Soundgarden – Superunknown
Di fronte a qualcosa che ha modificato irreversibilmente il corso della musica, e la sua fisionomia, bisogna modificare anche il proprio metodo di analisi. Per questo, e per molti altri motivi, questa volta non analizzeremo le singole tracce del quarto lavoro dei Soundgarden. Ci limiteremo a parlare del suo ampio respiro, della sua potenza dissacrante e di quanto il suo peso abbia tracciato un nuovo sentiero musicale. Superunknown è l’ALBUM definitivo del combo di Seattle, risulta un’opera ambiziosa, pretenziosa a tratti (considerata la durata spianata su 15 tracce), visionaria e avanti di molti anni. La sua commistione di suoni hard rock misti a psichedelia del tutto nuova e accecante lo rende un album intenso. L’operazione di chirurgia stilistica ci consegna una band in stato di grazia che, senza rinnegare il roccioso passato oscuro, sceglie un’apertura dovuta e necessaria verso melodie che rimarranno per sempre scolpite nella storia (Black Hole Sun/Fell On Black Days su tutte). Per quanto riguarda l’opener, Let Me Drown scelta come rappresentante di lista c’è ben poco da dire: i Soundgarden concentrano in pochi minuti un furia della natura che parte dritta come un razzo sfociando in una sezione centrale da apnea, costruita sui potenti pattern di Cameron e sull’uso spregiudicato della voce di Cornell, qui davvero un gigante impareggiabile. In Mailman i Nostri trovano la perfetta alchimia fra il passato e il presente, il rifferama granitico viene stemperato dal canto melodico di Chris che per tutta la prima parte mantiene un controllo invidiabile prima che nella sezione centrale Thayl lo spinga pericolosamente verso una corsa senza ritorno.
Per quanto riguarda Superunknown potrete considerarla la loro The Song Remains The Same, una mistura radioattiva di scorie taglienti rock’n’roll, aggressive quanto basta e tanto psichedeliche da creare droghe sintetiche nel vostro cervello che affondano il colpo nella psicotropa Head Down. Introdotta da una chitarra acustica, il suo andamento muta in divenire mirando a una progressione elettrica in cui Cornell sembra aver ceduto la propria ugola al demone che si è momentaneamente impossessato di lui. È un brano malato, insofferente, che vive di un’anima acustica intrappolata in una struttura elettrica disintegrata dall’incandescente finale. Non servono poi molte parole per descrivere Black Hole Sun, manifesto assoluto di bellezza visionaria le cui note, una volta ascoltate, rimarranno per sempre incastonate fra le vostre connessioni sinaptiche. Se mai ci fosse la necessità di dimostrare la loro poliedricità, ormai sotto gli occhi di tutti, la band si prende il lusso di azzeccare un singolo perfetto: Spoonman è un brano hard rock dalla ritmica tribale, la melodia di fondo, i riff, l’assolo e gli avvitamenti vocali d’eccellenza danno il benservito a tutti quelli in ascolto, soprattutto agli scettici che avevano definito la band un miscuglio di suoni sferraglianti senza futuro. Meglio, e vi assicuriamo che ne vuole dopo quanto sentito finora, fa la successiva Limo Wreck, un brano opprimente che sembra uscito da un antro dimenticato dal tempo, perso nello spazio. Il suo ruggito monocorde, creato dal basso ipnotico e dalla batteria maestosa, si erge come un monolite nero pece, forte di un potere distruttivo che l’istinto percepisce immediatamente sebbene i sensi siano ingannati dalla sua superficie lucida e immobile.
E poi arriva The Day I Tried To Live a sciogliere i cuori dei rocker più inflessibili, la sua ritmica ondeggiante, in mezzo a cui si infila il basso conduttore, è a dir poco spiazzante. Cornell sale di qualche ottava con una facilità imbarazzante mentre le chitarre s’ispessiscono sensibilmente per un risultato che potremmo definire perfetto. Kickstand è ciò che rimane del loro piglio punk, un passaggio fulmineo che fa da cerniera per Fresh Tendrils più tipicamente hard rock, in cui il lavorio di fino delle chitarre è sublimato dall’ottimo basso e dal canto di un superbo Cornell che in questo disco sembra aver mollato, anche se non del tutto, il suo ruolo di screamer optando per un approccio più vicino al canto. Le dimostrazioni di forza vengono messe da parte e l’ugola si presta al vero canto. 4th Of July è forse l’highlight assoluto di questo lavoro: parte lenta e corrosiva come acido su parti intime, i suoi riff scavano a fondo senza mai fermarsi, le voci sono raddoppiate dallo stesso Cornell su tonalità differenti, non mollano mai la presa, il sound è claustrofobico e sembra ricavato dalle risonanze di una caverna scavata nella roccia più dura. Un brano senza compromessi né respiro, la cui atmosfera sembra il presagio di qualcosa di terrificante che si prospetta all’orizzonte raccontato minuto per minuto dal singer. Half è un brano sfuggente e fuori posto a opera di Ben impegnato anche al canto, immerso in una pioggia acida e costruito sul basso, viola e violoncello. Questo strano pezzo per anni e anni ha tormentato il nostro sonno, complicando ulteriormente il già difficile lavoro del recensore.
Chiude il lavoro (per chi non abbia la versione con la bonus track She Likes Surprises) Like Suicide altra ballata acida che muta pelle dalla sezione centrale in su diventando una cavalcata verso il finale a ruota libera su cui giganteggia ancora una volta il buon Chris accompagnato egregiamente dal Kim. Quando si dice un disco angolare, un manifesto che indica chiaramente la nuova via da intraprendere, racchiuso in settanta minuti geniali di hard rock dall’anima vintage ma dalla mente proiettata verso il futuro, in una parola Superunknown.
Autore: Soundgarden | Titolo Album: Superunknown |
Anno: 1994 | Casa Discografica: A & M Records |
Genere musicale: Grunge | Voto: 9 |
Tipo: CD | Sito web: http://www.soundgarden.com |
Membri band:
Chris Cornell – voce Kim Thayl – chitarra Hiro Yamamoto – basso Matt Cameron – batteria, percussioni |
Tracklist:
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