• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
28th Giu2012

Mad Max – Another Night Of Passion

by Marcello Zinno

Forse potrebbero dire poco ai più ma i Mad Max non sono di certo dei novellini. Tedeschi, come tedesca è la grande tradizione hard rock del nostro continente che ha sfornato grandi nomi (Scorpions, giusto per nominarne uno) in grado di far agitare il collo a tanti. Un progetto longevo, nato ad inizio anni ’80 ma poi sospeso durante tutti i nineteens per poi essere rilanciato negli ultimi sei anni con altrettante pubblicazioni discografiche che hanno visto anche la formazione originale riunirsi al completo. Ne è passata di acqua sotto i ponti e qualcuno mostra i primi segni ma il rock sprigionato dal quintetto risulta davvero potente; discutibile la scelta stilistica di puntare a dei refrain dal grande tiro, di sicura presa anche per i fan meno inclini a sonorità dure o per ascoltatori che apprezzano parti cantabili a gran voce. Al di là della liriche di Michael Voss, c’è da ammettere una ottima costruzione di riff portanti di alto livello, come solo alcune band ancora oggi sono in grado di fare.

Qualche passaggio dallo stile puramente americano (strano per una band tedesca) c’è: 40 Rock e Welcome To Rock Bottom sono le classiche “hard rock anthem” che possono far ballare uno stadio intero senza bisogno di ricorrere al pogo; ma i Mad Max sono ancora in forza per puntare alla potenza senza mezze misure, come Metal Edge che dice tutto fin dal titolo ma ancora di più con You Decide dalla parte iniziale davvero accattivante che però poi si perde durante l’assolo. Fallen From Grace risulta il brano più intrecciato: a metà tra una ballad ed un pezzo all’insegna dell’elettrico, suona cupo e a tratti ricercato soprattutto nelle parti stoppate che poi aprono il sipario sul refrain del ritornello; finalmente si può apprezzare un assolo degno di nota…ma il risultato complessivo non è certo all’altezza di una Stranger (targata Mad Max classe 1984). Non può mancare la classica cavalcata per chi ama i tempi veloci e la sei corde decisa (Black Swan) e delle melodie più discutibili che vanno oltre i confini del rock (Fever Of Love).

In buona sostanza la storia dell’hard rock (chi ha detto Van Halen?!) si muove costantemente alle spalle di questo Another Night Of Passion che pur suonando in maniera egregia in quanto a produzione e ad anima rock, suona un pò troppo semplice all’ascolto, quasi come se fosse un’opera troppo semplice da concepire per una band con tale passato. Ma il punto è che ascoltando anche le ultime uscire di band come Running Wild e Accept ci viene spontaneo domandarci se non sia proprio una moda tutta tedesca.

Autore: Mad Max Titolo Album: Another Night Of Passion
Anno: 2012 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/madmaxmusic
Membri band:

Michael Voss – voce

Juergen Breforth – chitarra

Roland Bergmann – basso

Axel Kruse – batteria

Tracklist:

  1. Rocklahoma
  2. 40 Rock
  3. Metal Edge
  4. You Decide
  5. Welcome To Rock Bottom
  6. Fallen From Grace
  7. Black Swan
  8. Black And Alive
  9. The Chant
  10. Fever Of Love
  11. True Blue
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
23rd Giu2012

On The Run – First In Line

by Gianluca Scala

È un vero piacere potere recensire il primo EP di una delle band più interessanti che abbiamo avuto modo di vedere dal vivo in questi mesi. Stiamo parlando dei comaschi On The Run, band dedita a suonare un hard rock viscerale, vero e sopratutto onesto. Una band che in sede live sprigiona un’energia a livelli stratosferici e che anche in questo primo lavoro in studio riesce a dare sensazioni incredibili, grazie anche all’amalgama che questi cinque ragazzi dimostrano di avere raggiunto dopo aver trovato il giusto equilibrio tra di loro per quanto riguarda il livello tecnico eccelso che si può assaporare in tutte le quattro tracce di questo lavoro. Attivi ormai da cinque anni e dopo aver avuto qualche cambiamento di line up gli On The Run spinti dalla grande passione per il rock’n’roll che li accomuna, decidono di incidere questo EP composto di sole quattro tracce. La prima traccia è una splendida semi-ballad chiaramente ispirata al sound dei Whitesnake, influenza principale del cantante Marco Luraschi, che non emula per nulla David Coverdale, anzi fa suo questo brano con un’interpretazione sublime contraddistinta dalla sua voce dal timbro caldo e potente allo stesso tempo, ben accompagnato dal resto della band. Un plauso va fatto per quanto riguarda la produzione, molto pulita e che riesce a fare distinguere nitidamente uno strumento dall’altro. Il suddetto brano è contraddistinto anche da dei buoni effetti sonori che lasciano filtrare il rumore di un temporale in sottofondo…ottimo pezzo.

La successiva The Mission è un brano più ritmato, coinvolgente, dal sound molto più robusto e che fa venire in mente quel rock che andava molto in voga tra la fine degli eighties e l’inizio del decennio successivo. Molto simile a quanto fatto da band come i Gotthard più ispirati, non a caso il compianto Steve Lee risulta essere un’altra grande influenza del singer Luraschi che con la sua voce si avvicina molto a quel modo di cantare. The Race è la traccia più tirata dell’EP che contiene un bel ritornello e dei chorus molto accattivanti, qui Luraschi è più grintoso rispetto alle altre canzoni ascoltate sinora. Un brano che anche in sede live non fa prigionieri, con quell’assolo di chitarra ad opera del chitarrista Andrea Zenon capace di lasciarti a bocca aperta. L’ultima traccia è Broken Lifes, forse il brano più riflessivo con ancora i Whitesnake che aleggiano nell’aria e dove gli On The Run si lasciano andare trasportati da melodie molto particolari, oseremmo dire eccelse. Un altro brano capace di dare emozioni vere e che si lascia ascoltare più che volentieri dall’inizio alla fine. Questo EP è in grado di presentare a tutti chi sono gli On The Run, una band capace di fare grandi cose e che speriamo riesca ad emergere dalla scena underground lombarda grazie a questo loro biglietto da visita musicale.

 

Autore: On The Run Titolo Album: First In Line
Anno: 2011 Casa Discografica: Autoprodotto
Genere musicale: Hard Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: http://www.ontherunrock.com
Membri band:

Marco Luraschi – voce

Max Gibs – chitarra

Andrea Zanon – chitarra

Stefano Serano – basso

Loris Galli – batteria

Tracklist:

  1. I Miss You
  2. The Mission
  3. The Race
  4. Broken Lifes
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
21st Giu2012

Electric Swan – Swirl In Gravity

by Amleto Gramegna

Ok, è il 1972. Sei a New York,  Los Angeles, Missouri (insomma dove ti pare ma non dove abiti di solito), indossi un giaccone di pelle che ti fa gran figo, maglione a collo alto, pantaloni a zampa di elefante e basette di ordinanza. Guidi una Ford Mustang Mach I dell’anno precedente e nello stereo di bordo metti a ripetizione Led Zeppelin, Allman Brothers, Jimi Hendrix, non disdegnando il funk astrale di George Clinton e della sua cricca. La città è tua e il rimorchiar donne è una delle cose più facili al mondo. Cool Man! Bel quadro vero? Ora apri gli occhi. Neo…sei in Italia. L’anno è il 2012, la macchina, se ti va bene, è una Fiat Panda, la benzina va alle stelle e a te conviene andare a piedi. I pantaloni non sono più a zampa, ma stretti. Strettissimi. Tanti giovanissimi stronzi se ne vanno in giro cò ‘ste calzamaglie da ballerini del Bolshoi convinti di essere più ganzi che mai. Se accendi la radio il massimo che ci puoi sentire è Gigi D’Alessio, se non hai culo ti becchi la Tatangelo e gli intellettuali ritengono che Carmen Consoli sia la cosa migliore capitata in Italia negli ultimi 20 anni. E a te viene da piangere. Anche perchè l’unico lascito dei ‘70 sono i maglioni a collo alto…che a te han sempre fatto schifo. Ah, un’altra brutta notizia: i Led Zeppelin oggi non li conosce più nessuno. Lo stesso per i Purple, Rush ed Hendrix. L’unico funk conosciuto è quello dei R.H.C.P. (non ridere…). Come? Gli Allman? Che fai sfotti? Va bene, non è il caso di disperarsi. Rimaniamo calmi.

Le cose buone, se cerchi bene, ancora si trovano. Certo, se vai ravanando sono le radio “in” non venire a lamentarti con noialtri. Che dici? Qualcosa su Mtv? Ma dai, trasmettono ancora? Non fanno solo reality sulla gioventù del New Jersey o di Austin in Texas? E sai quanto se ne può fregare il coetaneo di Cariati (Cs) o di PoggiBonsi (Si)? In ogni caso oggi la fortuna è dalla nostra. In redazione abbiam l’ultimo dei Electric Swan, Swirl In Gravity, e la giornata ci sorride. Già dalla foto all’interno del booklet vediamo che le cose girano in senso positivo: 5 musicisti, pantaloni a zampa, la Ford Mustang di cui sopra, basettoni, una gran bella ragazza alla voce… Cool man! Mettiamo il cd nel lettore e ascoltiamo il loro lavoro. La prima parola che ci viene in mente è “Cazz..” ehm Wow! Il disco si apre con la title track: chitarrone ‘crunchoso’ quanto basta, batteria ‘groovosa’ al punto giusto (cosa?!), riff bello selvaggio dalle parti del souther rock più roots possibile. Monica Sardella, la bella ragazza di cui sopra, alla voce, grintosa e selvaggia. Una sorta di di Janis Joplin, senza la selva di acidi e basi che accompagnavano la cantante texana in ogni esibizione.

Lonely Skies si giova delle tastiere vintage del bravo Paolo “Apollo” Negri. Bellissima la chitarra funky di Lucio “Swan” Calegari, cresciuto sicuramente a pane e Duane Allman. Hard rock possente, di quelli che si suonavano una volta. Quelli da roadhouse americano, da Titty Twister. Cazzuto, selvaggio e ignorante come non mai. Quel fantastico hard rock che, purtroppo, venne ricoperto di plastica dagli effimeri ’80 e successivamente ingurgitato e sputato dal grunge dei ’90. End of Time: chorus assassino (la immaginiamo dal vivo), chitarre Tommy Bolin perido Come Taste The Band, organi selvaggi e sei-minuti-sei che volano tra fuzz vintage (quello che si sente a 3:25 è godurioso), vecchi synth (il duetto chitarra/minimoog è degno dei migliori Purple) su ritmiche assolutamente selvagge. Il delicato arpeggio di Wicked Flowers sfocia presto in un’orgia di chitarre trattate con il wah per esplodere in un brano degno dei migliori Trapeze. Lo stoner di Ride Of Another Sun è la sesta traccia, con un incedere quasi sabbathiano. Segue la scatenata Move Over, cover di Janis Joplin. E qui la vocalist da tutto il meglio di sé e ci si diverte di brutto. Si sente che il sound è nelle sue corde, in quanto è completamente a suo agio nel dialogare con una chitarra hendrixiana (a tratti sembra rifare il verso a Stone Free). L’hammond in sottofondo è da panico. Chiude Drag My Mind, ottima ballad che ricorda qualcosa di Miller Anderson se non, addirittura, Shadow dei New Trolls (dal Concerto Grosso). Bellissima!

Un rock sanguigno dei ’70, da ascoltare soprattutto in auto, magari sulla “nostra” Route 66, la Salerno-Reggio Calabria, per illuderci di trovarci in un’altra epoca, regione, auto (sempre sulla Fiat Panda stiamo eh!) per ricordarci come si viveva in quel fantastico decennio (ovviamente in società, mica sulla Salerno-Reggio). Un plauso particolare va al “titolare” del progetto Lucio Calegari, già nei Wicked Minds, ottimo chitarrista e compositore. Ma è riduttivo “plaudere” solo ad un membro in quanto tutti i musicisti si fanno in quattro e sono parimenti eccellenti: dalle folli tastiere di “Apollo” Negri, alla sezione ritmica di Edo Giovanelli e Marco Barbieri, per concludere con la voce superba della Sardella. Non perdetelo assolutamente, qui si parla di hard rock, con venature blues, di alta classe. Ah, nostalgia…gli anni settanta sono finiti, noi li abbiamo persi, ma che ci frega? Mettiam il disco nel lettore, chiudiamo gli occhi e riprendiamo il viaggio…Cool man!

Autore: Electric Swan Titolo Album: Swirl In Gravity
Anno: 2012 Casa Discografica: Black Widow Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 9
Tipo CD Sito web: http://www.electricswan.it
Membri band:

Monica Sardella – voce

Lucio “Swan” Calegari – chitarre

Paolo “Apollo” Negri – tastiere

Marco “Dipu” Barbieri – batteria

Edo Giovanelli – basso

Tracklist:

  1. Swirl in Gravity
  2. Lonely Skies
  3. End of Time
  4. Wicked Flowers
  5. Ride on Another Sun
  6. Garden of Burning Trees
  7. Move Over
  8. Drag My Mind
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
1 Comm
14th Giu2012

Van Halen – Van Halen II

by Giancarlo Amitrano

Dopo l’esordio stratosferico dell’anno precedente, il quartetto olandese ha già messo le cose in chiaro: la new sensation europea fa base in Olanda, e precisamente in capo ad Eddie Van Halen. Fonte primigenia di ispirazione per tutte le nuove leve dei divi a sei corde, il chitarrista si ripete a stretto giro di posta con il secondo capitolo della band. L’intro di You’re No Good è davvero roboante, con il basso di Anthony cadenzato a dovere e con l’apparizione ringhiante della voce di Roth che non lascia prigionieri sul campo con un brano al fulmicotone. Dance The Night Away parrebbe brano di facile ascolto: il coro ammiccante ci trascina all’interno del refrain quasi senza accorgercene, tanto da offrirci un momento di pura allegria all’interno dello stesso arrangiamento, che rende il pezzo davvero orecchiabile. Il primo momento di debolezza lo riscontriamo con Somebody Get Me A Doctor: nonostante un ottimo “solo” di Eddie e una buona linea di basso, il pezzo tuttavia appare un po’ sottotono nel dipanarsi delle melodie, che risultano sì graffianti, ma al tempo stesso piatte. Bottoms Up! innalza nuovamente il livello del disco: brano pur leggero, ma molto godibile con un ottimo Eddie e un discreto Roth che sulla scia di un buon drumming sfornano un alternarsi di prestazioni non ondivaghe e pur di valore, sia pur abbastanza scontate.

Con Outta Love Again si scala la vetta delle top-hits del disco: una grande sezione ritmica consegna in toto la successiva entrata a voce e sei corde in un brano che si lascia ricordare per il lavoro combinato all’unisono di tutti i componenti: probabilmente il miglior pezzo del disco. Altro picco lo riscontriamo di certo con Light Up The Sky: ancora una grande sezione ritimica, l’ennesimo riff tagliente di Eddie che apre la scia al cantato di Roth dalle tonalità davvero inusualmente acute, che tuttavia si sposano ottimamente con il refrain del brano nel complesso. Spanish Fly: in meno di un minuto Eddie Van Halen sciorina un esercizio di stile da urlo. Come con Eruption faceva gridare al miracolo nell’album di esordio, così con il “volo spagnolo”, l’olandese volante cattura la platea con uno stile quasi esotico ed arabeggiante, di sicuro effetto. D.O.A. ci intriga con il suo inizio da mid-tempo, per poi planare a tutta birra in un doppio assolo di chitarra a distanza ravvicinata, su cui si innesta ancora un grande lavoro di Anthony. Branco che potremmo definire anche “eccessivo” in quanto a sonorità, ma che ben rende l’idea dell’energia che trasuda, tranne forse nello stesso ritornello del brano, comunque di spessore. Women In Love  ci trae in inganno: difatti, inizialmente il brano si dipana come una classica ballad romantica, su cui il cantato di Roth è sdolcinato il giusto, salvo poi, mutare del tutto registro e trasformarsi d’incanto in un mirabile brano hard, con le sonorità tipiche della band, tenendo tuttavia ancora presente questo episodio di dolcezza e romanticismo, non proprio nelle corde del combo olandese.

Il disco si chiude degnamente con la discreta Beautiful Girls, altro brano di approccio ‘mid’ e pur tuttavia di buon impatto, su cui si innesta la sincronia perfetta di tutti gli strumenti, sempre però alla mercè della sei corde, regina incontrastata dell’album. Il lavoro resta ben impresso, alla fine, in chi ascolta tuttavia lascia l’amaro in bocca a chi si attendeva ancora un prodigio musicale da parte del quartetto che non mancherà di riscattarsi di qui a breve.

Autore: Van Halen Titolo Album: Van Halen II
Anno: 1979 Casa Discografica: Warner Bros
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.van-halen.com
Membri band:

David Lee Roth – voce

Edward Van Halen – chitarra

Michael Anthony – basso

Alex Van Halen – batteria e percussioni

Tracklist:

  1. You’re No Good
  2. Dance The Night Away
  3. Somebody Get Me A Doctor
  4. Bottoms Up!
  5. Outta Love Again
  6. Light Up The Sky
  7. Spanish Fly
  8. D.O.A.
  9. Women In Love
  10. Beautiful Girls
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
0 Comm
31st Mag2012

Van Halen – Van Halen

by Giancarlo Amitrano

Esistono gruppi che, a torto, si sono autodefiniti “storici”, definiti “di tendenza”. Quanti di questi hanno usurpato tali titoli, non meritando alcuna delle lodi a essi rivolte. Non è certo questo il caso dei Van Halen: olandesi di nascita, ma statunitensi di adozione, rappresentano uno dei punti cardinale del nostro amato mondo hard rock/metal. Attraverso tutte le fasi professionali da essi vissute, il quartetto ha tuttavia trovato il modo di lasciare ai posteri ampia testimonianza di essi. Esempio luminoso di quanto sopra è l’album di esordio, di cui oggi ci occupiamo. Un calcio nei denti, un pugno nello stomaco, una cometa apparsa dal nulla: queste ed altre affermazioni sono a dir poco riduttive, commentando l’intero disco. Prodotto nel 1978, è un concentrato di potenza, melodia, esercizio di stile e via dicendo. Runnin’with The Devil ci delizia con una superba introduzione della sezione ritmica, su cui si innesta ciò che Eddie Van Halen avrebbe rappresentato negli anni a venire. Riff taglienti e la voce di Roth che si propone già istrionica per offrirci uno spaccato di rock quasi stradaiolo Eruption: mai brano fu più fonte di ispirazione come questo. La sei corde di Van Halen è stratosferica nell’offrirci un caleidoscopio torrenziale di note che si susseguono incandescenti come un’orda barbarica che travolge tutto. Dopo questo assolo, nulla sarà più come prima.

Con il terzo brano, You Really Got Me, il gruppo coverizza alla grande il brano dei Kinks: la melodia su cui si innesta il refrain è davvero notevole, con l’arrangiamento personalissimo di tutto il quartetto, che sfodera una prestazione da urlo ed un Roth al massimo della forma. Ain’t Talkin’bout Love ci offre una parentesi quasi melodica: la voce di Roth è disinvolta al punto giusto, la sei corde non è invadente nel suo riff, la sezione ritmica potentissima nei suoi giri di basso e batteria, per un risultato finale di sicuro impatto. Uno dei classici di tutta la discografia del gruppo. I’m The One ci ricorda i classici dello “speed”: si parte sparati al massimo nella migliore tradizione del genere, Roth è quasi animalesco nel proporci la strofa del brano ed offre la stura alla band per esibirsi in una torrenziale jam centrale che porta dritti alla fine del pezzo lasciandoci senza fiato. Jamie’s Cryin’ lo definiamo senza dubbio un brano quasi prog: la chitarra utilizza molto i mid-tempo, così come la sezione ritmica si tiene ben sopra la media a suon di rullanti e 4 corde che nel complesso ci offrono una cascata di note senza soluzione di continuità. Atomic Punk è l’hard personificato, a fine anni ‘70 lo si può ancora definire così. La voce “maledetta” di Roth è da incorniciare: un tappeto sonoro durissimo su cui si innesta un semlice ma devastante ritornello che può offrire agevolmente la via alla sei corde per impazzire letteralmente in un riff infinito, su cui reggono alla grande il tempo Anthony e Van Halen jr.

Feel Your Love Tonight ci mostra il lato “romantico” del gruppo: una allegra melodia nel refrain ed un’attenta gestione dei tempi, molto semplici, rendono il brano una piacevole sorpresa. Con tutto il piacere dell’ascoltatore, il gruppo rende un brano da “semplice” a “must” anche in sede live, che di lì a breve vedrà protagonista intercontinentale la band. Little Dreamer è, a giudizio di chi scrive, addirittura il miglior brano dell’album. La chitarra con il suo intro drammatico rende un capolavoro il prosieguo del pezzo: la voce di Roth è quasi “eterea”, trasposta in una dimensione sognante, che si unisce d’incanto alla sezione ritmica. Definendo il brano come un pezzo dei Rush non appaia un’eresia: davvero ci sembra di rinvenire il terzetto canadese all’opera! Ice Cream Man ed On Fire sono gli ultimi brani che nella loro semplice espressione riescono tuttavia a comunicarci quali sarebbero state di lì a poco le intenzioni del combo. In definitiva, rari esordi hanno sortito effetti mirabolanti quali questo dei germani olandesi. Decine di milioni di copie vendute che a tutt’oggi rendono il prodotto una pietra miliare del genere.

Autore: Van Halen Titolo Album: Van Halen
Anno: 1978 Casa Discografica: Warner Bros
Genere musicale: Hard Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.van-halen.com
Membri band:

David Lee Roth – voce

Edward Van Halen – chitarra

Michael Anthony – basso

Alex Van Halen – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Runnin’ With The Devil
  2. Eruption
  3. You Really Got Me
  4. Ain’t Talkin’bout Love
  5. I’m The One
  6. Jamie’s Cryin’
  7. Atomic Punk
  8. Feel Your Love Tonight
  9. Little Dreamer
  10. Ice Cream Man
  11. On Fire
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
0 Comm
24th Mag2012

Fair Warning – Best And More

by Gianluca Scala

I Fair Warning sono una band che da oltre vent’anni sono fautori di un hard rock melodico che ha fatto breccia nei cuori di moltissimi rocker, quelli con la R maiuscola, sopratutto nella terra del sol levante dove sono acclamatissimi ed amati all’inverosimile. E dopo tutti questi anni di onorata carriera la loro etichetta discografica decide di pubblicare questa mastodontica raccolta di successi (ben 32 brani) in formato doppio per rendere omaggio a questa grandissima band tedesca. Devo dire che ogni volta che mi trovo tra le mani una raccolta o greatest hits che dir si voglia mi viene da pensare quale sia la reale necessità di una pubblicazione in questo senso, per poi rendermi conto puntualmente che servono davvero a ben poco. Specialmente per uno come me che preferisce conoscere una band in maniera più approfondita ascoltando album dopo album. Con questo non voglio assolutamente bocciare questo Best And More, sia chiaro. C’è da dire anche che siamo giunti per volere della SPV/ Steamhammer alla terza raccolta dei tedeschi dopo Early Warnings datata 1996 e A Decade Of Fair Warning del 2002. Quindi dico, ora nel 2012 c’era proprio bisogno di una nuova raccolta discografica? Premetto che le altre due release le conosco solo a titolo di catalogo musicale e non le ho mai ascoltate, come invece ho fatto con questo Best And More che è comunque un prodotto più che valido.

Formato da due dischetti ben equilibrati nei contenuti, in Best And More si alternano brani molto melodici ed avvincenti con le classiche rock ballad strappalacrime; si tratta di un lavoro curato nei minimi dettagli sopratutto a livello grafico, dove nel retro della confezione viene elencata tutta la set list dei due dischetti con tanto di album di provenienza di ogni singolo brano, una cura del dettaglio quasi maniacale. Belle anche le immagini all’interno del booklet interno, dove ci sono anche le copertine della loro discografia con tanto di anno di pubblicazione nelle didascalie. Il sound di ogni canzone è stato ripulito con un eccelso lavoro in fase di produzione, non troverete una nota fuori posto nemmeno a cercarla. E che dire dei brani? Sono davvero uno più bello dell’altro e la band ha anche registrato in presa diretta dai propri concerti diverse canzoni come si può scoprire durante lo scorrere del disco dove in più di una occasione si sente il singer Tommy Heart che presenta i brani di volta in volta alla platea. Si parte alla grande con Burning Heart tratta dal recente Talking Ain’t Enough ripresa in versione live da un tour giapponese. Grande il riff iniziale che accompagna tutto il brano. Il quartetto nel primo CD ha raccolto tanti brani tratti dal fortunatissimo Go uscito nel lontano 1996, che qui viene per l’appunto ben rappresentato da brani “colossali” ed ultra melodici come la bellissima Save Me, con tanto di tastiere cristalline e la ballad All On Your Own che ti accarezza il viso fino a baciarti con quel pathos creato da basso e chitarre acustiche.

Sono davvero troppi i brani selezionati in questa raccolta per elencarne i migliori o quelli meno riusciti anche se pur sempre godibili. Comunque brani come Longing For Love, When Love Fails ed Angels Of Heaven messe una dietro l’altra vi stenderanno al primo ascolto, parola nostra. Un susseguirsi di cori vertiginosi ben sostenuti dalla band e con gli assoli del chitarrista Ule W. Ritgen che ti si stringono al collo senza mollarti mai più, davvero un lavoro di alta classe. Stessa cosa vale per il secondo dischetto che si apre con una grande cover dell’inno immortale dei Led Zeppelin, la grande Rock’N’Roll tratta da Led Zeppelin IV. Anche qui tutti i brani sono godibilissimi con la sola pecca che forse un lavoro così esteso potrebbe far venire subito qualche sintomo di stanchezza nell’ascolto, cosa che riesce solo se si deve affrontare un bel viaggio con la propria auto, forse solo in quel caso un lavoro così lungo potrebbe fungere da giusta colonna sonora mentre ci accingiamo a raggiungere il nostro luogo preferito per le meritate vacanze. Non aggiungiamo altro, Best And More è una bella raccolta, né più né meno, c’è solo da chiedersi se ce la farete ad ascoltarla tutta fino in fondo.

Autore: Fair Warning Titolo Album: Best And More
Anno: 2012 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.fair-warning.de
Membri band:

Tommy Heart – voce

Helge Engelke – chitarra

Ule W. Ritgen – basso

C.C. Behrens – batteria

Tracklist:

CD 1

  1. Burning Heart
  2. Save Me
  3. All On Your Own
  4. Longing For Love
  5. When Love Fails
  6. Angels Of Heaven
  7. Out On The Run
  8. Don’t Give Up
  9. Long Gone
  10. Generation Jedi
  11. Don’t Keep Me Waiting
  12. Still I Believe
  13. Heart On The Run
  14. Here Comes The Heartache
  15. I’ll Be There
  16. I Fight
  17. The Way You Want It

CD 2

  1. Rock’N’Roll (previously unreleased)
  2. A Little More Love (live in Japan)
  3. Come On
  4. The Heart Of Summer
  5. Angel Of Dawn (live At Home)
  6. The Call Of The Heart (live in Japan)
  7. Rain Song (live At Home)
  8. Like A Rock (live and more)
  9. Out Of The Night (live and more)
  10. Meant To Be (live and more)
  11. Don’t Count On Me
  12. Just Another Perfect Day
  13. Light In The Dark
  14. Man On The Moon (live and more)
  15. Children’s Eyes
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
20th Mag2012

ON-OFF – Don’t Forget The Roll

by Marcello Zinno

Una band longeva quella degli ON-OFF, tanto complessa è la loro storia quanto semplice è il loro sound: in oltre 14 anni di attività gli ON-OFF ne hanno visti passare di musicisti tra le loro file, non ultimi il batterista Lorenzo Milani ed il chitarrista Jgor Gianola (entrambi noti per l’esperienza nella band teutonica U.D.O. … sì quella con Udo Dirkschneider alla voce); il sound di base è stato sempre lo stesso, complice i numerosi anni trascorsi come cover band degli AC/DC (con i quali condividono anche un simile significato nel moniker visto che AC/DC sta per “alternating current/direct current” che indica i poli della corrente). Hard rock semplice e diretto molto incentrato sulle due chitarre, anche se costruito tutto su un riff centrale e poche variazioni sul tema principale: una lista di materie prime che conosciamo molto bene e che resta per questa band volutamente invariata negli anni perchè è proprio questo il destino che essa intende affrontare.

Se le prime due tracce risultano un assaggio morbido ma ben fatto di rock (soprattutto con la seconda That’s What I Call Rock’n’Roll debitrice ai Rolling Stones), è con la terza Catch The Bunny che l’hard rock diventa più caldo e la velocità d’esecuzione cresce conferendo più verve alla proposta musicale del quartetto. Assoli affilati come un coltello, riff incandescenti ed il classico gusto alla Angus Young contaminano ogni singola nota di questo secondo lavoro della band nel quale gli ingredienti sono tutti ben noti ed è solo il mood stratificato che fa la differenza. Money Makes Money inizialmente affascina ma poi fa segnalare qualche passaggio un pò troppo semplicistico, passaggi questi che si ripeteranno qua e là anche in alcuni brani successivi facendo notare una leggera carenza di coraggio musicale del combo che date le doti tecniche e l’esperienza potrebbe proporre di più. Infatti l’aspetto cruciale di questo Don’t Forget The Roll sta proprio nella maturità stilistica dei suoi ideatori: ci sembra di ascoltare una band molto ben rodata e con un sound non solo compatto ma maturo ed in grado di dire molto. Le idee invece vanno affilate meglio ma sicuramente la caparbietà è una dote che i Nostri posseggono.

Bella Don’t Put Your Finger (In Every Hole You Find) ma ancora più convincente risultano She Drank All My Booze e The Last On The List: tutti pezzi che accostano ritmi non al fulmicotone con riff che hanno un retrogusto di magico…in fondo è questa la ricetta degli australiani citati prima, niente di più. Questo basta per apprezzare la vena artistica degli ON-OFF ma a noi (insaziabili) ci piacerebbe ascoltare qualcosa di più che sicuramente in futuro giungerà! Ne siamo convinti.

Autore: ON-OFF Titolo Album: Don’t Forget The Roll
Anno: 2012 Casa Discografica: Biul2kill Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.on-offband.com
Membri band:

Alex Motta – batteria

Matteo Vago – voce, chitarra

Fabio Lazzarin – basso

Davide Battistella – chitarra

Tracklist:

  1. Anotehr Bone To Suck
  2. That’s What I Call Rock’n’roll
  3. Catch The Bunny
  4. Money Makes Money
  5. Turn Off My Brain Control
  6. On The Railroad
  7. Don’t Put Your Finger (In Every Hole You Find)
  8. She Drank All My Booze
  9. Let’s Play The Fools
  10. Every Stone Got To Roll Someday
  11. The Last On The List
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
09th Mag2012

Vengeance – Cristal Eye

by Giancarlo Amitrano

Raro esempio di band “seminale”: laddove dobbiamo intendere “seminale” non nel senso di aver dato vita a sua volta ad altri gruppi, ma bensì quale trampolino di lancio per future stelle del panorama metal, questo sì, ma sinanche del prog.metal. Difatti, sin dalla loro formazione, i Vengeance hanno visto transitare tra le loro fila musicisti che sarebbero poi divenuti astri di prima grandezza nel settore. Due nomi su tutti: Ian Parry, leggendario frontman degli Elegy, nonché specialmente Arjen Lucassen, polistrumentista autore di pagine storiche nel campo prog e non solo. Ed anche in questo ultimo Crystal Eye il gruppo non si smentisce: una vera all-star band si unisce per l’occasione ad offrirci questo lavoro che, sin da ora lo si afferma, non mancherà di stupirci. Sin dall’opener Me And You il gruppo trasuda classe a pieni polmoni: l’ex Ac/Dc Chris Slade martella a più non posso per reggere la cavalcata vocale di Goewie che ci conduce dritti al riff di Somers che conciso e potente al tempo stesso ci attira in una trappola metallica. Bad To The Bone vede un sincrono lavoro delle due chitarre, che senza accavallarsi lasciano introdurre la melodia di Goewie su un tappeto sonoro di rara intensità. Il cantato sapientemente “roco” nella sua fase iniziale lascia presto il passo al refrain chiaro e stentoreo del brano, lungo il quale l’alternanza delle due sei corde (ci si perdoni il gioco di parole) risulta gradevole nella sua altalenante e ben presente melodia. Ascoltando Barbeque, con sorpresa dobbiamo annotare i “mid-tempo” della chitarra di Somers; un ritornello di “facile” ascolto, su cui, tuttavia, si innesta un’atmosfera in assoluto power, che si snoda con linearità lungo l’arco dell’intera durata del brano, senza che ciò incida sull’assoluta bontà dello stesso, di certo tra i migliori dell’album. Quasi a voler donarci un breve attimo di spontanea rilassatezza del gruppo.

Definiamo subito Shock Me Now un altro caposaldo del disco: lo affermiamo dopo l’ascolto della prestazione vocale di Goewie che potente e delicato al tempo stesso si accompagna al compassato, ma non troppo, lavoro della sei corde di Somers con assolo di spessore e di qualità assoluta. Ancora un episodio di rilievo: Five Knuckle Shuffle si fa ricordare, eccome, per un inatteso e gradito lavoro d’insieme del gruppo che riunisce le forze e si mette a disposizione del brano. Con la sei corde a ritmare d’ordine i tempi, la sezione ritimica Glen/Slade a randellare sodo e con Goewie che da par suo spariglia le carte in tavola con il suo “screaming” non eccessivo. Il tutto, condito da una gradita e simpatica chiusura da “saloon”. Desperate Women non tiene fede al titolo nel senso che qui non si dispera nessuno…anzi non si fanno prigionieri sul ring!. L’introduzione femminile al brano non ci illude: subito ci troviamo catapultati nelle fucine dell’hard classico, ove tutti gli ingredienti sono sapientemente miscelati e tutti i musicisti sanno bene il da farsi. Le due asce fanno a gara nel mostrare la loro abilità, mentre ancora una volta la sezione ritmica dipinge da par suo; senza certo tralasciare Goewie che in questo brano ci ricorda nomi altisonanti del genere, che non nominiamo per carità di patria, ma che l’ascoltatore attento certo coglierà. Ancora una gemma lungo l’ascolto: Whole Lot Of Metal è una super cavalcata hard da ascoltare d’un fiato e senza respiro. Un deciso lavoro di Somers, coadiuvato da Glen, qui al suo top, ci lascia storditi nel suo bridge centrale di raccordo tra voce e chitarra, senza intromissioni di sorta. Una versione di Lazy degli anni 2000? Non ci sembra di apparire irriverenti proponendo questa similitudine….

Arriviamo dunque alla “doverosa” ballad del disco: Promise Me si candida ad essere la strappalacrime dell’album, con una voce quasi “mielosa” di Goewie che si accompagna ad una sei corde di Somers che saggiamente si tiene sotto le righe per assecondare la vena “intimista” del cantato. Cantato su cui si innesta bene il lavoro degli altri componenti del gruppo i quali lasciano il dovuto spazio centrale al riff per muoverci alla lacrimuccia…da veri duri: la hit del disco è certo lei. Siamo giunti, quasi senza accorgercene, al clou dell’intero disco: dopo aver ascoltato la title-track spereremo che vi siano ancora molte tracce prima della fine dell’album. Crystal Eye è la summa dell’esperienza quasi trentennale del gruppo: l’intro “medievale” ci riporta alle più ispirate vette blackmoriane. La chitarra di Somers resta acustica quanto basta, per poi elettrificarsi al momento giusto, ovvero quando l’ugola di Goewie ci ripete ossessivamente che attraverso un occhio di cristallo riescono ancora a guardare con ottimismo al futuro. E ancora, avviandosi al termine, il brano non perde un’oncia di melodia e potenza in un sublime connubio che ci viene donato à mò di lascito quasi “spirituale”, per non dimenticare. Il  top level del disco lo abbiamo appena raggiunto ascoltando questo brano, che si chiude con un beneaugurante volo di gabbiani verso l’ottimismo. Missing ci offre, ancora, un metro di giudizio che non può esimersi dall’eccellere nella considerazione del lavoro. Goewie stavolta si riserva una tonalità leggermente più bassa, ma solo per i pochi momenti iniziali che cedono il passo ad un potente e melodico cantato, quasi a far da contraltare alla chitarra che diviene al tempo stesso “slide” e poi meravigliosamente elettrica sino a scemare delicatamente verso il finale, ove solo il sapiente mixaggio la congeda da noi.

Momento del commiato che ora davvero si realizza nel modo più nobile possibile: Jan’s End Piece è il doveroso tributo che la band rende alla memoria di Jan Somers, padre di Timo. In 60 secondi, uno dei membri storici del gruppo si congeda da noi e dalla vita in un assolo di rara intensità e di forte emozione, in un ideale passaggio del testimone al figlio. Degna conclusione di un lavoro che ha avuto il pregio di farci riassaporare le magiche atmosfere degli anni ‘80, periodo di vera linfa vitale per il genere. E che se, ancora oggi, rinnova proseliti, lo deve anche all’opera di gruppi come i Vengeance, degni vessilli del movimento hard-metal.

Autore: Vengeance Titolo Album: Cristal Eye
Anno: 2012 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Hard Rock Voto: .8
Tipo: CD Sito web: http://www.vengeanceonline.nl
Membri band:

Leon Goewie – voce

Timo Somers – chitarra

Michael Voss – chitarra, cori

Chris Glen – basso

Chris Slade – batteria, percussioni

Jan Somers – chitarra sul brano n. 11

Tracklist:

  1. Me And You
  2. Bad To The Bone
  3. Barbeque
  4. Shock Me Now
  5. Five Knuckle Shuffle
  6. Desperate Women
  7. Whole Lot Of Metal
  8. Promise Me
  9. Crystal Eye
  10. Missing
  11. Jan’s End Piece
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
05th Mag2012

Vain – No Respect

by Francesco Damiano

Tra i dischi più significativi della scena glam/street metal degli anni ’80, giunge il momento di occuparci di quello che oseremo definire uno dei dischi più heavy dello street rock: No Respect dei mai troppo acclamati Vain. Questa definizione, che alcuni di voi potrebbero trovare azzardata, è giustificata dall’impressionante muro sonoro sviluppato dalla band originaria di San Francisco. Ma andiamo con ordine. Siamo nel 1989, nel pieno dello splendore della stagione hard rock made in USA. Guns N’ Roses, Motley Crue, Bon Jovi, Poison, i redivivi Aerosmith dominano le chart e le copertine dei magazine musicali di tutto il mondo. Come già avvenuto spesso nella storia del rock, spuntano come funghi miriadi di band dedite a copiare (riciclare) il verbo dei sopra citati, sperando di godere di un briciolo della loro popolarità. Tra i tanti gruppi cloni decisamente insignificanti, spiccano invece i Vain, grazie ad una serie di elementi incastrati a dovere: immagine perfetta, un leader carismatico il giusto (Davy Vain), e soprattutto un disco clamoroso. Per capire quale fosse il livello di attenzione che ci fosse per l’hard rock in quei mitici anni ‘80, basti un dato: prima ancora che questo fantastico album d’esordio venisse dato alle stampe, ai Vain vennero dedicate ben sei pagine della mitica rivista musicale inglese Kerrang!, copertina compresa. Questo per dimostrare quanta attesa e clamore ci fosse nel mondo musicale per i Vain, accreditati di avere tutte le carte in regola per sedersi al tavolo dei grandi.

Un disco No Respect, come accennato, con suoni davvero potenti per i normali canoni sleaze rock, spiegabile anche con le esperienze musicali dello stesso leader Davy Vain, già visto all’opera come produttore dei primi due album dei death-metallari Death Angel. E d’altronde, anche la provenienza geografica dei Vain, San Francisco, patria indiscussa del thrash metal, spiega la compattezza dei suoni dei Nostri, decisamente più duri rispetto alle tipiche band glam di Los Angeles. Per l’appunto, No Respect è un disco che spesso (a sproposito) viene inserito nel carrozzone glam. In realtà, in molte tracce di questo album c’è un sano e puro heavy metal, con la caratteristica voce ammiccante e lussureggiante di Davy Vain a donare al platter venature sleaze. L’emblema di quanto detto sono le iniziali Secrets e Beat The Bullet: pezzi talmente veloci in ambito street rock non si erano mai sentiti. Due song pressoché perfette, con un impatto sonoro talmente devastante da farle immaginare quasi figlie dei Judas Priest più ispirati: la differenza con le band heavy metal è donata, come detto, dalla caratteristica voce di Davy Vain, questa sì decisamente glam. Due delle migliori canzoni della storia dello sleaze rock, e credetemi, non sto esagerando. Se tutto l’album fosse del livello dei primi due pezzi, oggi probabilmente staremmo parlando di leggende al pari Axl Rose e Slash.

Il resto del disco invece, pur restando su un livello molto alto, non mantiene il livello dei due capolavori iniziali. La successiva Who’s Watching You, sterza in maniera evidente in territori più propriamente pop metal, mentre il livello del disco torna a salire decisamente con le successive interessanti 1000 Degrees, Aces.e Smoke And Shadows che, languida nel suo incedere, chiude degnamente il lato A del dsico. La seconda parte del disco si apre alla grande con la titletrack No Respect, straordinario pezzo di rock duro come Dio comanda, mentre Laws Against Love è una semi-ballad di gran classe, come solo i migliori Dokken in quegli anni sapevano fare. Altrettanto convincenti sono le successiva Down For The 3rd Time ed Icy, tumultuose il giusto. Without You è la immancabile ballad, in verità non particolarmente convincente, mentre è l’adrenalinica Ready a chiudere positivamente l’album. Purtroppo, a dispetto di un disco d’esordio realmente bellissimo, i Vain non raggiunsero mai il successo planetario riservato a tante altre band, finendo per durare il tempo di una stagione. Il destino volle che questo fenomenale album uscisse proprio al crepuscolo dell’interesse per il rock duro: agli inizi degli anni ‘90, infatti, l’epoca d’oro dell’hard rock/heavy metal oramai era giunta al capolinea, visto che alle porte del business musicale bussava già in maniera travolgente il ciclone grunge.

E così, i Nostri assieme a tanti altri, vennero totalmente spazzati via dal mercato musicale al punto che appena due anni dopo (1991) la Island Records decise di non pubblicare nemmeno il loro nuovo album All Those Strangers (riemerso dall’oblio, in pratica, solo due decenni dopo). Di fatto l’epopea Vain era già terminata, lasciandoci però in eredità un unico gioiello, assolutamente imprescindibile per tutti gli amanti dell’hard rock a tinte dure.

Autore: Vain Titolo Album: No Respect
Anno: 1989 Casa Discografica: Island Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.davyvain.com
Membri band:

Davy Vain – voce

Danny West – chitarra

James Scott – chitarra

Ashley Mitchell – basso

Tom Rickard – batteria

Tracklist:

  1. Secrets
  2. Beat The Bullet
  3. Who’s Watching You
  4. 1000 Degrees
  5. Aces
  6. Smoke And Shadows
  7. No Respect
  8. Laws Against Love
  9. Down For The 3rd Time
  10. Icy
  11. Without You
  12. Ready
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
2 Comm
20th Mar2012

Waste Pipes – Make A Move

by Gianluca Scala

Questa band di Torino giunta alla sua quarta release discografica con questo ottimo EP autoprodotto dimostra che c’è la capacità di poter pubblicare qualcosa di davvero valido anche qui in Italia. Sette canzoni in grado di alzare le quotazioni della band sul nostro territorio, brani mai banali capaci di farti battere il piede, dimostrando così di possedere i mezzi per proporre musica davvero interessante fatta di brani immediati e sorpendenti. Arrivano da un background musicale che gira intorno all’hard rock degli anni settanta e che prende a piene mani dagli insegnamenti dei mostri sacri (Led Zeppelin, AC/DC ma anche The Who e Queen) dove le canzoni sono zeppe di riff vecchia scuola. La voce di Chris brilla in ogni pezzo mentre le ritmiche risultano dinamiche, come dimostrano First Class, If You Don’t Pay The Price e Still Got It, brani dai ritornelli di grande presa e con una formula sonora tutta da scoprire ascolto dopo ascolto.

L’inizio di The Deal con quel basso che fa da preludio ad un altro grande riff settantiano, ti accompagna per tutta la durata del pezzo. I due chitarristi Kina e Guarro non si perdono in ‘chitarrismi’ selvaggi inappropriati ma pennellano il tutto e confezionano questo lavoro d’alta classe con quel sapore di originalità che non risulta essere mai eccessivo. Il bassista Marco “Lava” Lavagno impreziosisce il tutto in ogni brano con passaggi intelligenti, pennate senza sbavature alcune dando al prodotto un tocco in più. Stessa cosa la si puà dire del lavoro svolto dietro ai tamburi da Boe, il drummer del gruppo. Nota a parte va fatta all’ultima traccia del cd, ma in positivo: una canzone molto particolare permeata da suoni vintage in grado di trasportarti davvero con la mente in un territtorio tutto nuovo; bellissimi gli arrangiamenti (come in tutto l’album d’altronde) e l’assolo di chitarra è la cosa più semplice ed immediata che ci è capitato di ascoltare negli ultimi tempi, davvero una piccola gemma. In definitiva Make A Move risulta essere un ottimo lavoro, ben confezionato e che sfrutta degli stili retrò per fondersi con suoni più contemporanei, una formula che funziona alla grande e che affascina l’ascoltatore fin dai primi battiti cardiaci che si sentono nell’intro del cd, concetto chiave di questo lavoro che richiama col titolo stesso i battiti delle nostre stesse vite. Complimenti Waste Pipes, andate avanti così!

Autore: Waste Pipes Titolo Album: Make A Move
Anno: 2010 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.wastepipes.it/
Membri band:

Chris – voce

Kina – chitarra

Guarro – chitarra

Lava – basso

Boe – batteria

 

Tracklist:

  1. Intro
  2. First Class
  3. If You Don’t Pay The Price
  4. Still Got It
  5. Make A Move
  6. The Deal
  7. Rough Diamond Street
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
0 Comm
Pagine:«1...2728293031323334»
« Pagina precedente — Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • Novaffair – Aut Aut
    • Depulsor – Walking Amongst The Undead
    • Giuseppe Calini – Polvere, Strada E Rock’n’roll
    • Bull Brigade – Il Fuoco Non Si È Spento
    • Mandragora Scream – Nothing But The Best
  • I Classici

    • Royal Hunt – Moving Target
    • Angra – Omni
    • Black Sabbath – 13
    • Saxon – Inspirations
    • Whitesnake – Forevermore
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Podcast Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in