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19th Nov2012

Gods Of Metal 2013: non ci sarà

by Marcello

Abbiamo appena scoperto visitando il sito del Gods Of Metal che la famosa kermesse di heavy metal nazionale (da molti riconosciuta come l’evento metal italiano) non avrà luogo nel 2013. Infatti al seguente link (e a fianco vi riportiamo l’immagine) è riportato un inquietante quanto esplicativo logo del Gods Of Metal con la frase “see you in 2014”. Nessuna motivazione è stata diffusa né abbiamo ricevuto un comunicato stampa sulla decisione dell’organizzatore di saltare un anno per il festival metal che dal 1997 si ripete annualmente. Tutto da scoprire quindi.

Category : News
Tags : Gods Of Metal
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05th Lug2012

Gods Of Metal 23 giugno 2012@Rho (MI)

by Gianluca Scala
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Live del 23 giugno 2012

Category : Foto Report
Tags : Gods Of Metal
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27th Giu2012

Gods Of Metal 23 Giugno 2012@Fiera Milano – Rho

by Marcello Zinno

E così anche questo 2012 ha visto esplodere il Gods Of Metal per quattro giornate all’insegna delle sonorità heavy di caratura internazionale: Manowar, Guns N’ Roses, Mötley Crüe e Ozzy & Friends (dopo l’annullamento dei Black Sabbath con la formazione che li ha resi celebri) sono stati i 4 headliner della manifestazione che ha trasformato in lava il cemento della area fieristica di Rho. Noi abbiamo assistito alla terza giornata, quella con i Mötley Crüe a tirare le fila con tanto glam/sleaze ed un calendario pieno seppur al netto dei Black Veil Brides, rinunciatari a causa della morte del nonno del singer. Una giornata a dir poco rovente, non solo per la temperatura altissima (solo per un breve frangente alternata da una timida pioggia), ma anche per il metal sprigionato dalle varie line-up che si sono succedute sul palco. Tutte capaci di grandi esibizioni ma tutte penalizzare da un acustica spesso carente. Vediamo le esibizioni così come si sono succedute.

PLANET HARD

Come da scaletta alle 12:30 in punto i Planet Hard fanno ingresso sul palco del Gods aprendo le danze. Ci si aspetterebbe qualcosa di più morbido, dato l’orario, rispetto al bill che ci accingiamo a vivere invece gli italianissimi Planet Hard spiazzano con il loro heavy duro e diretto. Il suono risulta ben costruito e soprattutto ben amalgamato nelle due chitarre impattanti; i ragazzi colgono l’occasione per presentare il nuovo album dal titolo No Deal da cui viene estratto il brano Mass Extermination: anche qui idee molto chiare che però dopo un pò di canzoni iniziano a stancare.

LIZZY BORDEN

Ingresso degli americani Lizzy Borden, band che aveva sancito un stop alle attività nel 2004 e ha “ripreso conoscenza” poi nel 2007 con l’album Appointment With Death. La band di Los Angeles, capitanata proprio da Lizzy Borden che fa ingresso con una tunica nera da eremitca, porta nel suo logo l’essenza della propria proposta musicale: come infatti il proprio logo richiama la bandiera a stelle e strisce così il proprio sound risulta molto orientato all’heavy statunitense soprattutto della scena ottantiana. Grande tecnica per i chitarristi, un ottimo Marten Andersson che si è destreggiato in un assolo al suo quattro corde e…ecco giungere il passo falso: dopo ua manciata di canzoni i Nostri decidono di indossare la maglia dell’Inter e lì il pubblico si divide sposando la fede calcistica più che quella del metal (con ovvi fischi da parte delle fazioni contrapposte). Da segnalare l’esecuzione di Me Against The World, tratta da Visual Lies, e la lenta ma poderosa American Metal. Qualche problemino all’audio si inizia ad avvertire.

HARDCORE SUPERSTAR

Davvero grande esecuzione quella degli svedesi Hardcore Superstar, veri protagonisti dell’ultima ondata planetaria di sleaze rock. Una scarica di adrenalina senza limiti e una sei corde che costruiva di volta in volta riff coinvolgenti capaci di far saltare da terra tutti. Già dalla prima seppur recente Sadistic Girls gli animi hanno preso a scaldarsi per poi restare su livelli alti con Kick On The Upperclass e Medicate Me; ulteriore esplosione con Dreamin In A Casket e la belissima Wild Boy mentre la chiusura è toccata a Run To Your Mama e My Good Reputation. Nel bis ancora momenti dedicati all’ultimo lavoro, Split Your Lip con Moonshine e Last Call For Alcohol (presentata da Jocke Berg con una bottiglia di birra in mano) mentre il pubblico è stato salutato dalla enorme We Don’t Celebrate Sundays tratta dall’album omonimo. Una band con tanta verve che ci ha spinti dritti negli anni ’80 e con una carica che non ci ha fatto rimpiangere formazioni più longeve. I problemi all’impianto audio sono continuati ma la verve festaiola ha fatto passare tutto in secondo piano.

GOTTHARD

Questa era l’esibizione che attendevamo con più trepidazione. Infatti si tratta del primo vero live dei Gotthard con il nuovo singer che sostituisce il prematuramente scomparso Steve Lee nel presentare il nuovo lavoro studio. Va subito chiarito che l’australiano Nic Maeder ha dato una gran prova, ha saputo tenere ottimamente il palco e ha offerto una lezione di canto a tutti quelli che erano convinti che la band dopo la scomparsa di Lee sarebbe caduta nel baratro. Un Leo Leoni in gran forma che ha sprigionato tutta la propria carica con Sister Moon e Master Of Illusion; molto invece sono stati i momenti più soft, come l’iniziale Dream On, e i passaggi dal sound più americano come qualche assaggio dall’ultimo Firebirth. Bella la cover di Hush dei Deep Purple e i momenti più aderenti alla loro anima hard rock come Mountain Mama da G. . Bella la parte finale con la nuova Ride On e con la pomposa Anytime Anywhere. Da lontano spesso si percepivano le differenze nei livelli audio che cambiavano da minuto a minuto e facevano irritare il pubblico. Una prova comunque assolutamente superata per i Nostri sperando che sia per loro un nuovo inizio.

THE DARKNESS

Sicuramente una delle prestazioni migliori della giornata quella della band del pimpantissimo Justin Hawkins che è tornata sulle scene ripresentando i grandi classici. Non che si tratti di una band dalla storia secolare, il quartetto operativo infatti dal nuovo millennio è anch’esso forte di un approccio hard/glam molto potente con due chitarristi, soprattutto Justin (prima chitarra), dalla tecnica sopraffina. Non potevano mancare i grandi successi del primo album come l’opener (anche del concerto) Black Shuck, Growing On Me, I Believe In A Thing Called Love, Love Is Only A Feeling, ma hanno suonato davvero bene pezzi del secondo lavoro come One Way Ticket e Is It Just Me?. Un cenno a parte per Get Your Hands Off My Woman anticipata già da problemi audio e che è stata poi interrotta sul finale da un calo della corrente. Quasi venti minuti di pausa hanno diffuso paura tra il pubblico circa una possibile sospensione del concerto ma poi Justin e Co. sono tornati sul palco per un finale incredibile: un assolo lunghissimo che Justin ha eseguito passeggiando, sulle spalle di un bodyguard, in mezzo al pubblico a centro arena, nello stupore di tutti. Ben tornati The Darkness.

SLASH FEATURING MYLES KENNEDY AND THE CONSPIRATORS

Lo show forse più discusso del lotto, quello di Slash con la nuova formazione presentata insieme a Myles Kennedy, noto singer dalla presenza vocale molto simile al notissimo Axl Rose. Grande impatto scenico di tutti i musicisti, non solo dell’attesissimo Slash, l’esibizione ha visto una continua altalena tra i grandi successi del capelluto chitarrista: momenti propri come One Last Thrill, Ghost o Dr. Alibi (quest’ultima cantata dal bassista) hanno fatto da contraltare per i grandi successi targati Guns N’Roses come Night Train, Rocket Queen, l’immancabile Sweet Child Of Mine ed in chiusura Paradise City (praticamente i pezzi riproposti già il giorno precedente dalla sua band madre). Slash era ovviamente in gran forma e non è stato molto difficile replicare i brani così come in versione originale; la parte restante della band ha dimostrato grande professionalità. Un plauso particolare a Myles che ha tenuto testa per tutta l’esibizione nonostante il nome ingrombante che si muoveva al suo fianco. Un vero salto nel passato.

MÖTLEY CRÜE

È giunge così l’ora e per certi versi la delusione. Definirli storici significherebbe sminuirli, una delle formazioni, quasi intatte fin dalla propria costituzione, più dedite ad eccessi di tutte, a nostro parere la vera incarnazione ad oggi del concetto di “sesso, droga e rock’n’roll” degli anni ottanta. Vince Neil, Nikki Sixx, Tommy Lee e Mick Mars…le aspettative erano alle stelle per un nome, quello dei Mötley Crüe, che non tocca spesso di gustare dal vivo soprattutto senza un album da proporre e quindi con tutto il tempo dedicato ai grandi classici. Così è stato: Too Fast for Love, Shout At The Devil, Same Ol’ Situation (S.O.S.), Looks That Kill, Piece Of Your Action…tutti grandi classici che hanno messo in mostra due elementi essenziali. Primo fra tutti lo spettacolo, sì perchè prima di essere un concerto lo show dei Mötley è uno spettacolo con ballerine sexy che circondano Vince, il microfono di Nikki a mò di liana penzolante e la batteria rotante a 360° di Tommy (esibita durante un lungo assolo che sapeva molto più di Methods Of Mayhem che di Crüe…senza considerare del concorso che ha permesso ad un fan di “fare un giro” durante lo show). Il secondo è il notevole calo di rendimento di Nail alla voce: una voce ormai finita e che il singer cercava di nascondere, accorciando le strofe o facendo cantare il pubblico. Forse complica il fatto che si trattava dell’ultima data dell’European Tour (a luglio partiranno per le date americane), ma l’elemento era evidente. Smokin’ In The Boys’ Room, Dr. Feelgood, Girls, Girls, Girls sono stati altri momenti molto emozionanti ma solo per la trasposizione in un’altra epoca che i brani richiamavano direttamente. Ci saremmo aspettati un’esecuzione perfetta ma forse era chiedere troppo, in fondo il tempo passa anche per loro. E quindi la domanda sbuca improvvisa in maniera evidente: per quanto ancora vedremo come headliner nomi di epoche remote e quando invece nuovi artisti che si faranno strada nell’olimpo degli “dei del metal”? Difficile ad oggi rispondere.

 

Bill:

Motley Crue 21.45 – 23.45
Slash featuring Myles Kennedy and the Conspirators 19.35 – 21.00
The Darkness 17.55 – 19.05
Gotthard 16.15 – 17.25
Hardcore Superstar 14.55 – 15.45
Lizzy Borden 13.40 – 14.25
Planethard 12.30 – 13.10

Live del 23 giugno 2012

Category : Live Report
Tags : Gods Of Metal
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03rd Mag2012

Gods Of Metal 11 Giugno 2005@Arena Parco Nord

by Marcello Zinno

Eccoci giunti all’evento dell’anno del mondo metal, uno scossone rispetto agli altri show presenti in calendario ed un qualcosa che da tempo aspettavamo. La prima giornata è stata un delirio di emozioni, potenza ed adrelanina che elogiano gli dei esibitisi lungo tutte le 13 ore di meraviglioso spettacolo ed apertosi con la presenza di un calmo frate francescano. Al suo ingresso l’intero popolo del metallo ha ovviamente storto il naso, ma appena il frate ha inneggiato un coro adulando il Gods Of Metal molti sono partiti a cantarla insieme a lui…un modo per scaldare il pubblico numerosissimo già dalle 10 di mattina. Ma ecco come si è svolta la manifestazione.

 

EVERGREY (10:30-11:00)
Gli opener del concerto si sono fatti valere, anche grazie alla freschezza del pubblico e nonostante non fossero conosciuti da tutti. Tra i tanti cori levati fin dalle 9 di mattina, quando è iniziata al coda all’ingresso, c’era anche quello degli Evergrey, band inglese famosa per il suo epic metal potente ed impattante. Molte le influenze nu-metal, a dire il vero poco di nuovo che non sia già stato detto nel genere. Leggermente penalizzati dalla resa vocale, ma non per mancanza del singer bensì per piccoli problemucci all’impianto audio

 

MUDVAYNE (11:23-11:46)
All’ingresso dei Mudvayne subito si è intuito che non c’era feeling con il pubblico: molti avevano il dito medio alto contro di loro, altri lanciavano carte sul palco, altri invocavano “MAIDEN MAIDEN” per far capire che non erano lì per loro…insomma una situazione strana da vivere e a tratti imbarazzante. Il cantante dall’approccio strafottente portava avanti, insieme alla propria band, un heavy metal non proprio da scartare, capace di assimilare la furia al dolore, sempre con un senso di indifferenza verso tutto ciò che corre. A metà esibizione il singer si è procurato volontariamente una ferita al centro della fronte con il microfono ma ciò non è servito a coinvolgere maggiormente il pubblico. A parte l’astio da parte dei presenti, la proposta Mudvayne era assolutamente in linea con il bill la quale ha abbandonato il palco eseguendo un pezzo in meno del previsto.

 

MASTODON (12:20-12:57)
Grande esibizione quella dei Mastodon con un singer veramente all’altezza della situazione e un chitarrista/seconda voce che in quanto a growl era veramente da premio! Il cantante-bassista infatti sprigionava una forza cruda e crudele che ha conquistato l’intero pubblico presente; il look punkettaro induceva all’errore, il loro era un death metal davvero fresco ma soprattutto distruttivo, come sono state le spallate partite dai vari poghi. Anche qui problemini audio (alla seconda chitarra questa volta) che non hanno scalfito un’esibizione davvero esemplare! Il pubblico già conosceva il nome Mastodon, ma gli amanti sono lievitati di numero dopo i soli primi 3 pezzi. Demolizione allo stato puro, fino all’ultimo fottutissimo secondo.

 

DRAGONFORCE (13:31-14:22)
Grande show quello dei Dragonforce (con me nella foto principale), davvero scenici al punto giusto. Dopo la distruzione provocata dai Mastodon, i Dragonforce si sono lanciati energici sulla pista e correndo come dei matti (sia con le proprie gambe che sui propri strumenti) hanno emozionato il pubblico e fatto impazzire molti scettici del genere. La loro caratteristica principale, oltre alla statura dei componenti (erano talmente bassi da aver richiesto delle cannuccie nelle bottiglie d’acqua e nelle birre attaccate a metà asta del microfono) è stata quella di proporre un power metal non freschissimo ma comunque degno di spunti e molto tecnico. Il primo chitarrista dalle origini nipponiche è risultato davvero talentuoso (notevole il suo contributo, anche se confrontato con quello del secondo chitarrista); molte le influenze hellowiane, tanti gli assoli, singoli ed in coppia, e tante note cariche di emozione. Ottima la direzione presa dal sestetto e ottima riuscita dell’intero loro show.

 

STRAPPING YOUNG LAD (14:43-15:34)
A questo punto, signori e signore, si è scatenato il putiferio! L’inferno sembrava essere salito fino all’Arena Parco Nord, tutto sembrava fuori controllo. Il geniale Towsend ha fatto una comparsa durante il sound-check e qualcuno l’ha riconosciuto; lui ha avvicinato l’indice al naso suggerendo di far finta di nulla, ma non si poteva. Dopo l’ingresso e dopo aver eseguito il primo pezzo non si poteva davvero restare fermi, e nessuno lo ha fatto! Una bolgia si è riprodotta al centro dell’Arena, coinvolgendo anche chi non voleva e facendo rischiare ciò che non si sarebbe voluto. Gente che passava sopra altra gente, spintoni scaraventati senza tener d’occhio la direzione, death metal assordante che istigava al suicidio di massa. Semplicemente claustrofobico. Eccezionale lo show, penalizzato solo da chi ha cercato di divertirsi in un modo poco consono per tutti, ed è questa l’unica vena dolorosa del Gods Of Metal. Risultato: impossibile scattare foto. Effetto: gli Strapping Young Lad hanno dimostrato di essere una band molto influente nella scena death estrema.

 

OBITUARY (16:01-16:51)
Da parte del pubblico si è ripetuta la stessa situazione di prima. Ormai le persone accorse per la manifestazione erano aumentate e le spalle erano divenute più massicce. Gli Obituary erano comunque in tono, anche musicalmente, con il programma della giornata. C’era però nella loro proposta qualcosa di già sentito, un’evoluzione ferma su se stessa che non ha fatto presagire nulla di nuovo. Gli altri gruppi hanno sfruttato il live per enfatizzare le emozioni prodotte dai propri pezzi e dalle proprie idee, gli Obituary non sono riusciti in ciò. Una nota negativa per il cantante, non dotato di una voce eccezionale.

 

LACUNA COIL (17:34:18:35)
Qui inizia la parte serale dello show, con il sole che ancora doveva tramontare. Entrano, dopo circa 40 minuti dalla band precedente, i Lacuna Coil, band fautrice di un nu metal sull’onda Evanescence) che riesce ancora a trovar fautori. A dir il vero il gruppo si era distinto all’epoca degli esordi per un heavy abbastanza ricco di influenze, molto gothic, dark e nuovo se vogliamo per i gruppi del tempo. Con il passare degli anni (e delle mode) si è appiattito su un nu metal di voga, con tanto di coreografia live in stile headbanging (che fa molto figo). In versione live non aggiungono nulla, a parte i ringraziamenti per essere l’unica band italiana presente e per suonare prima di pilastri mastodon-tici come gli Slayer e gli Iron Maiden. L’unica nota positiva a nostro parer è stato il batterista, davvero bravo, preparato e molto tecnico seppur limitato dai brani proposti.

 

SLAYER (19:18-20:45)
E qui parte il secondo tempo del film “Hell Is Here”. L’Arena Parco Nord si tramuta all’istante in una sala da pogo in cui non c’è persona che non venga scaraventata contro l’altra (a parte chi era seduto sulle cunette). Nessuno pensa di fermarsi, la furia è in circolo e non può arrestarsi, la velocità di esecuzione la fa da padrone, la ragione non ha tempo né modo di fare il suo corso. Gli assoli affilati spezzano il fiato ad un riffing potente e fitto che conquista il pubblico per l’egregia esecuzione e per la convinzione con cui i 4 hanno scalzato tutto ciò che c’era prima. Abbiamo cercato di infiltrarci tra la folla, ma dopo un po’ siamo stati scaraventati fuori, come se quello spazio non ci appartenesse. Gli Slayer hanno continuato, imperterriti ed inarrestabili, sotto l’impetuoso incitamento dei tantissimi accorsi per loro. Tantissimi fan erano accorsi per loro.

 

IRON MAIDEN (21:43-23:16)
Grande serata quella dell’11 giugno. Dalle prime ore della mattinata si levavano cori per gli Iron e si vedevano maglie a bizzeffe con le varie copertine dei loro capolavori (ad occhio 8 persone su 10 avevano su una loro T-Shirt) e ttendevano tutti con ansia questo momento. Il palco cambia forma, assume quella di una strada, di 22 Acacia Avenue, grande loro capolavoro. La novità è che la data, così come la tournée sarebbe stata dedicata interamente ai successi dei primi quattro album. Prima The Ideas Of March li ha presentati, subito dopo c’è stato il loro ingresso ed il pubblico si è infuocato, tutte le mani erano rivolte verso l’alto, non si riusciva ad intravedere la band. Dopo un po’ Dickinson ha professato solo due parole, “The Trooper”, e un urlo del pubblico ha dato avvio ad una pazzia instabile quanto i piatti che si muovevano al solo comando di Nico McBrain. Steve Harris picchiava duro, le tre chitarre sferravano attacchi feroci, i capolavori si susseguivano come non mai. Remember Tomorrow, Wratchild, Killers, Revelations solo alcuni dei pezzi proposti, senza nulla togliere agli altri e con delle urla della folla senza pausa. Si cantava in coro, Bruce correva come un forsennato su e giù per il palco, come ci ha sempre abituati, Janick Gers con i giochi acrobatici insieme alla sua Fender, tutto era da pelle d’oca. La folla si muoveva come un’onda instabile, senza riva su cui abbattersi, la voce del singer era ossigeno per la furia di migliaia di persone schiacciate l’una contro l’altra….è così che gli Iron Maiden hanno tramutato un cumulo di anime disperse nell’inferno in un limbo paradisiaco ed un’atmosfera piacevolissima. Molto ben fatta anche la presenza di Eddy sottoforma di personaggio gigante vagante per Acacia Avenue.

Dopo un’ora e mezza circa di emozioni gli Iron Maiden hanno abbandonato il palco, ma dopo soli 5 minuti sono di nuovo lì con Running Free in chiusura grazie alla quale Bruce Dickinson è riuscito a presentare anche l’intera band ad eccezione di Nico. È bastato un attimo che l’inter Arena ha esclamato a voce alta “NICO, NICO!!!” smarriti per la (im)possibile dimenticanza del cantante….e Dickinson, con un sorriso “…And the drummer Nicoooooo McBrainnnnn!!!”. L’urlo finale è stato decine di volte più forte dell’impianto audio, tutto per gli Iron Mainden, per quel gruppo che ci ha fatto sognare, per chi ha scritto pagine della storia del heavy metal grazie alle quali non smetterà mai di avere un posto nei propri cuori. Risultato finale: l’indomani mattina vagavano ancora ragazzi per Bologna con la maglia degli Iron Mainden, ma la band era già partita e quello era il segno del loro passaggio.

Category : Live Report
Tags : Gods Of Metal
3 Comm
20th Feb2012

Gods of Metal 30 giugno 2007@Idroscalo

by Marcello Zinno

Let’s start! Gods Of Metal Parte II. Rieccoci a vivere le stesse emozioni pre-concerto di inizio mese, con la stessa verve e la sicurezza di goderci una grande giornata all’insegna del metal internazionale (questa volta un pò più rock‘n’roll!). Di nuovo senza ciurma alle spalle, si parte in solitaria convinzione alla volta dell’Idroscalo per vivere una giornata dai risvolti sorprendenti, non fosse altro per la performance generale abbastanza altalenante. Ma vediamo, per chi c’è stato e chi no, i vincitori ed i vinti della come sempre straordinaria kermesse.

ONE STEP TO HEAVEN
Inaspettatamente, con una grinta da far invidia ad una qualsiasi band nuova di zecca ed una platea di fan fedelissimi, i “vincitori virtuali” del GODS targato 30 giugno 2007 sono stati i Megadeth capitanati dall’instancabile timoniere Dave Mustaine. I 4, ma potremo parlare anche del solo Dave ormai perla centrale del progetto Megadeth, hanno snocciolato una serie di successi storici, partendo dal nuovo famosissimo singolo Sleepwalker, e passando per Rust In Piece con Hangar 18, Take No Prisoners e Tornado Of Souls, nonché per l’immortale Countdown To Extinction, con Skin O’ My Teeth e Symphony Of Destruction, tutte cantate a gran voce dal pubblico! Gustoso il salto ai primi tempi con Piece Sells…But Who’s Buying (canzone) ma l’apice è stato raggiunto con Holy Wars…The Punishment Due intermezzata da The Four Horsemen, un tributo al passato di Mustaine (oltre che agli ormai storici Metallica)…giusto per ricordare le radici “mustainiane”! Unico appuntino è su Glen Drover, nuovo chitarrista (ex-King Diamond): bravo tecnicamente ma non all’altezza di replicare i solos del rimpiantissimo Marty Friedman…come lui ce ne sono davvero pochi!

Al secondo posto è obbligatorio inserire quel folle di Ozzy Osbourne, il quale, dopo aver incitato più volte il pubblico a far casino (“I can’t fuc*ing hear you”…l’avrà ripetuta 20 volte) ha deciso di darsi all’acqua: sì perché ha utilizzato tutti i mezzi possibili per scaricare acqua sul pubblico, fucile pseudo-liquidator e secchio pieno sulle prime file. Con il fedelissimo Zack Wylde (anche un po’ troppo logorroico negli assoli), tra una (stanca) corsetta su e giù per il palco (gli anni si vedono tutti…sigh) è riuscito a ripercorrere sia parte dell’esperienza del Sabba Nero (epocale War Pigs) che della carriera solitsta con Believer, tratto dal capolavoro dal nome Diary Of A Madman (Randy quanto ci manchi), Mr. Crowley e I Don’t Know durante la quale ha mostrato qualche segno di cedimento, ed il trio Road To Nowhere, Mama, I’m Coming Home, No More Tears dall’album che prende il nome di quest’ultimo. Non potevano mancare le ultime fatiche: a parte il singolo, splendeva Here For You scritta per la moglie Sharon. Nulla da eccepire per la sezione ritmica con un Bordin aggressivo ed un Nicholson precisissimo, peccato per la scenografia colorata “solo” da 24 amplificatori, 18 testate ed uno sfondo con il nome della band (quella degli Heaven & Hell faceva tremare a confronto!). 30 minuti prima della fine (ma avevano anticipato l’inizio di 15 minuti), la band ha salutato l’intero pubblico ed invitato alla prossima loro discesa in terra italica…chissà quando!

Sul gradino più basso del podio (ma sempre di podio si tratta) salgono i Sadist, realtà italiana che dopo 7 anni di silenzio è tornata a cavalcare i palchi della penisola omaggiando i vecchi ed i nuovi fan con stupende song nel loro tipico approccio death. In particolare Trevor, non bravissimo nell’intrattenere il pubblico (con le sue pause molto politiche per riprender fiato), è riuscito a vomitare tutta la sua rabbia (anche contro Babbo Natale…) con uno screaming davvero impressionante; simpatico il suo passo felpato molto “frankenstein-style” ed i suoi caldi abbracci ai musicisti sul palco che venivano letteralmante strangolati. Impressionante il contributo di Tommy Talamanca nel vestire il duplice ruolo di ottimo chitarrista e tastierista ispirato (anche contemporaneamente), sorvolando sulla precisione davvero svizzera del drummer Alessio. Ottima band, sicuramente in grado di esportare un sound anche oltre confine.

NON CLASSIFICATI
A metà strada tra chi ci ha fatto impazzire e chi potevamo anche gettar giù dalla nave si sono classificate altre 3 band, ognuna con uno show a sé stante. La prima a salire su questo patibolo traballante è stata quella capitanata da Zack Wylde, protagonista di un heavy dalle radici rock‘n’roll ben conosciuto, come da loro marchio indelebile, e diffusore di una abilità tecnica indiscussa ma a volte un po’ troppo fuori luogo (spesso era più la distorsione che faceva il gioco). I fan erano tanti e i pezzi proposti hanno ricoperto un’intera ora di musica (con ripescaggi anche dal ben posizionato Mafia, come la sanguinaria Suicide Messiah) ma la proposta, abbastanza standard e scontata (old-style e poco più) per un pubblico in attesa di Ozzy, sembrava ostaggio di canoni noti, nonostante l’enorme consenso ricevuto.

Oltre ai Black Label Society si sono esibiti, con esito simile, gli americani Type O Negative, la mosca bianca del bill, un po’ troppo sperimentali per i fan della vecchia carreggiata, un po’ troppo morbidi per i più giovani. Vene heavy-doom corpose ed interessanti hanno dato corso all’esibizione, con un palco all’altezza e tutto intonato sul verde fosforescente che li caratterizza (strumenti a corde compresi); impatto musicale col pubblico limitato, insomma un qualcosa per i soli amanti del genere: Alberto Zannier in primis, singer degli Slowmotion Apocalypse, che confuso tra la folla cantava a memoria i loro ritornelli.

E proprio i deathcorer Slomotion si collocano in questa fascia di artisti, lungi dall’aver peccato di interesse, al contrario per l’essersi differenziati rispetto alla media nonostante un orario scomodo (primi nel bill) ed un pubblico molto esiguo di fan. Enorme attenzione per il loro full-length d’esordio My Own Private Armageddon da cui sono stati estratti la maggior parte dei pezzi come la brutalissima The Insomniac che ha fatto inorridire ogni teenager benpensante presente. In chiusura si è assaporato il sogno: ascoltare le note belliche di Be Quick Or Be Dead degli Iron Maiden cantate da Alberto e da Gianluca Perotti degli Extrema. Complimenti Slomotion!

DA CHIUDERE IN BAULE IN SOPPALCA
Avete già indovinato! Fatti due conti pochi sono i gruppi non ancora citati che hanno, seppur in maniera diversa, contribuito per un infinitesimo periodico allo spettacolo della giornata, anzi ad essere sinceri la loro assenza non si sarebbe proprio avvertita. Per primi, quelli proprio che hanno peggiorato la resa totale dell’evento, si sono posizionati senza ombra di dubbio i Deathstars i quali, come un minotauro monco, imitavano palesemente i Rammstein per proposta musicale pur presentandosi esteticamente come dei cloni dei Wednesday 13 a cui, a metà lavoro, era finito il trucco. L’heavy proposto prendeva le distanze da qualsiasi forma riconoscibile, sfociando nell’industrial dopato al massimo di tastiere alla Depeche Mode senza sortire alcun piacevole effetto. Unico boato del pubblico: Andreas, il cantante, liberatosi dalla sua camicia ha condiviso con tutti il suo torace nudo ben depilato…praticamente un boato a base di vomito!

Ed infine in questa gretta ed “intoccabile” posizione si sono collocati i Korn, bravi ad intrattenere la parte del pubblico meno esigente con le loro tracce ormai conosciute e risapute, nonostante il calo di grip che li ha caratterizzati dal periodo “post-Issues”. I punti più infimi sono stati raggiunti con le poppeggianti Coming Undone e Twisted Transistor (tratti dall’imbarazzante See You On The Other Side), trend seguito dalla nuova Evolution, mentre le parti più stimolanti hanno visto riproporre Falling Away From Me, pezzo di gran successo (quasi canto del cigno di una band che ha detto molto in una scena roboante di artisti) e la rivisitazione di One, contenuta nel già citato See You On… come traccia segreta (un altro pezzo dei Metallica…per la serie “non c’erano ma è come se fossero stati lì!”). Certo è cosa strana che i Korn si siano duplicati ad 8 elementi (con percussionista e corista compresi) pur esprimendo la metà delle idee date alla luce in passato…strana equazione!

Al termine dell’esperienza ed adesso, a freddo, il primo pensiero ovvio che mi balza in mente è: chi saranno gli headliner della 12° edizione?! Avete qualche programma per giugno 2008?! Naaaa….

 

Bill
OZZY OSBOURNE
KORN
MEGADETH
BLACK LABEL SOCIETY
TYPE O NEGATIVE
SADIST
DEATHSTARS
SLOWMOTION APOCALYPSE

Category : Live Report
Tags : Gods Of Metal
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03rd Feb2012

Gods Of Metal 3 giugno 2007@Idroscalo

by Marcello Zinno

Dopo un’intensa preparazione fisica e psicologica costruite a partire dall’istante esatto in cui ho acquisito titolarità del biglietto d’ingresso, dopo non aver pensato ad altro che alla fantomatica giornata del 3 giugno (il miglior bill dell’edizione ’07 a parere del sottoscritto), è giunta l’occasione: 14 ore di puro festival speso tra spintoni ed urla assaporando i migliori gruppi prog metal attualmente in vita ed un pizzico di heavy dal sapore eterno. Completamente da solo, in un luogo per niente attiguo al centro città e dopo un sabato di pioggia devastante, sono partito alla volta dell’Idroscalo contando di essere all’ingresso per le 9 del mattino e pregando gli Dei di essere più vicino possibile alla transenna! Per dodici ore, ed ovvi problemi di vescica, sono stato attaccato all’unico ostacolo che separava la massa torbida e scatenata dai più freschi (Heaven & Hell a parte) e lucenti beniamini che il metal avesse potuto forgiare. Uniche enormi pecche: il fango melmoso su cui atterravano i piedi di tutti, simile ad una sabbia mobile, non ha salvato nessuno, il suono per la mia posizione era pessimo, si alternava a spari di amplificatori, bassi altissimi e dicotomicamente alti bassissimi (tradotto: chitarre inesistenti). A parte questo va un elogio ai tecnici per aver rispettato tutti i tempi di cambio stage, nonostante le dimensioni titaniche di alcune batterie. Ma gustiamoci attimo per attimo la giornata dal clima primaverile.

SYNESTESIA
Dopo essermi infiltrato ed aver occupato imperialmente la mia postazione ho avuto solo un attimo di tregua prima che i Synestesia facessero il loro ingresso, ed un brivido prog ha iniziato a salire su per la mia schiena. Particolare la proposta degli italianissimi, con un vocalist di colore e con un’attitudine araba/orientale dalla voce baritonale e potente ed un bassista già conosciuto dai più per la sua partecipazione al reality “La pupa ed il secchione” ma lì in veste di ‘seicordista’ con le idee chiare. Non caldissimi sul palco ma con tanta strada da cavalcare, e con un’esperienza importante quale quella del Gods alle spalle, possiamo consigliar loro di uscire un po’ dai classici canoni del prog metal e mettersi più in gioco. Per il resto le carte in tavola ci sono.
Show breve ma rustico – voto 6,5

DGM
Con grande attesa da parte del pubblico fa ingresso sul palco del GOM un’altra band italiana che riesce abilmente a districarsi anche nel panorama europeo grazie a delle doti tecniche di tutto rispetto e ad una vena stilistica-classica notevole: i DGM. L’impatto è stato subito da power/prog metal band, con un singer, Titta Tani, zampillante a destra e a manca su per il palco ed una coppia bassista-chitarrista incredibile (stesso suono della sei corde di Petrucci per Simone Mularoni). Dopo aver proposto un’estratto dal fortunatissimo Hidden Place, che li ha lanciati sulla scena italiana e non solo, i 5 si sono dedicati a pezzi più recenti pur conquistando sempre l’attenzione del pubblico affamato di prog pregiato. Qualche pecca di suono si è avvertita sul basso di Andrea ben superiore al livello audio degli altri strumenti, ma da imputare anche alla mia posizione troppo ravvicinata al palco. Special guest dietro le quinte: Stefano Longhi batterista degli Allhelluja e grande amico di Tani.
Impattanti – voto 7,5

ANATHEMA
L’istituzionalmente catalogata “doom-gothic metal band” è stata forse la parentesi che ha annoiato di più di tutta la giornata con il suo rock/metal d’atmosfera nemmeno all’altezza di una classificazione “alternative”, nonostante abbiano cercato di proporre pezzi veloci scanditi da tracce meno istintive. La band ha sfruttato tutto il tempo a disposizione dilungandosi oltremodo nel finale, fatto che ha suscitato le ire dei tecnici. Ovvio che in un altro contesto sarebbero risultati davvero interessanti, ma non con questo bill. Consistenti le dosi di avantgarde, hanno contribuito a raffreddare gli animi inferociti del pubblico.
Né carne né pesce – voto 4,5

SYMPHONY X
È giunto il primo grande momento della giornata: all’ingresso di Michael Romeo il pubblico esplode e Russel Allen è bravissimo a tenere tutti nelle proprie mani. Ancora problemi di suoni minacciano la performance a causa di un Lepond eccessivamente alto e sparato (nota: il primo bassista della giornata a suonare su un quattro corde) che copre totalmente la tastiera rendendola inesistente, ma all’accenno di Of Sins And Shadows tutto è stato perdonato. Russel inciampa in un monitor, cade e fa un po’ di scena, sotto gli occhi preoccupati di Romeo mentre le dita di quest’ultimo, in un’alta compagine planetaria, continuano ad eseguire egregiamente e con precisione il loro compito. Qualche estratto da V (peccato non abbiano proposto Egypt), molto piacevole Domination tratta dall’ultimo album Paradise Lost ed Inferno dal grandioso ed osannato The Odyssey che hanno letteralmente mandato in visibilio il pubblico.
Stupendi, esaltanti – voto 8

DARK TRANQUILLITY
Leggermente fuori scaletta, almeno per la loro proposta musicale, gli svedesi Dark Tranquillity hanno dato sfoggio del loro “gothenburghese” death metal pescando qua e là dalla loro discografia. Dopo un inizio recente Mikael Stanne, ha annunciato un tuffo nel 1995, tempi del magniloquente The Gallery. Il pubblico ha apprezzato, anche se i sostenitori del sestetto erano in tutta minoranza; Stanne, che dal vivo spicca per le sue movenze leggiadre e poco omofobiche, dal canto suo è esploso in un growling continuo ed instancabile fino al saluto finale.
Non a loro agio nel bill – voto 6,5

DIMMU BORGIR
L’esaltazione estrema fatta gruppo: dopo una dose death metal (seppur “melodic”) hanno successione i Dimmu Borgir (La) realtà internazionale del black metal sinfonico, questa volta con alla batteria come membro stabile nientepopodimeno che Hellhammer, drummer storico dei Mayhem (apparso già da qualche anno come session man). La sua predisposizione tecnica è stata uno degli ingredienti più saporiti della giornata: un’abilità mista ad una scioltezza d’esecuzione che hanno davvero pochi rivali a livello internazionale e che è riuscita a trascinare gli altri membri, pubblico compreso. Iniziati dal recente Death Cult Armageddon (Progenies Of The Great Apocalypse era mandatorio) hanno sputato fuori tutta la loro cattiveria evitando in assoluto sorrisi e presenziando con una fortissima personalità nera; ICS Vortex si è contraddistinto, oltre che per il suo modo bizzarro di suonare il basso, per le voci pulite davvero particolari e gustabili all’interno di un ciclone violento quale quello scatenato dai 6 norvegesi. In finale Spellbound e Morning Palace hanno riportato ai tempi iconoclastici di Enthrone Darkness Triumphant contribuendo a rendere glaciale lo scenario dell’Idroscalo e ad intimorire contemporaneamente i giovincelli accorsi per i Dream Theater nonché i veterani per gli H&H. Per questo motivo non sono stati apprezzati totalmente.
Maestosi e predominanti – voto 8

BLIND GUARDIAN
Il primo gruppo headliner dei 3 (medesimo tempo a dispozione: 90 min.) è stato accolto con un calore unico e sensazionale. Hansi Kursch in particolare ha goduto degli enormi plausi dei presenti ma ciò che ci ha catapultato direttamente nel mondo “Blind Guardian” è stato l’inizio con la doppietta War Of Wrath ed Into The Storm…incolmabile! Esecuzione impeccabile quella dei quattro (in realtà 6) tedeschi che ci hanno accompagnato in un viaggio incantato presso i più epici ed auerei sentieri della loro discografia. Si sono succedute in ordine sparso: The Script For My Requiem e Imaginations From The Other Side dall’album che prende il nome di quest’ultimo, un salto doveroso in Nightfall (canzone), un accenno di A Night At The Opera con Under The Ice ed una splendida Bard’s Song con doppia chitarra acustica. Ogni canzone era cantata all’unanimità dai presenti, uno spettacolo ed una gioia per Hansi il quale ha egregiamente nascosto qualche problema vocale che lo costringeva, ad ogni passaggio strumentale, a ricorrere ad acqua e farmaci per evitare notevoli ripercussioni sulla resa dello show. Frutto del Buio poteva essere un prezioso omaggio al pubblico italiano…peccato.
Epici ed osannati – voto 9

DREAM THEATER
Ed ecco il vero show. Un palco super-adibito alla performance della più immensa prog metal band di tutti i tempi: 3 bassi (di cui Myung utilizzerà, probabilmente per motivi di sponsorship, solo il nuovo Ernie Ball 5 corde) una batteria mastodontica con tre grancasse e due sgabelli scoperta solo all’ingresso dei 5 come se fosse il sipario di Metropolis Pt.2, tastiere varie con l’inseparabile continuum di Rudess. Il reale inizio dello spettacolo non si è avvertito in realtà con la fantomatica opener Pull Me Under bensì con l’annuncio, al termine di questa, di voler riproporre interamente Images And Words in sede live, proprio in quell’istante (il mio cuore si è tuffato nel ricordo dell’Hineken Jammin ’06 durante il quale i Metallica riproposero per intero Master Of Puppets…eiaculazione istantanea!). È qui che la folla è entrata in uno stato di delirio comatoso “limitandosi”, per così dire, a cantare interamente ogni singola nota (assoli compresi) del fantastico capolavoro dei DT, per moltissimi fonte di ispirazione ed insegnamento. Un prolungamento non conosciuto di Surrounded (attingendo da Sugar Mice dei Marillion) e degli spezzati tempistici in Learning To Live hanno ancora di più flagellato gli inermi ascoltatori. Note immortali hanno contribuito a qualche svenimento nelle prime file ed hanno fatto splendere la voce di un LaBrie davvero in forma, ma non meno dei compagni d’avventura. Il bis c’è stato con una teatrale Home ed una più fuori luogo As I Am che ci ha fatto tornare sulla Terra ai suoni attuali dei 5 americani.
Un sogno ad occhi aperti – voto 10+

HEAVEN & HELL
Uscito dai meandri della calca sono riuscito ad apprezzare il lavoro dei tecnici del suono dal centro arena: ogni strumento splendeva di luce propria, abbastanza affinché preferissi per il prossimo GOM di restare nelle retrovie. La storia ha fatto il suo ritorno e questa volta, quasi da contraltare alla giornata del 30 giugno diretta da Ozzy, si presentano i Black Sabbath degli anni ‘80 (con Vinny Appice alla batteria). Scenografia cimiteriale da incubo con tanto di proiettori ed immagini riferite all’omonimo storico album, suono perfetto e scaletta di grande rispetto sono stati gli elementi che hanno reso la performance dei 5 ineluttabile e che mi hanno permesso di godermi lo show. Peccato per un’eccessiva freddezza sul palco tra i membri (al termine è mancato addirittura il saluto con abbraccio della band, ma ognuno ha salutato per sé – sarà stata una riunion studiata a tavolino?!). Si sono susseguiti tra gli altri Children Of Sea, Neon Knights, Heaven & Hell e Die Young con l’immensa gioia dei veterani dell’heavy classico, particolarmente numerosi. Una chiusura finale complessa da digerire (difficile addirittura da capire) e tutti via verso l’uscita con il rituale dell’acquisto della maglia.
Storici ed immortali – voto 10

Bill
HEAVEN & HELL
DREAM THEATER
BLIND GUARDIAN
DIMMU BORGIR
DARK TRANQUILLITY
SYMPHONY X
ANATHEMA
DGM
SYNESTESIA

Category : Live Report
Tags : Gods Of Metal
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20th Gen2012

Gods Of Metal 2010@Collegno (TO)

by Marcello Zinno

Il Gods Of Metal è un festival che storicamente lascia poco spazio agli altri generi, rappresenta l’evento dell’anno per il popolo metal italiano, pur non essendo all’altezza degli altri festival estivi europei. Questa inferiorità purtroppo per l’edizione 2010 era, almeno sulla carta, ancora più tangibile considerando i nomi preannunciati ormai da mesi: tre le giornate, la prima quasi completamente dedicata al fenomeno del metal-core (genere sorto ad inizio millennio), la seconda più variegata in termini di sonorità e nomi, e la terza con al centro i Motörhead (ovviamente headliner) e pochi veri nomi importanti che spiccavano tra i tanti (UDO, Cannibal Corpse e Ratt, questi ultimi addirittura relegati sul palco minore).

Noi abbiamo scelto di vivere e di raccontarvi la seconda giornata, quella del 26 giugno, che ha visto a nostro parere due grandi vincitori: i Raven e gli Amon Amarth. I primi, con il loro NWOBHM intriso di rock’n’roll grezzo, hanno coinvolto tutto il pubblico, gran parte del quale ignorava la potenza d’impatto che questa band è in grado di sprigionare: non erano molti i presenti allo show dei Raven ed anche l’affermazione del leader John Gallagher,  “la prima volta che abbiamo suonato in Italia è stato nel 1981 e molti di voi non erano ancora nati!”, non ha fatto altro che chiarire la storia di questo terzetto, che ad onore della cronaca rappresenta in numero la metà della formazione degli Iron Maiden (a cui possono accostarsi per genere) ma producendo il doppio dei decibel. L’apertura con Take Control e la famosa All For One sono stati solo da assaggio prima di offrire una versione puramente live di Rock Until You Drop, celeberrima title track del loro debutto; il chitarrista Mark Gallagher (ebbene sì sono fratelli) ha dato tutto sé stesso tramite riff ed assoli, lasciandosi andare a mille smorfie sotto le note di Architect Of Fear e For The Future. Lungo e complesso il finale dello show per la “ex-athletic rock band” con Brack The Chain che non ha permesso ai presenti di spezzare il fiato nemmeno per un istante. Opposto il discorso per gli Amon Amarth: il quintetto vanta infatti di un vasto seguito nel nostro paese ed il loro show è stato sicuramente il più osannato e partecipativo del lotto. Il singer Johan Hegg, vero e proprio show-man, ha più volte interloquito con il pubblico permettendo al resto della band di recuperare fiato tra una Valkyries Ride ed una Cry Of The Black Birds. L’apice è stato raggiunto dalla distruttiva Death In Fire che ha prodotto il massimo furore al di là del palco.

E dopo tanta violenza non poteva starci meglio una band come i Lordi, con il loro “monster look” e le scenette da omicidio gratuito tra un brano e l’altro. Graffiante come sempre il loro sound, accattivante come non mai la scaletta che ha visto oltre le ben conosciute Raise Hell In Heaven e Who’s Your Daddy, l’esecuzione di un nuovo brano in anteprima mondiale intitolato This Is Heavy Metal. Citazione a parte per Man Skin Boots, iniziata sottotono ma che poi ha letteralmente svegliato la folla e trascinato in un ballo continuo. Resta il fatto che se 35 anni or sono non fosse nata una band dal nome Kiss (oltre all’immortale Alice Cooper), con le loro scenografie, il face-painting, le scenette horror ed il loro hard rock emotivo ed immortale, ebbene questi Lordi oggi lavorerebbero come commessi ad un discount. Tra le altre esibizioni vanno sicuramente citate quella degli Exodus, molto attesi grazie anche alla rinascita che il thrash metal sta rivivendo in questi anni, i quali hanno sicuramente accresciuto il dispendio di energie del pubblico con poghi continui (molti sono stati i richiami al passato tra cui A Lesson In Violence dell’indimenticabile Bonded By Blood e The Toxic Waltz). Degni di nota anche gli Orphaned Land che con il loro christian metal dalle sonorità orientali hanno coinvolto molti, nonostante la difficoltà di riprodurre (e di conquistare con) delle melodie così complesse dal vivo (Sapari e The Path Part I Treading Through Darkness tratti dall’ultimo The Never Ending Way of ORwarriOR nonché l’energica Norra El Norra in finale sono bastate per rendere lo show imperdibile).

Un grande plauso va anche alle band protagoniste sul palco minore: i Kaledon con il loro speed-power nordico, pur se italianissimi, i Subhuman, toscani e fautori di un death metal duro quanto originale, ed infine i Nashwuah con il loro hate-core molto debitore ai Cripple Bastards. Sicuramente invece al di sotto delle aspettative i Sadist, che ormai ripropongono la stessa scaletta, le stesse mosse (e Travor le stesse battute) da anni, e i Behemoth leggermente fuori luogo (rispetto al bill) e penalizzati da suoni non correttamente equalizzati (la chitarra e la voce del leader Adam “Nergal” Darski erano ben al di sotto degli altri strumenti). Insomma una giornata, quella del 26 giugno, che ha fatto ricredere quanti avevano gridato al ridicolo per questa edizione del 2010 del Gods Of Metal, mentre ha finito per appassionare i novellini che hanno potuto vivere per la prima volta questo spettacolo dal vivo. Peccato solo per la bassa adesione del tutto fuori media rispetto alle vecchie edizioni. Ci rifaremo l’anno prossimo!

Live del 26 giugno 2010

Bill:

Stage 1

Lordi
Amon Amarth
Raven
Exodus
Behemoth
Orphaned Land
Sadist
Ex Deo

Stage 2

Nashwuah
Subhuman
Kaledon

Category : Live Report
Tags : Gods Of Metal
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18th Nov2011

Black Sabbath al Gods Of Metal 2012

by Marcello

Avevamo pubblicato la settimana scorsa la news ufficiale tanto attesa del ritorno sulle scene dei Black Sabbath con Ozzy Osbourne alla voce. Oggi arrivano le date della loro prossima turnée e grande è lo stupore nel constatare che la discesa in Italia coinciderà con la data del Gods Of Metal 2012. Il 24 giugno prossimo infatti, Ozzy Osbourne, Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward saranno headliner della prossima manifestazione del festival di heavy metal più importante del nostro paese. Di seguito le altre date del tour. Nel frattempo cresce la nostra ansia per l’attesa!

18 maggio – Mosca, Russia – Olimpiski
20 maggio – San Pietroburgo, Russia – New Arena
23 maggio – Helsinki, Finlandia – Hartwall Arena
25 maggio – Stoccolma, Svezia – Sweden Stadium
28 maggio – Bergen, Norvegia – Bergen Calling Festival
31 maggio – Oslo, Norvegia – Spektrum
02 giugno – Malmo, Svezia – Malmo Stadium
04 giugno – Dortmund, Germania – Westfalenhalle
10 giugno – Donington, UK – Download Festival
12 giugno – Rotterdam, Olanda – Ahoy
15 giugno – Bilbao, Spagna – Azkena Rock Festival
17 giugno – Nantes, Francia – Hellfest
19 giugno – Parigi, Francia – Bercy
22 giugno – Dessel, Belgio – Graspop Metal Meeting
24 giugno – Milano, Italia – Gods of Metal

Category : News
Tags : Gods Of Metal
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09th Set2011

Gods Of Metal 2011

by Marcello Zinno

Nel caos moderno esistono pochi avvenimenti su cui si può davvero scommettere senza correre il rischio di restare con la cosiddetta mano bruciata. Uno di questi è il successo dell’evento “Gods Of Metal”. Si sa, le critiche ci sono sempre: c’è chi pensa che alcuni artisti siano stati posizionati troppo in basso nel bill, altri che fanno polemica sui prezzi dei panini e delle birre (effettivamente quest’anno sembravano ancora più alti), ma con il senno di poi non esistono eventi nel nostro paese che permettono ai metaller italiani di godere di artisti di questo calibro internazionale.

La nostra unica critica a questo tredicesimo anno di Gods Of Metal è rivolta all’organizzazione: il polo fieristico di Rho è uno spazio davvero incolmabile, gigantesco e pensare la cassa biglietti in una posizione opposta rispetto all’ingresso dello show è cosa del tutto improponibile. Inoltre a differenza degli altri anni non era permesso uscire dallo spazio dedicato all’evento per poi rientrarvi. Ci si sentiva un pò ostaggio del parcheggio fieristico.

Per tali vicissitudini abbiamo perso la prima band, i Baptized In Blood, e siamo entrati direttamente all’apertura dei Cavalera Conspiracy, alias Igor e Max Cavalera, fondatori dei Sepultura. Un nome una garanzia, idem per la loro esibizione, potente e piena di energia: un Igor in ottima forma che ha richiamato qua e là ritmi brasiliani omaggiando le proprie origini ed un Max ancora potente (anche se con voce un pò calante). Il duo, insieme a Joe Duplantier e Marc Rizzo, ha esaltato il pubblico con i grandi successi dell’album d’esordio: grandi su tutti Black Ark e Inflikted seguiti dalle irragiungibili perle del passato, Chaos A.D. e Roots Bloody Roots. Non è mancata l’occasione di presentare al pubblico il figlio di Max, Ritchie Cavalera, ormai maturo e capace di cantare sullo stesso palco insieme al padre.

Subito dopo spazio all’hard rock dei Loaded capitanati dall’ex-Guns ‘N’ Roses Duff McKagan, già precedentemente ospitato nel bill del Gods. Nonostante i problemi tecnici che li hanno attanagliati per quasi tutta l’esibizione, i ragazzi hanno tenuto alto l’indice del Rock, non solo durante le riproposizioni dei cavalli di battaglia dei Guns (So Fine tratta da Use Your Illusion II e Attitude, già cover dei Misfits) ma anche nell’eseguire gli ultimi successi tratti da Sick ed i classici del repertorio targato Loaded. Duff è sempre in formissima e l’ultimo membro entrato in line-up, Isaac Carpenter alla batteria, si è dimostrato un vero portento.

Da questo momento in poi il livello è iniziato a calare. Gli Epica hanno proposto il loro metal sinfonico ormai immutato negli anni e pur godendo di un buon seguito non hanno innalzato l’attenzione dei presenti, così come si compete ad una band già a metà bill.

Peggio ancora i Cradle Of Filth che, nonostante il valore creativo guadagnato nella scena symphonic black metal, hanno confermato il calo degli ultimi anni (ultimo decennio?!) in studio e decelerato la corsa dell’adrenalina del pubblico. Pochi gli applausi, pochi i sostenitori, scialbo lo spettacolo ed una scaletta che ha premiato immeritatamente gli ultimi lavori discografici.

Da questo istante, ovvero le 16.15,è iniziato il vero show. Ingresso per i Mr.Big, la band interiormente più giovane del lotto: mai fermi per due secondi uno di seguito all’altro, Billy Sheehan e Paul Gilbert (tornato nella band dopo la lunga assenza) hanno dato dimostrazione di tutta la propria tecnica, trasmettendo cosa significa veramente avere esperienza per uno strumento. Gli assoli sono fioccati uno dopo l’altro, mentre Eric Martin dava lustro delle proprie immutate doti vocali. Little Boy, Green-Tinted Sixties Mind, Take Cover, sono solo alcune grandi canzoni che il quartetto ha regalato ad un pubblico mai stanco del nome Mr. Big.

E così giunse il momento degli immortali Europe di Joey Tempest, conosciuti da mezzo globo per la fortunatissima The Final Countdown. Grandissima forma per la band, forte anche della presenza di Mr. John Norum, ottimo chitarrista capace di collocare gli Europe nell’olimpo delle vere heavy metal band. Joey ha dimostrato ancora una volta di avere una voce tremendamente impattante, nonostante i trenta anni e più di live: con Start From The Dark e Rock The Night ha letteralmente abbracciato il pubblico e conquistato tutti; di grande effetto anche More Than Meets The Eye. Una band da riscoprire e che molti sminuiscono a causa del brano che li etichetta da una vita.

I Whitesnake hanno semplicemente concorso alla posizione di headliner del festival. Per carisma, per talento e per l’immenso supporto dei fan presenti. La band di David Coverdale, fondatore e ormai unico ancora in line-up, ha sbalordito da tutti i punti di vista: la tecnica infinita, l’energia (David stavolta ha scelto musicisti molto più giovani di lui in grado di tenergli spalla) e la scelta dei pezzi hanno rappresentato un alchimia unica che ha reso lo show superlativo. Ovviamente omaggiato l’album 1987 con la roccheggiante ma romantica Give Me All Your Love e la dolce Is This Love, oltre che la potente Still Of he Night in chiusura. Da segnalare l’ultimo singolo Love Will Set You Free, davvero all’altezza del passato e Forevermore che ha scrostato il pubblico dal cemento di Rho. Un applauso al tecnicissimo e nuovo entrato Brian Tichy, un batterista davvero formidabile che David corteggiava da molto tempo. Uno spettacolo quello dei Whitensake da pochi.

Un pò di attesa ed alle 21.40sono entrati gli attesissimi Judas Priest, pronti a quasi due ore e mezza di grande classic heavy metal. Il telo con su scritto “Epitaph”, dal nome del tour, metteva un pò di tristezza ma allo stesso tempo la notizia che avrebbero riproposto i grandi successi dei diversi periodi della band animava soprattutto le prime file, perennemente in movimento come in un’onda irrefrenabile. Avvio incandescente direttamente da British Steel: Rapid Fire e Metal Gods ci hanno portato ai fasti di un tempo con la conferma (questo era il dubbio) che la voce di Halford resta ancora all’altezza delle aspettative. La parentesi sui brani più recenti ha visto presentare Judas Rising e Prophecy ma la versione acustica riarrangiata di Diamond & Rust, l’immortale Breaking The Law durante la quale Rob ha lasciato per intero cantare il pubblico (furbata?), e la coinvolgente The Sentinel hanno rappresentato le vette dell’esibizione. Grande coraggio nella riproposizione di Blood Red Skies, un pezzo che chiede molto alle corde vocali del singer, il quale ha saltato con classe l’ostacolo, mentre Painkiller, The Hellion, Electric Eye e You’ve Got Another Thing Comin’ ci hanno fatto fare l’ennesimo salto indietro di venti anni. In chiusura l’inmancabile Living After Midnight, più che un emblema un saluto ad un pubblico italiano che probabilmente non vedrà mai più suonare sul proprio territorio una delle più grandi band che l’heavy metal abbia mai avuto.

 

Bill:

Judas Priest

Whitesnake

Europe

Mr.Big

Cradle Of Filth

Epica

Duff McKagan’s Loaded

Cavalera Conspiracy

Baptized In Blood

Category : Live Report
Tags : Gods Of Metal
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