arma in più per il gruppo che così riesce a sostenere maggiormente la sua musica come forse la lingua universale non riuscirebbe. Brani come Skaersild e Knoglevkad rendono bene il pathos che permea i testi e le musiche: la voce della Barslev è calda ed avvolgente, mentre le sonorità della band risultano essere saggiamente combinate tra melodia e dramma lirico. Specialmente il secondo dei brani va in controtendenza con la ricerca spasmodica di up-tempo, che donano linfa vitale all’economia del pezzo.

Skovpolska è un altro momento ben azzeccato, in cui tutta la band riesce a trasporre in musica le migliori tradizioni folk, con in più quella spruzzatina leggera di heavy che certo non guasta. Interagiscono bene le due ladies, con la voce della Barslev a far da contraltare al buon lavoro agli archi della Beck, davvero ben congegnato. Potrebbe apparire, alla lunga, piuttosto pedante l’ascolto di sonorità non propriamente di tutti i giorni, ma con brani quali Havgus possiamo ben ricrederci sulla valenza del prodotto. Il sestetto miscela bene atmosfere quasi gothic in alcuni passaggi, che farebbero la fortuna di miss Tarja Turunen, ed altre che rasentano il dark, nella migliore tradizioni Lumsk o Gate, altre rinomate bands di nicchia, ma non per questo misconosciute ai più. I buoni arrangiamenti rendono gradevoli anche brani apparentemente più ostici, quali ad esempio Vaageblus, dove le sonorità più cupe del solito, se possibile, si fondono in una melodia davvero coinvolgente che sfocia in una cavalcata immaginaria della band in una foresta senza tempo. Spillemand si segnala tra gli altri brani come l’ennesimo momento tecnicamente valido e di sicuro impatto in chi ascolta, per le sue sonorità davvero magiche e nelle quali si intravedono ideali saghe di miti nordici senza tempo.

Ulvevinter è probabilmente il miglior brano dell’album: una piccola gemma che viene impreziosita dal superbo lavoro di violino della Beck che ancora una volta fa da sponda al cantato onirico della singer al femminile, che qui dà prova della sua bravura e del lirismo davvero intenso. Gennem Marsken ci trasporta a mille miglia dalla realtà: flauto incantato che pare provenire da castelli medievali e voce melodica ed angelica proiettata dagli empirei di valchirie lontane. Con Beirblakken l’interpretazione caldissima della female singer ci fa accapponare la pelle per l’intensità ed il trasporto interpretativo: non suona blasfemo un pensiero, in questo frangente , alle sonorità incantate dell’indimenticabile Ronnie James Dio, che qui avrebbe prestato volentieri la sua ugola per accompagnare la Barslev nelle sue evoluzioni senza età. Possiamo ritenerci soddisfatti dell’ascolto, cui ci eravamo appressati senza riserve: il sestetto che viene “dalla fine del mondo” è molto più vicino a noi di quanto ci si attenda.

Autore: Huldre Titolo Album: Intet Menneskebarn
Anno: 2012 Casa Discografica: Gateway Music
Genere musicale: Folk Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.huldre.dk
Membri band

Nanna   Barslev – voce

Lasse  Olufson – chitarra

Bjarne   Kristiansen – basso

Jacob   Lund – batteria

Laura   Beck – violino

Troels   Norgaard – flauto, hurdy-gurdy

 

Tracklist:

  1. Ulve vinter
  2. Trold
  3. Skovpolska
  4. Brandridt
  5. Gennem Marsken
  6. Vaageblus
  7. Havgus
  8. Spillemand
  9. Beirblakken
  10. Knoglekvad
  11. Skaersild
Category : Recensioni
Tags : Folk
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21st Mar2013

The Traveller – Life

by Amleto Gramegna

Come un gomitolo di lana che si srotola man mano, Max Forleo, deus ex machina del progetto The Traveller, ci accompagna lungo il percorso delle nove storie narrate in Life. Nove brani di stampo prettamente britannico, con forti influenze folk (grazie al violino di Mariela Valota) e rock. Si fa apprezzare particolarmente il timbro vocale del Nostro, di scuola Jon Bon Jovi, anche se le ispirazioni sono ben altre: David Bowie, Queen, Police, John Mayer, Jeff Buckley, Massive Attack. Shine On, primo brano, è davvero un bel folk rock con un riff pungente di violino che viene come un’onda del mar (pura poesia). Segue l’arrabbiata Magdalene con un basso distorto e prepotente a farla da padrone. Sembra un outtakes di Bon Jovi (appunto!). Bella e coinvolgente. Da segnalare la poetica Life, dal sound che ricorda certe cose degli U2. 1 Minute si segnala per l’atmosfera laid back, cullata da un nervoso basso e da un violento assolo di elettrica che distrugge per pochi secondi la tranquillità. Paris è un country elettrico alla Dylan della Rolling Thunder Revue mentre The Clown è una ballad arricchita da un gustoso sax. Conclude The Right King, suonata in solitudine da Forleo e My Last Call, “johnmayeriana” fino al midollo.

Il viaggio dei nostri viaggiatori non finisce qui, ma si prendono solo una meritata sosta prima di tornare prepotentemente on the road!

Autore: The Traveller Titolo Album: Life
Anno: 2012 Casa Discografica: MyPlace Records
Genere musicale: Rock, Folk Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.thetraveller.it
Membri band:

Max Forleo – voce, chitarra

Claudio Lauria – sassofono

Silvio Melloni – basso

Guido Lazzaroni – batteria

Mariela Valota – violino

Francesco Curatella – chitarra

Alex Aliprandi – chitarra

Tracklist:

  1. Shine On
  2. Magdalene
  3. Life
  4. 1 Minute
  5. 20th Century Shock
  6. Paris
  7. The Clown
  8. The Right King
  9. My Last Call
Category : Recensioni
Tags : Folk
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08th Mar2013

Alex Cambise – L’umana Resistenza

by Alessandro

Il nuovo album di Alex Cambise musicalmente è molto interessante, si muove di sicuro fra rock blues e folk, prodotto e arrangiato dallo stesso Cambise, propone un sound che si ispira molto a quello americano, ma che non scorda nè rinnega le sue origini italiane. L’umana Resistenza è un’opera ambiziosa già dal titolo, ma che si dimostra esserlo soltanto nelle intenzioni, di chiara impronta cantautorale non convince proprio per i suoi testi, qualche volta banali, altre perplessità dalla componente vocale, forse un po’ sotto tono. La ricerca della profondità passa attraverso il dolore e la sofferenza, si va dal pompiere simbolo di Cernobyl di Canzone Per Vladimir Pravik all’anonimo operaio di Invisibile, fino alle difficoltà di integrazione di Sette Piccoli Indiani amaro ritratto dell’Italia moderna. Situazioni tragiche e angoscianti, si susseguono in una una forzata ricerca del patetico che sposta l’attenzione verso l’indifferenza, ci si domanda cosa effettivamente si voglia trasmettere e se ce ne sia realmente il bisogno, forse il cuore è troppo indurito dalla realtà per volerne ancora in musica. A risollevare le sorti dell’album, per fortuna, troviamo l’ultimo brano  La Nostra Primavera, una struggente ballata strumentale che mette in mostra ancora meglio le ottime qualità musicali dei Alex.

Musicalmente l’album è curato, purtroppo però come spesso succede ai cantautori di casa nostra si tende ad eccedere con quelle che potremmo definire le “sciagure” della vita, situazioni, momenti che per loro natura conferiscono un manto di serietà ed impegno, ma che poi si dimostrano essere solo una scorciatoia. E’ davvero così difficile essere seri ed impegnati esprimendo gioia e allegria? E’ così difficile essere ottimisti?

 

Autore: Alex Cambise Titolo Album: L’umana resistenza
Anno: 2012 Casa Discografica: Ultrasound
Genere musicale: Rock Blues, Folk, Cantautorale Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.alexcambise.com/
Membri band:

Alex Cambise – musica

Tracklist:

  1. Nati nel ‘70
  2. Canzone per Vladimir Pravik
  3. Come macchine
  4. Nostra signora dei sogni cadenti
  5. Pace e libertà
  6. Io rimango qua
  7. Invisibile
  8. Io non cadrò
  9. Ottobre 1918
  10. Novecento
  11. Sette piccoli indiani
  12. La nostra primavera

 

Category : Recensioni
Tags : Cantautorale, Folk
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05th Mar2013

Leitmotiv – A Tremula Terra

by Amleto Gramegna

Terzo album per i quattro pugliesi Leitmotiv e disco della maturità. Insieme dal 2001, vengono dalla Puglia solo anagraficamente ma appartengono a quella patchanka europea grazie alla loro straordinaria vitalità con cui intrecciano stili e culture. La musica dei Leitmotiv acquisisce colori netti tra art rock, folk alternativo e post-punk con una loro matrice mediterranea. I quattro si buttano nel progetto a tremulaterra (ossia a capofitto) sin dall’introduzione a cappella, per condurci come pecore nel loro mondo fatto di melodie folk alternativo, new wave e ballate sixties. Romeo Disoccupato è il loro singolo di riferimento. Un ballata groovy contagiosa e avvolgente sulla quale viene sussurrato un testo disperato e arguto che esplode nell’ancora più nero ritornello. Il quasi sirtaki apre Les Jeux Sont Faits. Sognante, melodica, con tocchi di classe qui e lì. Ritorna il folk in Controluce, brano da tonalità estive e solari. Tra gli altri brani spicca il quasi funk di Fiori d’Iloti, con il suo basso presente e pulsante e la sperimentale Non Ci Resta Che Il Mare, amaro e chiaroscuro canto di rabbia accompagnato da un piano dal suono stravolto ed onirico. La bellezza come rifugio nonostante le botte. La giustizia come meta nonostante gli oltraggi. Il mare come emblema nonostante l’uomo.

L’ultimo brano (ultimo?…ascoltate bene tutto il disco!) è Cattive Compagnie. Un calypso ruvido con un compatto groove a sostenerlo. Ruvido nel testo nonostante l’apparente calore.

 

Autore: Leitmotiv Titolo Album: A Tremula Terra
Anno: 2012 Casa Discografica: Pelagonia Dischi
Genere musicale: Alternative Rock, Folk, Post-punk Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.leitmotivonline.net
Membri band:

Giorgio Consoli – voci

Giuseppe Soloperto – basso, percussioni

Natty Lomartire – chitarre

Dino Semeraro – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Tremula Terra
  2. Pecore
  3. Romeo Disoccupato
  4. Les Jeux Sont Faits
  5. Controluce
  6. Lamaravilla
  7. Specchi
  8. Fiori d’Iloti
  9. Silent Night
  10. Non Ci Resta Che Il Mare
  11. Cattive Compagnie
Category : Recensioni
Tags : Folk
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05th Feb2013

LU-PO – Stendere La Notte

by Amleto Gramegna

Non sappiamo perché, ma nell’ascoltare questo lavoro ci è sembrato di recensire una colonna sonora di un film francese, di quelli pesanti. Per capirci, di quelli che li vedi al cinema ma solo perché ti ci portano e dopo appena dieci minuti smadonni in silenzio rimpiangendo pellicole di altro genere come Giovannona Coscialunga, L’Esorciccio e La Polizia Si Incazza. Ma qui si parla di musica non di cinema, quindi siamo obiettivi (confessiamolo, il cinema francese lo odiamo, ok?). Allora, abbiamo ben 11 tracce del buon Lu-Po, ossia Gianluca Porcu. Lavoro interamente strumentale con reminiscenze folk e sperimentali. Magari è un accostamento sbagliato ma in alcune tracce sembra forte l’infuenza di Philip Glass (Nostalgia delle Stelle) e Laurie Anderson (L’Amore Che Non Aspetta), dunque con tutto l’aspetto minimalista proprio di questi due artisti. Molto interessante Valzer Del Bugiardino con “rumori” tipici della musica elettronica pronti a scontrarsi con archi tradizionali. Malinconica Gocce, composta per pianoforte e chitarra classica, mentre La Fiaba presenta loop percussivi molto evocativi in un background simile a qualcosa di Rustichelli. Burattino apre con un malinconico e cupo carillon da giallo italiano anni ’70 musicato da Morricone o Nicolai, ben lontano dagli stilemi collodiani o comenciniani. Lo stesso carillon, in solo questa volta, ricompare nella omonima traccia successiva. Anche qui l’effetto giallo è in agguato. Se Porcu avesse messo qualche là-là-là il brano poteva figurare tranquillamente in un’opera di Argento.

La Vampa chiude il lavoro, e qui ci si diverte: immaginiamo i Daft Punk che vanno con le loro attrezzature al paesello dove si festeggia il Santo patrono. Elettronica spinta, da ballare. L’effetto malinconia aleggia in tutto il disco (tranne, ovviamente, nell’ultima traccia) e dà un certo spessore a questo disco.

Autore: LU-PO Titolo Album: Stendere la Notte
Anno: 2012 Casa Discografica: Rai Trade
Genere musicale: Folk, Elettronica Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.lu-po.it
Membri band:

Gianluca Porcu – elettronica, chitarra, nandolino, percussioni

Maria Teresa Sabato – violino

Luca Pischedda – violoncello

Maddi – clarinetto

Luca Mangini – trombone

Massimiliano Coni – trombone

Sergio Fermi – trombone, basso

Tracklist:

  1. Giostra
  2. Nostalgia delle Stelle
  3. L’Amore Che Non Aspetta
  4. Da Qualche Parte
  5. Gocce
  6. Valzer del Bugiardino
  7. La Fiaba
  8. Il Cortile Dei Giochi
  9. Burattino
  10. Carillon
  11. La Vampa
Category : Recensioni
Tags : Folk
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28th Gen2013

Valeria Caputo – Migratory Birds

by Amleto Gramegna

Esordio con il botto per la cantautrice pugliese Valeria Caputo. Dieci canzoni di chiara matrice folk rock americano, con un occhio alla scuola “West Coast”, ma con un calore tutto italiano. Appena premuto il tasto “play” non possiamo negare che sui nostri volti è affiorato un sorriso di soddisfazione. Che Joni Mitchell sia il suo punto di riferimento credo sia ben chiaro, basti ascoltare The Next Train, dove ci è parso anche di ascoltare echi di Jenny Sorrento (qualcosa del capolavoro Suspiro) o The Face On The Screen, anch’essa di derivazione mitchelliana (precisamente da Blue). Segue la placida December Sun, ballata sorniona con sassofoni che dipingono languidi paesaggi malinconici e placidi sebbene pronti a scontrarsi con la tagliente chitarra elettrica del solo. L’album è un compendio di vari generi, dal pop di You Can’t Stop alle eleganti vibrazioni jazzy di Honey In My Room. Bellissima Fly Away, in grado di reggersi solo sulla voce e chitarra della nostra eroina (per tacer del sensuale sassofono in coda). Interlocutoria la title-track, con la voce timidamente in scena, mentre I’ll Be With You ha dalla sua tipiche frasi rock settantiane con fiati e cori epici nella sua proposizione.

Insomma concludendo confermiamo la genuinità del lavoro e della sua autrice, matura e pronta al grande salto nel circuito che conta, con la speranza che, oltre che in patria, possa farsi apprezzare anche all’estero. Ad avercene esordi così convincenti!

Autore: Valeria Caputo Titolo Album: Migratory Birds
Anno: 2012 Casa Discografica: Vintage Factory Labs
Genere musicale: Folk, Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.valeriacaputo.com
Membri band:

Valeria Caputo – voce, chitarra

Silvia Wakte – chitarra

Marco Pizzolla – basso

Vince Vallicelli – batteria

Marco Remondini – cello

Tiziano Raspadori – sax

Paolino Marini – percussioni

Franco Naddei – synth

Tracklist:

  1. The Next Train
  2. The Face On The Screen
  3. December Sun
  4. You Can’t Stop
  5. Honey In My Room
  6. Fly Away
  7. Migratory Birds
  8. I’ll Be With You
  9. The Sea Has Told Me
  10. It’s Wrong
Category : Recensioni
Tags : Folk
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21st Gen2013

Folkstone – Restano I Frammenti

by Marcello Zinno

Il folk metal non costituisce di certo l’asse su cui si poggia la scena heavy mondiale e l’Italia non si può definire la portabandiera di questo genere per lo più comune nelle terri scandinave e dell’Europa continentale. Però la scalata che i Folkstone hanno realizzato in una manciata di anni può essere paragonata ad una vera e propria esplosione. Se pensiamo che solo dieci anni fa la formazione non esisteva nemmeno, risulta difficile realizzare quanta strada hanno percorso i nove musicisti (compresi i cambi di line-up) che operano dietro questo moniker. Dieci anni non sono tanti se consideriamo che ancora oggi rivestono il ruolo di headliner dei principali festival europei band con anche quaranta anni di musica alle spalle, ma cinque pubblicazioni discografiche e l’organizzazione di un festival a tema (il Fosch Fest) la dicono lunga sulle intenzioni del combo. Dopo Il Confine, uscito a marzo 2012 (e recensito da noi a questa pagina), la band ha intrapreso un tour, conclusosi con la data a Villafranca Di Verona il 3 novembre 2012, data che è stata incorniciata in questa ricca confezione dal titolo Restano I Frammenti.

La particolarità dei Folkstone è quella di mescolare gli strumenti tipicamente folk ad una matrice heavy metal molto forte. Basterebbe ascoltare Aufstand! o Frerì con il loro tiro molto maidiano e la esorcizzante Terra Santa per capire quanto legame ci sia con l’heavy e quanto la musica dei bergamaschi non sia tutto menestrelli e cornamuse. Siamo lontani quindi dall’epicità che potrebbe offrire una band appartenente al genere…mettete da parte Ritchie Blackmore e i suoi Blackmore’s Night e avvicinatevi di più a band come gli Eluveitie, trasposizione esterofila dello stesso concetto musicale professato dai Folkstone con un’aggiunta folcloristica e festaiola tipicamente italiana. Non mancano comunque i momenti più pacati, come l’acustica Anomalus o l’arpa di Ombre Di Silenzio e di Luna, di pari bellezza rispetto ai minuti più decisi dello show. Per fortuna nei Nostri il cantato è in lingua madre il che rende ancora più unica la proposta musicale: la voce di Lore è sicuramente un altro marchio di fabbrica dei Folkstone, in grado di conferire quel sapore ancora più crudo e anche il seguito che questa band ha costruito risulta un’altra caratteristica che fa stupore, segnale che i Folkstone hanno tanto da dire.

Tra i brani meglio riusciti è d’obbligo citare Non Sarò Mai, traccia contro il qualunquismo e l’ipocrisia dai diversi refrain epici e Anime Dannate con un sound davvero potente da far invidia a tante band metal europee; apprezzate sicuramente Un’Altra Volta Ancora che fa contenti tutti i metal heads amanti del gentil sesso con la carichissima Roberta alla voce e Sgangogatt, title track del loro album acustico che dal vivo riesce a sprigionare tanta energia. A proposito di energia è incredibile la preparazione anche fisica che dimostrano i nove artisti incasellando ben ventisette brani, uno dietro l’altro senza mostrare la benché minima stanchezza. Altro momenti tra i più toccanti dello show è Lo Stendardo che sembra essere pescato direttamente dalla colonna sonora di un film medievale con tanto di bardi al seguito, insieme alla conclusiva Con Passo Pesante, il cui ritornello viene cantato interamente dal pubblico, al pari di una band entrata nella storia e con decenni di live alle spalle.

Molto piacevole il secondo DVD con gli extra: le interviste ai fan prima del concerto evidenziano la trasversalità dei Folkstone in quanto a generazioni; il lungo viaggio verso lo show di Tanzt a Monaco fa rivivere i tour come erano vissuti una volta, con tanto di viaggio in tourbus e backstage a suon di birra (e wurstel); un bel set fotografico del tour de’ Il Confine, delle riprese in sala prove, tutti i video ufficiali della band e la partecipazione con il Coro Le Due Valli arricchiscono l’uscita e offrono ancora più elementi per legarsi al nome Folkstone. Il CD invece contiene le 27 tracce del concerto in formato mp3 ad alta qualità, in modo da poter ascoltare lo storico concerto anche in auto o tramite il proprio lettore multimediale portatile. Quindi, se in soli otto anni questa band è riuscita a creare tutto questo seguito non osiamo immaginare dove sarà in grado di arrivare in futuro. Fatto sta che questo primo DVD può rappresentare uno spartiacque verso una seconda epoca della storia dei Folkstone, tutta da scoprire.

Autore: Folkstone Titolo Album: Restano I Frammenti
Anno: 2013 Casa Discografica: Folkstone Records
Genere musicale: Folk Metal Voto: 7,5
Tipo: 2DVD+CD Sito web: http://www.folkstone.it
Membri band:

Lore – voce, cornamusa, rauschpfeife

Federico – basso, cori

Roby – cornamusa, voce, bombarda, rauschpfeife

Teo – cornamusa, bombarda, ghironda, rauschpfeife, cori

Edo – batteria, percussioni

Andreas – cornamusa, rauschpfeife, percussioni, voce

Maurizio – cornamusa, flauto, cittern, rauschpfeife, cori

Walter – chitarra

Silvia – arpa, tamburello, percussioni

Tracklist:

  1. Il Confine
  2. Grige Maree
  3. Aufstand!
  4. Non Sarò Mai
  5. Alza il Corno
  6. Lo Stendardo
  7. Anime Dannate
  8. Terra Santa
  9. Respiro Avido
  10. Anomalus
  11. Ombre di Silenzio
  12. Nebbie
  13. FolkStone
  14. Frerì
  15. Un’Altra Volta Ancora
  16. Frammenti
  17. Sgangogatt
  18. Briganti di Montagna
  19. Luna
  20. Omnia Fert Aetas
  21. Simone Pianetti
  22. Nell’Alto Cadrò
  23. In Taberna (In Vino Veritas)
  24. Rocce Nere
  25. Longobardia
  26. Vortici Scuri
  27. Con Passo Pesante
Category : Recensioni
Tags : Folk
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07th Gen2013

Kalevala – There And Back Again

by Marcello Zinno

La maturità è uno dei pregi indiscussi dei Kalevala, questo è certo. Non che i Nostri l’abbiano raggiunta solo con questo There And Back Again, out già da qualche mese, tutt’altro. Già con il precedente Musicanti di Brema il sound del sestetto ci aveva più che colpito. A meno di un anno di distanza però la band ha deciso di offrire un seguito a quell’album che tanto mostrava in termini di tecnica, qualità e variazioni sulla matrice compisitiva principe: così sono nate queste undici tracce che prendono molto le distanze da quanto fatto dai Kalevala in passato (contrariamente al significato del suo titolo). Se infatti l’approccio epico/folk è rimasto inalterato, i Kalevala del 2012 appaiono molto più orientati verso sonorità heavy metal rispetto al loro tipico trademark folk rock. La band è più a suo agio e sfrutta questa maggiore dimistichezza presentando una caparbietà più sfrontata, un sound più diretto, a differenza di quell’alone di sperimentalismo che compariva tra i brani del precedente Musicanti Di Brema. Niente di meno interessante sia chiaro, semplicemente un tassello diverso di una visione musicale molto complessa. Così basterebbe aprire un vecchio capitolo della storia dei Manowar per presentare il brano Folk Metal, Baby! nonostante l’irruenza degli strumenti epici in classico stile Kalevala e anche Come Dio Comanda, puntando ad un riffing forzato di vero impatto, ricalca questa forte impronta. Più variegate Nigel’s Got A Sword, che richiama le influenze progressive, e S’i’ Fosse Foco che mette egregiamente in musica il sonetto di Cecco Angiolieri impreziosendolo grazie ad un’anima folcloristica.

Bellissima Glasses che sconfina nella fusion/acid jazz facendo toccare con mano le qualità degli artisti che stanno dietro questo moniker e le loro reali potenzialità espressive. Meno di due minuti, ma molto significativi per l’intera uscita. Altra grande prova è data dalla conclusiva U’Golema, strumentale di grande verve che attraversa scenari molto distanti tra loro con una semplicità non da tutti. Distanti dalla “nuova visione”, altrettanti momenti richiamano le radici della band: così come nel 2011 con Bouchons De Liege, anche in questo lavoro c’è una prova in francese, Waterloo, che richiama il tipico stile folk rock del sestetto. In tutto ciò la voce di Simone Casula si conferma grande debitrice della scena power metal tedesca, mentre gli altri strumenti stentanto ad affiorire nel loro contributo singolo, un pò per una ricerca maggiore dell’insieme, un pò per il sovrastare della chitarra sulla quale è incentrata gran parte della scena (insieme alla voce). Una bella prova che ci obbliga a seguire il cammino di questa interessantissima band.

Autore: Kalevala Titolo Album: There And Back Again
Anno: 2012 Casa Discografica: Moonlight Records
Genere musicale: Folk, Heavy Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.kalevalahms.com
Membri band:

Simone Casula – voce

Emiliano Occhi – basso

Daniele Zoncheddu – chitarra

Dario Caradente – flauti

Arjuna Iacci – fisarmonica, percussioni, mandolino

Tommy Celletti – batteria

Tracklist:

  1. Intro
  2. S’i’ Fosse Foco
  3. Folk Metal, Baby!
  4. Full Frontal Nudity
  5. Come Dio Comanda
  6. Nigel’s Got A Sword
  7. There And Back Again
  8. Glasses
  9. Dinamite
  10. Waterloo
  11. U’ Golema
Category : Recensioni
Tags : Folk
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21st Ott2012

Spiral 69 – No Paint On The Wall

by Giancarlo Amitrano

Un fiume in piena, l’attuale produzione musicale italiana, band di vario genere si affacciano sul panorama artistico, sgomitando tra esse alla ricerca di un posto al sole. Parafrasando una famosa canzone di qualche anno fa, potremmo dire che “solo uno su mille ce la fa”, tuttavia, possiamo elevare la percentuale, dato il buon numero di gruppi che riesce ormai a mettersi in evidenza. E così gli Spiral 69, capitanati dal singer Riccardo Sabetti, sono gli autori della proposta che oggi andiamo ad esaminare. Autori di un disco abbastanza complesso, possiamo rendercene conto sin da Collecting Lies, dove la vena oscura ed intimista fa capolino tra le righe con un sound molto compresso, ma non certo ovattato, dove il singer declama in maniera molto gothic testi davvero impegnati. La buona sezione ritmica rende bene l’impatto emotivo e quasi “industriale” in alcuni passaggi davvero ben congegnati tra loro. Cold veste bene i panni del potenziale singolo, gli strumenti sono tirati alla perfezione, la drammatizzazione del testo è resa perfettamente dal cantato attonito che si estrania dalla realtà, coadiuvato dalla precisione del battito del drummer, ideale compagno di sventure. Il bel gioco di archi consente di elevare al massimo la tensione emotiva che traspare dal brano, improntato a tematiche erotiche e comunque sparate in faccia ad arte a chi ascolta. Mirabile l’intarsio centrale tra archi e tastiere, che prelude al convulso finale, davvero coinvolgente nella sua trasposizione vocal-sonora.

Con Berlin, si sale di livello, la tecnica compositiva e la melodia interpretativa vengono rese al massimo dalla proposta vocale davvero notevole di Sabetti, attorno alle quali ruotano alla grande gli strumentisti coinvolti in una ideale “session” di bravura, in cui eccellono specialmente una delicata acustica ed un buon lavoro delle tastiere. La Missori è davvvero brava nel costruire un delicato refrain di tastiere che fanno in modo che il cantato riesca ad estrinsecarsi in maniera davvero mirabile dal viluppo delle tematiche desolanti. Tra i migliori brani del disco, si caratterizza per le sue atmosfere grevi e pesanti, adatte al cantato alienato nella strofa centrale e rinvigorito nel bridge finale. Everyone Has Someone To Hate è tirato come non mai: l’accezione intimista del singer rende bene la passione che il vocalist trasmette al brano, anche gli strumenti sono più ruvidi e la lirica che le tastiere disegnano rende bene il senso di disorientamento provvisorio in alcuni frangenti del disco. Ottimo l’incrocio sonoro tra batteria e chitarra, con un ideale sfida tra i due strumenti a singolar tenzone, senza perdere di vista l’economia del brano, ottima nella sua vena di esaltazione sonora. Ethon II si incastona a meraviglia tra gli episodi più sentiti. Il piano della Missori è altamente tecnico, mentre le atmosfere stagnanti che da esso derivano rendono bene il panorama di desolazione che il gruppo vuole trasmettere.

Beautiful Lie si appalesa come il momento “ruffiano” del disco, il pop che traspare dalle note mal si concilia con il cantato che in questa occasione cede il passo ancora al buon lavoro della Missori, sia pure depurato da orpelli di eccessivo disimpegno dai testi sinora adoperati. Brano comunque buono, tuttavia accusa alcuni passaggi a vuoto nella melensa offerta sonora specie al centro del pezzo, che si trascina stancamente alla fine. Arrivati alla title track, siamo invasi da un gioco di effetti sonori, di atmosfere sature di immanente, in cui si intrecciano bene la sei corde e le percussioni davvero cadenzate e modulate alla grande, in uno dei migliori episodi del disco. Tutto il quintetto è pienamente coinvolto nel trasporre in musica testi che ancora una volta parlano di erotismo, sia pur con delicatezza compositiva. Giunge anche il momento di un sia pur accennato “solo” della sei corde, su cui la sezione ritmica si profonde in caratterizzazioni quasi oniriche della realtà, ben dipinta ed immaginata. Una pausa quasi “dance”? Parrebbe di sì con The Girl Who Dances Alone, almeno nelle battute iniziali che il gruppo dà al pezzo. Grazie alla modulata voce dell’ospite Tying Tiffany, il brano assume connotazioni molto coinvolgenti e quasi rimbombanti nel refrain, su cui la chitarra esibisce stavolta i muscoli dal punto di vista della durezza. Anche il cantato è davvero duro, grazie ai cori che raddoppiano l’intensità vocale ed alla batteria che funge da grancassa vera e propria. Melodia pura con Love Is For Losers: la presenza degli archi rende il brano pregevole dal punto di vista della composizione e della predisposizione al temperamento artistico del gruppo. Il lavoro della Missori ancora una volta impreziosisce ed anzi concede maggior intensità al lavoro della sezione ritmica, resa più pesante nella fase centrale da un drumming molto nitido che non perde battute.

Molto coinvolgente, Best Porno risente ancora della vena folk che il gruppo non nasconde, mischiandola a sapienti atmosfere di nuovo gotiche nella modulazione della voce. La sei corde, ancora acustica, si erge di una spanna con il suo tocco morbido che si articola attorno ad un semplice giro di accordi ritmati che non vanno a discapito della freschezza del brano. Ancora una volta i cori supportano alla grande il singer, ispirato dal sostegno della seconda voce, tanto da concludere il brano con una cavalcata vocale quasi di esclusiva pertinenza. Chiudiamo con Bleeding Through, un brano in cui si nota sin da subito la voce quasi estraniata da una realtà che la band gli costruisce addosso con atmosfere grigie di tastiere e di percussioni quasi ancora industriali e nella battuta e nella resa sonora. Mirabile ancora il gioco dei tasti che con delicatezza si accompagnano al refrain, senza incidere sulla sua speditezza e sulle intenzioni della band, che sono davvero di significato socialmente utile. Per un lavoro che, in definitiva, lascia presagire orizzonti ancora più radiosi per il combo in questione, in presenza di altri lavori come questo.

Autore: Spiral 69 Titolo Album: No Paint On The Wall
Anno: 2011 Casa Discografica: MegaSound
Genere musicale: Folk Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/spiral69
Membri band:

Riccardo Sabetti – voce

Enzo Russo – chitarra

Andrea Ruggiero – violino

Stefano Conigliaro– batteria

Licia Missori – piano

Tracklist:

  1. Collecting Lies
  2. Cold
  3. Berlin
  4. Everyone Has Someone To Hate
  5. Ethon II
  6. Beautiful Lie
  7. No Paint On The Wall
  8. The Girl Who Dances Alone
  9. Love Is For Losers
  10. Best Porno
  11. Bleeding Through
Category : Recensioni
Tags : Folk
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14th Ott2012

Dola J. Chaplin – To The Tremendous Road

by Rod

È incredibile come la musica sia capace di far sentire proprie storie e tradizioni in apparenza lontane attraverso la riproposizione di un sound che non appartiene di certo alle proprie radici culturali, ma a cieli ed occhi lontani migliaia di chilometri da chi li sogna imbracciando una chitarra nel tepore di una stanza penombrata. Nel caso di Dola J. Chaplin, un passato da rocker, aspetto da giramondo e barba lunga che trovi sul viso di chi ne ha viste parecchie, la somatizzazione del processo di apprendimento e di rielaborazione della lezione blues e folk di matrice anglosassone, è stato un cammino quasi naturale, arricchito da esperienze personali ed artistiche vissute direttamente nei luoghi a cui quegli stili appartengono da sempre. Questa maturazione itinerante ha inevitabilmente influito sul processo compositivo dell’artista, consentendogli di dare alla luce le intense tracce che compongono To The Tremendous Road, il suo album d’esordio, un disco di avveniristica bellezza, stracolmo di poesia e di atmosfere delicate e sognanti; un’opera scritta, arrangiata, suonata, interpretata e prodotta in maniera impeccabile, senza sbavature ed imperfezioni, seppur mantenendo costante un marcato appeal tipicamente “unplugged”.

Impossibile poter fare una caratterizzazione singola di ogni canzone, poiché è nell’insieme che ognuna di esse si coniuga con una magia ed un calore speciale al disco intero, un effetto, quest’ultimo, che dà all’ascoltatore spazio e tempo per riflettere, ma anche venir voglia di canticchiare, non importa se guardando fuori dalla finestra o dentro se stessi. Per chi scrive, è però nata sin da subito un’affezione particolare per Frost ‘Neath The Nails, un pezzo che si traveste da ballad figlia della tradizione rock ed intrisa di aloni grunge, che basa la sua alchimia musicale sull’interpretazione coinvolgente di Chaplin, più intensa e struggente del solito. To The Tremendous Road ha il potere evocativo del viaggio, seppur musicale, attraverso i gangli sovrapposti della mente. Ha il retrogusto dell’intimità, della melanconia che si trova solo in certi libri capaci di arrivare dritti all’anima grazie al potere evocativo della parola. Nonostante il semplice telaio acustico che sorregge l’intero impianto sonoro dell’album, l’ampia gamma di strumenti utilizzati nella costruzione dei brani e la maestria con la quale vengono interpretati dagli ottimi musicisti intervenuti, è a nostro parere uno dei punti di forza dell’intero full-lenght, un humus che ha un ruolo fondamentale nella creazione delle delicate ambientazioni sonore composte principalmente dalla chitarra pulita di Dola, dalla sua voce calda e dalle liriche ispirate che sa interpretare con passione e trasporto.

Senza troppi giri di parole, To The Tremendous Road, è un album fantastico, una cura per lo spirito dell’ascoltatore, un lavoro di rara bellezza che nasce dalla passione e dal talento di un validissimo cantautore folk/blues che ha saputo reinventare con semplicità e tradurre in musica e parole, la parte più pura e cristallina del suo talento.

Autore: Dola J. Chaplin Titolo Album: To The Tremendous Road
Anno: 2012 Casa Discografica: VOLUME! Records
Genere musicale: Blues, Folk Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.dolajchaplin.com/
Membri band:

Dola J. Chaplin – chitarra, xilofono, voce, cori

Emma Tricca – cori in To The Tremendous Road

Angelo Tracanna – doppio basso/xilofono

Roberto Cervi – chitarra

Giulio Berghella – basso

Marco Pellegrini – armonica

Christian Carano – organo, tastiere

Carlo Porfilio – batteria, percussioni

Fabrizio Crecchio – chitarra lap steel

Diego Sartor – banjo

Leo Gataleta – violino, viola

Gianluigi Fiordaliso – violoncello

Tracklist:

  1. Go Wild
  2. You’re On My Mind
  3. What I Care
  4. Railway
  5. Dyin’ Every Day
  6. Flowers
  7. Frost ‘Neath The Nails
  8. To The Tremendous Road
  9. Sails
  10. Nothing To Say
  11. Drivin’ South
  12. What I Care (reprise)
Category : Recensioni
Tags : Folk
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