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23rd Set2012

Slash Featuring Myles Kennedy And The Conspirators – Apocalyptic Love

by Gianluca Scala

Se qualcuno si apettava una fotocopia del suo primo album solista, ovvero l’album che porta il suo stesso nome uscito due anni fa, ascoltando questo nuovo lavoro chiamato Apocalyptic Love sarà rimasto sicuramente deluso, o piacevolmente sorpreso. Intanto la prima differenza la si trova vedendo che tutte le tredici tracce sono cantate da Myles Kennedy, al secolo il cantante degli Alter Bridge, cosa che secondo noi ha finito per rendere più omogeneo il lavoro prettamente musicale, mentre sul disco precedente c’era dietro il microfono una sfilza di ospiti illustri che per citarli non basterebbe l’elenco del telefono. La band che suona sul disco è la stessa che Slash si è portato dietro nello scorso tour, quindi l’affiatamento e la determinazione non saranno mancati sicuramente, e poi c’è stata anche la grossa novità che stavolta Slash ha scelto di registrare tutto in presa diretta e che per il chitarrista riccioluto è stata la prima volta in assoluto che ha provato questa tecnica. È azzeccatissima la scelta di usare un solo singer dato che Kennedy è in grado con la sua particolare voce di usare tanti e tali registri cantando quindi in totale libertà. L’album è molto vario e appena si pigia il tasto play vi ritroverete avvolti dal suono inconfondibile che esce dalla Gibson Les Paul di Slash, tutti i brani sono stati composti da lui (tranne la traccia No More Heroes che viene accreditata a Slash, Myles Kennedy ed al produttore Eric Valentine) mentre le lyrics sono tutte scritte dal cantante.

Si parte con la title track che suona dannatamente catchy, bello il giro di chitarra che accompagna tutto il brano con quel alternarsi di ritmi che sfociano nel primo assolo pulito che ci concede Slash che suona in stato di grazia, anche se il vero e proprio assolo a la Slash lo troviamo nella traccia intitolata Standing In The Sun. Tra i brani migliori troviamo sicuramente, oltre a quello che dà il titolo all’album, il primo singolo estratto You’re A Lie che parte un pò in sordina, ma che all’improvviso si apre con un bel riffone hard rock e che con arpeggi vari fino al pre-chorus crea l’attesa giusta per gustarsi il ritornello molto rock. Anastasia invece parte con un arpeggio di chitarra che a sorpresa si trasforma in una intro strumentale grandiosa, molto bella e che si discosta leggermente dallo stile classicamente blues a cui Slash negli anni ci aveva abituato…e che assolo nella parte centrale gente! La semi ballad Far And Away vi farà venire i brividi per quanto è intensa l’esecuzione del brano: giro di chitarra molto melodioso condito dall’ennesimo assolo da antologia che fuoriesce dalla chitarra di Slash.

Forse l’unica pecca che si riscontra ascoltando questo lavoro sta nel fatto che certi brani finiscono per assomigliarsi troppo, senza scadere nella noia sia chiaro, ma forse da un artista del calibro di Slash con quel suo bagaglio musicale che si ritrova sulle spalle ci si poteva aspettare qualcosina di più per rendere veramente memorabile questo album. Segnaliamo la presenza di due brani in più nella versione digipack del disco, Carolina e Crazy Life. Tirando le somme questo non è un brutto disco anzi è ben suonato e ci troverete una manciata di canzoni che sicuramente vi faranno compagnia per un pò di tempo a venire, di questo ne siamo certi.

Autore: Slash Featuring Myles Kennedy And The Conspirators Titolo Album: Apocalyptic Love
Anno: 2012 Casa Discografica: Roadrunner Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.slashonline.com
Membri band:

Myles Kennedy – voce, chitarra

Slash – chitarra

Brent Fitz – batteria

Todd Kerns – basso

Tracklist:

  1. Apocalyptic Love
  2. One Last Thrill
  3. Standing In The sun
  4. You’re A Lie
  5. No More Heroes
  6. Halo
  7. We Will Roam
  8. Anastasia
  9. Not For Me
  10. Bad Rain
  11. Hard Fast
  12. Far And Away
  13. Shots Fired
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
2 Comm
08th Set2012

H.E.A.T. – Address The Nation

by Gianluca Scala

Ragazzi questo album farà la gioia di tutti gli amanti dell’hard rock targato anni ’80, nella fattispecie stiamo parlando di quel genere hard’n’heavy che tanto impazzava nelle radio di mezzo mondo. Ebbene sì, questi sei ragazzi svedesi giunti ormai alla loro terza uscita ufficiale suonano ancora orgogliosamente così retrò, con canzoni orecchiabilissime farcite di chorus irresistibili, melodie cristalline create da suoni di tastiere ed assoli di chitarra eccezionali. Con l’arrivo del nuovo cantante Erik Gronwall, che è subentrato a Kenny Leckremo, hanno fatto un ulteriore salto in avanti dato che Gronwall è dotato di una voce bellissima e forse un pò più calda di quella del suo predecessore. Ma passiamo a parlare dei brani che compongono questo grande album, dieci perle di rara bellezza che vi abbracceranno ed avranno la forza di sollevarvi dal suolo e di trasportarvi oltre i confini del mondo. L’iniziale Breaking The Silence parte subito in quinta con una formula vincente che troverete in tutte le canzoni presenti su questo album, grande giro di tastiere che accompagnano una gran voce calda e trascinante fino alla fine. Stesso discorso vale per le seguenti Living On The Run e Falling Down che sembrano uscite da uno dei primi album degli Europe, gli H.E.A.T. hanno raggruppato da sempre tutte le loro maggiori influenze nei solchi dei loro dischi. Qui possiamo trovare le migliori cose che band come Whitesnake, Def Leppard, Bon Jovi e appunto gli Europe fecero negli anni passati durante il periodo di punta di questo tipo di hard rock.

Una ballad come The One And Only farà breccia nei vostri cuori, ve lo assicuriamo, davvero una gran bella song. Il sassofono che introduce il brano intitolato In And Out Of Trouble è una delle cose più piacevoli e sorprendenti che si possano sentire all’interno di una canzone rock/heavy, è praticamente impossibile non ritrovarsi dopo quattro o cinque ascolti consecutivi a canticchiare a memoria uno dei ritornelli o una strofa di una di queste song. Vedrete che non avrete alcun rimpianto nell’acquistare questo CD, perchè  quando una band ha classe, ha classe, punto. E la classe non è acqua, no?! Bentornati H.E.A.T.!

Autore: H.E.A.T. Titolo Album: Address The Nation
Anno: 2012 Casa Discografica: GAIN/Sony Music
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.heatsweden.com
Membri band:

Erik Grönwall – voce

Dave Dalone – chitarra

Eric Rivers – chitarra

Jona Tee – tastiere

Jimmy Jay – basso

Crash – batterisa, percussioni

Tracklist:

  1. Breaking The Silence
  2. Living On The Run
  3. Falling Down
  4. The One And Only
  5. Better Off Alone
  6. In And Out Of Trouble
  7. Need Her
  8. Heartbreaker
  9. It’s All About Tonight
  10. Downtown
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
22nd Lug2012

Thundermother – Thundermother EP

by Marcello Zinno

Non capita molto spesso ai giorni d’oggi di trovarsi dinanzi ad una rock band tutta al femminile: pensiamo alle Crucified Barbara o alle The Iron Maidens (seppur quest’ultima una cover band), si tratta pur sempre di casi rari in mezzo ad un genere capeggiato da maschietti. Eppure quando le donne si mettono in gioco spesso riescono ad esprimere al meglio quel concetto di rock, di trasgressione, di irriverenza e di rock’n’roll, che molte altre band comuni non riescono nemmeno a sfiorare. Nel dire ciò ci vengono in mente le Meldrum (nonostante avessero un batterista uomo, Gene Hoglan…e che batterista!), ormai sciolte a causa della morte di Michelle Meldrum, e sicuramente le Thundermother di cui abbiamo ascoltato l’ultimo EP. Tre traccie (un pò pochine a dire il vero) che sprigionano tutta la forza del quintetto, una band che non punta a suoni intricati o a scelte sonore estreme, tutt’altro: il genere proposto è il perfetto compromesso tra hard rock e rock’n’roll che gli AC/DC ieri e tantissimi gruppi oggi (Airbourne ai piani più alti, The Stuff a quelli meno noti, giusto per citarne alcuni) ci hanno fatto amare.

Chitarra in prima linea, tempi stoppati, grande voce solo leggermente sporca ma sempre diretta, assoli taglienti e tutto ciò che può far godere le nostre orecchie. I ritmi a nostro parere andrebbero un pò velocizzati, la stessa Rock’N’Roll Disaster potrebbe suonare egregiamente se avesse una cadenza maggiore, come fa Cheers che abbraccia maggiormente il rock’n’roll e per questo affascina. L’opener è sicuramente il migliore emblema di quanto le cinque donzelle possano offrire e di quanto si avvicini maggiormente al sound degli australiani. Noi auguriamo loro che da Stoccolma riescano a viaggiare un bel pò grazie alla musica e magari produrre qualche album al completo. Per il momento è stata fissata qualche data in Italia.

Autore: Thundermother Titolo Album: Thundermother
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock, Rock’N’Roll Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: http://www.thundermother.com
Membri band:

Evami Ringqvist – voce

Filippa Nässil – chitarra

Giorgia “Jo” Carteri – chitarra

Rut Karin Arvidsson – basso

Rebecca Meiselbach – batteria

Tracklist:

  1. Shoot To Kill
  2. Rock’N’Roll Disaster
  3. Cheers
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
17th Lug2012

Gotthard – Firebirth

by Gianluca Scala

“If you wanna be anything at all, if you wanna be what you see, just put your name down; and if you wanna feel what you think is real, if you wanna pick up a steal, just put your name down!…..Starlight. I don’t even know your name……Starlight. You sure you wanna play my game?“. Signori! I Gotthard sono tornati. Non se ne erano mai andati a dire il vero e questo concetto lo ha ribadito e descritto nella maniera più naturale possibile anche Leo Leoni quando ci ha concesso un’intervista poco tempo fa parlando insieme di come sarebbero andate avanti le cose in casa Gotthard dopo la prematura scomparsa del cantane e membro storico Steve Lee (intervista completa al seguente link). Non ci hanno mai lasciato, è arrivato un nuovo cantante nella persona di Nic Maeder, dotato di una gran voce e di un grande carisma e che si è ben inserito all’interno della band. Il loro nuovo album si chiama Firebirth e già dalla fenice infuocata che compare in copertina il concetto ci appare forte e chiaro: loro sono rinati dalle ceneri dell’inferno che gli è caduto addosso dopo l’incidente che ci ha portato via uno dei cantanti più rappresentativi della scena hard rock europea. I versi che abbiamo riportato ad inizio recensione sono l’inizio ed il chorus centrale del primo brano dell’album intitolato Starlight che è per noi tutti il giusto biglietto da visita che ben introduce il nuovo percorso musicale di questa grande band che ha scritto delle pagine importanti della nostra amata musica. Nuovo si fa per dire, perchè Firebirth non si discosta molto dalla classica linea musicale della band, che risulta essere marchiato Gotthard al 100%, un disco che non tarderà ad essere apprezzato da chiunque abbia seguito album dopo album il lungo percorso musicale della band che va avanti da quasi 20 anni e sempre con ottime canzoni hard rock, che sono entrate e rimarranno per sempre nei nostri cuori.

Questo è un disco che sa mostrare anche il lato selvaggio della band, ci sono diversi brani caratterizzati da arrangiamenti molto robusti e gli assoli di chitarra sono la cosa più pregevole che le nostre/vostre orecchie abbiano il piacere di raccogliere. Ascoltate brani come Give Me A Real, Fight, S.O.S. e Right On e vi ritroverete davanti ad una muro roccioso fatto di riff granitici e potenti ben sostenuti dalla sezione ritmica curata come sempre da due grandi musicisti come Marc Lynn e Hena Habegger. Il livello delle composizioni è sempre alto, orecchiabili o potenti dove lo devono essere; un brano come Yippie Aye Yay non mancherà mai da un loro live, contraddistinto da un grande chorus molto funny nel suo incedere e che riporta alla mente grandi canzoni come Mighty Queen, Mountain Mama o Lift U Up, da sempre presenti in una loro raccolta live e che insieme alle ballad sono le cose che hanno portato i Gotthard a diventare la grande band che sono. Infatti le quattro ballad che sono presenti su Firebirth saranno la vostra più bella compagnia quando avrete voglia di essere romantici, Remember It’s Me è anche il primo brano che è stato composto insieme a Nic Maeder, semplice e diretto capace di arrivare al cuore. Tell Me è un brano bellissimo, il pianoforte e la chitarra acustica messi insieme all’inizio della canzone ti prendono per mano e ti accompagnano fino a casa quando hai finito una piacevole serata insieme ai tuoi amici di sempre, la miglior compagnia che si possa avere. Qui Nic Maeder canta in maniera impeccabile ponendo ad una donna immaginaria una serie di domande per chiedere una conferma dell’amore offerto dal proprio uomo.

Shine è un’altra piccola gemma rock, una semi ballad dal giusto appeal con una melodia che vi rimarrà in testa per tanto tempo, qui l’assolo di chitarra di Freddy Scherer è da antologia. The Story’s Over ha melodie che si riaffacciano un’altra volta nel passato della band con linee melodiche vocali tanto care al sound dei Gotthard, un’altra semi ballad eseguita con stile e con gran mestiere e che fa tornare alla mente molti brani del loro recente passato. La seguente Right On viaggia sopra dei binari hard, potente e melodica allo stesso tempo con quel chorus contagioso che dal vivo starà facendo vittime dappertutto; la band è già in tournée a promuovere il loro nuovo lavoro e noi di RockGarage abbiamo avuto modo di vedere all’ultima molto intensa edizione del Gods Of Metal festival 2012 (qui il live report). Take It All Back è un’ altra semiballad con un bel giro di chitarra che Leo Leoni ci mette sugli scudi, contenente anche un chorus molto pregevole e ben riuscito. Si ritorna a ritmi sostenuti con la penultima traccia che si intitola I Can dove la band si lancia in una cavalcata hard rock senza voler fermarsi più, tutto il disco è di altissimi livelli compositivi, nettamente superiore agli ultimi due studio album pubblicati pur non allontanandosi troppo dagli standard sonori a cui ci avevano abituato.

L’ultima traccia si chiama Where Are You ed è stata scritta totalmente dal chitarrista Leo Leoni: bellissima canzone dove Leo dà l’ultimo saluto e si chiede dove sarà andato il suo vecchio amico, come si sentirà nel luogo dove dimora adesso. Un testo toccante ed intimo che ben descrive il vuoto che ha lasciato nelle nostre vite la morte di Steve Lee e solamente il ricordo della sua grande voce e delle sue grandi interpretazioni regalateci negli anni sanno riempire. Bellissimo il ritornello del brano dove il nuovo singer canta: “How is life for you out there? Are you dancing on a rainbow lane? Are you singing in the rain?” e ancora: “Will you make me understand? Will you be my chosen Angel? Will I find you right at the end? Right at the end“. Molto toccante il verso colmo di speranza che recita “Hope you found your piece of heaven, hope you found your way back home, tell me!” che rimanda al ritornello della grande Heaven, brano che trovate nell’album Homerun dato alle stampe nel 2001.

Non aggiungiamo altro, questo è un album bellissimo, suonato da una grande band che ha trovato un grandissimo cantante che ha il pregio di non assomigliare troppo al suo predecessore, ma di seguirne le stesse linee melodiche che si sposano col suono che da sempre contraddistingue questa realtà. Abbiamo detto che sono tornati, che non se ne erano mai andati e che da adesso in poi saranno ancora insieme a noi.

Autore: Gotthard Titolo Album: Firebirth
Anno: 2012 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Hard Rock Voto: 9,5
Tipo: CD Sito web: http://www.gotthard.com
Membri band:

Nic Maeder – voce, chiatta, piano

Leo Leoni – chitarra, voce

Freddy Scherer – chitarra

Marc Lynn – basso, voce

Hena Habegger – batteria

 

Tracklist:

  1. Starlight
  2. Give Me Real
  3. Remember It’s Me
  4. Fight
  5. Yippie Aye Yay
  6. Tell Me
  7. Shine
  8. The Story’s Over
  9. Right On
  10. S.O.S.
  11. Take it All Back
  12. I Can
  13. Where Are You
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
1 Comm
15th Lug2012

Max Navarro – Hard Times

by Martino Pederzolli

Negli anni ‘80 il fervore musicale nel panorama rock era notevole ed è in quel periodo che artisti come Bruce Springsteen, Toto, Van Halen diedero il meglio di loro stessi; testi dalle tematiche di protesta, di sfiducia, musica che tendeva ad innovare ed a lasciarsi alle spalle il periodo precedente dominato dal fin troppo colto prog per puntare a suoni immediati e di grande effetto. Hard Times, terzo album dell’italo-canadese Max Navarro, sembra scritto proprio in quel frangente ed ha in sé tutti i caratteri dell’hard rock più conosciuto e apprezzato: riff di facile assimilazione, refrain che si stampano indelebili nella mente e faticano ad uscirne, lyrics rabbiose e struttura dei brani lineare e senza sorprese. “Volevo un disco di rock puro, creato mattone su mattone dalla rabbia per tutto lo schifo che viviamo ogni giorno” queste le parole del produttore/chitarrista Nick Meyer e bisogna dire che un album di rock puro è riuscito a sfornarlo ma forse, nel 2012, per rigettare lo schifo che viviamo ogni giorno si sarebbe dovuto cercare di produrre un lavoro meditato, meno “facile” di questo.

Perché Hard Times è questo e null’altro: un facile album hard rock, che ci riporta indietro e gioca sulla forza di ciò che è già stato in passato questo genere, ecco il suo unico punto forte. Non si può evadere da questa “sporca, malata e cannibale società” solo tornando indietro di 30 anni senza apportare nessun contributo, nessuna idea personale se non una nostalgia che lascia il tempo che trova. Forse è per questo che, oggi, questo lavoro dice poco soprattutto a chi, in questa società cannibale, ci dovrà vivere ancora per molto ed ha voglia di rinnovamento, di riscoperta attraverso la rielaborazione e non la ripetizione. Dirà pochissimo a chi crede che le parole di una canzone non debbano essere aliene alla musica che le accompagna ma, al contrario, debbano essere le loro migliori amiche, che vengono esaltate dagli strumenti ed a loro volta sottolineano l’accompagnamento. Tuttavia gli arrangiamenti ed il complessivo andamento delle nove tracce sono pregevoli (ad eccezione della voce che sembra sempre essere troppo lontana) e certamente faranno buona compagnia a coloro i quali vogliono lasciarsi trascinare indietro negli anni pur ascoltando brani inediti. Si spera che il nostro rocker, in futuro, non si lasci influenzare troppo dalle decisioni del mercato e scelga di incidere un album solo quando ne sentirà veramente il bisogno.

Autore: Max Navarro Titolo Album: Hard Times
Anno: 2012 Casa Discografica: Cherry Lips Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.maxnavarro.com
Membri band:

Max Navarro – voce

John Paul Bellucci – chitarra

Nick Meyer – chitarra

Jack Novell – basso

Simone Morettin – batteria

Tracklist:

  1. You Can Rely On
  2. Out Of Bounds
  3. The Wrong Side
  4. Nothing’s Guaranteed
  5. Cryin’
  6. Winter In Chicago
  7. Beyond The Silence
  8. Poison Girl
  9. End Of The Universe
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
4 Comm
14th Lug2012

The Answer – Revival

by Gianluca Scala

Con questo terzo e nuovo lavoro pubblicato nell’ottobre dello scorso anno i nord irlandesi The Answer sfornano un altro piccolo capolavoro. Un album davvero molto bello, con valanghe di riff graffianti, fantastici chorus e tanti assoli di chitarra esplosivi. Ci si tuffa letteralmente negli anni ‘70 ascoltando i nuovi brani composti da questi quattro rocker incalliti, dodici piccole gemme che fanno tornare alla mente quanto fatto dai Led Zeppelin durante la loro carriera. Revival si lascia ascoltare fino all’ultima traccia che è una meraviglia per le nostre orecchie, il sound che ne traspare è eccellente ed i suoni creati risultano essere ricchi di melodia e molto vibranti, con quelle loro armonie retrò che pochi gruppi sanno esaltare ai giorni nostri. Non sorprende nessuno il fatto che la loro musica piaccia e che venga apprezzata da una fascia di persone anche al di fuori dall’ambiente hard rock, forse il loro segreto sta nel saper dare il giusto peso alle loro influenze musicali che spaziano dal blues fino al vecchio rock americano, ben miscelate a dei suoni moderni e di facile appiglio. Una formula vincente che innalza queste canzoni di puro rock’n’roll e le porta ad altissimi livelli di gradimento, brani robusti e veloci come l’iniziale Waste Your Tears e Piece By Piece che si alternano a grandi rock ballad come la grandiosa One More Revival.

Questo disco è un ulteriore passo avanti nel loro cammino sonoro nel quale i The Answer non si sono mai preoccupati delle innovazioni in campo musicale, andando avanti per la loro strada; già con il precedente Everyday Demons avevano dato piena dimostrazione di sapere cosa significhi per loro il concetto di musica rock’n’roll (fatene vostra una copia di quel disco e capirete cosa intendiamo) proponendo sempre musica di ottima qualità, non per nulla li vollero come gruppo spalla gli AC/DC durante le date del tour del 2009 passato anche in Italia. Questa band è destinata a fare ancora molta strada e ha tutte le carte in regola per avere una carriera di tutto rispetto, gli assoli di chitarra di Paul Mahon insieme alla voce del singer Cormac Neeson ci accompagneranno lungo il cammino per entrare nell’olimpo dei grandi dei del rock. E bisogna aggiungere che secondo noi possono essere candidati a miglior rock’n’roll band attualmente in circolazione. Promossi a pieni voti.

Autore: The Answer Titolo Album: Revival
Anno: 2011 Casa Discografica: Spinefarm Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.theanswer.ie
Membri band:

Cormac Neeson – voce

Paul Mahon – chitarra

Micky Waters – basso

James Heatly – batteria

 

Tracklist:

  1. Waste Your Tears
  2. Use Me
  3. Trouble
  4. Nowhere Freeway (featuring Lynne Jackaman)
  5. Tornado
  6. Vida (I Want You)
  7. Caught On The Riverbed
  8. Destroy Me
  9. New Day Rising
  10. Can’t Remember, Can’t Forget
  11. One More Revival
  12. Lights Are Down
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
1 Comm
13th Lug2012

Violet Gibson – American Circus

by Gianluca Scala

La logic(il)logic è un etichetta discografica che da sempre dimostra di essere alla ricerca di nuovi talenti da lanciare nel mondo della musica, specialmente il nostro mondo musicale e quando diciamo nostro intendiamo dire il mercato discografico italiano, oramai stracolmo di gruppi emergenti che girano città e regioni per suonare e fare conoscere la propria musica laddove i più coraggiosi, o i più fortunati, riescono a riuscire in tale impresa anche all’estero. Detto questo uno degli ultimi acquisti della suddetta etichetta sono i Violet Gibson, band hard rock che proviene da Parma e che dopo cinque anni di distanza dalla pubblicazione del primo demo (sotto un altro monicker, Last Vegas) e dopo qualche ritocco alla propria line up arriva alla pubblicazione del debut album American Circus. L’album, formato da tredici tracce, viaggia su dei binari più rock oriented che prettamente hard rock e nel loro insieme questi brani non entusiasmano come potrebbero, fatto che deriva anche dalla mancanza a nostro avviso del brano che gli permetta di fare l’effettivo salto di qualità. Non è certo la tecnica quella che manca a questi cinque ragazzi parmigiani, tuttaltro, è che proprio non si trova in mezzo a tanto materiale ben suonato la canzone di spicco che faccia davvero la differrenza.

Ogni brano presenta sì delle idee interessanti condite da riff di buona fattura e de assoli di chitarra qua e là che si mettono anche bene in evidenza, però appunto si sente la mancanza di un qualcosa che ti faccia venire voglia di rimettere il disco nel lettore. La title track ad inizio lavoro parte con un giro di chitarra come se ne sentono già molti in giro e che non riesce a decollare mai per davvero, She Feels Alive è una ballata smielosa che non convince molto, e non l’aiuta nemmeno il fatto di durare tre minuti tre di orologio. La voce del singer Matteo Broggi è particolare, rauca tiene il botto senza svettare tra le migliori che abbiamo sentito. In tutti i brani riusciamo a salvare giusto la sezione ritmica formata dal basso pulsante di Tony La Blera e dal drumming ben equilibrato e tecnicamente possente di Michelangelo Naldini. Nemmeno il rifacimento di Superstition di Stevie Wonder riesce a sollevare di molto la lancetta del gradimento di American Circus, trasformata in una mezza cavalcata rock. In My Head prova ad inoltrarsi in territori quasi metal con quel ritmo ipnotico e con la batteria sempre ben in evidenza e nulla più. Game Of Sorrow riprende un pò il discorso che avevano intrapreso i più blasonati Velvet Revolver dall’altra parte dell’oceano, con la differenza che in quella band ci sono i 3/5 dei Guns N’ Roses, anche se il giro di chitarra portante del pezzo e gli assoli che gli girano intorno sono forse una delle poche cose salvabili in tutto il disco.

Tecnicamente ci siamo e lo dicevamo già ad inizio recensione ma è difficile trovare un brano da preferire ad un altro e si fa fatica ad arrivare alla fine dell’album per quanto siano troppo uguali i brani tra di loro, che siano brani tirati o dall’atmosfera più morbida. Questo dimostra che non basta essere dei buoni musicisti per farsi strada nel panorama musicale che ci circonda, ma bisogna essere anche in grado di scrivere delle canzoni che abbiano la capacità di appiccicarsi addosso all’ascoltatore, qualunque sia il genere musicale suonato. Speriamo che con il prossimo lavoro i Violet Gibson riescano a trovare la direzione giusta da seguire che gli permetta davvero di distinguersi dalla miriade di band che ci circondano oggi, perchè come recitava uno dei più veri modi di dire del movimento giovanile nato alla fine degli anni ’60 in Inghilterra, i Mods: Distinzione è stile.

Autore: Violet Gibson Titolo Album: American Circus
Anno: 2012 Casa Discografica: logic(il)logic
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.violetgibson.biz
Membri band:

Matteo Brozzi – voce

Gabriele Tassara – chitarra

Giovanni Marchi – chitarra

Tony La Blera – basso

Michelangelo Naldini – batteria

Tracklist:

  1. Go Ahead
  2. American Circus
  3. Original Sinner
  4. She Feels Alive
  5. Superstition (cover di Stevie Wonder)
  6. In My Head
  7. Forget About The Rain
  8. Game Of Sorrow
  9. I Wish I Could
  10. Parasite
  11. From The Moon To Your Feet
  12. Your Balls On Fire
  13. The Reason To Be God
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
11th Lug2012

Van Halen – Women And Children First

by Giancarlo Amitrano

Dopo i primi due album (seminale il primo, d’impatto il secondo), la band decide di prendersi una pausa, esplorando nuove sonorità nell’elaborazione di questo terzo disco. Se l’esordio aveva visto la sei corde di Eddie ergersi a protagonista assoluta, ridisegnando il concetto di “guitar-hero”, il lavoro successivo si caratterizzava più per lo sforzo d’insieme del quartetto, che contribuì alla pari alla stesura dei testi. Questa terza realizzazione, sotto la supervisione del fidato Ted Templemann, vede la luce nei primi mesi del 1980, anno della ormai nota esplosione della NWOBHM. Purtuttavia, il gruppo pare non darsene per inteso, preferendo anzi distaccarsi temporaneamente dalle sonorità allora imperanti, per percorrere metodologie, anche compositive, quasi alternative. L’impatto di And The Cradle Will Rock è in puro stile vanhaleniano: chitarra magistrale, voce roca come non mai e sezione ritmica da sballo, di modo che il riff centrale sia graffiante al massimo e la voce di Roth si posi su di esso come un rassicurante mantello sonoro di copertura. Everybody Wants Some! è un brano quasi easy-listening: il refrain viene condotto in puro rilassamento, il cantato si snoda molto semplicemente , a far da contraltare alla chitarre comunque “hard”, senza che il brano risenta di questo strano dualismo.

La sequenza che vede sfilare Fools, Romeo Delight e Tora,Tora! è probabilmente l’anello debole del disco: se singolarmente il quartetto sfodera comunque prestazioni all’altezza, ciò che viene meno è la debolezza dei testi, che nemmeno la pulizia degli arrangiamenti riesce a far decollare. Sta di fatto che le parentesi strumentali che si alternano lungo i suddetti brani catturano certamente l’ascolto, ma non incidono appieno nell’economia degli stessi. Come se, volendo interpretare tutto il disco in modo quasi distaccato, il gruppo non si preoccupasse delle prevedibili critiche negative al lavoro: cosa che puntualmente ebbe a verificarsi,  in termini di gradimento e soprattutto di vendite. Loss Of Control riporta la qualità del disco a livelli più che accettabili, un brano sicuramente d’impatto, dove il quartetto riesce a riprendersi dal precedente torpore. Le linee di basso risultano piacevolmente marcate, per innestarsi appieno nell’economia del pezzo: brano importante, anche perché funge da apripista alla finalmente degna conclusione del disco, rappresentata dal trittico finale che segue.

Take Your Whiskey Home è la top-hit del disco: l’inizio sapientemente rallentato pare ricalcare la “sciatteria” dei brani precedenti: ebbene, non è così. La sei corde di Eddie è a dir poco mortifera, la sezione ritmica lascia basiti per la precisione e la nettezza del suono, su cui si staglia, ancora, l’istrionica voce di Roth, qui davvero particolarmente ispirato. Ascoltando Could This Be Magic ci riassale il dubbio: ma quale miscuglio di sonorità il gruppo ha inteso proporre in questo lavoro? Quesito in sé plausibile, stante l’indecisione in cui pare ancora dibattersi il quartetto nell’esecuzione di questo particolare brano. Dominato dall’acustica, esso si snoda con una melodia quasi ripetitiva che, se pur inficiasse la sua totalità, riesce tuttavia a graffiare egualmente proprio a causa della linea melodica davvero simpatica che cattura e diverte: cosa che probabilmente il gruppo si è riproposto nello svolgersi di tutto il disco. Un disco appunto che si conclude davvero bene, in verità In A Simple Rhyme, secondo chi scrive, potrebbe contendere a Take Your Whiskey Home la palma di miglior brano del disco. Atmosfere quasi sognanti, in cui un accenno tastieristico appena sfumato contribuiscono a valorizzare appieno la voce estatica di Roth che da par suo conduce il gruppo verso la conclusione del pezzo attraverso un refrain centrale quasi mid-tempistico.

In definitiva, definiamo il disco “bello senz’anima”: magari, con l’anima solo in alcuni brani. Difatti, pur se singolarmente il quartetto è impeccabile, come già segnalato, quel che alla fine manca è il lavoro di gruppo, che appare a tratti svogliato e senza trasporto. Probabilmente, il quartetto ha ritenuto tenere in serbo le prossime cartucce da sparare per il futuro discografico…cosa che di certo si è avverata.

Autore: Van Halen Titolo Album: Women And Children First
Anno: 1980 Casa Discografica: Warner Bros
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.van-halen.com
Membri band:

David Lee Roth – voce

Edward Van Halen – chitarra

Michael Anthony – basso

Alex Van Halen – batteria

Tracklist:

  1. And The Cradle Will Rock
  2. Everybody Wants Some!
  3. Fools
  4. Romeo Delight
  5. Tora Tora!
  6. Loss Of Control
  7. Take Your Whiskey Home
  8. Could This Be Magic?
  9. In A Simple Rhyme
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
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06th Lug2012

Morgana – Rose Of Jericho

by Rod

Per chi negli anni ’80 era solito frequentare i malfamati quartieri del rock e del metal italiano, il nome di Roberta Delaude, in arte Morgana, non suonerà nuovo. Già vocalist di band come Damnath, Jester Beast e Hurtful Witch, dopo i fasti di quegli anni ruggenti ed un lungo periodo di assenza dalle scene, la rocker è tornata on the road nel 2005 con l’album Three Years of Madness. Il nuovo percorso artistico della singer piemontese vede come ultimo anello della sua discografia, Rose Of Jericho, un album in cui la Nostra fonde artisticamente voce, cuore ed anima assieme all’esperienza ed il talento di, udite udite, mister Tommy Talamanca, chitarrista nonché membro fondatore dei genovesi Sadist. Un album che va approfondito con diversi ascolti e che dissemina durante il suo percorso, diverse incertezze. Innanzitutto, strano a dirsi, per lo stile interpretativo di Morgana. Senza dubbio, com’è noto a chi l’ha seguita negli anni nel suo percorso artistico, Roberta riesce a mettere potenza, profondità ed intensità in ogni brano, infondendogli quel mix di acquavite rock sensuale e allo stesso tempo ribelle, che poche vocalist in Italia sanno dosare. È anche vero che in diversi passaggi, l’album rinuncia di proposito a decollare, vuoi per le liriche a tratti apparse forzatamente disallineate, vuoi per certe tonalità troppo alte per essere sfumate con dosata maestria e, su tutto, per la palese non perfetta simbiosi tra lo stile progressive di Talamanca e soci (precisione e tecnica in ogni dove) a fronte dell’incontrollata irruenza hard rock e pop di Morgana.

Per i motivi di cui sopra, convincono appena Golden Hours, l’incerta ballata 610 (bene invece il ritornello), I Will Not Turn Back e How Do You Feel. Bocciata senza appello, la cover della celebre Bang Bang: nonostante l’interessante arrangiamento, l’interpretazione vocale sopra le righe risulta inadeguato ad un pezzo incline ad altre corde. Molto interessante invece, il rifacimento di Lady Winter, vecchio cavallo di battaglia della Delaude. Davvero esaltanti infine, sia il brano di apertura Alive…, che quello di chiusura … and Kickin, (facile intuire il gioco del trait d’union), in cui la band sfoggia un progressive metal di alto livello ed in cui Morgana sa vestire i panni della poetessa rock ispirata in stile Patti Smith. Stesso discorso vale per l’interpretazione della versione acustica di Lady Winter, proposta a fine album come bonus track.

Usando una metafora calcistica, Rose Of Jericho è un album che resiste con sudore pur senza offrire un buon gioco, ma che riesce ad arrivare ai calci di rigore grazie all’ottima prova di tutti i musicisti impegnati.

Autore: Morgana Titolo Album: Rose Of Jericho
Anno: 2011 Casa Discografica: Nadir Music
Genere musicale: Hard Rock Voto: 5
Tipo: CD Sito web: http://www.morganadelaude.com
Membri band:

Morgana – voce

Andy Marchini – basso

Tommy Talamanca – chitarra, tastiera

Alessio Spallarossa – batteria

 

Ospiti Quartetto Eufonica:

Federica Pellizzetti – violino

Gabriele Boschi – violino

Francesco Candia – viola

Giacomo Biagi – violoncello

Tracklist:

  1. Alive….
  2. Love Me The Way I Am
  3. Golden Hours
  4. Lady Winter
  5. 610
  6. Bang Bang (Sonny Bono cover)
  7. I Will Not Turn Back
  8. How Do You Feel
  9. …And Kickin’
  10. Lady Winter (acoustic)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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04th Lug2012

Crystal Phoenix – Crystal Phoenix

by Amleto Gramegna

Nuova ristampa del primissimo lavoro per i Crystal Phoenix, opera del 1989. Il platter edito originariamente dalla Videostar di Savona è giunto ormai alla seconda ristampa dopo una prima del 1993 che inaugurò l’avventura commerciale della label ligure e quest’ultima, datata 2012, che risulta arricchita di numerose bonus track e ripropone anche l’artwork originale. Il progetto Crystal Phoenix è una creatura, o meglio una one woman band, che ruota completamente intorno alla polistrumentista Myriam Sagenwells Saglimbeni, autrice dei testi, delle musiche, della copertina, ed in più esecutrice. Il disco può essere etichettato come hard rock, sebbene in alcune tracce vi sia un effettivo richiamo al neoprogressive o all’epic metal. Vediamo di cosa si tratta, tenendo addirittura conto che esso è considerato una sorta di “Santo Graal” dai collezionisti, visto che alla sua uscita, nel 1989, non fu supportato da alcuna promozione, stampato in pochissime copie e, narra la leggenda, molte di esse mandate al macero. Il lavoro si apre con la strumentale Damned Warrior, un’energetica cavalcata chitarristica, tra Samson e Iron Maiden. Molte le tecniche strumentali mostrate: sweep picking, tapping. Insomma non manca nulla, peccato solo per la registrazione che denota tutti i limiti del tempo e sarà una costante per tutto l’album.

Segue 474 Anno domini. Atmosfere epiche/folk, richiami progressive, arpe, arpeggi di chitarre acustiche. Una cosa che notiamo e che, diciamo pure che ci infastidisce alquanto, è la performance vocale, davvero scarsa, quasi a rischio e al limite delle proprie capacità. Intendiamoci: la Saglimbeni ha una bellissima voce ma in tutto l’album tende a “strafare” andando completamente fuori chiave. Forse una tonalità più bassa per tutto l’album avrebbe giovato. Somewhere, Nowhere Battle richiama le già citate atmosfere, degna colonna sonora delle opere di Tolkien, o del ciclo di Shannara. Ritorna il problema della voce: di gola, urlata, si tenta di riprodurre il progetto di bulldozer richiesto da tale genere musicale nella scala di un modellino giocattolo. Non ci siamo. Migliorano le cose in Loth-er Siniell. Strumentale che odora del progressive più prezioso, come i cori che spuntano qui e lì e richiamo tempi ed epoche ormai lontane. Segue la suite Heaven To A Flower/Violet Crystal Phoenix. Finalmente la nostra polistrumentista canta rendendo piacevole l’ascolto e non inducendo al dubbio come nelle prove precedenti. Epica ballad, con un organo in gran spolvero, cambi di tempo hard rock e cavalcate maideniane.

Il disco si conclude con l’ulteriore suite Dark Shadow e ritorniamo a quanto già scritto. Bello il tema, epica la struttura, ma brutta la prova vocale. Spiace davvero dirlo (e ripetersi) ma incidere siffatte tracce vocali, unitamente alla sciatteria utilizzata per la ripresa delle chitarre, e tentare di posizionare l’album tra i lavori di alta professionalità è davvero deleterio. Non si può pretendere assolutamente che esso sia un lavoro finito ma semplicemente un demo-tape per un futuro full lenght mai uscito. Non sappiamo il motivo per il quale, nel 1989, tale album non fu distribuito massicciamente o supportato promozionalmente, ma ascoltandolo per intero qualche idea ci balena nella testa. In ogni caso siamo sinceri e realisti: nel 2012 registrare un album è sicuramente più semplice di ciò che si faceva nel 1989. Basta una buona scheda audio e le registrazioni si fanno a casa con una qualità diecimila volte superiore a quella di appena venti anni fa, lo sappiamo sin troppo bene. Ormai le nostre orecchie sono troppo “coccolate”, ma questo non può essere una giustificazione. Il primo lavoro di Frank Zappa era registrato da schifo, però il contenuto era davvero superbo e a nessuno fregava nulla delle riprese audio. Qui mancano entrambi i fattori.

Concludono la ristampa del 2012 alcuni demo tape dell’epoca più una versione 2011 del 474 Anno Domini decisamente più matura della sua controparte 1989. Per noi non è promosso.

Autore: Crystal Phoenix Titolo Album: Crystal Phoenix
Anno: 2012 Casa Discografica: Black Widow Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 4
Tipo CD Sito web: http://www.crystalphoenix.it
Membri band:

Myriam Sagenwells Saglimbeni – voce, chitarra, basso, arpa

 

Formazione 2012:

Luca Tedeschi – basso

Raymond Sgrò – pianoforte, tastiere, basso, flauto

Andrea Amico – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Damned Warrior
  2. 474 Anno Domini
  3. Somewhere, Nowhere Battle
  4. Loth-Er Siniell
  5. Heaven To A Flower
  6. Dark Shadow
  7. Damned Warrior
  8. Heaven To A Flower
  9. The Dove And The Bat
  10. 474 Anno Domini
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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