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30th Lug2013

SilentLie – Blood Under Snow

by Martino Pederzolli

I friulani SilentLie salutano il 2013 con questo particolare EP dall’affascinante titolo Blood Under Snow, un lavoro che mescola atmosfere gotiche con solidi riff hard rock e chitarre che più di una volta strizzano l’occhio al power. Formatisi nel 2005 ad opera della cantante Giorgia e del chitarrista Luigi, nel 2007 registrano il demo Behind My Face che riscuote successo tanto da veder scelta la canzone Silence Of Your Mind per far parte di due compilation (The Funeral Vol.2 e Maximum Rock Attack), mentre una seconda traccia, River Of Torments, viene usata come colonna sonora per il film Blood Sisters. Il lavoro che abbiamo per le mani si fonda sulla splendida voce di Giorgia Sacco, che riesce a portare lontano chi ascolta con le sue linee vocali mai scontate e di immediata assimilazione. Il timbro è caldo e suadente mentre l’interpretazione di ogni brano è resa in maniera personale e caratteristica; l’unico punto debole (ascrivibile forse alla registrazione o al mastering) sembra essere la potenza, che a volte manca. La chitarra di Luigi Pressacco risente di influenze heavy e power e mescola i due generi creando un fraseggio che riesce a non stancare e ad offrire un ottimo supporto alla voce. La base ritmica è precisa e funzionale mentre le tastiere – seppur presenti e sentite – si sarebbero potute sfruttare maggiormente, per far leva sulla parte gotica del gruppo e per scommettere di più sul mood che riescono a restituire ad ogni brano.

Tutti i brani scorrono piacevolmente, in particolar modo la pregevole While I Hurt Myself, fiore all’occhiello di questo lavoro, e la titletrack Blood Under Snow, il vero cuore gotico dell’album assieme a Any Emotion In You, dove spicca il gioco delle atmosfere grazie alle tastiere ed agli arpeggi di chitarra. Aspettiamo con ansia altre uscite di questo promettente quartetto ed intanto godiamoci questo bell’extended play! Bene così ragazzi!

Autore: SilentLie Titolo Album: Blood Under Snow
Anno: 2013 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Gothic, Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: EP Sito web: http://www.facebook.com/silentlieband
Membri band:

Giorgia Sacco Taz – voce

Luigi Pressacco – chitarra

Andrea Piergianni – batteria

David Sportiello – basso, tastiere

Tracklist:

  1. Regret
  2. While I Hurt Myself
  3. Blood Under Snow
  4. Cruel Look
  5. Any Emotion In You
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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26th Lug2013

Ufo – Mechanix

by Giancarlo Amitrano

Con rinnovata energia, la band inglese si rimette all’opera e nello sfornare il nuovo full-length si sente subito che le energie sono ritornate in pompa magna a scorrere nelle vene del combo. Sonorità aggressive come da tempo non si ascoltavano e resa tecnica davvero sopra le righe sono i marchi di fabbrica che l’album sforna sin dall’opener track: The Writer viene superbamente giostrata con un’ascia davvero infuocata che mette a disposizione del brano un solo da brividi, rafforzato da un ben congegnato mix di tasti ed addirittura di un delicato arpeggio di sax finale. Il drumming deciso fa da intro a Somethin’Else, brano che si articola su di un azzeccato giro della sei corde che funge e da refrain e da base su cui impostare la traccia. Il timbro vocale è quello di sempre, rafforzato dalla svisata centrale molto distorta e dalle atmosfere che i tasti d’avorio imprimono al brano, che sulla falsariga della base di inizio scivola via con ammiccante coinvolgimento ancora una volta grazie al buon lavoro del prezioso Carter. Back Into My Life è l’immancabile ballad, sia pur mixata con gli stili classici dell’Astronave: il voluto rallentamento dei tempi consente a Mogg di gorgheggiare a più non posso sulle melodie ad arte costruite dai colleghi di reparto, qui davvero ispirati anche nell’aspetto compositivo. Il buon supporto corale rafforza il dipanarsi del brano, che in questo frangente acquista in alcuni passaggi dimensioni quasi spaziali, tanto per non dimenticare il passato del gruppo e dove esso stesso lo abbia sin qui condotto. Di rilievo il doppio lavoro delle asce, le cui funzioni ben si intersecano nella combinazione ritmico-solista, molto ben azzeccata nella direzione data al brano.

Mentre You’ll Get Love è un classicissimo brano molto mid nella tempistica, che riesce a concedere al singer l’onore delle armi sulle tonalità più alte che qui non sfigurano assolutamente. Il tappeto sonoro costituito da Carter permette alla sezione ritmica di ergersi a protagonista nella fase centrale in un con l’ascia infuocata del buon Chapman, ancora valido nella sua proposta. Con Doing It All For You il quintetto riesce a fare in modo che le atmosfere semi acustiche della fase centrale si combinino bene con il sound ben più aggressivo che nel bridge centrale fa ampio capolino, sia pur attenuato dalla timbrica molto rilassata. Anche il solo di Chapman è molto sereno, con la consueta solida resa sonora significativa. La buona trovata di attenuare i tempi di battuta delle pelli rende We Belong To The Night il brano più “pesante” del disco: una solida linea di basso unita ad un sottofondo presentissimo della sei corde dipingono il pezzo come molto variegato e spaziante dall’hard classico in alcuni passaggi allo speed addirittura accennato nell’esecuzione del refrain e dello stesso assolo, uso ancora una volta ad una saggia distorsione delle corde e ad un buon tapping. Let It Rain ci consegna la band qui idealmente devota al mercato d’oltreoceano: le sonorità infatti sono molto classiche nell’approccio compositivo e di conseguenza l’esposizione dei testi diviene molto AOR nella sua semplicità che coinvolge tutti gli artisti in questione.

Ancora una ballad, che qui ci viene proposta con un coinvolgente nome femminile: Terri è di certo interpretata con la buona dose di struggente intimismo da Mogg, il diradarsi delle nuvole amorose consente al brano di tendere maggiormente verso un buon mix di tastiere e di una sezione ritmica che qui non lascia scampo all’immaginazione, grazie anche ad un solo molto incisivo sia pur nella sua relativa brevità. Il notevole coinvolgimento di Feel It viene offerto da un roccioso intro del drumming, su cui si innesta una distortissima chitarra, molto violenta nell’approccio. È Mogg in questo caso a tenere il peso del brano, con una interpretazione molto intensa e sentita, per vero supportata alla grande da tutta la band, che intelligentemente riesce a calcare doppiamente il tempo delle battute nella fase centrale, donando una sapiente accelerazione al pezzo ed al conseguente riffone, rendendo il brano tra le chicche dell’album senza meno.

Il brano finale consegna la band al suo massimo muscolare, che in Dreaming offre una vera e propria prova di forza, grazie alla chitarra ormai padrona della scena, ancora disposta ad accettare le sonorità valide dalla band proposte, ma purtroppo non ancora per molto in futuro.

Autore: Ufo Titolo Album: Mechanix
Anno: 1982 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Paul Chapman – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Neil Carter – tastiere, cori, sax, chitarre

Tracklist:

  1. The Writer
  2. Somethin’Else
  3. Back Into My Life
  4. You’ll Get Love
  5. Doing It All For You
  6. We Belong To The Night
  7. Let It Rain
  8. Terri
  9. Feel It
  10. Dreaming
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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19th Lug2013

Ufo – The Wild, The Willing And The Innocent

by Giancarlo Amitrano

Dopo il primo decennio di attività la band inglese ha ormai intrapreso altre strade, egualmente degne di menzione ed altrettanto piene di vicissitudini. Dopo lo split con Michael Schenker e l’avvento di Chapman, il richiamo dell’axeman teutonico coinvolge il buon Raymond a seguirlo nella sua avventura solista; suo sostituto è l’altrettanto valido Neil Carter (ex Wild Horses e futuro degno compare del leggendario Gary Moore), che apporta un valido e degno contributo ai suoni ed alle melodie che il quintetto propone in questo buon album. Lavoro che inizia con una tipica cadenza mai sottotono nell’esecuzione di Chains Chains, in cui il quintetto asseconda in pieno le evoluzioni graffianti di Mogg ed il lavoro molto coinvolgente del buon Chapman, mai sopra le righe e tuttavia molto imponente nella sua struttura compositiva. Una semiacustica molto ben tracciata segna l’incipit di Long Gone su cui il cantato è molto aggressivo anche nelle strofe di apertura, dando la stura ad una affiatata sezione ritmica. Il refrain è molto coinvolgente, grazie anche al sottotraccia della sei corde, che spazia dall’elettrico al ritmico puro con nonchalance, con Parker che picchia duro e lascia il campo al momento opportuno ad un solo energico e coadiuvato dalla sapiente ritmica di Carter. Tutto questo salvo poi il diradare ancora verso il finale molto sognante e quasi zeppeliniano alla Kashmir, con archi e tastiere dominanti. La titletrack si pregia di un’ intro tastieristica davvero notevole che prelude alla drammatizzazione delle atmosfere, elettrificate dalla voce roca e graffiante e dai tempi quasi mid nel bridge centrale. I cori rendono molto orecchiabile il brano, che si mantiene su livelli assoluti. Ancora un intermezzo di tasti, che poi concedono la passerella ad un breve intenso solo ed alla novella esposizione dei testi da parte del singer.

It’s Killing Me ha un buon dosaggio dei tempi di entrata degli strumenti: con una lenta e precisa battuta del drumming, la chitarra può delineare la sua linea sonora, molto sognante e attraente. I repentini cambi di tempo non sono fini a se stessi, con i cori ancora a farla da padrone, rendendo il brano molto intenso anche nel delicato arpeggio di metà brano. Makin’Moves è il momento artistico maggiore dell’album: oltre alle immancabili tastiere, a fungere da apripista, il sound diviene molto più intenso grazie all’approccio vocale davvero aggressivo ed al drumming potente che detta i tempi. Chapman è molto sicuro nel suo solo, che giostra bene tra un solido tapping ed un modulato uso della scala pentatonica in pochi secondi nella fase centrale ed in tutta quella finale. Lonely Heart è garanzia melodica: il singer appare davvero ispirato, con le tastiere a disegnargli le atmosfere che gradisce, sempre decise ed incisive. Fondamentale l’apporto dei cori, che rendono più corposo il suono già di per sé notevole. Rilevante altresì il micidiale solo di metà brano, cui segue un clamoroso stacco di sax da parte di Carter, che rende giustizia al brano ed al nuovo entrato, ancora protagonista nel finale.

Con Couldn’t Get It Right la band conserva ancora l’energia iniziale, ma in questo frangente non convince del tutto a causa del repentino e drastico rallentamento dei suoni. Pur impreziosito dal notevole lavoro della sezione ritmica e dal buon apporto dei cori, il brano si attesta una spanna sotto la precedente tracklist a causa del taglio troppo “easy” dato al brano. Mentre con Profession Of Violence la band ritorna su livelli di assoluta eccellenza, con un cantato davvero intenso e molto lirico, ben supportato dai magici tasti del nuovo acquisto. Il lavoro centrale di Chapman è superbo in questo brano, con un voluto rallentamento delle note di entrata, quasi a voler emulare il suo degno predecessore nelle atmosfere sognanti. Decidendo di attirare la scena su di sé, l’axeman dà fondo al suo repertorio e sfodera un solo degno di nota e da brividi che contribuisce alla degna conclusione dell’album. Interlocutorio per alcuni, ma di certo importante per il puntellamento della discografia della band.

Autore: Ufo Titolo Album: The Wild, The Willing And The Innocent
Anno: 1981 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Paul Chapman – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Neil Carter – tastiere, chitarra, sax su traccia 6

Tracklist:

  1. Chains Chains
  2. Long Gone
  3. The Wild, The Willing And The Innocent
  4. It’s Killing Me
  5. Makin’Moves
  6. Lonely Heart
  7. Couldn’t Get It Right
  8. Profession Of Violence
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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12th Lug2013

Ufo – No Place To Run

by Giancarlo Amitrano

L’avvento della nuova decade apporta cambiamenti epocali: i latenti contrasti tra voce ed axeman sono ormai insanabili e come nelle migliori famiglie si passa rapidamente al divorzio. Dopo la pubblicazione del monumentale live Strangers In The Night, giunge il momento del commiato. Desideroso di percorrere nuove strade artistiche, Schenker saluta il quintetto e si appresta a varare il suo nuovo progetto solista, che altre e forse maggiori soddisfazioni gli riserverà. Senza scomporsi, la band recluta immediatamente alla sei corde l’ex Lone Star Paul Chapman, che porta in dote la sua ottima vena compositiva, di recente latitante nei testi della band. Con No Place To Run  si assiste al notevole cambio di marcia impresso dalla nuova line-up, e nelle liriche e nelle sonorità, molto aggressive sin da subito. Dopo la strumentale opener track,con Lettin’Go la band parte subito sparata e con i riff taglienti dell’axeman ed il cantato intenso e duro ci si trova di fronte al classico hard anni ‘80 agli aficionados tanto caro. Mystery Train fruisce di un bell’arpeggio acustico che fa da apripista all’ugola al vetriolo di Mogg, grazie all’uso sapiente della sezione ritmica molto accelerata sui refrain e nel bridge centrale. Con la sua linea tagliente, il brano si candida ad hit single, stante anche la mano del leggendario George Martin alla consolle, cui i Beatles debbono l’intera carriera. This Fire Burns Tonight è imperioso con l’intro della doppia cassa, utile a donare una metrica molto sincopata al brano, cui si adegua anche il cantato molto orecchiabile anche nel ritornello. Ottimo il gioco di tastiere di metà brano, prima che il neo entrato si produca in un solo rilevante.

La distorsione di Gone In The Night permette al brano di prendere una direzione quasi blues negli approcci iniziali, che vengono delicatamente assecondati dal gran lavoro di Raymond alle tastiere, vera cornice all’interpretazione del singer, molto sentita e drammatizzata il giusto. Anche la sei corde si attiene (relativamente) ad un profilo basso, che tuttavia non le impedisce di mantenere costante il suo riffing, accennato ma perfettamente udibile. Young Blood  è una semiballad, grazie anche un notevole giro di basso iniziale che fa il verso ad un quintetto australiano capitanato da un dispettoso scolaretto in pantaloncini corti. Bella l’interpretazione di Mogg, che viene coadiuvato alla perfezione dai compagni di merende, qui uniti in una esecuzione molto accattivante. Giungendo alla titletrack, non ci si aspetta di ritrovare un’inattesa linea melodica che la band riproduce alla perfezione nell’esecuzione di un sound molto rockeggiante nell’impostazione. Il rallentamento della timbrica consente a Chapman di modellare una buona base melodico-solistica che non confligge con la linearità del pezzo, arricchito dal solo molto intenso e di tecnica pura. Ancora una sapiente semiacustica a tratteggiare Take It Or Leave It, in cui il vaoro vocale addolcisce molto le già trasognate tematiche del testo: con la valida collaborazione di Raymond, la band al completo riesce a sfornare ancora una zampata vincente, in cui non mancano le venature originarie della psichedelia degli esordi.

L’approdo strumentale di Money Money è molto lineare, con il cantato subito proposto e la strumentazione volta a cavalcare la linea melodica tratteggiata; quasi sibilata, la voce esce fuori con precisione e cura certosina, grazie alla semiacustca che in sottofondo non smette di pulsare. La conclusione affidata ad Anyday si fa notare per il solido basso a supportare la roca voce del singer, mentre il resto della truppa entra in gioco immediatamente dopo con un sound molto pieno, con il drumming poderoso e la sei corde lasciata libera di scatenarsi. Stessa linea seguita nella seconda parte del brano, che poi dirada verso il solo selvaggio di Chapman, degna conclusione di un album da prendere comunque con benevolenza, stante la fase di trapasso nella composizione stilistica della band.

Autore: Ufo Titolo Album: No Place To Run
Anno: 1980 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Paul Chapman – chitarra

Pete Way –   basso

Andy Parker – batteria

Paul Raymond – tastiere,cori, chitarre

Tracklist:

  1. Alpha Centauri
  2. Lettin’Go
  3. Mystery Train
  4. This Fire Burns Tonight
  5. Gone In The Night
  6. Young Blood
  7. No Place To Run
  8. Take It Or Leave It
  9. Money Money
  10. Anyday
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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06th Lug2013

The Rocker – Blood, Strength And Soul

by Alberto Lerario

Sangue, forza, anima e sapore di sudato blues. In altre parole hard rock vecchio stile nudo e crudo, di quello che ti entra nelle vene e ti scalda l’anima. È questa l’idea di musica di Edoardo Arenghi (già noto come leader dei Riff-Raff, la popolare AC/DC tribute band) quando compone il primo album dei The Rocker, Italian Bastards nel 2010. Forte di quel successo decide di registrare il secondo disco in terra americana per tirare a lucido il sound della band, presso il Command Studio di Los Angeles con l’aiuto al mastering di Pete Doell (Universal Mastering Studios). Il singer Arenghi ha le idee chiare e non lascia niente al caso, circondandosi di musicisti esperti e navigati: il batterista Simon Wright (AC/DC, UFO, DIO), il bassista Fabrizio Grossi (Steve Vai, Glenn Hughes) ed il chitarrista Serjoe Aschieris. Si parte subito forte con Sex, Spaghetti And Rock & Roll che traccia subito le coordinate del disco, giro rock‘n’roll di chitarra e basso, voce graffiante come un rasoio e tanto tanto groove al servizio di una musica orecchiabile e spontanea. Deadly Waves rincara la dose di energia con il succulento riff trainato dalla ritmica di Simon Wright e Grossi. Porno, che senza troppi giri di parole tratta di pornografia, percorre sicura le polverose strade dell’hard rock classico. La title track Blood, Strength And Soul è un’iniezione di energia positiva e selvaggia, contrassegnata da un ritornello arioso e coinvolgente.

Come nelle migliori tradizioni di questo stile musicale, possiamo apprezzare una ballad emozionante, Sinners And Saints, che ha il pregio di non essere smielata grazie al robusto lavoro della sezione ritmica. Il salto di qualità della canzone è reso possibile dai coinvolgenti assoli di chitarra e soprattutto dalla prova del singer italiano che ci dimostra di padroneggiare egregiamente sia pathos che melodia. Questa traccia ha tutte le caratteristiche di una hit radiofonica che farebbe la fortuna di molte band più rinomate nel mainstream. L’adrenalina raggiunge di nuovo livelli di guardia con il graffio blues di Nothing To Tell e l’incisiva Fuck These Politics (si può ben immaginare di cosa tratti). Gustoso slide di intro in Lust, cui segue un’esplosione armonica, il cui corposo riffing prosegue anche nella seguente Hard On. Ritorna lo slide ad introdurre la seconda ballad, Rising, corposa ed intrigante, si inserisce anche lei senza stonare tra le altre tracce grazie all’ennesima prova di livello di Arlenghi. Si chiude quindi con la furiosa galoppata di I’ve Got A Life.

Ci troviamo di fronte ad un lavoro studiato e ben curato, la cui resa è immediata e coinvolgente. Certo i classici del genere sono mandati a memoria e gli echi di band come AC/DC, Quiet Riot, The Cult, L.A. Guns riecheggiano in tutte le canzoni. L’album ha però il pregio di avere un sound attuale, il suono senza tempo dell’hard rock\rock blues di qualità capace di entrarti in testa fin dal primo ascolto con la sua immediatezza e scuoterti con la sua energia. Tutti i membri della band compiono il proprio dovere andando oltre al semplice scimmiottare i predecessori del genere, ognuno di loro riesce ad inserire una parte della propria personalità con tecnica ed armonia. Siamo più che convinti che con il giusto (e dovuto) supporto discografico i The Rocker potrebbero sfrecciare nell’etere senza temere troppi confronti. Come ormai tristemente noto in Italia tutto ciò accadrà difficilmente, ma i The Rocker non perderanno di certo l’energia per portare live la loro carica e attendere la giusta occasione (magari oltralpe).

Autore: The Rocker Titolo Album: Blood, Strength And Soul
Anno: 2013 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.riffraff.it
Membri band:

Edo Arlenghi – voce

Serjoe Aschieris – chitarra

Fabrizio Grossi – basso

Simon Wright – batteria

Tracklist:

  1. Sex, Spaghetti And Rock & Roll
  2. Deadly Waves
  3. Porno
  4. Blood, Strength And Soul
  5. Sinners And Saints
  6. Nothing To Tell
  7. Fuck These Politics
  8. Lust
  9. Hard On
  10. Rising
  11. I’ve Got A Life

 

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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02nd Lug2013

Bodyguerra – …Nothing As It Seems

by Giancarlo Amitrano

Psichiatria e rock assieme? Parrebbe di sì, specialmente quando un album musicale si propone quale concept imperniato attorno a fatti o figure anche poco commendevoli. È il caso dei teutoni Bodyguerra, che con il rilascio di questo full-lenght incentrato sulla figura del “noto” serial killer inglese Harold “Freddy” Shipman danno vita ad un lavoro di sicuro interesse che racchiude in sé una vasta gamma di generi ben mixati tra essi. Il classic rock ad esempio fa capolino tra le note di 21 Market Street, qui presente anche in versione singola: le sonorità sono ampiamente anni 70 per quanto concerne la sei corde, mentre il cantato è molto pulito con una sezione ritmica molto precisa e cadenzata. Il coro infantile molto inquietante fa da apripista a Dr Death, in cui la chitarra diviene già molto più aggressiva e la linea sonora su cui si sviluppa il brano gira attorno ad un sapiente basso dal groove molto coinvolgente…un riff molto sicuro rende il brano tra i preferiti dell’album. Ottima l’intro acustica di Castle In The Dark che sfocia in una trama sonora molto affilata ed aggressiva su cui tuttavia si staglia la voce del singer che declama forte testi molto intensi e drammatici, resi ancora più imponenti dalla cadenza sempre più crescente del brano cui si aggiunge nel finale un solo molto coinvolgente e d’impatto. Ancora acustica con Vera: la voce diviene di colpo quasi estatica nel narrare vicende poco raccomandabili, che tuttavia si dipanano molto facilmente grazie all’irruzione nel bridge centrale dell’elettricità sinora mancante volutamente nel brano. La digressione finale verso nuove sonorità non grezze rende il brano molto intenso nel suo lirismo.

Spin The Needle appare come una cavalcata in puro stile eighteen: molto buona l’alchimia che il brano trasmette, grazie anche al sound molto pieno e corposo che fuoriesce dagli amplificatori. Il leit motiv viene declamato stentoreamente dal singer, mentre il drumming diviene potente e ritmato nella battuta precisa, facendo scia al solo ancora infiammato della sei corde. Molto espressivo Path To Eden, che consente al singer di esibire un buon range vocale, mentre sezione ritmica ed ascia sono all’unisono dedite alla costruzione di un ottimo tappeto sonoro. La raucedine imposta dal singer al brano lo rende molto cupo nella fase centrale: paradossalmente donandole un buon marchio di fabbrica in un con il solo molto intenso e di buon tapping. The Retreat è validissimo per l’impostazione quasi “speed” data dal gruppo: la chitarra da par suo infiamma l’ambiente con la doppia funzione ritmica e solista alla bisogna. La validità del brano viene data anche dalla pulizia degli arrangiamenti delle varie strofe, un nuovo assolo quasi “malmsteeniano” impreziosisce ancora di più la traccia. Con I Wanted All la cadenza diviene più rallentata, di modo da offrire all’ascia la possibilità di esibire la provvista di buona tecnica, grazie anche alla prestazione vocale notevolmente tendente al rock classico in stile anni 80. Ed è questa la linea sonora del brano, che procede sino alla fine senza cedimenti di sorta.

No Proof For Innocence e Smoke Without A Fire sono brani similari tra loro per la capacità della band di saltare con indifferenza dai momenti più trasognati a quelli decisamente più violenti ed energici, dove in ambo le tracce la chitarra apparentemente sembra avere un profilo basso, salvo poi esplodere in un paio di soli taglienti come il diamante grezzo. Hard classicissimo con l’esecuzione di In The End: i clichè vengono seguiti in pieno da bravi discepoli, pur con l’originalità della loro irruenza tecnica. Drumming ossessivo, cantato violento e sezione ritmica di certosina precisione: cosa chiedere di più al brano? Solo l’immancabile e canonico riff che ci viene proposto con buona tecnica e velocità sopraffina senza sovrapporsi alla strumentazione. L’incedere di The Last Transfer diviene il leit motiv del brano: la buona produzione consente di apprezzare meglio anche le parti corali che non appesantiscono la traccia, rendendola anzi molto intrigante grazie anche a ripetuti stacchi dei rullanti.

La degna conclusione della vicenda è affidata alla sapiente acustica di Coming Home, ove sono presenti tutte le componenti “romantiche” della band, che tra voce delicata ed atmosfere molto soft cerca di rimediare ai “disastri” sonori sinora combinati con la violenza del loro sound. Un sound che in questo contesto certo non sfigura e di certo sarà ancora parte integrante dei loro futuri lavori.

Autore: Bodyguerra Titolo Album: …Nothing As It Seems
Anno: 2013 Casa Discografica: Dust On The Tracks
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.bodyguerra.com
Membri band:

Daniel Seebass – voce

Guido Stoker – chitarra

Stefan Schlenke – basso

Hermann Koke – batteria

Tracklist:

  1. 21 Market Street (Single)
  2. Dr. Death
  3. Castle In The Dark
  4. Vera
  5. Spin The Needle
  6. Path To Eden
  7. The Retreat
  8. I Wanted All
  9. 21 Market Street
  10. No Proof For Innocence
  11. Smoke Without A Fire
  12. In The End
  13. The Last Transfer
  14. Coming Home
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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28th Giu2013

Ufo – Lights Out

by Giancarlo Amitrano

A metà anni settanta la band è pronta per la conquista del mercato intercontinentale. Il passaggio dietro la consolle del grande Ron Nevison, nonché l’approdo nel gruppo di Paul Raymond per una fattiva collaborazione, consentono al quintetto di sprigionare ancora una volta su vinile l’energia ormai dirompente e carica di melodie e passaggi tecnici. La meticolosa produzione di Nevison lo porta a chiedere persino la collaborazione dell’ingegnere del suono Alan McMillan per gli arrangiamenti chitarristici e quelli orchestrali, per un prodotto di livello superiore. Ancora una volta, la gran parte della setlisting sarà di lì a poco saccheggiata in sede live dalla band, che la riproporrà in versione ancora migliore, se possibile. La potenza di Too Hot To Handle viene garantita appieno dalla energica direzione apportata dalla sei corde dell’ancora motivatissimo Schenker junior, capace qui di raggiungere, nei canonici 4 minuti del brano, una varietà di stili che spaziano dal sostenuto assai al melodico svisato nella fase centrale, il tutto grazie anche alla prestazione notevole di Mogg che al microfono detta i tempi da par suo con la sua caratteristica timbrica vocale. Just Another Suicide si avvale della preziosa base ritmica di Raymond, che consente al gruppo di dosare i tempi specialmente gli intermezzi tastieristici, riescono davvero gradevoli e riescono a fondere la melodia dei testi con l’energia dell’axeman, autore di un delicato arpeggio centrale che tracima presto nel solo di fattura.

Protagonista assoluto il lavoro ai tasti di Raymond anche in Try Me, rafforzato in questa sede dal lavoro di McMillan agli arrangiamenti orchestrali fatti apposta per stendere un tappeto dorato all’ennesimo assolo del guitar-hero, qui sognante e trascendente nel delicato tapping, via via più intenso con la sua classica Flying V. La titletrack è ovviamente il punto di forza dell’album: naturalmente il titolo è ben meritato, per i tempi molto aggressivi donati al brano, pieno di sottofondi strumentali della ritmica e delle tastiere dello stesso Raymond, ormai pietra insostituibile per le atmosfere della band. Con il poderoso solo centrale, il brano si eleva di un’altra spanna rispetto alla setlist proposta. Per non avere dubbi su chi comanda, ancora un’esibizione muscolare della sei corde negli ultimi 60 secondi, a garanzia del prodotto. In Gettin’Ready la band si concede orpelli molto acustici, quasi a riprendere fiato dalle precedenti battaglie: molto rilassato il singer, che declama con calma le strofe, dando modo alla sezione ritmica di marcare bene i suoi tempi di inserimento e tenere, almeno in questa occasione, a freno la furia del chitarrista, che tuttavia non riesce a contenersi dal piazzare la sua zampata centrale. Alone Again Or  è una cover che la band tributa alla gloriosa memoria dei Love, band psichedelica degli anni 60 ed il cui brano viene qui rivisitato in puro stile pop di quei gloriosi anni e che avrebbe fatto la fortuna di un’altra band leggendaria dell’epoca quali i Byrds.

Electric Phase è notevolmente aggressiva nel taglio vocale e strumentale: molto accentuato il lavoro di Mogg ed egualmente affilata la sei corde che funge quasi da secondo vocalist per i suoi riverberi molto duri che sfociano ancora in un piacevole esercizio di stile, ben coadiuvato dalla sapiente ritmica di Raymond. Si chiude alla grande con Love To Love, il brano più lungo dell’album. Introdotto da una sapiente distorsione in sottofondo, nonché dalle ormai irrinunciabili tastiere, il brano si snoda con alternarsi di momenti quasi ancora psichedelico-spaziali e la melodia molto malinconica che traspare dai testi. La digressione centrale consente allora al’axeman tedesco di sfoderare un solo da urlo al centro esatto del brano, che poi viene ripreso ancora dalle ossessive tastiere che ritornano all’origine del pezzo nella drammatizzazione del tocco loro donata da Raymond. La fine del brano è affidata del tutto all’improvvisazione di Schenker, che tratteggia ancora solismi da paura, coadiuvato ancora da tasti ed arrangiamenti quasi orchestrali. Meglio di così il disco non poteva chiudersi, facendo ben sperare per il futuro.

Autore: Ufo Titolo Album: Lights Out
Anno: 1977 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Michael Schenker – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Paul Raymond – tastiere, chitarra

Tracklist:

  1. Too Hot To Handle
  2. Just Another Suicide
  3. Try Me
  4. Lights Out
  5. Gettin’Ready
  6. Alone Again Or
  7. Electric Phase
  8. Love To Love
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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27th Giu2013

Voodoo Highway – Showdown

by Alessio Capraro

Nel 2001 usciva nelle sale cinematografiche Rock Star, un film che raccontava la storia di un ragazzo che, da musicista rock amatoriale, venne scelto come cantante della band di cui era sempre stato un accanito fan. La storia dei Voodoo Highway è diversa, ma lo stile del gruppo e soprattutto il modo di cantare del frontman ci ricorda molto quella pellicola, almeno come sensazione. Showdown è il secondo lavoro di questi cinque ragazzi ferraresi, a due anni di distanza dal primo, e si presenta con una copertina intrigante, realizzata dal compianto Storm Thorgerson, già autore della cover di The Dark Side Of The Moon, per citarne una. Prodotto dalla Dust On The Tracks Records e pubblicato nel 2013, questo album è composto da 10 tracce più 2 bonus tracks. Questa band attinge non poco dal passato, le influenze di gruppi come Deep Purple e Skid Row sono evidenti, anche se hanno saputo mettere il proprio tocco personale. Il biglietto da visita di questo gruppo è senz’altro la voce, che si mette in mostra fin dall’inizio, sottolineando la propria qualità e tecnica in This Is Rock ‘N Roll, Wankers! dove cambia tonalità e timbro repentinamente. Un pezzo d’effetto, non c’è che dire, impreziosito anche da un videoclip. Midnight Tour è un pezzo hard rock classico, da stadio, caratterizzato da un intermezzo particolare, orientale, che si distacca improvvisamente dal genere, una pensata geniale. Il disco è scorrevole, si fa ascoltare, costituito da quella giusta orecchiabilità che non guasta, come in Fly To The Rising Sun e Could You Love Me. Wastin’ Miles è un pezzo che ti aspetti da un gruppo del genere, non è affatto male, molto stile Bon Jovi, ma non è nulla di nuovo.

Dopo un exploit assolutamente niente male, il disco scende un po’ di tono: i primi 5 pezzi sono frenetici, elettrizzanti, d’impatto, mentre i successivi 5 non lasciano il segno come i precedenti, rimangono “prigionieri” del genere, anche se, grazie all’innegabile bravura di questa band, rimangono accettabili. Il gioco di squadra è quello che risulta spesso determinante per vincere le partite, nel campo musicale, poi, è fondamentale. Il gruppo è coeso, compatto, sanno esattamente cosa fare, nessuno strumento prevale sull’altro e tutti hanno il giusto spazio per farsi notare, anche se forse alcuni virtuosismi sono superflui. I Voodoo Highway sono uniti, si nota, tecnicamente validissimi, di certo meritano di uscire dalla cosiddetta etichetta di “artisti emergenti”, per puntare a traguardi ben più importanti. La loro presenza al R-Mine Festival in Belgio è un ottimo segnale. La loro pecca potrebbe essere quella di non aver inventato un genere, di non essere di certo innovativi. La loro musica è intrisa di quel rock anni’70-’80 tanto acclamato quanto, purtroppo, superato. Ma la passione c’è, il talento anche, e chissà che non siano proprio loro a riportare in auge un genere che ha fatto sognare intere generazioni.

Autore: Voodoo Highway Titolo Album: Showdown
Anno: 2013 Casa Discografica: Dust On The Tracks Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/voodoohighway
Membri band:

Federico Di Marco – voce

Matteo Bizzarri – chitarra

Filippo Cavallini – basso

Alessandro Duò – organo, tastiere

Vincenzo Zairo – batteria

Tracklist:

  1. This Is Rock ‘N Roll, Wankers!
  2. Fly To The Rising Sun
  3. Midnight Tour
  4. Could You Love Me
  5. Wastin’ Miles
  6. Church Of Clay
  7. Mountain High
  8. Cold With Love
  9. A Spark From The Sacred Fire
  10. Prince Of Moonlight
  11. Till It Bleeds (bonus track)
  12. Broken Uncles Inn (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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21st Giu2013

Ufo – No Heavy Petting

by Giancarlo Amitrano

Al quinto album la band inglese trova il tempo di effettuare una rimodulazione della line-up. Stanti le sonorità che non di rado divagano nel rock puro e semplice, pur senza tralasciare le origini, la band inserisce, quale quinto componente, il supporto delle tastiere affidato a Peyronel. Fruendo anche del suo contributo nella stesura delle tracce, il gruppo rilascia un discreto album, che verrà ancora una volta saccheggiato in sede live di lì a poco. Il tutto nonostante le sempre più latenti frizioni tra l’axeman ed il singer, che non di rado sfociano in quasi risse anche nell’imminenza degli stage. Tutto ciò, purtroppo, riesce ad offuscare l’esito finale del prodotto: pur curato ancora dalle mani esperte di Leo Lyons, il disco si rivela un leggero flop di percorso soprattutto in fase compositiva. L’apertura affidata a Natural Thing, infatti, si rivela essere apripista ideale per tutta la scaletta dell’album, a causa dell’intenso arpeggio della sei corde e del lavoro vocale di spessore. La stessa I’m A Loser che in studio appare in alcuni passaggi debole e sciatta riacquisterà nei live act una intensità difficile da ipotizzare in sede di realizzazione studio. Con You Can Roll Her e Belladonna il gruppo si concede una meritata pausa con l’inserimento di tonalità leggermente rallentate, su cui può innestarsi un buon lavoro di tastiere atto a dettare tempi molto più ritmati.

Reasons Love è brano gradevole, su cui tutto il quintetto appare deciso a dimostrare il fatto suo per l’ennesima volta, pur tenendo ben presente che ci troviamo al cospetto solo del quinto lavoro della band. Mentre con Highway Lady e On With The Action il combo si diletta a baloccarsi con la sua preparazione tecnica, pur elevata, ma che stavolta pare non messa al servizio del prodotto finale. Frutto evidentemente, come premesso, delle tensioni latenti tra i leaders maximi del gruppo, lo stesso vive la fase di stanca, pur illuminata dagli squarci di classe che lo Schenker minore pare inserire pur di rado. La conclusione affidata al dittico A Fool In Love e Martian Landscape  purtroppo nulla mette e nulla toglie all’economia della valutazione dell’album, risicatamente sopra la sufficienza a causa di una indolenza tecnico-compositiva che lascia dubbi sul prosieguo stesso del gruppo.

Autore: Ufo Titolo Album: No Heavy Petting
Anno: 1976 Casa Discografica: Chrysalis
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.ufo-music.info
Membri band:

Phil Mogg – voce

Michael Schenker – chitarra

Pete Way – basso

Andy Parker – batteria

Danny Peyronel – tastiere, cori

Tracklist:

  1. Natural Thing
  2. I’m A Loser
  3. Can You Roll Her
  4. Belladonna
  5. Reasons Love
  6. Highway Lady
  7. On With The Action
  8. A Fool In Love
  9. Martian Landscape
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Ufo
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01st Giu2013

Airbourne – Black Dog Barking

by Alberto Lerario

Are You Ready? cantavano gli AC\DC nel 1990 in The Razors Edge. Nel 2004, gli allora diciannovenni Airbourne, rispondevano Ready To Rock all’appello dei maestri dell’Hard Rock, con il loro primo EP pubblicato in terra australiana, in cui era contenuta l’omonima canzone, riproposta e parzialmente modificata come prima traccia del loro terzo full length Black Dog Barking. Fin dagli esordi gli Airbourne sono stati considerati una specie di cover band degli AC\DC per la massiccia presenza di canzoni mid tempo basate su riff in tonalità di RE, MI, SOL, LA tanto care ad Angus e compagni. Inutile girarci intorno quindi, per chi è nato in Australia (ma non solo) e vuole suonare musica hard rock, è quasi doveroso studiare la “grammatica” musicale dei fratelli Young, e gli Airbourne non sono da meno. Tuttavia O’Keeffe e compagni hanno saputo lievemente modernizzare una musica senza tempo, dando un tocco più glam e meno rock’n’roll alle loro canzoni. Questo tratto distintivo si fa ancora più marcato in quest’ultimo album con la presenza di numerosi cori melodici all’interno delle song, lasciando per fortuna immutate l’energia esplosiva che trapela da ogni nota veicolata dalla solita massiccia dose di Marshall, e la voce al vetriolo del frontman Joel O’Keeffe. Un’altra piccola novità è data dal maggiore spazio per gli assoli che percorrono piacevolmente le pentatoniche.

Come detto l’album si apre con l’ottimo rifacimento di Ready To Rock, caratterizzato da un coro da stadio (un po’ ruffiano) che dal vivo farà esplodere palazzetti ed arene. Animalize è un buon esempio di hard glam rock, quasi un tributo ai Def Leppard. Il ritmo ed il groove di No One Fits Me (Better Than You) sono degni di lode, immediati ma affatto banale non può non far battere il piede a tempo all’ascoltatore. Splendido anche il coro nel ritornello e la prova di Joel, graffiante come non mai. Back In The Game e Firepower battono le strade dell’hard rock anni ’80 e siamo sicuri che non sfigurerebbero di fronte a molti brani famosi entrati nella storia. La hit che ha anticipato l’uscita dell’album è la trascinante Live It Up. Poco da dire, si tratta di una canzone che racchiude tutte le componenti che si richiedono ai grandi pezzi: ottimo fraseggio di chitarra iniziale (che ricorda un po’ quello di For Those About To Rock) che cresce aumentando l’adrenalina fino all’esplosione della voce di Joel, carica al massimo per tutto il pezzo, riffing accattivante sorretto dall’ottima parte ritmica, buon assolo e ritornello virulento che contamina i neuroni per non abbandonarli più. Woman Like That scorre via piacevolmente con il suo groove danzereccio. La rabbia e la grinta vengono fuori al massimo con Hungry, un pezzo classic metal, quadrato e massiccio caratterizzato da un ottimo refrain. Molto ben strutturata grazie ai cambi di ritmo, Cradle To The Grave, possiede quel tipo di riffing che ti inchioda alla sedia dall’inizio alla fine. L’album si conclude in modo dirompente con la title track Black Dog Barking, grazie all’avvolgente riff portante e alla voce di Joel O’Keeffe, carismatica come al solito, che qui si estende fino a vette elevate.

Grazie all’ottimo lavoro in fase di produzione, gli Airbourne si sono tirati a lucido smussando alcune spigolosità del loro sound, mantenendo inalterata tutta la travolgente carica degli esordi. Dal punto di vista compositivo Black Dog Barking è un album che si pone a metà tra l’esordio di Running Wild ed il suo predecessore No Guts, No Glory. Più versatile del secondo, non presenta passi a vuoto mantenendosi su standard elevati, senza però raggiungere i picchi del primo album. Nel bene e nel male il combo australiano raccoglie il testimone degli AC\DC, ravvivando il fuoco dell’hard rock vecchio stile, con meno classe ma maggior vigore. Un usato garantito che non lascerà mai appiedato l’ascoltatore. Chi ama la band australiana e l’hard rock diretto e festaiolo non dovrebbe esitare a procurarsi l’album.

Autore: Airbourne Titolo Album: Black Dog Barking
Anno: 2013 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.airbournerock.com
Membri band:

Joel O’Keeffe – voce, chitarra

David Roads – chitarra, cori

Justin Street – basso, cori

Ryan O’Keeffe – batteria

Tracklist:

  1. Ready to Rock
  2. Animalize
  3. No One Fits Me (Better Than You)
  4. Back in the Game
  5. Firepower
  6. Live It Up
  7. Woman Like That
  8. Hungry
  9. Cradle To The Grave
  10. Black Dog Barking
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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