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23rd Apr2012

Soundgarden – Superunknown

by Giuseppe Celano

Di fronte a qualcosa che ha modificato irreversibilmente il corso della musica, e la sua fisionomia, bisogna modificare anche il proprio metodo di analisi. Per questo, e per molti altri motivi, questa volta non analizzeremo le singole tracce del quarto lavoro dei Soundgarden. Ci limiteremo a parlare del suo ampio respiro, della sua potenza dissacrante e di quanto il suo peso abbia tracciato un nuovo sentiero musicale. Superunknown è l’ALBUM definitivo del combo di Seattle, risulta un’opera ambiziosa, pretenziosa a tratti (considerata la durata spianata su 15 tracce), visionaria e avanti di molti anni. La sua commistione di suoni hard rock misti a psichedelia del tutto nuova e accecante lo rende un album intenso. L’operazione di chirurgia stilistica ci consegna una band in stato di grazia che, senza rinnegare il roccioso passato oscuro, sceglie un’apertura dovuta e necessaria verso melodie che rimarranno per sempre scolpite nella storia (Black Hole Sun/Fell On Black Days su tutte). Per quanto riguarda l’opener, Let Me Drown scelta come rappresentante di lista c’è ben poco da dire: i Soundgarden concentrano in pochi minuti un furia della natura che parte dritta come un razzo sfociando in una sezione centrale da apnea, costruita sui potenti pattern di Cameron e sull’uso spregiudicato della voce di Cornell, qui davvero un gigante impareggiabile. In Mailman i Nostri trovano la perfetta alchimia fra il passato e il presente, il rifferama granitico viene stemperato dal canto melodico di Chris che per tutta la prima parte mantiene un controllo invidiabile prima che nella sezione centrale Thayl lo spinga pericolosamente verso una corsa senza ritorno.

Per quanto riguarda Superunknown potrete considerarla la loro The Song Remains The Same, una mistura radioattiva di scorie taglienti rock’n’roll, aggressive quanto basta e tanto psichedeliche da creare droghe sintetiche nel vostro cervello che affondano il colpo nella psicotropa Head Down. Introdotta da una chitarra acustica, il suo andamento muta in divenire mirando a una progressione elettrica in cui Cornell sembra aver ceduto la propria ugola al demone che si è momentaneamente impossessato di lui. È un brano malato, insofferente, che vive di un’anima acustica intrappolata in una struttura elettrica disintegrata dall’incandescente finale. Non servono poi molte parole per descrivere Black Hole Sun, manifesto assoluto di bellezza visionaria le cui note, una volta ascoltate, rimarranno per sempre incastonate fra le vostre connessioni sinaptiche. Se mai ci fosse la necessità di dimostrare la loro poliedricità, ormai sotto gli occhi di tutti, la band si prende il lusso di azzeccare un singolo perfetto: Spoonman è un brano hard rock dalla ritmica tribale, la melodia di fondo, i riff, l’assolo e gli avvitamenti vocali d’eccellenza danno il benservito a tutti quelli in ascolto, soprattutto agli scettici che avevano definito la band un miscuglio di suoni sferraglianti senza futuro. Meglio, e vi assicuriamo che ne vuole dopo quanto sentito finora, fa la successiva Limo Wreck, un brano opprimente che sembra uscito da un antro dimenticato dal tempo, perso nello spazio. Il suo ruggito monocorde, creato dal basso ipnotico e dalla batteria maestosa, si erge come un monolite nero pece, forte di un potere distruttivo che l’istinto percepisce immediatamente sebbene i sensi siano ingannati dalla sua superficie lucida e immobile.

E poi arriva The Day I Tried To Live a sciogliere i cuori dei rocker più inflessibili, la sua ritmica ondeggiante, in mezzo a cui si infila il basso conduttore, è a dir poco spiazzante. Cornell sale di qualche ottava con una facilità imbarazzante mentre le chitarre s’ispessiscono sensibilmente per un risultato che potremmo definire perfetto. Kickstand è ciò che rimane del loro piglio punk, un passaggio fulmineo che fa da cerniera per Fresh Tendrils più tipicamente hard rock, in cui il lavorio di fino delle chitarre è sublimato dall’ottimo basso e dal canto di un superbo Cornell che in questo disco sembra aver mollato, anche se non del tutto, il suo ruolo di screamer optando per un approccio più vicino al canto. Le dimostrazioni di forza vengono messe da parte e l’ugola si presta al vero canto. 4th Of July è forse l’highlight assoluto di questo lavoro: parte lenta e corrosiva come acido su parti intime, i suoi riff scavano a fondo senza mai fermarsi, le voci sono raddoppiate dallo stesso Cornell su tonalità differenti, non mollano mai la presa, il sound è claustrofobico e sembra ricavato dalle risonanze di una caverna scavata nella roccia più dura. Un brano senza compromessi né respiro, la cui atmosfera sembra il presagio di qualcosa di terrificante che si prospetta all’orizzonte raccontato minuto per minuto dal singer. Half è un brano sfuggente e fuori posto a opera di Ben impegnato anche al canto, immerso in una pioggia acida e costruito sul basso, viola e violoncello. Questo strano pezzo per anni e anni ha tormentato il nostro sonno, complicando ulteriormente il già difficile lavoro del recensore.

Chiude il lavoro (per chi non abbia la versione con la bonus track She Likes Surprises) Like Suicide altra ballata acida che muta pelle dalla sezione centrale in su diventando una cavalcata verso il finale a ruota libera su cui giganteggia ancora una volta il buon Chris accompagnato egregiamente dal Kim. Quando si dice un disco angolare, un manifesto che indica chiaramente la nuova via da intraprendere, racchiuso in settanta minuti geniali di hard rock dall’anima vintage ma dalla mente proiettata verso il futuro, in una parola Superunknown.

Autore: Soundgarden Titolo Album: Superunknown
Anno: 1994 Casa Discografica: A & M Records
Genere musicale: Grunge Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.soundgarden.com
Membri band:

Chris Cornell – voce

Kim Thayl – chitarra

Hiro Yamamoto – basso

Matt Cameron – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Let Me Drown
  2. My Wave
  3. Fell On Black Days
  4. Mailman
  5. Superunknown
  6. Head Down
  7. Black Hole Sun
  8. Spoonman
  9. Limo Wreck
  10. Day I Tried to Live
  11. Kickstand
  12. Fresh Tendrils
  13. 4th of July
  14. Half
  15. Like Suicide
  16. She Likes Surprises
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Soundgarden
0 Comm
16th Apr2012

Soundgarden – Badmotorfinger

by Giuseppe Celano

Sulle note di Rusty Cage si aprono le danze di Badmotorfinger, nuovo capitolo del ’91 targato Soundgarden. Il riff ossessivo, la produzione diretta e la voce finalmente libera di poter esprimere tutto il suo potenziale esplosivo sono le carte che aprono questa mano di poker che la band porterà a casa con una doppia certificazione del disco di platino. Cosa è cambiato da Louder Than Love? Immutati i punti cardinali legati all’uso spregiudicato della voce, l’asse ritmico Zeppelin/Sabbath e la psichedelia dei seventies, ciò che emerge con forza è il nuovo sound che da quel momento verrà identificato, spesso a torto, con il grunge. I Soundgarden hanno un sound compatto e devastante, Outshined è un chiaro esempio della mutata pelle: riff angolari, basso profondo e voce che torreggia guidano questo brano che diventerà uno dei manifesti della band. A quota tre della scaletta la band mostra la sua vera anima: Slaves And Bulldozers è un monoblocco di ghisa ondeggiante, agganciata a un filo che sembra potersi spezzare da un momento all’altro con esiti devastanti. Il suo andamento ritmico, quasi lineare, viene esasperato dal crescendo di Cornell inerpicato su note in cui sia le corde vocali che la gola vengono messe a dura prova. Il sound è intriso di una vena psichedelica maligna e sinistra, le chitarre dissonanti creano un loop ipnotico per una chiusura impossibile da dimenticare.

Jesus Christ Pose è un mostro che emerge dalle profondità più recondite del mare, si muove come un incubo che non sembra mai aver fine. Il pattern ritmico di Cameron è agghiacciante, la voce di Cornell sottoposta a un’estenuante prova di forza brillantemente superata mentre chitarre e basso camminano su binari paralleli senza mai toccarsi. La soluzione centrale contiene un break da manuale, una melodia che brucia come un bisturi elettrico e che si spegne nel caos fatto di dissonanze elettriche e batteria impazzita. Molto più grunge (leggi punk) è Face Pollution che parte e arriva dritta, nessun fronzolo o abbellimento, solo una svisata centrale immediatamente ripresa dalla voce guida di Cornell che rimette le cose in chiaro. Diversa è Somewhere, una ballata con coda psichedelica che potremmo considerare un vero e proprio singolo capace di sostituire l’opener. Di un’altra pasta invece è la successiva Searching With My Good Eye Closed, brano d’eccellenza che mischia con eleganza tutto quanto abbiamo appena detto, traendone una nuova pasta abrasiva delicata ma capace di smerigliare le vecchia pelle del rock ridandogli quella veemenza necessaria che lo caratterizza. Psichedelia e melodia viaggiano in armonia, Thayl percorre in lungo e largo il manico della sua chitarra omaggiando Hendrix. La band sembra aver trovato un equilibro invidiabile e uno stato di grazia destinato a protrarsi per qualche anno. Un disturbante suono di chitarra, simile al rumore di un faro, s’infila fra il rifferama sabbatiano e la voce effettata di Cornell. Un delirio di suoni stridenti, supportati da un sax impazzito che si spegne sul finale da urlo, sono i punti cardinali di Room A Thousand Wide.

Mind Riot è il pezzo più vicino ai compagni di viaggio Pearl Jam, ballad che si snoda sulle note di una chitarra pulita, la ritmica procede lenta e senza intoppi. Chris canta benissimo alternando dolcezza e forza, anche il basso di Ben sembra non voler alzare il tiro sebbene, per tutto il brano, si percepisca una piacevole tensione di fondo a cui la band ci abituerà da qui in avanti. Drawing Flies è un brano mutante che sfrutta la stessa idea di Face Pollution ma si muove sghemba zigzagando ritmicamente per poi rimettersi sui binari giusti dopo una sbandata alcolica. Holy Water fa concorrenza, sfruttando il suo stesso rifferama, a Outshined ma usa la leva della melodia, del songwriting diretto e del ritornello ripetuto fino all’ossessione. Chiude il monolite New Damage, un brano dai toni scuri e minacciosi, Cornell e Thayl in netta predominanza trascinano il resto della band e l’ascoltatore in questo viaggio nell’ade in cui non è previsto un biglietto di ritorno. Le chitarre ricche di wah-wah, il basso ossessivo e la voce sfruttata fino allo scorticamento dell’ugola espandono per cinque lunghi minuti in cui Cornell ripete fino all’esasperazione “get up before you drown”. Il risultato è qualcosa di alienante, uno shock sonico difficile da dimenticare.

Registrato in California sempre con Terry Date alla produzione e con il nuovo bassista Ben Shepherd, subentrato a Hiro Yamamoto, questo nuovo lavoro usufruisce dell’interesse intorno alla scena grunge ritrovandosi catapultato velocemente al centro dell’attenzione dei media e del pubblico, nuovamente innamorato di queste sonorità hard. I motivi sono legati a un approccio compositivo più fresco e libero ma anche ad aperture più mainstream capaci di imboccare nuove strade commerciali nonostante la band ami ancora giocare con tempi dispari apparentemente indigesti. I Soundgarden di Badmotorfinger sono uno shuttle che non ha ancora abbandonato l’atmosfera, la cui spinta propulsiva è legata ai due razzi ausiliari irrorati di propellente seventies che presto si trasformerà in una nuova e incendiaria miscela. Ma per scoprire tutto questo dovrete attendere lunedì prossimo, sappiamo che non mancherete all’appuntamento, non è forse vero?

(Per i più curiosi nel 1992 in vista del tour della data di Lollapalooza in particolare la band rilasciò un EP Satanoscillatemymetallicsonatas dal nome palindromo che conteneva cover e una versione live di Slaves And Bulldozers)

Autore: Soundgarden Titolo Album: Badmotorfinger
Anno: 1991 Casa Discografica: A & M Records
Genere musicale: Grunge Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.soundgarden.com
Membri band:

Chris Cornell – voce

Kim Thayl – chitarra

Ben Shepherd – basso

Matt Cameron – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Rusty Cage
  2. Outshined
  3. Slaves & Bulldozers
  4. Jesus Christ Pose
  5. Face Pollution
  6. Somewhere
  7. Searching With My Good Eye Closed
  8. Room A Thousand Years Wide
  9. Mind Riot
  10. Drawing Flies
  11. Holy Water
  12. New Damage
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Soundgarden
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09th Apr2012

Soundgarden – Louder Than Love

by Giuseppe Celano

A un anno di distanza da Ultramega Ok esce Louder Than Love, secondogenito dei Soundgarden. La band si ripresenta in forma con un disco più maturo e dal potenziale superiore a quanto già detto in precedenza. Apre Ugly Truth in cui l’hard rock e la psichedelia dei seventies vanno a braccetto unite in questa felice stretta da Cornell che agisce come collante dall’alto potenziale adesivo. Hands All Over viaggia sulle stesse coordinate dell’opener ma suona più sinistra e meno diretta, la sua circolarità però riesce a renderla assimilabile. A quota tre si piazza il primo ‘ace’ di Thayl e soci, Gun è una cavalcata che decolla lenta come un bombardiere da guerra. Le sue armi sono la ritmica potente, il crescendo e le chitarre abrasive. Stessa pasta per la successiva Power Trip giocata su altissime note di chitarra riprodotte dalla voce in un gioco di call and response ricavato dall’inarrivabile modello Page/Plant. Il gioco delle parti dei due leader rende questo brano uno degli highlight del disco. Get On The Snake è costruita su un tempo uniforme. Le chitarre sacrificano l’assolo per il suono d’insieme, il basso relegato in un angolo, fagocitato dal missaggio pesante, soffre come un animale in gabbia pronto a sbranarvi al primo errore.

Full On Kevin’s Mom è una cavalcata a perdifiato che ripete ossessivamente il ritornello. La sua ritmica post-punk e le chitarre (ironmaideniane oseremo dire) si interrompono lì dove inizia l’altro punto di forza assoluto del disco, Loud Love. Questo monolite hard rock psicotropo, costruito come un ponte fra le due montagne sacre Zeppelin/Sabbath, si muove pesante ma con grazia. Le chitarre mordono affondo, le voci sono raddoppiate dai cori mentre la componente psichedelica, egregiamente inserita nei punti chiave, le dona un’armatura scintillante. I Awake è un brano plumbeo, sia per peso specifico del songwriting che per la produzione. Il basso ritorna su prepotente, come qualcosa d’indigesto, le liriche sono ossessive e su tutti pende come una ghigliottina il sound minaccioso e greve costruito su chitarre ricche di reverbero che fanno da contorno a questa granitica prova di forza.

No Wrong No Right è il brano più atipico e sperimentale dell’intero disco: il suo andamento contorto, il canto senza una soluzione di continuità melodica e le chitarre sferraglianti lo rendono pericoloso e sanguinante. Uncovered è un pezzo onesto, nessuna vetta o picco che faccia urlare al miracolo, la sua andatura procede senza intoppi, la struttura non prevede virate inaspettate né mazzate da knock out. Big Dumb Sex è un colpo d’ascia dritto sul volto, il canto su due tonalità spinge a dovere, mentre le chitarre incidono in profondità chirurgica. L’uso di liriche esplicite fa guadagnare al disco il meritato, e spesso fortemente voluto, parental advisory. Full On (Reprise) è una lenta ballata in cui potremmo addirittura sostenere che i Soundgarden perdono la testa per il blues. Il brano in realtà è un riempitivo di cui il disco avrebbe potuto sicuramente fare a meno ma che contiene una buona prestazione di Cornell.

Registrato a Seattle con il produttore Terry Date, Louder Than Love è caratterizzato da un sound pericolosamente vicino al grunge/metal, appare più dinamico del precedente lavoto ed è governato da tempi ritmici piacevolmente intricati. Sebbene i problemi di produzione non siano stati del tutto risolti, e con la defezione di Hiro Yamamoto alle porte, questo lavoro offre alcuni capitoli fondamentali nella storia della band. Ma è ancora niente rispetto al cataclisma di cui il monolitico quartetto di Seattle sarà capace di sprigionare con il successivo lavoro del quale ci occuperemo ampliamente nella nostra prossima uscita. Siamo certi che non la mancherete, non è forse vero?

Autore: Soundgarden Titolo Album: Louder Than Love
Anno: 1989 Casa Discografica: A&M Records
Genere musicale: Grunge Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.soundgarden.com
Membri band:

Chris Cornell – voce

Kim Thayl – chitarra

Hiro Yamamoto – basso

Matt Cameron – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Ugly Truth
  2. Hands All Over
  3. Gun
  4. Power Trip
  5. Get on the Snake
  6. Full on Kevin’s Mom
  7. Loud Love
  8. I Awake
  9. No Wrong No Right
  10. Uncovered
  11. Big Dumb Sex
  12. Full On (Reprise)
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Soundgarden
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08th Apr2012

Interno7 – My Music

by Giulia Galvani

My Music è il titolo scelto dagli Interno7 per nominare la loro prima fatica discografica. Prodotto da Lorenzo Alberti, con le fotografie di Vanessa Falcone e la grafica di Marcella Ronca, si palesa come un lavoro completo, un biglietto da visita grintoso di questa interessante band alternativa milanese. Un disco che arriva dopo circa tre anni di attività, in cui la band ha avuto modo di accumulare diversi live, vera vocazione degli Interno7, trovando quella sinergia tra le parti in gioco, che ben si sente in questo loro album. In un contesto oberato di musicisti o aspiranti tali in cui risulta davvero difficile emergere o perlomeno farsi notare, gli Interno7, pur non proponendo niente di troppo innovativo, riescono a farsi ascoltare per l’energia che trasuda dalle sei tracce di My Music, intrise da un lavoro di ricerca sonora che le rende sicuramente interessanti, creando trame melodiche su cui si tesse il graffiante cantato. Un lavoro passionale ed energico. In My Music emergono influenze eterogenee che vanno dalla musica rock anni settanta, all’hard rock sino al grunge anni novanta, il tutto amalgamato, creando un sound ”I7”, come una sorta di firma incisa nelle note anziché nel metallo. Sound cattivo e sfacciato, suoni distorti e semplici, senza peccare di troppi tecnicismi, atmosfere intime e rarefatte.

Con questo primo disco la band mette in mostra le proprie capacità, dimostrando che di qualità ce n’è, seppur ancora troppo legati al già sperimentato, al già sentito. Si sente la loro giovane età nello scorrere delle tracce, così come traspare la sensazione che il loro potrà essere un cammino di crescita, per un futuro disco che sarà più sinceramente Interno 7. Oltre alle sei tracce del disco di cui segnalo in particolare l’ultimo brano, Catching Notes, interessante anche la bonus track Warriors, un omaggio a I Guerrieri Della Notte, film del 1979, che racconta della voglia e della forza di combattere per perseguire un obiettivo, mantenendo viva la passione, nonostante le avversità. Rock energico e spruzzate di grunge. Buon ascolto.

Autore: Interno7 Titolo Album: My Music
Anno: 2011 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.interno7.eu
Membri band:

Mr.Miles – batteria

Mr.Rio – voce

Mr.Red – chitarra

Mr.Pic – basso

Tracklist:

  1. Mental Instru
  2. These Boots Are Made For walking
  3. Brain Latency
  4. Insecurity
  5. I Want You
  6. Catching Notes

 

Category : Recensioni
Tags : Grunge
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02nd Apr2012

Soundgarden – Ultramega Ok

by Giuseppe Celano

Nel 1984 nascono i Soundgarden: partoriti dalla mente di Chris Cornell, Kim Thayl e Hiro Yamamoto i Nostri sono considerati, non a torto, i caposcuola del grunge. La band frulla hard rock con influenze psichedeliche e sonorità metal, molto simili per il rifferama pesante ai primi Black Sabbath e ai Led Zeppelin per l’uso spregiudicato di tonalità vocali altissime e ritmica muscolare. È il 1988 quando la band dà alla luce la sua prima creatura, un album di 43 minuti intitolato Ultramega Ok, è materiale compatto e duro come la diorite che sa aprirsi a sezioni psichedeliche presenti nell’opener Power. Registrato fra Seattle e Washington, l’album soffre, in termini di sound e produzione, di uno schiacciamento delle dinamiche che i membri della band non hanno mai mandato giù (All Your Lies). L’oscuro lavoro del basso di Yamamoto, la registrazione cruda e la voce di Cornell potente ma ancora acerba, sono alcune delle componenti fondamentali che connoteranno il suono della band. 665 e 667 sono parodie delle solite e ridicole accuse di satanismo a cui la musica rock, ma soprattutto il metal, sono stati sottoposti da sempre. I messaggi subliminali, volutamente nascosti all’interno, riguardano anche la figura di Babbo Natale.

Il primo vero scossone dell’album è la temibile e poderosa Beyond The Wheel in cui un Cornell in stato di grazia s’inerpica su vette vocali imprendibili. La ritmica ipnotica e l’uso ossessivo di accordature ribassate evocano atmosfere fumose e sinistre per uno dei primi brani che non si scolleranno più dalle vostre orecchie. La successiva e più scolastica Mood For Trouble parte con chitarre acustiche per trasformarsi in una cavalcata a perdifiato ricavata dalla struttura di The Song Remains The Same, con tanto di aperture dilatate e fine lavoro di basso. Circle Of Power è una sfuriata selvaggia e tiratissima con Hiro alla voce, un omaggio al punk in stile Motorhead ma che affonda le sue radici nella fisicità di band come MC5 e The Stooges. He Didn’t è saldamente piantata su un rifferama ossessivo che si avvita su se stesso, mentre la voce di Chris spinge con difficoltà fra le spire di Hiro/Thayl, un brano pesante e di non facile fruizione. Smokestack Lightning è una cover in pieno stile Soundgarden, Cornell omaggia Howlin’ Wolf e i suoi famosi ululati per poi salire di qualche tonalità trasformandosi in uno screamer d’eccellenza. Niente per cui perdere il sonno ma una prova decente. Più grezza e ripetitiva è Nazi Dreams testimonial di una band in ascesa la cui meta è il grunge, futura scossa tellurica che sconvolgerà ancora una volta la fisionomia del rock.

Head Injury risente ancora del piglio punk, l’irruenza regna sovrana, le voci filtrate miste al lavorio delle chitarre logorano l’orecchio di chi ascolta. Incessant Mace è un bisonte che si muove con calma e peso consistente, il lavoro di Thayl alle chitarre omaggia a suo modo l’Hendrix più fluido. Al di là della timbrica eccelsa, Cornell dal “canto” suo mostra ancora qualche insicurezza che tenta di coprire con l’uso della forza per un risultato claudicante. Chiude questo esordio One Minute Of Silence, un’altra cover (Lennon) modificata dall’originale Two Minutes Of Silence ed epurata dalle parti cantate da Yoko Ono.

Ultramega Ok è un esordio pesante, contiene in nuce tutti gli elementi che man mano andranno a palesarsi costruendo un suono unico, molto differente da tutto il carrozzone grunge che nei ‘90 ridisegnerà le coordinate musicali di Seattle prima e del resto del globo poi. Rimanete sintonizzati su queste pagine, il bello deve ancora venire.

Autore: Soundgarden Titolo Album: Ultramega Ok
Anno: 1988 Casa Discografica: SST Records
Genere musicale: Grunge Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.soundgarden.com
Membri band:

Chris Cornell – voce

Kim Thayl – chitarra

Hiro Yamamoto – basso

Matt Cameron – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Flower
  2. All Your Lies
  3. 665
  4. Beyond The Wheel
  5. 667
  6. Mood For Trouble
  7. Circle Of Power
  8. He Didn’t
  9. Smokestack Lightning
  10. Nazi Driver
  11. Head Injury
  12. Incessant Mace
  13. One Minute Silence
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Soundgarden
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09th Mar2012

DiCose – Cherries And Broken Ass

by Rod

Interessante scoperta quella dei DiCose e del loro EP Cherries And Broken Ass, out dal 2011. L’EP, scritto in prevalenza in lingua inglese, si presenta con un artwork decisamente convincente e contiene sette brani di matrice orgogliosamente “southern” in cui la fanno da padrone le influenze musicali americane 90’s. Canzoni che, per dirla alla Cobain, “sanno di spirito adolescenziale” ma che arrivano dritte all’orecchio prendendo una rabbiosa scorciatoia dallo stomaco (This Tuck-0 ed Ego Al Chiodo su tutte). Senza dubbio, l’impresa compiuta dalla band di Lamezia Terme è quella di trapiantare il suono delle cantine americane nei bassi della indomita Calabria; pertanto frequentando assiduamente il suono dei DiCose ci si imbatte per volontà indotta negli echi di band come Alice In Chains, Nirvana o Smashing Pumpkins, ma anche in quella velata voglia di ‘cazzeggio godereccio’ alla Blink 182 o in spiragli di hardcore punk aggressivo confinante col sound dei migliori The Offspring.

Tralasciando la ghost track in chiusura (del tutto fuori contesto….) e le discutibili scelte di produzione vocale in alcune delle tracce proposte, conseguenza, forse, dell’ostinata rievocazione delle atmosfere grunge (vedasi Fandong, Sidewalks e Bikini. Fast. Drive.), il mash-up rivisitato in chiave southern dai ragazzi di Lamezia Terme, pone di sicuro le basi per una crescita artistica promettente. L’esperienza live, la ricerca di un suono che sia più personalistico e meno personalizzato, ed una consolidata maturità compositiva, faranno di sicuro il resto.

Autore: DiCose Titolo Album: Cherries And Broken Ass
Anno: 2011 Casa Discografica: AK Records
Genere musicale: Grunge, Post-Grunge, Stoner Voto: 6
Tipo: EP Sito web: http://www.dicosestazicore.com
Membri band:

Ghenaz – batteria, voce

Spat – chitarra, basso, voce

Witz – chitarra, basso, voce

Tracklist:

  1. Fandong
  2. Fhranciskina’s Son
  3. This Tuck-0
  4. Ego Al Chiodo
  5. Lucerna Tavioli
  6. Sidewalks (You Have To Walk On The… Eh!)
  7. Bikini. Fast. Drive.
Category : Recensioni
Tags : Grunge
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