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18th Ott2014

EnlovesKi – EnlovesKi

by Marcello Zinno

EnlovesKi - EnlovesKiEnlovesKi è il moniker di una rock band romana che da poco ha pubblicato l’EP omonimo con il quale presentarsi al mondo. Sound bello potente e deciso, peccato che sia un po’ troppo derivativo. Non vogliamo dire che gli EnlovesKi siano un clone di qualche band in giro per il mondo, ma il loro sound prende spunto da troppe ricette già consolidate e l’EP si ascolta con la speranza che giunga qualcosa di irruento, di inaspettato, che blocchi il respiro. Purtroppo ciò non avviene, seppur l’EP si gusti con relativo piacere. Le chitarre ruvide tipiche del grunge (in prima fila sentiamo Soundgarden e Alice In Chains), parti inframmezzate lente assorbite dal metal (come il post-metal in Taxidermy), uno spirito quasi alternative ma sempre al servizio della sei corde e del suo impatto (soluzione questa che in alcuni momenti ci riporta al passato dei Deftones)…tutti quindi rimandi di spessore, che di certo fanno onore al quintetto nella scelta dei musicisti che li hanno ispirati, ma che illuminano varie strade ben note raccolte in un unico percorso sotto un diverso moniker.

Il primo singolo, The Split, è ovviamente affilato e conciso e presenta strofa e ritornello come si confà ad una band del genere; buono comunque l’esercizio, con un potenziale anche su un possibile mercato internazionale, ma senza un odore che resti davvero attaccato alla pelle per molto tempo. Thirty Days prende le distanze dalle chitarre ruggenti e sperimenta una nuova visione della band che mette in luce una certa ricercatezza sonora. Sul finire, però, ci teniamo a dire che non è cosa comune ascoltare un EP di una band emergente come Enloveski: il combo dimostra comunque idee precise e una produzione di livello invidiabile. Ciò si traduce in una speranza davvero concreta di ritrovarli tra qualche anno con un album molto più interessante, magari con una personalità più di spicco.

Autore: EnlovesKi Titolo Album: EnlovesKi
Anno: 2013 Casa Discografica: Noise & Sound Records
Genere musicale: Rock, Grunge, Alternative Rock Voto: 5,5
Tipo: EP Sito web: http://www.enloveski.com
Membri band:

Davide “Dave” Franchini – voce

Davide “Snake” Nucci – chitarra

Francesco “Trap” Trapani – chitarra

Alessandro “Dirty Sanchez” Valente – basso

Andrea “Zuma” Somma – batteria, voce

Tracklist:

  1. Intro

  2. Waiting For The Rain

  3. Boarman

  4. Koru

  5. The Split

  6. Thirty Days

  7. Taxidermy

Category : Recensioni
Tags : Grunge
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07th Ago2014

Shame – Entropia

by Marcello Zinno

Shame - EntropiaC’è qualche giovane formazione che si dice ancora ispirata dal grunge e questo ci fa piacere visto che si tratta pur sempre di un genere che ha creato scompiglio in una generazione intera (se non due). Ciononostante gli Shame con il loro nuovo album autoprodotto dal titolo Entropia, non suonano affatto vecchi. I richiami al rock “rumoroso” degli anni 90 sono chiari, quello suonato e prodotto come se l’unico obiettivo fosse sfidare la resistenza fisica degli amplificatori, e in alcuni momenti forse le citazioni sono un po’ troppo rimarcate (l’inizio di Totally Soulless fa eco ai Nirvana e anche la voce di Andrea Paglione sembra creata di proposito per questo ruolo) ma sarebbe un errore considerare queste tracce solo come una sorta di celebrazione del grunge che fu. Riff rotondi sono accompagnati da ritmi veloci e i momenti più cauti sono piazzati con grande maestria (New Breeze nelle strofe ad esempio o Falling Through nella sua parte centrale) per dare la possibilità all’ascoltatore di prendere una boccata di ossigeno tra una raffica di note e l’altra. La line-up incentrata su un power trio si sente: non compaiono doppie chitarre, nemmeno aggiunte in fase di produzione, e il sound è sì grezzo ma compatto; questa la loro caratteristica principale e sulla quale probabilmente bisognerebbe lavorare per creare una personalità propria.

Bella Ricochet che nel suo incedere sotto il ritornello ci ricorda il vero grunge, alla Stone Temple Pilots, e prepara gli ingredienti per l’esplosione dal vivo così come altri passaggi che ricordano vari nomi ingrombanti di Seattle. Ma più che tracce per intero questo Entropia cela alcuni momenti degni di nota, come la parte centrale di Apocalypto che scatena un headbanging spontaneo, o l’incedere di Rolling più cattivo, alla Smashing Pumpkins per intenderci. Ce n’è di strada da percorrere ma l’obiettivo di divenire un nome interessante per la scena rock/grunge attuale è assolutamente alla portata di questi ragazzi.

Autore: Shame Titolo Album: Entropia
Anno: 2014 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale:   Grunge Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://shameband.weebly.com
Membri band:

Andrea Paglione – voce, chitarra

Marco Riboldi – basso

Veronica Basaglia – batteria, voce

Tracklist:

  1. Falling Through
  2. The Burning Flag II
  3. Totally Soulless
  4. New Breeze
  5. Ricochet
  6. Apocalypto
  7. Like Cain
  8. Coming Back [Extasia]
  9. The Dissolving Room
  10. Rolling
Category : Recensioni
Tags : Grunge
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24th Giu2014

Nothence – Public Static Void

by Marcello Zinno

Nothence - Public Static VoidGiovane band quella dei Nothence, giovane all’anagrafica ma per nulla acerba se ascoltiamo il loro sound. Non si riflette in loro alcun sapore di moderno: presentati come grunge band in realtà la loro proposta musicale suona ovattata e cupa molto di più di quanto una grunge band possa sembrare. Già con la vera opener Chasms, dopo una breve intro, veniamo lanciati in territori tanto cari ai Voivod meno tecnici e più claustrofobici, lande sicuramente desolate (chi avrebbe ancora il coraggio di proporre certi suoni?!) ma particolari, un monolite sonoro che devia in maniera incontrollata verso la città con il rischio di devastare tutti. Di tanto in tanto compare anche un pianoforte che combacia perfettamente con lo scenario nero a cui i Nothence puntano: la parte iniziale di Lighthouses potrebbe far storcere qualche naso ai puristi della chitarra elettrica ma a nostro parere è una scelta perfetta per capire l’identikit della band, brano che poi cambia e piazza un approccio semplice ma pregno di arrangiamenti dimostrando una grande attenzione al lato compositivo.

Con il proseguire dell’ascolto spunta su tutti la semplicità di alcuni passaggi, perché è vero che i Nothence cercano di suonare dark, stando attenti però a dare la medesima importanza ad ogni strumento, ma il prodotto finito non è qualcosa disegnato solo per gente all’ultimo stadio vitale, bensì alcuni refrain e alcuni chorus si presentano piacevoli e quasi mainstream. Questi sono più evidenti in brani come Mirror (che mette in luce anche un buon riffing) o nel ritornello di Organ, ma noi preferiamo ascoltare altri aspetti insiti nella musica dei Nothence. Il rock pesante del combo è il seme che giunge alle nostre orecchie: ascoltare Destination ci riporta in mente certo stoner (piacevolmente) indigesto degli anni novanta, anche se in altri momenti si assaggia qualcosa di più amaro (Scraps o addirittura la lancinante Sevle) che ritorna nei meandri dell’oscurità. Musica per duri di cuore, di quelli sì legati al grunge ma anche al suo lato più introspettivo e per nulla sorridente.

Autore: Nothence Titolo Album: Public Static Void
Anno: 2014 Casa Discografica: Tunecore
Genere musicale: Grunge, Dark Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.nothence.com
Membri band:

Fabio Scagliola – chitarra, basso, voce, piano, organo

Pietro Micheletti – batteria

Tracklist:

  1. Intro
  2. Chasms
  3. Outcast
  4. Lighthouses
  5. Aura
  6. Mirror
  7. Destination
  8. Scraps
  9. Sevle
  10. Organ
  11. Fugue
Category : Recensioni
Tags : Grunge
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22nd Lug2013

Green River – Rehab Doll

by Giuseppe Celano

È il 1987, i Green River s’avviano verso il primo e ultimo full-length che esce sempre per la Sub Pop. La gestazione risulta più complicata del previsto, sebbene inizialmente scelgano Jack Endino le cose non vanno in maniera semplice e la band decide di affidare tutto a Bruce Calder. Ma non ci sono solo problemi di gestazione , il combo si divide in due fronti: Ament e Gossard vogliono firmare per una major mentre Mark vuole rimanere su indipendente. Lo split è alle porte e il 31 ottobre del 1987 i Green River di fatto non esistono più. L’ala dei dipartiti, se così li vogliamo definire, acconsente che il materiale venga finito ma questo blocca l’uscita al 1988. La versione di cui andremo a parlarvi è quella rieditata che contiene anche la riuscita cover di Queen Bitch (David Bowie), presente originariamente solo in musicassetta. In molti non saranno d’accordo, altri urleranno alla blasfemia, altri ancora ci insulteranno, ma sulla lunga distanza i Green River perdono quello smalto riottoso dei primi due dischi risultando, per quanto si possa usare questo termine quando si parla di loro, più morbidi e intrisi di un rock più appetitoso e commestibile (Rehab Doll). Il disco suona più piatto e meno diretto dei due ep, sebbene ci siano momenti di livello superiore (Porkfist), sulla lunga distanza una certa insofferenza, per dirla tutta anche noia, affiora dalle note di altre composizioni (Together We’ll Never).

Chiudono la sguaiata Take A Five, sintomo che i Nostri non si sono adagiati completamente, e One More Stich introdotta da chitarra acustica che poi esplode in una disperazione tipica del successivo grunge, una lezione di cui gli Alice In Chains hanno fatto tesoro. L’ascolto, ne basta uno, di Rehab Doll è quantomeno doveroso, poi potrete decidere se continuare o passare a cose più corpose.

Autore: Green River Titolo Album: Rehab Doll
Anno: 1988 Casa Discografica: Sub Pop
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://myspace.com/officialgreenriver
Membri band:

Mark Am – voce

Stone Gossard – chitarra

Bruce Fairweather – chitarra

Jeff Ament – basso

Alex Vincent – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Queen Bitch
  2. Forever Means
  3. Rehab Doll
  4. Swallow My Pride
  5. Together We’ll Never
  6. Smiling And Dyin’
  7. Porkfist, Take A Dive
  8. One More Stitch
Category : Recensioni
Tags : Green River, Grunge
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15th Lug2013

Green River – Dry As A Bone

by Giuseppe Celano

Siamo nel 1987, è la Sub Pop a occuparsi anche della seconda uscita, sempre in formato EP. I Green River danno alla luce Dry As A Bone che consta di cinque brani, il disco successivamente verrà rieditato con l’aggiunta di bonus in un’edizione intitolata Dry As A Bone/Rehab Doll (1990). Cos’è cambiato in questi due anni? Poche ma significative cose. Dal punto di vista strutturale la band perde la chitarra di Steve Turner che viene degnamente sostituito da Bruce Fairweather, già nei Deranged Diction insieme a Jeff Ament. Per quanto riguarda la produzione è Jack Endino a occuparsene ed è anche la prima uscita per la Sub Pop che non sia una compilation. Le coordinate musicali non si discostano dal precedente lavoro: i punti focali sono sempre due, rifferama hard e piglio post-punk. La voce è sgraziata, la registrazione lo-fi, la sezione ritmica nervosa (This Town), le stesse atmosfere si possono ritrovare nella successiva P.C.C., anch’essa disperata, portata al limite della dissonanza con chitarre sferraglianti e voce isterica. Ozzie, originariamente registrato dai Tales Of Terror, altra band seminale citata dai grandi del grunge come influenza primaria per il loro successivi lavori, fonde in modo efficace i due elementi contenuti nel loro sound generando un sound credibile. A quota quattro appare inaspettatamente Unwind un blues ossuto, classico e sguaiato che chiude il lavoro e si trasforma nel solito caos infernale in cu il punk scardina i massimi sistemi regnando sovrano.

Baby Takes è una traccia oscura che, nonostante le scorie hard e le atmosfere incupite, lascia intravedere il futuro del grunge con pochi passaggi fondamentali. In chiusura segnaliamo Searchin’ in pieno stile stoogesiano che flirtano con i Sabbath, il titolo d’altronde lo anticipa chiaramente, e Ain’t Nothing To Do (Bators/Chrome), registrato nel 1985 e inclusa come bonus track. Se non li avete mai ascoltati e volete sapere dove ha origine il vento che nei ninenties ha sferzato Seattle allora è qui che dovete indirizzare le vostre orecchie.

Autore: Green River Titolo Album: Dry As A Bone
Anno: 1987 Casa Discografica: Sub Pop Records
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 6,5
Tipo: EP Sito web: https://myspace.com/officialgreenriver
Membri band:

Mark Am – voce

Stone Gossard – chitarra

Bruce Fairweather – chitarra

Jeff Ament – basso

Alex Vincent – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. This Town
  2. P.C.C.
  3. Ozzie
  4. Unwind
  5. Baby Takes
Category : Recensioni
Tags : Green River, Grunge
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08th Lug2013

Green River – Come On Down

by Giuseppe Celano

Nascono nel 1984 e vantano in formazione due delle colonne portanti dei futuri Pearl Jam: Jeff Ament e Stone Gossard. Quest’ultimo subentra alla chitarra per permettere a Mark Arm di concentrarsi sul canto. La loro influenza sul mondo del grunge è stata fondamentale e indiscutibile: Pearl Jam e Mudhoney devono i loro natali a questa formazione seminale che nel suo rullino persone vanta solo due EP e un disco, ormai entrato nella storia. Nel 1985 i Green River, nome mutuato da un serial killer, danno alla luce un EP di sei brani intitolato Come On Down che esce in sordina per la Homestad Records. La registrazione sporca, il piglio punk (de)generato dai ripetuti ascolti di Iggy And The Stooges e alcuni passaggi simil metal li fanno presto diventare una band di culto. Madrina del movimento grunge è Come On Down, più sporca risulta New God, malata traccia il cui canto sguaiato si mischia al rifferama metallico che sfrutta bicorde capaci di far drizzare le antenne alle orecchie attente. Ancora più diretta, e puramente punk nel senso più liberatorio, è Ride Of Your Life che poi evolve in una strana ballad oseremmo dire melodica, dai tratti psichedelici fortemente pronunciati.

Il suono è claustrofobico, lo spettro sonoro ridotto ai minimi termini, dettagli che potrebbero far passar la voglia di ascoltarlo, ma sono proprio queste imperfezioni ad amplificarne il magnetismo (Corner Of My Eye).Non mancano echi sabbatiani, ma non è una novità quando ci sono di mezzo le chitarre, nella pirotecnica Tunnel Of Love, degna chiusura di questa prima mano di poker vinta dalla band.

Autore: Green River Titolo Album: Come On Down
Anno: 1985 Casa Discografica: Homestad Records
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 6
Tipo: EP Sito web: https://myspace.com/officialgreenriver
Membri band:

Mark Am – voce

Stone Gossard – chitarra

Steve Turner – chitarra

Jeff Ament – basso

Alex Vincent – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Come On Down
  2. New God
  3. Swallow My Pride
  4. Rude Of Your Life
  5. Corner Of My Eye
  6. Tunnel Of Love
Category : Recensioni
Tags : Green River, Grunge
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03rd Lug2013

Nhenia – Contatto

by Marcello Zinno

Il grunge di Seattle ha prodotto un’onda che ha investito le due decadi successive a tutto ciò che accade in quel periodo storico per la musica. Non ci riferiamo al solo Kurt Cobain, immolato contro la sua volontà a baluardo di un genere, ma alla direzione che il rock stava prendendo in quegli anni (Pearl Jam, Mother Love Bone, Soundgarden…). Quest’onda era talmente imponente e distruttiva che se ne ravvedono effetti ancora oggi e alcune formazioni si sentono profondamente influenzate da quello che fu definito grunge (non è un caso il successo che ottennero nel nostro Paese e che ancora detengono i Verdena). I Nhenia pescano a grandi mani da quella cultura musicale, ma c’è qualcosa che è diverso. L’intelligenza musicale, venti anni di esperienza in più, sono dei punti a favore per i Nostri rispetto agli scapestrati giovincelli con i camicioni a quadretti che muovevano i primi passi nei locali più beceri della città. Questo è innegabile e i Nhenia intelligentemente lo sfruttano a loro vantaggio: gli arrangiamenti in Imbalsamati e le sue parti più tenui, le influenze quasi stoner ravvisabili qua e là, le derive metal nell’intro di Cytherea, e un certo alternativismo (linee vocali) di sottofondo, sono tutti elementi che rendono l’album interessante.

Quindi in Contatto, primo full-lenght della band, troviamo di certo il nervosismo interiore (ascoltare Come Donne In Carriera o Distruggi per credere) e l’agitazione emotiva e razionale al tempo stesso del grunge così come lo abbiamo conosciuto tempo fa, ma si avverte una certa indole del trio di voler andare oltre questa classificazione e proporre delle idee più originali ed attuali. A noi colpiscono i vari passaggi più originali, come l’incedere di Maiali o la sperimentazione nella titletrack oltre ai momenti già citati, veri elementi di caratterizzazione di questa band che non deve correre il rischio di sentirsi prigioniera di uno stile creato da altri e puntare sempre ad una differenziazione della propria proposta musicale.

Autore: Nhenia Titolo Album: Contatto
Anno: 2013 Casa Discografica: Altipiani
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.nhenia.com
Membri band:

Riccardo – voce, chitarra

Massimiliano – batteria

Adriano – basso

Tracklist:

  1. Dallo Stomaco
  2. Acrilica
  3. Sei Stato Nominato
  4. Imbalsamati
  5. Cytherea
  6. Come Donne In Carriera
  7. Maiali
  8. Favola Dell’ascesi
  9. Orbite
  10. Distruggi
  11. Argilla
  12. Contatto
Category : Recensioni
Tags : Grunge
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03rd Giu2013

Three Fish – Three Fish

by Giuseppe Celano

Siamo nel 1994, anche Jeff Ament (Pearl Jam) vuole il suo meritato momento di gloria e, insieme a Robby Robb (Tribe After Tribe) voce/chitarra e Richard Stuverud alla batteria, forma i Three Fish. Due anni dopo, per la Epic, esce il loro esordio omonimo composto da 15 canzoni affette da varie influenze: il folk della ballata Solitude che fa da opener si contrappone alla muscolare disperazione della successiva Song For A Dead Girl in cui la voce stridente trova il suo contraltare nella melodia pop, nel senso meno usurpato del termine. I passaggi più vicini ai Soundgarden e Pearl Jam, se è quello che cercate, si possono facilmente rintracciare in Silence At Bottom e A Lovely Meander, dove toni acuti, chitarre ruggenti e sezione ritmica spingono a dovere. The Intelligent Fish fa parte della “trilogia del pesce” suddivisa in tre brani acustici con voce narrante. Zagreb è una chicca preziosa fatta di percussioni profonde e chitarre a 12 corde che cesellano una melodia esotica, ammaliante e temibile al tempo stesso. Di tutt’altra pasta è All Messed Up, ricca di chitarre dai riverberi psichedelici, riff granitici e pattern ritmici rocciosi su cui si staglia la voce di Robby. Sempre sullo stile ballata si pone Here In The Darkness, i Three Fish mostrano il proprio carattere forte divertendosi a condurre l’ascoltatore per piacevoli giri mai tortuosi. Build è uno dei pezzi più interessanti: un groviglio di melodia e feedback, di spunti accennati e dilatati in quattro minuti di fine grana. La band bissa il tentativo con la successiva Secret Place, meno di due minuti di lucida follia post industriale. Sulle stessa linea melodica di Zagreb si pone la conclusiva Laced che evolve in qualcosa di più corposo mutando armonia e struttura rivestita di scintillante metallo.

Three Fish è ispirato alle opere di Jalaluddin Rumi (poeta persiano) e si pone come cerniera fra Temple Of The Dog e Mad Season fondendo il vigore dei primi con la spiritualità malata dei secondi. Un’esperienza durata un quinquennio che darà alla luce anche un secondo capitolo del quale, chiaramente, ci occuperemo in occasione della prossima puntata della nostra rubrica settimanale.

Autore: Three Fish Titolo Album: Three Fish
Anno: 1996 Casa Discografica: Epic
Genere musicale: Grunge Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/threefishband
Membri band:

Jeff Ament – basso

Robby Robb – chitarra

Richard Stuverud  – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Solitude
  2. Song For A Dead Girl
  3. Silence At The Bottom
  4. The Intelligent Fish
  5. Zagreb
  6. All Messed Up
  7. Here In The Darkness
  8. The Half Intelligent Fish
  9. Strangers In My Head
  10. A Lovely Meander
  11. Build
  12. Stupid Fish
  13. Secret Place
  14. Evulsive Ones
  15. Laced
Category : Recensioni
Tags : Grunge
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27th Mag2013

Mad Season – Above

by Giuseppe Celano

“Layne Staley è uno che soffre”, si apriva così la recensione di un famoso giornalista rock in merito all’unplugged degli Alice In Chains. Quale miglior disco di Above per consolidare questa tesi? L’esordio discografico dei Mad Season nasce da un incontro casuale dentro una clinica di recupero per tossicodipendenti. 2/3 dei membri coinvolti nel progetto avevano seri problemi di droga, l’idea di McCready, tanto nobile quanto fallace, era di tirare in ballo Layne che ritrovatosi in mezzo a musicisti ripuliti sarebbe dovuto rimanere sobrio. La storia purtroppo è andata diversamente: a quattro anni di distanza il loro bassista morirà di overdose di eroina, anche Staley nel 2002 verrà ritrovato senza vita nel suo condominio, stroncato da un mix di eroina e cocaina. Ma tornando alla musica, è l’anno di grazia 1994, la band non ha un singolo e neanche un nome (Drugs Addicts And Alcoholics dapprima) ma è già in giro per alcuni concerti come lo storico Crocodile Cafè di Seattle in cui suona Lifeless Dead e River Of Deceit. Il moniker deriva da un fungo allucinogeno che in un determinato periodo dell’anno esplode in tutto il suo vigore. L’album registrato a Seattle in soli sette giorni, qualcuno in più per Layne, è coprodotto dai Pearl Jam e vanta la presenza di Mark Lanegan degli Screaming Trees. Musicalmente siamo di fronte a una cerniera fra gli Alice In Chains e i Pearl Jam, impreziosita dall’inimitabile voce di Layne che svetta scegliendo soluzioni melodiche intraprendenti.

Il disco decolla agilmente sulle note di Wake Up, opener delicata che esplode la sua rabbia a metà per poi ritornare quietamente al suo carattere introspettivo, quasi timido. Le liriche sono l’analisi della propria condizione di user (“Slow suicide’s no way to go, oh blue, clouded grey you’re not a crack up, dizzy and weakened by the haze”). Più aggressiva è X-ray Mind, ricca di chitarre corpose e pattern ritmici tribali. Il chorus è molto vicino ai Pearl Jam ma è l’ugola impagabile, di quello che è stato senza ombra di dubbio il cantante più rappresentativo e meno idolatrato del grunge, a renderla davvero unica (“Hire a spy and bug me, pimp your friends for money, rich and growing sicker sell the dead ones quicker”). A quota tre il singolo River Of Deceit è una ballata classica ma efficace, la sua forza sta nella disperazione della voce di Staley che, per la prima volta, ammette in modo inequivocabile la propria responsabilità nella sua tossicodipendenza (“My pain is self-chosen, at least, so The Prophet says I could either burn or cut off my pride and buy some time, a head full of lies is the weight, tied to my waist”). Il gioco di chiaroscuri si ripete nella successiva I’m Above, lenta e maestosa all’inizio fino alla deflagrazione in coda (“So you rely on my faith in your kind, or rather continue to pretend that I’m blind, You say I made your life a living hell, and yet still let me pay you when I fell”).

Inaspettatamente è il blues Artificial Red a risultare uno dei pezzi più interessanti del disco. Laido e intriso di un fumo porpora mostra un carattere lascivo e perverso. La luce che illumina la stanza in cui tutto è permesso è di un rosso “artificiale”, il wah-wah scorre sinuoso mentre la voce s’incrina e per poi tornare morbida, appare e si ritrae (“On a cloud of pink has to grey and I’m alone again, yeah someone to hold against my own, alone, untouched is what I crave”). Diretti da una sezione ritmica lineare che ha lo stesso coefficiente di penetrazione della goccia cinese, i Mad Season scardinano le difese dell’ascoltatore con Lifeless Dead, brano in cui le chitarre ricche di wah-wah s’intrecciano preparando il terreno per l’ottima prova di Layne (“And although he’d not accept, she was gone and so he wept, then a demon came to him: “You must know I’m gonna win“). Lo scontro fra titani avviene a quota otto: Lanegan sfida in casa il leader in una ballata dai profumi esotici, fatta di chitarre morbide, percussioni appena accennate e toni dimessi che s’intensificano in un brano senza tempo (“Lord there’s a storm in my head and if all these sins are mine and I’ve done wrong, I want you to, Oh I just want you to come on down”). November Hotel è uno strumentale in distorsione ricco di feedback in pieno stile seventies. Sembra più un divertissement in studio per allentare la tensione incamerata in quei sette frenetici giorni. Chiude la preziosa All Alone, perla melodica di arpeggi soffici, basso leggero e percussioni sfiorate delicatamente (“All Alone, We’re All Alone”).

Se le chitarre scapigliate di MacCready mostrano il lato più impertinente della band, il lavoro della sezione ritmica di Sounders, impegnato al basso, tiene saldamente in mano le redini improntando tutto il lavoro su una chiara matrice blues. Infine Layne Staley libera la sua voce capace d’emozionare, colorire e armonizzare perfettamente il tutto. Sospeso fra sfuriate stridenti e momenti di delicato ardore che trova la sua massima espressione nella 6 corde, Above cita e omaggia gli Zeppelin e Hendrix esaltando l’uso della chitarra come mezzo definitivo per l’espressione del rock. Capolavoro? Sì, senza ombra di dubbio.

Autore: Mad Season Titolo Album: Above
Anno: 1995 Casa Discografica: Columbia Records
Genere musicale: Rock, Grunge Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/madseasonabove
Membri band:

Layne Staley – voce

Mark Lanegan – voce

Mick McCready – chitarra

John Philip Saunders – basso

Barret Martin – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Wake Up
  2. X-Ray Mind
  3. River Of Deceit
  4. I’m Above
  5. Artificial Red
  6. Lifeless Dead
  7. I Don’t Know Anything
  8. Long Gone Day
  9. November Hotel
  10. All Alone
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Grunge
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17th Apr2013

Morod – 20

by Carlo A. Giardina

I cagliaritani Morod, con 20, presentano un disco d’esordio che sta al confine tra grunge ed heavy metal. Così come stanno al confine le impressioni di chi ascolta il loro album: pollice all’insù o all’ingiù? In tutto vi sono otto brani. I primi quattro presentano sottili differenze che movimentano il tutto. Si apre con la potente e cadenzata My Heart proseguendo, sulla stessa scia, con Sickness, leggermente più attivo. Si continua con Sei acceso? (finalmente un testo in italiano, dopo spiegheremo il perché) influenzato senz’altro dall’alternative rock/grunge italiano dei primi anni ‘90 (ovviamente Verdena su tutti). La prima parte si conclude con la title track 20, una lenta ballata grunge molto piacevole. La seconda parte continua con gli altri quattro brani: poco originali, all’apparenza messi lì giusto per fare numero. Alcune domande sorgono spontanee: perché? Perché allungare un brodo già leggermente annacquato di suo? Se si fossero fermati ai primi quattro? Cosa sarebbe successo? Beh, di sicuro avrebbero evitato di lasciare gli ascoltatori in un limbo dal quale, però, sembra molto semplice uscire: premere stop.

Altra nota di demerito é l’inglese: non siamo i soliti anglofili che se la tirano per la pronuncia da “Sir” di turno, però, i brani, musicalmente ricchi, studiati e sentiti, perdono di qualità e di molto: sentire la classica cadenza italo-americana, per lo più stonata, disturba parecchio. Le stonature ci stanno (Cobain insegna, per non parlare dei Sex Pistols), ma l’accostamento a quel l’inglese raffazzonato non ci sta. Probabilmente, ascoltando 20, il vostro pollice rimarrebbe a metà.

Autore: Morod Titolo Album: 20
Anno: 2012 Casa Discografica: Green Studio Productions
Genere musicale: Grunge Voto: 4
Tipo: CD Sito web: http://www.morodproject.com
Membri band:

Tiziano Piu – voce, chitarra

Alberto Pisanu – basso

Fabio Muscas – batteria

Tracklist:

  1. My Heart
  2. Sickness
  3. Sei Acceso?
  4. 20
  5. Shattered By Myself
  6. Tired
  7. The Truth
  8. I’m Losing In UK
Category : Recensioni
Tags : Grunge
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