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17th Dic2013

Deep Purple – Shades Of Deep Purple

by Alberto Lerario

Deep Purple - Shades Of Deep PurpleLa storia dei primi album dei Deep Purple offre uno sguardo affascinante nell’oscuro regno di rock sinfonico delle origini del gruppo. Questi dischi confermano quanto sia stato difficile e quanto abbiano dovuto sudare per raggiungere lo status di leggenda del rock. Le vicissitudini della band ed i numerosi cambi di line up hanno reso il nome Deep Purple sinonimo di un certo tipo di musica rock, un marchio di fabbrica che caratterizza un suono più che dei membri di un gruppo. Nel 1967, Ritchie Blackmore , Jhon Lord, Ian Paice, Nick Simper e Rod Evans formano la prima di molte versioni dei Deep Purple. Shades Of Deep Purple è il loro album di debutto, ed è stato registrato in soli due giorni. Questi ragazzi smaniano dalla voglia di varcare la soglia dello show business e fondamentalmente portato il loro live set in studio con loro. Anche se le circostanze affrettate di registrazione portano la band a registrare su disco numerose cover, invece di accontentarsi di una riproduzione superficiale di brani altrui, i Deep Purple aggiungono qualcosa di speciale per ognuno di essi. Il brano Hush, scritto da Joe South nel 1967, è considerato un punto fermo dell’r&b. La rivisitazione in chiave hard rock dei Deep Purple fu completamente ignorata in Gran Bretagna, mentre salì al numero quattro delle classifiche statunitensi. Il boom del brit rock in pieno svolgimento in quegli anni coinvolge, neanche a dirlo, la band di Hertford che include nella loro prima registrazione in studio il brano Prelude: Happiness / I’m So Glad. La canzone in realtà offre a Blackmore spazio per soddisfare le suoi notevoli capacità con la sei corde.

Forse più significativo, è anche il primo esempio documentato dei tentativi insistenti di Jhon Lord di fondere la musica classica con il rock, infatti la prima parte del brano Prelude: Happiness fa parte di Sheherazade del compositore Nikolaj Rimskij Korsakov. Le altre cover remake sono altrettanto curiose. Nel 1967 Jimi Hendrix aveva segnato con la sua versione di Hey Joe, il suo album di debutto Are You Experienced. Da allora un giovane Blackmore ha dipinto idealmente un enorme bersaglio nella sua mente sognando di raggiungere quel livello, cosa che gli riuscì presto e piuttosto bene dato l’enorme talento a disposizione. Da ragazzi ambiziosi quali erano i Purple non potevano che aspirare ed ispirarsi ai Beatles. Rifare i brani di Lennon e McCartney nel 1968 (e anche in epoca moderna) porta molto spesso a risultati tragicomici. Questo non è il caso dei Deep Purple con Help però. Rallentata al punto giusto da trasformare la canzone in un lamento blues. Dei quattro brani originali scritti in Shades Of Deep Purple Mandrake Root risulta il più convincente e duraturo. La band ha incluso questa traccia nei loro live per anni. Un classico in cui è possibile riconoscere uno dei primi esempi del poderoso dialogo tra il riffing di chitarra di Blackmore e le tastiere di Lord, che caratterizzerà il suono stesso della band. Secondo le note di copertina, il suono della la bomba che si spegne a metà traccia proviene direttamente dalla libreria degli effetti sonori della BBC.

Un album più di importanza storica che di reale valore compositivo, Shades Of Deep Purple però ascoltato con il senno di poi, lascia intravedere tutti gli elementi che porteranno ai capolavori futuri della band che fin dal principio oltre a mostrare grinta e passione ci regala un primo assaggio di talento musicale.

Autore: Deep Purple Titolo Album: Shades Of Deep Purple
Anno: 1967 Casa Discografica: Parlophone, Tetragrammaton
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.deeppurple.com
Membri band:

Ritchie Blackmore – chitarra

Rod Evans – voce

Jhon Lord – tastiere

Ian Paice – batteria

Nick Simper – basso

Tracklist:

  1. And the Address
  2. Hush
  3. One More Rainy Day
  4. Prelude: Happiness / I’m So Glad
  5. Mandrake Root
  6. Help!
  7. Love Help Me
  8. Hey Joe
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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28th Nov2013

Vengeance – Piece Of Cake

by Cristian Danzo

Vengeance - Piece Of CakeI Vengeance, band olandese che esordì nel 1984, tornano sulle scene sfornando Piece Of Cake, album di solido hard rock. Il disco ammicca molto ad un sound stile Gotthard ed è molto ben suonato. Timo Somers alle chitarre non è mai banale negli arrangiamenti e nei solos e crea sempre atmosfere ricercate. Assieme a Barend Courbois forma un ottimo scheletro ritmico e sonoro nella band. Leon Goewie è in formissima anche se pecca in almeno tre pezzi su vocalità un po’ troppo pretenziose per il suo registro. In Back To Square One, pezzo di hard blues, in Sandman e in Piece Of Cake le linee vocali proposte dal cantante non sembrano proprio azzeccatissime. Le danze vengono aperte da World Arena ottimo pezzo hard rock che risulta perfetto per essere una opener nei prossimi live della band. I brani più energici dell’album, insieme a quello sopra citato, sono sicuramente Headquake, Train, Raintime che strizza l’occhio a sonorità più aggressive tendenti all’heavy metal. Tears From The Moon è una ballad atmosferica che a nostro parere é stata inserita nell’album troppo presto spezzando sensibilmente il ritmo che World Arena aveva dato al disco. Questo non va ad inficiare la qualità della canzone.

Goodbye Mother Sky, nonostante ricordi sensibilmente nel suo riff portante Kashmir dei Led Zeppelin, è da brividi ed è un ottimo pezzo che sicuramente potrebbe essere utilizzato come singolo per promuovere Piece Of Cake. Sorvoliamo sull’artwork del CD che, assieme alla copertina, ci sembrano davvero una scelta molto discutibile. I Vengeance hanno realizzato un’opera energica e suonata perfettamente che raggiunge la sufficienza piena. Si poteva però sicuramente puntare un pò più in alto.

Autore: Vengeance Titolo Album: Piece Of Cake
Anno: 2013 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.vengeanceonline.nl
Membri band:

Leon Goewie – voce

Timo Somers – chitarra

Barend Courbois – basso

John Emmen – batteria

Tracklist:

  1. World Arena
  2. Tears From The Moon
  3. Raintime Intro
  4. Raintime
  5. Sandman
  6. Back To Square One
  7. Headquake
  8. Train
  9. Mirrors
  10. Piece Of Cake
  11. Goodbye Mother Sky
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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26th Nov2013

Barbarossastraße – Barbarossastraße

by Alessio Capraro

Barbarossastraße - BarbarossastraßeDalla Toscana arriva una nuova ventata di sporco e sadico hard rock che proprio non vuole abbandonare la nostra penisola. In questo caso sono i senesi Barbarossastraße a rendere omaggio a questo immortale genere. Nati inizialmente come cover band nel 2003 e con una buona esperienza di live alle spalle, hanno inciso solo quest’anno il loro primo lavoro omonimo. Quello che si rivela alle nostre orecchie è un classico e collaudato hard rock influenzato da varie band, Mötley Crüe in primis, con chitarre graffianti e una voce che calza a pennello per questo sound. Ci troviamo di fronte un gruppo musicalmente preparato e adatto per questo genere, ma, siamo alle solite: non offre niente di nuovo. Anche se una band tecnicamente è valida e magari live sa tenere bene il palco, scomparirà in poco tempo dalla memoria delle persone se non c’è quel pizzico di innovazione. Questi ragazzi hanno ben lavorato per confezionare i pezzi, alcuni passaggi sono ben pensati, ma, il tutto sa di vecchio. Non ce ne vogliano i rocker veterani. Poco rimane impresso, con riff già sentiti e linee vocali sorrette solo dall’apprezzabile voce. È simpatica la scelta di riadattare come cover Touch Me di Samantha Fox, che si sposa bene con l’attitudine della band.

Il nostro consiglio è quello di non mollare mai, di insistere su questo genere se si pensa che sia la giusta strada e se si mette passione nel farla, ma di sperimentare un po’ di più, di osare, di aggiungere qualche particolarità…le capacità non mancano.

Autore: Barbarossastraße Titolo Album: Barbarossastraße
Anno: 2013 Casa Discografica: Horus Music
Genere musicale: Hard Rock Voto: 5,5
Tipo: CD Sito web: http://www.barbarossastrasse.com
Membri band:

Dario Tanzarella – voce

Riccardo Ciabatti – chitarra

Francesco Cappelli – chitarra, voce

Alessandro Pozzebon – basso

Marco Guardabasso – batteria

Tracklist:

  1. Your Eyes At Me
  2. Got All I Need (Without You)
  3. When You Think Of Me
  4. S.M.D
  5. Chains Of Passion
  6. Scream My Name
  7. Bad Example
  8. I Can Run
  9. Hungry Skin
  10. Touch Me (I Want Your Body)
  11. Buried
  12. Away From Here
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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07th Nov2013

Hex – Hex

by Giancarlo Amitrano

Hex - HexAncora una proposta proveniente dai paesi baltici: nel caso in esame, gli svedesi Hex dimostrano di aver congegnato un sapiente mix  tra i cliché di genere, ovvero un disturbato hard rock ed un visionario gothic. Proponendo sonorità alquanto appesantite, specialmente nell’approccio vocale, il quintetto di cui ci occupiamo avverte chi ascolta che il loro sound è anche abbastanza originale nella proposta. La traccia iniziale ad esempio si distingue per un corposo intro di drumming, cui fa seguito una voce molto lacerante che ben si accompagna alla distorsione delle chitarre. Convincente il divenire di Little Devil Ride, con un buon gioco di rullanti e su cui le asce tratteggiano una discreta base ritmico-solista: il brano scorre veloce senza pecche e le grida che di tanto in tanto il singer dispensa sono funzionali all’emissione delle note. Ave Satani ci consegna la band in una efferata interpretazione: con la presenza di un innestato growl, la traccia assume qualcosa di mefistofelico, senza che la sua economia ne risenta. L’appesantimento di ogni singola nota rende anzi il brano un vero inferno sonoro, che si innalza ancora di più con la ripetitività ossessiva del ritornello, rendendo il pezzo tra i migliori. Voodoo Girl è traccia quasi ultraterrena: l’esoterica interpretazione vocale ne rallenta ad arte il sound molto aggressivo in alcuni passaggi, che viene tuttavia dominato da una linea sonora molto intensa. Si continua ugualmente nel delizioso arpeggio iniziale di Hellbound, dominato inoltre da passaggi sapienti delle percussioni e dal taglio infernale del singer, in alcuni frangenti novello Lemmy al microfono (e non è lesa maestà).

Dopo il demoniaco lamento di Intermission, è la potenza di 7even, che si fa forte di intense ed insinuanti tastiere, a far da apripista ancora alla voce scartavetrata del vocalist, che non teme di avventurarsi nei meandri insani dello screaming puro, mantenendo tuttavia le tonalità quasi gotiche della fase centrale del brano. Dead Inside approccia l’ascoltatore nella misura giusta: sound terrifico sin dalle prime battute e voce ancora sopra le righe, quasi a voler accentuare la natura già di per sé malefica del sound  proposto, un sound acuito anzi da un giro tastieristico che davvero viene ben piazzato. Grub Girl proviene dritta dai meandri dell’Ade: ancora brevi intro di tasti ad accompagnarci in una discesa agli inferi,davvero vissuta in prima persona (si fa per dire) grazie al singer che funge da novello Caronte in cerca di oboli per il combo già dannato di suo. Chitarre rozzissime e sezione ritmica che quasi salta addosso alla coppia di asce, comunque infuocate il giusto per una prestazione davvero rilevante. Si continuano le danze con Sin Eater e sotto ancora con una allegra brigata che dispensa note malevole accompagnandosi a controversi giri di tastiere. La voce è ancora valida, alla fine del tragitto turistico in compagnia di questa compagnia di accoliti metallari o giù di lì.

Con Lady Death ci tuffiamo nel lato più cupo ed oscuro della band, ne risentono anche i suoni, che divengono infatti molto drammatizzati nell’esecuzione. Solo che in questo caso la violenza distruttiva non viene meno, consistendo anzi in una ennesima prestazione potente e tenebrosa il giusto. La fine si avvicina e con Spider Baby la band si incammina verso la conclusione con una traccia coinvolgente grazie al drumming ossessivo e disturbante nella sua precisione. Un bridge molto ben congegnato, un valzer di tastiere è servito al punto giusto ed il brano resta ben stampato in mente per la sua demoniaca interpretazione. Il male assoluto,  proprio nel finale, è servito con Haunted Hill: l’apparente calma iniziale, quasi scanzonata, viene presto spazzata dalle chitarre maltrattate senza ritegno per ottenere l’atmosfera ipnotizzante e malvagia che la band intende servire. Giungiamo alla fine tirando un sospiro di sollievo che l’inferno sonoro sia terminato senza incidenti, nel senso di essere rimasti piacevolmente colpiti dalla proposta dei nordici, coerenti nella loro apparente schizofrenia di offrire una panoramica di generi non in conflitto tra essi.

Autore: Hex Titolo Album: Hex
Anno: 2013 Casa Discografica: Logic(il)logic
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.hexweb.se
Membri band:

Jonas Hygren – voce

Jerker Johansson– chitarra

Jorgen Svard – chitarra

Timo Hagstrom – basso

Micke Backelin – batteria

Tracklist:

  1. Succubus
  2. Little Devil Ride
  3. Ave Satani
  4. Voodoo Girl
  5. Hellbound
  6. Intermission
  7. 7even
  8. Dead Inside
  9. Grub Girl
  10. Sin Eater
  11. Lady Death
  12. Spider Baby
  13. Haunted Hill
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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19th Ott2013

Stone Orange – The Dreamcatcher

by Giancarlo Amitrano

Stone Orange - The DreamcatcherAnche da molto lontano, a volte, possono giungere alle nostre orecchie proposte musicali molto valide, pur senza possedere chissà quale background o carriera prolifica alle spalle. Nel caso in esame, da un pianeta apparentemente distante anni luce rispetto ai circuiti che contano giunge un quartetto sloveno che si rifà in pieno ai gloriosi anni ‘80, quelli per intenderci in cui l’hard classico ha probabilmente vissuto il meglio di sé. Autori di un solido hard che affonda le radici, come detto, negli 80’s i quattro di Lubiana sfornano una serie di tracce davvero niente male, a cominciare da Broken Man, dove la voce del singer si mostra subito ispirata e la doppia chitarra consente al brano di indirizzarsi verso un solido refrain ed un altrettanto valido ritornello. I Am eleva subito il prodotto, con una linea melodica che resta ben impressa per la sua complessità, dove viene rimarcato il lavoro corposo della sezione ritmica e specialmente del drumming che giostra bene attraverso un’articolata alternanza di rullanti e timpani. Il solo è notevole per la sua distorsione, mentre i cori rendono più intense le liriche. In Pride And Pain la band decide di calare il primo asso nella manica: linea sonora potente ed intensa, singer oltremodo ispirato ed asce che drammatizzano il giusto con la loro linea semiacustica che ben presto si tramuta in una solenne svisata. Dritti allo scopo con il brano di punta che non sfigura come ideale singolo, grazie anche alla melodia ben presente attraverso i passaggi molto infuocati della traccia.

Rockin’& Rollin’ si snoda attraverso un complesso giro di chitarra su cui si innesta la voce al vetriolo del singer, qui alla prima prova vocale non in lingua madre. L’ascia principale disegna bene l’intensità della traccia, che qui di punto in bianco decide di ricordarci un quintetto svedese al suo apice proprio a metà anni ‘80. Possiamo gustare anche una inattesa ballad da parte della band con It Keeps On Raining: ed il risultato non è assolutamente disprezzabile, riuscendo il quartetto a miscelare bene la vena energica in loro innata con la vena più intimista che qui traspare a piene mani. Lo stesso solo di metà traccia rende ampiamente giustizia alle doti tecniche dei giovanotti, che riescono a creare ad arte l’atmosfera che un brano del genere deve trasmettere. Lovetron è caratterizzata fortemente dalla presenza massiccia e costante della doppia ascia, che qui si diverte a proporci le sue scale in tute le salse, dall’aggressività iniziale alla azzeccata ritmica di metà brano ed anche la distorsione saggiamente impostata che ci accompagna al termine della canzone. Con Scare Me abbiamo addirittura un velato tentativo di proposta prog nei primissimi passaggi: salvo poi scatenarsi la furia creativa della band, che dà la stura ad un ben congegnato rincorrersi delle asce, di cui una, è bene ricordarlo, è di pertinenza dello stesso singer, bravo nella doppia veste interpretativa.

Nobody Cares è l’ideale singolo della band: qui protagonista assoluto il singer, che con le sue acrobazie riesce a raggiungere diverse tonalità all’interno del brano, molto melodico ed al tempo stesso colmo di groove ben distribuito. Mantenendosi su toni leggermente più rilassati, il gruppo scandisce bene i tempi di reciproco intervento degli strumenti, per approdare ad un intenso solo molto aggressivo. Ancora momenti magici con Whites Of Their Eyes, dove la band è ormai in piena ispirazione, tanto da trasmetterci subito le note intense del brano, che si ricorda molto bene per le linee chitarristiche, unite ad una inattesa colonna portante dei synth, molto azzeccata. Le chitarre ormai viaggiano con il vento in poppa e disegnano ancora archi maestosi nella loro melodia, lesta a tramutarsi in decisa elettrificazione. Frozen Sky è un bell’esercizio chitarristico che ci trasporta in galassie lontane, pur con la brevità della traccia, mentre in sottofondo una voce allarmata ci mette in guardia dai guasti del progresso. A chiudere, The Age Of Stars, in cui i novelli cloni degli Europe son belli e serviti. Il singer decide che può cimentarsi con atmosfere tanto care al buon Joey Tempest dei bei tempi, mentre la band si mette al suo servizio, sfornando una traccia finale ancora notevole, che va verso la conclusione in un’allegra jam della band, capace di donare il tocco finale di una melanconica slide. A buon rendere, cari virgulti sloveni, se anche i futuri lavori saranno validi come questo.

Autore: Stone Orange Titolo Album: The Dreamcatcher
Anno: 2013 Casa Discografica: Street Symphonies Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.stoneorange.com
Membri band:

Marko Erjavec – voce,chitarra

Tomo Jurca – chitarra

Davorin Kovacic – basso

Vid Zgonc – batteria

Tracklist:

  1. Broken Man
  2. I Am
  3. Pride And Pain
  4. Rockin’ & Rollin’
  5. It Keeps On Raining
  6. Lovetron
  7. Scare Me
  8. Nobody Cares
  9. Whites Of Their Eyes
  10. Frozen Sky
  11. The Age Of Stars
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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17th Set2013

Areph – Turn

by Marcello Zinno

Gli States atterrano a Napoli, in un volo diretto che oltrepassa in un batter di ciglio non solo l’oceano ma almeno 30 anni di musica. Gli Areph, appunto nati in provincia di Napoli, suonano tutto tranne che italiani. Solito amore per le sonorità estere al fine di avere un mercato molto più ampio? Assolutamente no, perchè qui non si tratta di una rincorsa verso un sound acquisito da altri, bensì di stile, uno stile che ci fa tornare alla mente i primi passi dell’hard rock (quanto suona Deep Purple l’opener Choice Is Mine?!…non solo nel titolo!) e della psichedelia. Ma si percepisce nella mente dei nostri un certo amore per la ricercatezza e per gli arrangiamenti: le tastiere e anche un pò di effetti si sentono, le chitarre hanno un ruolo ben preciso senza perdere d’occhio la musicalità propria dei brani. In tutto questo anche un brano semplice ed orecchiabile come New Direction può nascondere dei momenti assolutamente di grand classe che additano gli anni ’70 come la vera epoca da cui attingere. Diverso l’esercizio con It’s You che punta alla ballatona anni ’80 troppo inflazionata e anche di un livello inferiore rispetto alle reali potenzialità del quartetto.

Il brano Soul Wings chiude questi 15 minuti di nuove idee a nome Areph, ripartendo dalle influenze che avevano mosso Choice Is Mine, ovvero ritmo, sei corde e tastiera retrodatata. Così ci piacciono e così vogliamo sentirli in futuro!

Autore: Areph Titolo Album: Turn
Anno: 2013 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: http://www.areph.com
Membri band:

Piero Castiglione – tastiere, piano

Valerio Iovine – basso, voce

Vittorio Reccia – chitarra, voce

Vittorio D’Angelo – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Choice Is Mine
  2. New Direction
  3. It’s You
  4. Soul Wings
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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10th Set2013

Swell99 – Life

by Antonluigi Pecchia

L’Italia è una nazione che non sforna solo tanti artisti devoti alla musica pop, c’è anche tanto rock e oggi tratteremo degli Swell99, act marchigiano giunto con il presente Life a pubblicare il secondo album della loro carriera. Rispetto a tante band che da anni donano passione alla musica, questi ragazzi hanno avuto la fortuna di ritrovare nel loro cammino alcune persone che hanno avuto modo di aiutarli, facendo passare la loro proposta attraverso vari canali pubblicitari: ci troviamo di fronte ad un nome non del tutto sconosciuto. Fatte queste premesse immergiamoci nell’ascolto del presente disco. La proposta musicale è un hard rock a stelle a strisce semplice e forse a volte un po’ troppo rivolto al mercato mainstream avendo i Foo Fighters come punto di riferimento con qualche influenza derivante dal grunge dei Pearl Jam. Le idee di questi ragazzi non presentano nulla di originale e il songwriting utilizzato è dei più semplici e, in alcuni casi riesce a far divertire, Screaming To The World, Boost o Real Friend rappresentano dei buoni esempi. In altre situazioni invece la prevedibilità rende sgradevole lo scorrere della musica di questi ragazzi. Purtroppo c’è da aggiungere che a volte la produzione non risulta aiutare la causa della band come accade per l’opener Urlo in cui le parti vocali risultano a volume troppo basso che vengono coperte dalla sezione strumentale a tal punto di non riuscire a comprendere alcuna parola dal testo del brano, seppur esso sia in italiano.

Nonostante la qualità dei brani sia un po’ altalenante, si giunge alla conclusione del nostro ascolto non soddisfatti a pieno e la situazione non cambia dopo aver dedicato più opportunità a questo lavoro.

Autore: Swell99 Titolo Album: Life
Anno: 2013 Casa Discografica: Plindo elabel
Genere musicale: Rock, Hard Rock Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.swell99.com
Membri band:

Carlo Spinaci – voce

Carlo Ciarrocchi – chitarra

Maxi Canevaro – chitarra

Michele Pierini – basso

Lorenzo Eugeni – batteria

Tracklist:

  1. Urlo
  2. Bloody Knife
  3. Screaming To The World
  4. Life
  5. Boost
  6. Talk
  7. Real Friend
  8. Butterfly
  9. Mistake
  10. Angels
  11. Non è La Fine
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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30th Ago2013

Ufo – Walk On Water

by Giancarlo Amitrano

Ritorno al passato (ma anche al futuro): dopo diversi lustri di girovagare, la band britannica finalmente può godere del ritorno del figliol prodigo. Accomodatosi nuovamente dietro la sei corde, lo Schenker minore riporta le lancette a diversi anni addietro, quando le sonorità del gruppo erano fonte di ispirazione per i combi a venire. Forti anche della buona produzione di Ron Nevison, i cinque eroi richiamano anche il buon Raymond a supporto delle atmosfere ormai consolidate. Ecco così riassemblata la line-up classica, senza nulla togliere agli altri “mark” precedenti. Il suono ritorna magicamente coinvolgente ed aggressivo il giusto, per quello che all’epoca è stato uno dei come-back più attesi da fan e critica. Con la opener track, il marchio del Tedesco di Ferro è già inconfondibile, con i suoi assoli saggiamente distribuiti lungo l’arco del brano e pregni di rinnovata tecnica, ancora fresca e godibile nella distorsione delle note che solo egli riesce a dare. La mano di Raymond si sente, eccome, nell’intro di Venus: adattissima a creare l’ingresso in scena del doppio ruolo chitarristico di Schenker, che qui riesce a dosare alla grande l’alternanza di elettrica ed acustica, che da un lato preparano il terreno ai vocalizzi di Mogg, mentre dall’altro fanno in modo che il brano si snodi lungo sonorità ben definite. Le tastiere proseguono nella loro cadenza tempistica che ripropongono a metà brano l’atmosfera giusta per un solo da urlo dell’axeman, donando al pezzo l’aureola di top assoluto dell’album. Con Pushed To The Limit ritroviamo finalmente il marchio di fabbrica dell’Astronave: i tempi sincopati consentono al singer di destreggiarsi alla grande tra le note fluenti, accentuate dal solido lavoro della ritrovata sezione ritmica Way/Parker. Di precisione svizzera, il drumming tiene ottimamente il tempo di battuta, mentre il lavoro delle due asce riesce a concertare un buon tappeto sonoro. Nonostante la relativa durata del brano, esso scorre via una meraviglia senza interruzioni o cedimenti di sorta lungo l’arco dei canonici 3 minuti.

Stopped By A Bullet è una rivelazione: l’atmosfera creata da Raymond consente alla voce di interpretare alla grande un brano di velate sfumature mid, e nella strofa e nel bridge centrale. Acustica dosata al massimo ed interventi elettrici che sanno dove colpire: esattamente sulle note semialte raggiunte dal vocalist, miracolosamente ancora in forma su tutte le tonalità. Ritornello declamato con vena sottilmente istrionica, mentre la sei corde ancora stenta a contenersi, prima di prorompere in un solo che più distorto non si può. Resta nelle orecchie il refrain, ancora una volta magnificamente interpretato in una sorta di crescendo lirico su cui la sei corde dipinge a piacimento i sani momenti di tapping, pur se accennati e saggiamente distribuiti nella parte finale del brano. Mentre con Darker Days le tonalità divengono leggermente più rilassate, grazie al sapiente uso del cantato molto “morbido” di Mogg. Venature quasi prog si rinvengono in alcuni brevissimi passaggi del pezzo, grazie al lavoro dei tasti molto accentuato, che consente al drummer di lavorare molto di grancassa. La mano del padrone della Flying si sente alla grande a metà brano: più aggressivo nell’approccio, il solo svaria a 360° quasi incurante della linea sonora tracciata dal pezzo, ancora tra i migliori grazie all’assolo quasi infinito ed inarrestabile che lo conduce alla fine. Ammiccante l’approccio di Running On Empty: la voce di Mogg, inconfondibile nel suo gorgheggio su di un particolare tipo di note, mette tutti d’accordo nella gestione del brano che si palesa subito molto aggressivo e di sicuro impatto nel lavoro centrale della band, una band a proprio agio che si consente intermezzi acustici grazie a Raymond, ma che non tralascia di certo il solo mortifero che impreziosisca il brano.

Knock, Knock prosegue sulla falsariga di quanto sin qui proposto: traccia asciutta, su cui ben innestare il lavoro all’unisono del singer e della sezione ritmica, salvo poi lasciare il posto al biondo teutone, che diventa padrone con la sua scarica tecnicamente impeccabile che si manifesta virulenta a metà del brano. Le note sono volutamente allungate per creare ad arte l’effetto distorto del suono, ben in sintonia comunque con l’economia del pezzo. Dreaming Of Summer si articola bene lungo i suoi 7 minuti di durata: ad un approccio molto tenue della fase iniziale segue un momento di leggero appesantimento dei toni, mentre la voce scorre via dritta come un pilone. A fagiolo casca in questo frangente il lavoro di Raymond, che qui consente all’axeman di giostrare a piacimento tra le varie proposte stilistiche proprio grazie al supporto acustico da lui offerto. A chiudere due versioni “moderne” di classici leggendari del gruppo: Doctor Doctor e Lights Out, su cui non occorre aggiungere (ovviamente) altro salvo ascoltare ancora performance mostruose di Schenker su ambo i brani, pur rivisitati e corretti. La strada è allora nuovamente tracciata per il futuro.

Autore: Ufo Titolo Album: Walk On Water
Anno: 1995 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Michael Schenker – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Paul Raymond – chitarre, tastiere

Tracklist:

  1. A Self Made Man
  2. Venus
  3. Pushed To The Limit
  4. Stopped By A Bullet
  5. Darker Days
  6. Running On Empty
  7. Knock, Knock
  8. Dreaming Of Summer
  9. Doctor Doctor
  10. Lights Out
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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23rd Ago2013

Ufo – High Stakes & Dangerous Men

by Giancarlo Amitrano

Il buio oltre la siepe: dopo anni di “indecenza” musicale, giunge finalmente il momento della riscossa per il combo britannico, capitanato dall’immarcescibile singer. Riassemblata la band con sapienti innesti di qualità, Mogg sforna un album che inaugura come meglio non avrebbe potuto gli anni ‘90. L’innesto del funambolico Archer alla sei corde, reduce da vari successi personali con i suoi progetti (Stampede in primis), rende la band nuovamente attualissima nelle sonorità e valida nella proposta artistica. Anche con la piena collaborazione compositiva dell’axeman, il disco di cui oggi ci occupiamo risulta davvero di notevole coinvolgimento e solido nell’approccio strumentale. L’intro di Borderline è caratterizzato da una buona slide guitar che consente al pezzo di dipanarsi come un quasi mid tempo che tuttavia si evolve presto in un sound molto aggressivo e foriero sin dalle prime battute di un solo davvero notevole. La valida sezione ritmica di Primed For Time risente di buoni cambi di marcia su cui Mogg può destreggiarsi da par suo con la scelta di scale vocali molto sentite. Il gioco di rullanti dona pienezza al brano, che inizia ad essere riempito anche delle sonorità tastieristiche di sua maestà Don Airey, già leggenda Rainbow e tanto altro. Un grandioso assolo di Archer mette le cose in chiaro, riconciliandoci con la band e ringraziandola del ritorno sulle scene. She’s The One si aggiunge alle perle del disco: la base su cui si articola viene condotta alla grande dal singer che vede accanto a sé tutta la band pronta a sostenerlo, anche con i cori. Validamente Edwards tiene le redini del gioco con un solido pestaggio della grancassa la quale, se in alcuni frangenti riesce ad attenuare l’energia del pezzo, in altri si scatena nella giusta potenza, in concomitanza con l’ennesimo solo incantato dell’ex compagno di merende dell’indimenticabile Phil Lynott nel duo grand slam.

Il giro della sei corde di Ain’t Life Sweet è coinvolgente nei migliori canoni rock’n’roll: ci piace rimarcare questa caratteristica che ci spazza i dubbi circa la mancata evoluzione stilistica del gruppo, qui invece padrone della scena con tempi che avrebbero fatto la gioia di un famoso quintetto australiano (di certo da chi legge intuito). Anche una semiacustica, ad accompagnarci lungo la scaletta: Don’t Want To Lose You approccia come una ballad, salvo poi progredire verso toni molto rilassati grazie al lavoro coristico. Sezione ritmica e voci fuori campo rendono il pezzo quasi colonna sonora da saloon. Burnin’Fire si dipana veloce, molto veloce grazie alla sezione ritmica ancora sugli scudi: il carisma di Mogg fa il resto, con le atmosfere che divengono ben presto roventi e che nello snodarsi dei canonici 3-minuti-3 ci donano ancora una perla di prestazione. Giungiamo senza meno al top dell’album: quante volte in questi decenni abbiamo rimembrato il refrain di Running Up The Highway senza provare lo stesso identico soffio di energia? Gradevole e tonico, il cantato dipinge al completo tutto il bridge; il solido drumming e la traccia della sei corde completano l’opera per il migliore brano del disco, grazie anche alle diverse tonalità di assolo di Archer, dal pizzicato al tapping classico, davvero invidiabile. Con Back Door Man la band si rende anche protagonista di un clamoroso blues che assolutamente non risulta fuori luogo nel contesto. La voce roca e morbida dello “stagionato” singer non perde un’oncia di energia nemmeno in questo ambito, rafforzando anzi la fiducia nelle performance di uno dei più validi vocalist del genere e di un inspiegabilmente sottovalutato axeman.

Ancora livelli di eccellenza con One Of Those Nights, per l’ennesima eccellente prestazione del singer e della band intera, qui alla stregua di fornaio che di buon mattino produce cornetti caldi graditissimi all’uditorio. Ritornello fresco e bridge coinvolgentissimo ci emozionano come da anni non accadeva e inoltre il pezzo ci resta ben stampato in mente per la sua freschezza compositiva, ancora oggi attuale nei live-act della band. La complessità di Revolution viene resa sin dall’intro: il gran gioco di pedali e rullanti di Edwards articola il brano con la grazia di un carro armato e spiana la strada alle strofe infuocate del capobanda. Presentisssima la sei corde tratteggia un tappeto sonoro davvero notevole per intensità e tecnica esecutiva: i crash sapientemente dosati donano anche quella vena di drammatizzazione scenica che il solo di Archer può solo impreziosire. Love Deadly Love origina dal sapiente tocco di Airey, che qui ci mette tutto il suo con il suo arpeggio, mentre il lavoro del singer è qui dannatamente hard come nelle migliori famiglie. Gorgheggi ben dosati, ancora rullanti in evidenza e sezione ritmica in bella mostra: questi gli ingredienti del brano che ad oggi viene clamorosamente rivalutato in tutto il contesto dell’album, oramai avviato verso livelli di eccellenza, resi saldi dalla degna chiusura: Let The Good Times Roll scivola via come un solido esercizio di stile, dove il quintetto sciorina ancora senza sosta note incandescenti ed ancora fruibili con intensità sonora non indifferente. Cori ancora vivaci (e ci piace ricordarli nelle voci di Terry Reid e Stevie Vann) rendono il brano l’ideale congedo dell’album, degnissimo “come back” di una band sempre cara ai nostri cuori, mentre le ultime note infuocate di un supremo Archer si accomiatano da noi ancora in estasi per il disco.

Autore: Ufo Titolo Album: High Stakes & Dangerous Men
Anno: 1992 Casa Discografica: Razor/ Griffin
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Laurence Archer – chitarra

Pete Way – basso

Clive Edwards – batteria

Don Airey – tastiere

Tracklist:

  1. Borderline
  2. Primed For Time
  3. She’s The One
  4. Ain’t Life Sweet
  5. Don’t Want To Lose You
  6. Burnin’Fire
  7. Running Up The Highway
  8. Back Door Man
  9. One Of Those Nights
  10. Revolution
  11. Love Deadly Love
  12. Let The Good Times Roll
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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14th Ago2013

Beggars On Highway – Hard, Loud And Alcoholic!

by Martino Pederzolli

Diretto come un insulto, arriva dalla provincia di Parma l’EP Hard, Loud and Alcoholic! dei Beggars On Highway. Niente orpelli per questo sleaze che va diretto dove deve andare, e sembra proprio dirigersi verso feste chiassose e traboccanti di birra come il titolo suggerisce. Come prima sfida, i cinque parmigiani hanno scelto un’autoproduzione che punta alla qualità: infatti l’EP è stato masterizzato niente meno che dal famoso Mika Jussila nei Finnvox Studios di Helsinki (già produttore di Hanoi Rocks e Finntroll, solo per citarne alcuni) e si sente! Quello che abbiamo tra le mani è puro divertimento per gli appassionati dei buoni vecchi anni’80. Sì, perché i Nostri sanno mescolare l’hard rock di gruppi come AC/DC con il punk alla Sex Pistols (aggiungendo, a tratti, anche sonorità dei primi Mötley Crue), riuscendo a far salire la voglia di pogo fin dalle prime battute del disco. L’apripista Live Wild è un classico brano con il refrain in coro che vi si stampiglierà nelle orecchie in modo indelebile; un buon inizio promettente. Si continua con Soap Maker Woman ed il suo bell’assolo centrale che risolleva le sorti di un brano fino ad ora leggermente ridondante (cinque minuti sono forse troppi). Si passa poi alla titletrack, breve ed incisiva, dal suono decisamente punk rock (una piacevole sorpresa in un EP hard rock!) che presenta in maniera adeguata il combo emiliano ritagliandosi il posto d’onore in questo lavoro.

La successiva Leave Me Alone è altrettanto diretta, anche se meno brillante, e ritroviamo con piacere un bel solo dell’axeman Mattia Malvisi. Si chiude con Next Door Girl, che lascia un po’ l’amaro in bocca avendo molta meno energia rispetto agli altri brani ed apparendo più confusa strutturalmente se paragonata alle sorelle. Un bel gruppo giovane e adatto a numerosi contesti live (dove il genere rende al massimo!), con un EP masterizzato ottimamente e curato nell’artwork (realizzata da Dimitri Corradini, illustratore e bassista dei più noti Distruzione). Si può ulteriormente migliorare, soprattutto nella parte ritmica che tende a stancare, ma a tutt’oggi questi ragazzi meritano un plauso. Bravi!

Autore: Beggars On Highway Titolo Album: Hard, Loud And Alcoholic!
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Sleaze, Hard Rock Voto: 7
Tipo: EP Sito web: http://www.reverbnation.com/beggarsonhighway
Membri band:

Alessandro Angella – voce

Mattia Malvisi – chitarra, voce

Luca Barigazzi – chitarra

Andrea De Dominicis – basso

Andrea Cavriani – batteria

Tracklist:

  1. Live Wild

  2. Soap Maker Woman

  3. Beggars On Highway

  4. Leave Me Alone

  5. Next Door Girl

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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