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06th Mag2018

Shiver Folk – Settembre

by Marcello Zinno

Shiver Folk - SettembreGli Shiver Folk sono una band che si sta facendo conoscere davvero tanto, soprattutto in Lombardia. E non è solo il supporto a Davide Van de Sfroos per il suo tour del 2016 ad aver acceso i riflettori su di loro, ma anche alcune rivisitazioni in chiave folk di brani molto noti ad aver fatto da trampolino di lancio. Eppure gli Shiver Folk restano una band in tutto e per tutto, una formazione molto prolifica che spesso si dedica alla scrittura di inediti e non tarda a pubblicare nuovi EP o album. Qui il recente Settembre, quattro tracce dalla breve durata ma dall’interessante intensità. I ragazzi non temono di usare parole non certo morbide nei testi e messaggi diretti, eppure musicalmente riescono egregiamente ad amalgamare strumenti e suoni così diversi. Ecco in questo potremo dire che si colloca la loro chiave distintiva, quello a cui molti musicisti aspirano pur se spesso senza raggiungerlo. Ed è proprio Settembre che ci piace, la title track che fa ballare in alcuni frangenti ma che nelle strofe si avvicina molto ad una rock song, al contrario la successiva Storie Di Sospiri E Di Ginocchia Sbucciate è una profonda ballad che sa di nostalgia e rimanda alla spensieratezza che ognuno di noi aveva da piccolo.

Questi sono i due momenti estremi di un EP che tocca diverse coordinate e che completa il suo ampio disegno con il pop folk di Oltre Il Tuo Ritorno e il pop contautorale di Medicine Per Il Morale. Al di là di questo EP, che è veloce come un morso, gli Shiver Folk sono una band da seguire, con un immenso potenziale.

Autore: Shiver Folk

Titolo Album: Settembre

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Folk Rock

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: http://www.shiverfolk.it

Membri band:

Lorenzo Bonfanti – voce, chitarra, batteria, percussioni

Andrea Verga – banjo, mandolino, chitarra, voce

Stefano Bigoni – piano, chitarra, tromba, armonica, voce

Stefano Fumagalli – basso, contrabasso

Luca Redaelli – chitarra

Tracklist:

  1. Medicine Per Il Morale

  2. Settembre

  3. Storie Di Sospiri E Di Ginocchia Sbucciate

  4. Oltre Il Tuo Ritorno

Category : Recensioni
Tags : Folk
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19th Mar2018

Red River Dialect – Broken Stay Open Sky

by Giuseppe Celano

Red River Dialect - Broken Stay Open SkyI Red River Dialect sono un band di sei elementi che produce folk rock nella figura di David Morris come compositore. Due anni fa Kiran Bhattm, dopo un‘audizione, si unisce a Kindred-Boothby, Sanders, Hannah Rose-Whittle, Robin Stratton e Kiran Bhatt. L’alchimia fu così forte che diede luogo a questo frutto intitolato Broken Stay Open Sky. Sono morbidi e sognanti, a volte melanconici per gli arrangiamenti degli archi ma gioiosi nelle voci sovrapposte dei cori (Kukkuripa). Mutano atmosfera in base al mood di Morris, Broken Stay Open Sky è il loro quarto album e il primo con la Paradise of Bachelors. I londinesi portano una bella ventata di aria fresca attraverso pezzi complessi, ma allo stesso tempo delicati, che non diventano mai scontati né suscitano noia. Questo lavoro è il frutto di un sapiente mix delle dosi per ogni elemento scelto di questo piatto succoso. Le canzoni non hanno nessuna fretta di arrivare alla meta, qui non si urla, non c’è nessun tipo di urgenza. Si cammina in punta di piedi, aumentando sensibilmente in pochi passaggi (Juniper), mentre si parla di lande desolate, di corpi vibranti e ovviamente di gioie e sofferenze.

Sono capaci di scrivere ballate profondamente attaccate alle loro radici infilando una melodia raffinata (Aery Thin) e allo stesso tempo appiccicosa quanto basta per non dimenticarla (Listening Bell). Allo stesso modo quando impazziscono sono capaci di rock diretto e rumoroso, del tutto inaspettato, che per cinque minuti scuote il fondale marino increspando la superficie (di un disco) solo apparentemente pacifica. Registrato perlopiù in presa diretta, questo nuovo lavoro è ricco di atmosfere cangianti che riflettono gli elementi di riflessioni filosofica, e non solo, disseminate lungo l’intero disco. È una questione di fede secondo Morris, e per voi?

Autore: Red River Dialect

Titolo Album: Broken Stay Open Sky

Anno: 2018

Casa Discografica: Paradise Of Bachelors

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 8,25

Tipo: CD

Sito web: http://redriverdialect.blogspot.co.uk

Membri band:

Simon Drinkwater

Jack Kindred-Boothby

David Morris

Ed Sanders

Robin Stratton

Kiran Bhatt

Tracklist:

  1. Juniper / The View

  2. Kukkuripa

  3. Open Sky (Bell)

  4. Aery Thin

  5. Cinders

  6. Gull Rock

  7. Campana

Category : Recensioni
Tags : Folk
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02nd Mar2018

Paolo Tocco – Ho Bisogno Di Aria

by Sara Fabrizi

Paolo Tocco - Ho Bisogno Di AriaNarrare la vita in musica. La vita in tutte le sue sfaccettature, le sue vicissitudini private e sociali, intime e pubbliche. Con un piglio romantico, profondo, ma al contempo decisamente realistico e anche crudo quando necessario. Il cantautorato nostrano si inserisce bene in queste modalità comunicative, come anche quello internazionale. E’ un po’ la mission e la sensibilità del folk che con la sua grazia, a tratti acustica, a tratti elettrificata, ci mostra che la musica non può essere fine a se stessa ma che parte e torna sempre alla vita, quotidiana ed ordinaria ma anche eccezionale e singolare. Lo sa benissimo Paolo Tocco, produttore discografico, ingegnere (del suono), appassionato di magia e cartomanzia, cantautore, scrittore. Si inserisce perfettamente su questa strada già ampiamente battuta da altri, ma sempre così affascinante e fonte inesauribile di storie ed emozioni da raccontare. I suoi molteplici interessi sono legati da un filo rosso che è l’amore per l’arte. Anche gli studi di ingegneria finiscono col virare verso il mondo “magico” della musica. Questo equilibrio, questa tensione ideale, fra il razionale e l’irrazionale, tra il fisico e l’inafferrabile, deve aver nutrito molto bene la sua vena cantautorale che trova in Ho Bisogno D’Aria il suo pieno sfogo.

11 brani cantati e suonati sul filo delle proprie emozioni che parlano di sé ma anche degli altri, del più grande consorzio umano con tutte le sue storie di amore, dolore, paura, speranza. Tutti sentimenti umani che nella società attuale così complessa, mutevole, sfuggente, appaiono come amplificati e quasi fisicamente presenti se raccontati in musica. Ed è proprio questa l’impressione che ricevo all’ascolto, come se le storie narrate fossero a me vicine, tangibili, come se mi riguardassero. Mi sento chiamata in causa. Ognuno di noi si può rivedere nelle canzoni dell’album, sentirsi partecipe. La letteratura, e la musica, ci insegnano che non siamo soli, che noi apparteniamo e questo disco folk dal sapore agrodolce ci fa sentire esattamente così.

Autore: Paolo Tocco

Titolo Album: Ho Bisogno Di Aria

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Folk, Cantautorato

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/pages/Paolo-Tocco/69751347511

Membri band:

Paolo Tocco – vaoce, chitarra, pianoforte in Bella Italia

Amedeo Micantoni – chitarra

Danilo Florio – violino

Giacomo Pasquali – basso

Marco Contento – batteria

Luca Belisario – batteria in Bella Italia

Walter Caratelli – percussioni

Piero Delle Monache – sax

Enzo Di Michele – tromba in Mary

Marco Indino – tromba in La Città Della Camomilla

Angelo Violante – pianoforte e synth

Patrizia Cirulli – voce in Pizzburg

Giada Scioli – cori in Non Vi Conosco

Francesco Costantini, Ovelio Di Gregorio, Adriano Tarullo, Giada Scioli, Giacomi Pasquali – coro in Madre Terra

Tracklist:

  1. Ho Bisogno Di Aria
  2. Bella Italia
  3. Pizzburg
  4. Arrivando Alla Riva
  5. Traditional Love Song
  6. Tom Waiz
  7. La Città Della Camomilla
  8. Mary
  9. Non Vi Riconosco
  10. Bolle Di Sapone
  11. Madre Terra
Category : Recensioni
Tags : Folk
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01st Mar2018

State Liquor Store – Nightfall And Aurora

by Paolo Tocco

State Liquor Store - Nightfall And AuroraPurtroppo non penso di potermi astenere dalla mia eterna antipatia verace, quella che ho dentro ogni volta che sento un italiano cantare in inglese. Raramente la cosa mi piace. Raramente. Per tutte le altre volte si smuove dentro un non so che di acido e di difficoltà che non riesco proprio a gestire. E non è lo stesso effetto che provo quando un francese canta in inglese…non so, forse sono sterili pregiudizi e vi chiedo scusa perchè davvero non riesco a farci pace con questa cosa. Appena è partito questo primo disco degli State Liquor Store, dalla prima parola di Dreamsleeper ho avuto dentro l’acido. Maledizione! Ma voi non lo sentite quanto è brutto? Quanto è scolastico? Quanto è forzato? Manca davvero ogni carattere di bellezza e soprattutto di naturalezza per essere qualcosa di accettabile dal mio gusto. Cioè davvero non ce la posso fare. E devo dire che il loro inglese non è tra i peggiori, anzi è anche passabile. Tempo fa ho prodotto il buon Dola J Chaplin. Un ragazzo della provincia di Frosinone. Andate ad ascoltare quel disco, To The Tremendous Road. Andate ad ascoltare brani come You’re On My Mind o What I Care o ancora la title track. Andatelo ad ascoltare tutto quel disco che ho arrangiato, registrato, masterizzato…tutto per confezionare la meravigliosa scrittura di un ragazzo che penso sia stato teletrasportato su questa terra italiana di oggi dal lontano 1960 di Nashville e zone limitrofe. Sentite il suo inglese…oppure ascoltate Charlie Risso con il meraviglioso Ruins Of Memories e di questo premete play ovunque ma in particolare su Superior o The Road…

Tutto questo per dirvi che se volete sposare il linguaggio del grande folk che un poco si fa rock da viaggio on the road per arrivare in Italia partendo dagli anni ’60 di Nashville – magari fermandovi a bere rum e suonando dulcimer sui monti Appalachi – non potete curare tanti di quei particolari che di questo immaginario hanno fatto la storia. Ci stanno i suoni più digitali, che poi il masterizzi a Nashville e vi farà sembrare tutto più figo, ci sta anche che per i giornali “vendi la cosa come iperfiga”, ma se volevate “quesi suoni” dovevate andarli a catturare a Nashville. I Green Like July lo hanno fatto. Da Milano sono andati a registrare in uno studio di Nashville. Stessi ragazzi di Milano, stesse chitarre, stesso modo di suonare e di cantare (ahimè) in inglese. Il giorno e la notte. Allora sì che il disco suona come dite voi! Per il resto questo primo disco dei S.L.S. che si intitola Nightfall And Aurora ci regala 9 brani che sinceramente non hanno chissà quale forza melodica o spirituale per farmi sottolineare qualcosa. Bello il gusto, sicuramente il linguaggio folk c’è, sicuramente le soluzioni di batteria funzionano (che penso siano tra le prime cose a partire per la tangente, fosse solo che sono le più evidenti). E se il punto forse peggiore del disco è – credo – No Reason con una strofa un po’ beatlessiana che sinceramente mette in scena il peggio del cantato inglese (sempre per i miei pregiudizi), direi che con Land Of Flowing Leaves (se avessero scelto soluzioni meno alla Ligabue anche) o con la chiusa Lazy Morning On The Shore hanno raggiunto il vertice di gusto. La prima è troppo Beatles che stanno facendo cover di Luciano ma con la bellissima – sì bellissima – traccia finale si mette in campo un bel cocktail e cioè si smette di aderire con forza ad un linguaggio (che non avete saputo in pieno rispettare) e si è cercato di essere più liberi di inventare e di sfoggiare personalità.

Se tutto il disco avesse avuto i colori di Lazy Morning On The Shore probabilmente avrebbe vinto senza troppi “se” e con pochissimi “ma”. Ed infatti proprio in questo brano venuto fuori dai cassetti di Simon & Garfunkel (sempre seguendo le indicazioni del mio amico saggio) o dalle nuove scritture dei Kings Of Convenience, ascoltate la voce che, anche grazie alla coralità e al riverbero, si sposa non solo con il mix ma ne dà un tocco di originalità, di fascino, di assoluto carattere. Ecco. La morale, la mia morale, è presto fatta: inutile imitare miti e leggende e linguaggi e periodi storici quando non abbiamo minimamente vissuto quella storia, non viviamo in quelle terre e non sappiamo niente di quella cultura se non qualche disco e qualche libro. Arlo Guthrie si può permettere oggi di fare dischi in quel modo. Neil Young certamente…noi no. E si sente quando li imitiamo. Pensiamo invece a farci contaminare da quei suoni e lasciamoci liberi di scrivere come ci viene. Così escono brani come Lazy Morning On The Shore. Ma sempre secondo il mio piccolo punto di vista.

Autore: State Liquor Store

Titolo Album: Nightfall And Aurora

Anno: 2017

Casa Discografica: Libellula

Genere musicale: Folk, Rock

Voto: 5

Tipo: CD

Sito web: https://facebook.com/stateliquorstor

Membri band:

Luca Garrone – voce, chitarra

Matteo Garrone – basso

Federico Nicola – chitarra, voce

Matteo Grasso – batteria, percussioni

Michele Cocciardo – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Dreamsleeper

  2. No Reason

  3. Wise Man

  4. Sad Tale Lost In Time

  5. Sleeping Close To You

  6. Two

  7. Land Of Flowing Leaves

  8. Pure Sunshine

  9. Lazy Morning On The Shore

Category : Recensioni
Tags : Folk
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11th Feb2018

Barack – Lose The Map, Find Your Soul

by Amleto Gramegna

Barack - Lose The Map, Find Your SoulNon male l’esordio di Barack, al secolo Lorenzo Clerici, al suo primo full lenght dopo un esplorativo EP. Dieci tracce per questo lavoro, dieci tracce un po’ folk, un po’ indie, un po’ alternative. Ora, chi ci legge sa bene l’odio che proviamo per un certo tipo di alternative, sempre uguale a se stesso, prodotto, suonato e registrato col copia-incolla. Fortunatamente qui siamo decisamente oltre: all’ascolto non abbiamo subito il solito deja-vù tipico dell’indie italiano. Sarà l’utilizzo dell’albionica lingua (si vede che abbiamo fatto gli studi classici?), sarà una certa cura della produzione, ma ne vien fuori un lavoro decisamente notevole. La virata maggiore è data dalla dimensione folk, ma un folk diverso dalle classiche marcette balcane che tanto piacciono ai nostri illuminati artisti alternative. È un folk con pennate lisergiche, basta ascoltare Follow Me per rendersene conto: echi liquidi alla Sigur Ros, e lunghi corridoi musicali. L’italo-francese sa come incantare il suo pubblico, basta ascoltare Lose Your Map Find Yourself, degna del più disperato Buckley. È un lavoro che va assimilato, su questo non vi è alcun dubbio. Ogni secondo va lentamente gustato per goderne di ogni sfumatura.

Siamo contenti di aver ascoltato un lavoro cantautorale nuovo (in tutti i sensi!), levandoci definitivamente dai piedi tutta quella solita paccottiglia finto-intellettuale che bazzica la scena, solita paccottiglia che invoca a ogni piè sospinto la sacra trimurti DeAndrèConteGaber. Di cui abbiamo decisamente le tasche piene. Noi possiamo sperare solo che Barack possa continuare con la sua proposta sfruttando appieno il suo talento, senza calarsi anch’esso nei panni dell’intellettuale italiano. Ma siamo certi che ci darà parecchie soddisfazioni.

Autore: Barack

Titolo Album: Lose The Map, Find Your Soul

Anno: 2017

Casa Discografica: Prismopaco Records

Genere musicale: Folk

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: http://www.barackmusic.com

Membri band:

Barack – voce, chitarra

Lucantonio Fusaro – chitarra, voce

Claudio Piperissa – tastiere

Lorenzo Valeri – batteria

Tracklist:

  1. Elixir

  2. Lines

  3. Follow Me

  4. Fooled

  5. Victory

  6. Breathe

  7. Drop of Happiness

  8. Lose Your Map Find Yourself

  9. Lies

  10. Mistake

Category : Recensioni
Tags : Folk
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02nd Feb2018

Leo Folgori – Nuevo Mundo

by Sara Fabrizi

Leo Folgori - Nuevo MundoNuevo Mundo, lo dice il nome stesso, ci trascina verso sonorità e scenari non esclusivamente italiani ed autoctoni. Nel sound e nei temi trattati nelle 10 tracce inedite del cantautore romano Leo Folgori c’è l’apertura verso il nuovo, verso la contaminazione, verso la coesistenza di culture e pensieri differenti. Le ballate popolari nostrane si fondono con sensibilità musicali provenienti dall’America Latina e dal Nord Africa, producendo un folk moderno e variegato. Folgori ha l’aria di essere cresciuto a pane e folk, non solo italico, ma anche inevitabilmente americano. Facendo cara la lezione tipica del genere musicale di raccontare la vita in tutti i suoi risvolti sociali. In Nuevo Mundo c’è il tipico filo rosso che lega tutti i pezzi e che si incentra sul rapporto tra l’uomo moderno, iperconnesso e tecnologico, e la terra che lo ospita e che gli ricorda che è esso è fatto anche di genuinità, di libertà, di primordialità, di liberazione. Le storie narrate nei brani affrontano le difficoltà dell’uomo perso nella società contemporanea e rotella di questo ingranaggio che si barcamena in un mondo sempre più complesso, estraniante e faticoso. Un uomo che difficilmente riesce a stare a galla e che sogna un ritorno alla sua dimensione più pura e “selvaggia”.

Le sonorità ballabili e gioiosamente ritmate di alcuni pezzi sono un chiaro richiamo ed invito a lasciarsi andare ad una danza liberatoria che aiuti a ritrovare se stessi e a proiettarsi nel nuovo mondo che sta avanzando scevri da catene e schemi mentali, pronti ad affrontare positivamente l’incontro con il nuovo, con l’altro da sé. Una manciata di ballate delicate e pezzi grintosi che racchiudono sensibilità musicali, senso del sociale e buon senso tipici dei più grandi folksingers. Un vero concept album folk. Un disco così denso di verità egregiamente messe in musica da meritare di andare lontano.

Autore: Leo Folgori

Titolo Album: Nuevo Mundo

Anno: 2017

Casa Discografica: Materiali Musicali & BetaProduzioni

Genere musicale: Folk Rock

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: https://www.leofolgori.it/

Membri band:

Leo Folgori – voce

Nicolò Pagani – chitarra, basso, voce

Giacomo Ronconi – chitarra, cori

Gino Binchi – batteria, cori

Daniele Leucci – percussioni

Renato Vecchio – sax tenore

Stefano Monastra – tromba

Tracklist:

  1. La Scimmia
  2. Nuvole
  3. Grido
  4. Salve Regina
  5. A Bailar
  6. Nuevo Mundo
  7. Avanti Marsch
  8. Occhio Per Occhio
  9. Schiena Di Mulo
  10. Dov’è
Category : Recensioni
Tags : Folk
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19th Dic2017

The Byrds – Fifth Dimension

by Sara Fabrizi

The Byrds - Fifth DimensionIl terzo album di The Byrds, rispetto ai primi due, è già un’altra storia. Non è esagerato dire che la psichedelia nasca proprio da qui. David Crosby mescola il suo animo anarchico e le sue trovate musicali geniali con le influenze jazzistiche di John Coltrane e della musica indiana e con il libero consumo delle droghe ed ecco che ne esce una nuova cultura musicale-sociale che ha in un certo tipo di ascolti e in un certo stile di vita i capisaldi. Detto così potrebbe sembrare azzardato o semplicistico, ma non lo è. Eight Miles High è di fatto una perla psichedelica e fonda un genere e una controcultura. Fu vietata da molte radio per la sua portata “proibita”. Di fatto scardina l’impianto melodico rassicurante e timeless di Crosby e Clark e si colloca nell’avanguardia musicale. Sonorità del tutto inedite, prima di allora non c’era mai stato nulla del genere. Che poi la ricerca sonora anarchica del caro genio Crosby come si sposa bene con la 12 corde di McGuinn, con il suo jingle jangle, e con le meravigliose armonizzazioni vocali dei 3 (Gene Clark era andato via durante la registrazione dell’album ma il suo contributo in questo brano è presente). Come già la loro cover di Mr. Tambourine Man era stata lo spartiacque che di fatto inventò il folk rock, così Eight Miles High è il primo capitolo del rock psichedelico.

Le atmosfere lisergiche permeano un po’ l’intero album e sono ben riconoscibili anche in altri brani. 5 D (Fifth Dimension), la title track, è un pezzo country dai toni epici. Qualcuno dirà “la solita ballad alla Byrds maniera”. Invece è già molto di più. Una psichedelia appena accennata, embrionale, già l’influsso della musica indiana, già la contaminazione. E poi sonorità da folk scozzese e le armonie vocali eccelse, as usually. Wild Mountain Thyme è un pezzo più traditional, una ballad come ce ne sono tante nei primi due album. Aggraziata, a tratti soave, giocata su quell’intreccio di voci che ben conosciamo. Ma nulla di nuovo. Gene Clark andò via dopo aver inciso Eight Miles High (brano in cui il suo contributo è molto forte) e dopo aver lasciato un cammeo con l’armonica a bocca in Captain Soul, un pezzo strumentale molto bluesy. La sua dipartita si fece subito sentire. Clark era il vero compositore del gruppo. McGuinn uno splendido esecutore. Crosby un inventore di genialate avanguardistiche e un discreto compositore. La parte forte del songwriting si ritrovò orfana dopo che Clark andò via. Perché lo fece? Il suo animo dolce e ribelle di folksinger alla Dylan necessitava di carriera solista subito, semplicemente. Si vocifera anche che fosse un po’ malvisto dagli altri proprio per il suo talento compositivo così innato, così naturale, da destare un po’ di invidia. Andò via quindi. Ma non prima di aver lasciato la sua immensa lezione.

John Riley è un altro brano piuttosto classico di casa Byrds. Si tratta di una cover di un pezzo di Bob Gibson, un folk soft e malinconico. Mr. Spaceman è un bluegrass alla Buffalo Springfield. Quel suono delle praterie così accelerato ed accattivante qui veicola un testo che parla di un alieno, di un uomo che viene dallo spazio, in linea con le suggestioni e le fisse dell’epoca. Un pezzo godibilissimo e trascinante. E se vi dicessi che la mitica Hey Joe, che sappiamo essere di Jimi Hendrix, è in realtà un pezzo di The Byrds che in seguito Hendrix coverizzò? Ebbene si tratta di un brano di Billy Roberts che Crosby and co. rimaneggiarono ottenendo un pezzo davvero rock’n’roll. Forse il più rock’n’roll della coppia Crosby e McGuinn. Fa quasi strano conoscerla così, in questa versione così genuinamente rhytm and blues. Davvero molto bella. Hendrix tenne cara questa lezione. La musica è anche (e soprattutto) continuo incessante rifacimento. Con I See You torniamo apparentemente di nuovo nel solco del tradizionale, della regola Byrds. Moltissimo spazio alla 12 corde di McGuinn che però trascina una sorta di nenia fatta di distorsioni e improvvisazioni jazz. Qui l’estro esecutivo di McGuinn è a piene mani. Altro brano in cui egli ha modo di mostrare la sua formidabile attitudine è 2-4-2 Fox Trot . Brano in cui McGuinn riversa il suo amore per lo sperimentalismo, anticipando in qualche modo la musica elettronica. I cori e le armonie vocali fanno da sfondo ad effetti di rumori da studio. Praticamente questo pezzo è un avo del genere noise.

What’s Happening è proprio la composizione tipica di Crosby. Quel tipico che sfiora il capolavoro e che possiamo osservare successivamente sia nella produzione Byrds sia in tutta la discografia di Crosby, Stills and Nash. Il suo soft rock grandioso che si nutre di testi con domande retoriche, di astrattismo concettuale, qui meravigliosamente veicolato dal nostro splendido esecutore McGuinn. I Come And Stand At Every Door è un brano dal testo impegnato, parla di un bimbo di 7 anni dilaniato dalla bomba di Hiroshima. Forse il pezzo più triste e riflessivo di Crosby and Co. I venti di guerra, sempre costantemente nell’aria, ispiravano riflessioni del genere in questo caso veicolate da una melodia lenta e quasi funebre. Non si può prescindere dalla realtà sociale, anche in un disco che parla di pischedelia e “viaggi” personali.

C’è davvero poco da aggiungere. I The Byrds creavano, inventavano, anticipavano, rompevano gli schemi. Matura in me la convinzione che Crosby, McGuinn (e il caro Clark anche dopo il suo abbandono) fossero tre maledetti geni.

Autore: The Byrds

Titolo Album: Fifth Dimension

Anno: 1966

Casa Discografica: Columbia Records

Genere musicale: Folk Rock, Rock Psichedelico

Voto: 9

Tipo: LP

Sito web: http://www.thebyrds.com

Membri band:

Roger McGuinn – chitarra, voce

Gene Clark – tamburello, voce (tracce 7 e 9)

David Crosby – chitarra, voce

Chris Hillman – basso

Michael Clarke – batteria

Tracklist:

  1. 5D (Fifth Dimension)
  2. Wild Mountain Thyme
  3. Mr. Spaceman
  4. I See You
  5. What’s Happening?!?!
  6. I Come And Stand At Every Door
  7. Eight Miles High
  8. Hey Joe (Where You Gonna Go)
  9. Captain Soul
  10. John Riley
  11. 2-4-2 Fox Trot (The Lear Jet Song)
Category : Recensioni
Tags : Folk, The Byrds
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16th Dic2017

Lou Mornero – Lou Mornero

by Marcello Zinno

Lou Mornero - Lou MorneroIn bilico tra la scena folk e quella cantautorale si muove Lou Mornero che con queste 5 tracce incastrate in un EP home made ci propone il suo sound. E l’impressione di essere stato registrato e suonato in casa ci arriva, non per la qualità audio che è comunque elevata ma per il calore delle melodie che facilmente ci avvolgono, siano esse frutto di arpeggi conturbanti o accompagnate da arrangiamenti ritmici (come in Vite Strane e le sue percussioni, un brano che ha come unico neo l’eccessiva lunghezza). Alternative folk potremo dire, di quello da prestare ad un club con le luci soffuse per completare un’atmosfera ricercata e lasciare che la temperatura salga anche grazie all’attesa, da cui il brano omonimo dalle influenze psichedeliche. Bella anche la scelta del cantato in italiano che altrimenti avrebbe dato un sapore troppo americano a brani come Elucubration Blues, un pezzo comunque molto vicino al blues del Mississippi, al contrario con Strade arriva qualche accenno pop che ci affascina di meno.

Un assaggio acustico-elettrico dello stile di Lou Mornero che facilmente vediamo prendere forma in versione live.

Autore: Lou Mornero

Titolo Album: Lou Mornero

Anno: 2017

Casa Discografica: Cabezon Records

Genere musicale: Alternative Folk

Voto: s.v.

Tipo: EP

Sito web: https://www.facebook.com/lou.mornero.3

Membri band:

Lou Mornero – voce, chitarra

Andrea Mottadelli – arrangiamenti

Sonia Rosa – cori su Strade

Massimo Lucia – cori su Strade

Cristian Doria – cori su Strade

Tracklist:

  1. Ok

  2. Vite Strane

  3. L’attesa

  4. Elucubration Blues

  5. Strade

Category : Recensioni
Tags : Folk
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15th Dic2017

da Black Jezus – They Can’t Cage The Light

by Marcello Zinno

da Black Jezus - They Can't Cage The LightUn duo che si cimenta in una visione particolare del folk farebbe intendere un’interpretazione assolutamente dietrologica del genere ed invece i da Black Jezus guardano avanti. Anche nel loro secondo lavoro They Can’t Cage The Light si può parlare di un nu folk in cui compaiono influenze diverse. Non vi è un marchio indelebile che contraddistingue la band: la chitarra acustica e gli arrangiamenti di Ways ci sembrano lontani anni luce dall’elettronica presente in altri brani come in Sometimes, un range sul quale il duo si muove in maniera agiata anche se non produce lo stesso piacere nell’ascolto. Gli elementi elettronici a volte sembrano fuori luogo e le linee vocali non ci convincono, ci sembrano sforzate, alla ricerca di uno stile che abbracci il soul ma che non disdegni un certo modo di strisciare le parole tipiche dell’hip hop; una timbrica e una fonetica assolutamente inutili, soprattutto per una band italiana che non per forza deve comporre alla ricerca di una “americanità” che non è nemmeno più di moda.

Molto ricercati gli arpeggi di You Made The Rules che mostrano tutto il coraggio degli artisti di creare qualcosa di originale, anche se a tratti con piccole interconnessioni con l’hip hop, bello anche l’approccio di Emptiness Is You che ha un buon groove, trascinante e intimo allo stesso tempo; calda l’impostazione di A Matter Of Time, peccato per l’eccessiva ripetizione degli arpeggi che finiscono per stancare. Una buona interpretazione di nu folk che, almeno secondo il nostro punto di vista, andrebbe corretto in alcune visioni, ma resta pur sempre un’espressione compositiva personale.

Autore: da Black Jezus

Titolo Album: They Can’t Cage The Light

Anno: 2017

Casa Discografica: Weapons Of Love Records

Genere musicale: Alternative Folk, Nu Folk, Electro Pop

Voto: 6

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/dablackjezus

Membri band:

Luca Impellizzeri – voce, chitarra

Ivano Amata – chitarra, synth, xilofono, drum machine

Tracklist:

  1. They Can’t Cage The Light

  2. Ways

  3. You Made The Rules

  4. Dry

  5. Don’t Mean A Thing

  6. Emptiness Is You

  7. Like Holy Water

  8. A Matter Of Time

  9. Sometimes

Category : Recensioni
Tags : Folk
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09th Dic2017

Folkstone – Ossidiana

by Marcello Zinno

Folkstone - OssidianaDi “crescita come una vera esplosione” parlavamo ai tempi di Restano I Frammenti a questa pagina, e ancora oggi i Folkstone non si sono fermati. Sono passati per Oltre…l’Abisso e in questo finire di 2017 arrivano con il nuovo album Ossidiana. Tredici tracce assolutamente Folkstone, perché la loro idea di musica non è cambiata, nemmeno oggi, dopo quasi 15 anni dalla nascita del progetto e dopo innumerevoli live anche oltre i confini nazionali. Il loro folk metal resta anche in Ossidiana coerente, potente e diretto. Se dovessimo trovare una loro arma segreta, un ingrediente che su tutti primeggia nel Folkstone-style questo è sicuramente l’ottimo bilanciamento tra strumenti acustici ed elettrici: per dirla in altro modo l’epicità degli strumenti folk che la band mette in scena anche in sede live e la durezza dell’imprinting metal che chitarra e batteria in primis forgiano nei singoli brani trovano nella loro musica una fusione incredibile.

Ma allora Ossidiana è esattamente uguale agli album precedenti?! Noi ci troviamo un pizzico di epicità in meno, elemento che viene come sempre sottolineato dalle linee vocali di Lorenzo, perennemente sugli scudi, ma al quale gli altri strumenti si dedicano meno concentrandosi di più sulle strutture dei brani e sulle singole parti, segno forse di una maturità maggiore raggiunta dalla band. Si veda ad esempio Psicopatia, un brano composto con grande attenzione che oltre a descrivere nei testi le stranezze della nostra società, colloca bene strofe e arrangiamenti vocali in un’idea che è poco “Folkstone dei primi anni” ma più da progetto ormai consolidato. Le cavalcate ritmiche di Asia (nel ritornello sì che c’è epicità), l’approccio metal di Scacco Al Re e di Vado Via, la bellissima interpretazione vocale di Dritto Al Petto sono tutti punti forti dell’album.

In generale chi si aspetta qualcosa di diverso dai Folkstone resterà deluso da questo Ossidiana che è l’ennesima conferma delle radici della band e della ferma intenzione di procedere secondo il proprio corso puntando magari a nuove terre (live) da raggiungere.

Autore: Folkstone

Titolo Album: Ossidiana

Anno: 2017

Casa Discografica: Folkstone Records

Genere musicale: Folk Metal

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.folkstone.it

Membri band:

Lorenzo Marchesi – voce

Roberta Rota – cornamuse, bombarde, voce

Matteo Frigeni – cornamuse, ghironda, bombarde

Maurizio Cardullo – cornamuse, flauti e bouzouki irlandesi, cittern, bombarde

Andrea Locatelli – cornamuse, bombarde, percussioni

Luca Bonometti – chitarra

Federico Maffei – basso

Edoardo Sala – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Pelle Nera E Rum

  2. Scintilla

  3. Anna

  4. Psicopatia

  5. Asia

  6. Scacco Al Re

  7. Mare Dentro

  8. E Vado Via

  9. Istantanea

  10. Supernova

  11. Dritto Al Petto

  12. Sabbia Nera

  13. Ossidiana

Category : Recensioni
Tags : Folk
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