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30th Apr2019

Ego59 – Chi Sei

by Cristian Danzo
Sta tornando a girare l’hard rock all’italiana, quello tipo Rats e Negrita, quel sound tutto nostro che ha fatto sua la lezione americana per poi plasmarla secondo caratteristiche proprie e radici che affondano per bene nella terra del nostro Stivale. Gli Ego59, emiliani, fanno il loro esordio con questo album intitolato Chi Sei. Fatto di hard rock scalpitante, ha in sé due caratteristiche che vogliamo subito mettere in chiaro: la voce e le chitarre. Il cantante Riccardo Corradini si muove bene per tutta la durata del platter su tutti i registri proposti ed i mood espressi dalle canzoni. Osiamo dire che ha una voce dal respiro internazionale, nel senso che potrebbe, per la sua bravura, cavarsela benissimo e proporsi in un mercato più ampio. E questa non è una cosa da poco. I solos della sei corde sono sempre, e sottolineiamo sempre, completamente azzeccati, ben strutturati ed ottimamente eseguiti. Come per la voce, questa caratteristica si estende per tutta la durata di Chi Sei. Alla luce di ciò, ovviamente, possiamo affermare che la produzione ha fatto un ottimo lavoro, mettendo in risalto e valorizzando queste peculiarità.

Dal punto di vista del disco nella sua totalità, possiamo dire che la verve e l’energia espresse all’inizio con Sto Bene Qui e Tornerai vanno a scemare con il passare dei minuti. Complici anche i pezzi più lenti, come Papà o Il Ricordo Che Ho Di Te, che sono ballad standard e molto scontate, senza guizzo alcuno. O Riaccendi La Miccia dove si cerca di virare verso un funky blues non completamente riuscito, sempre per gli stessi motivi esposti sopra che riguardano le ballad. Comprensibile per un esordio sulla lunga distanza, di certo gli Ego59 possono maturare e sbocciare al meglio nelle loro proposte future. Possiamo azzardare che ci piacerebbe sentirli in inglese? Azzardiamo e proponiamo senza nulla togliere al lavoro fatto.

Per chiudere è chiaro che Chi Sei è un lavoro dalle sonorità rivolte ad un pubblico a cui piace lo stile duro ma non troppo.

Autore: Ego59 Titolo Album: Chi Sei
Anno: 2019 Casa Discografica: (R)esisto
Genere musicale: Hard Rock, Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.ego59.com/
Band:
Riccardo Corradini – voce
Marcello Corradini – chitarra
Alberto Bellei – chitarra
Lorenzo Costa – basso
Francesco Roncaglia – batteria
Tracklist:
1. Sto Bene Qui
2. Tornerai
3. Pensi
4. Riaccendi La Miccia
5. Papà
6. Scarseggiano I Miracoli
7. Dimmi Chi Sei
8. Non Vedo Niente
9. Il Ricordo Che Ho Di Te
10. La Notte Che Verrà (Bonus Track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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19th Apr2019

Ruxt – Back To The Origins

by Massimo Volpi
Back To The origins è il terzo album dei Ruxt, formazione nata “solo” nel 2016 ma attiva e scalciante. Un hard rock in vecchio stile, “semplice” e senza tanti fronzoli. Dritto, tirato, veloce, pulito. Ottimo dal punto di vista esecutivo, il suonato è ad alti livelli, così come la produzione; un po’ meno sulla materia dell’originalità che, purtroppo, non sempre è facile da raggiungere. Meglio comunque rimanere in acque conosciute, seppure già esplorate, che avventurarsi su sentieri o sperimentazioni che raramente portano a qualcosa di illuminato. Lunga vita al rock’n’roll alla Led Zeppelin e Whitesnake, al cantato alla Ronnie James Dio, che a volte ricorda il nostro Pino Scotto, per citare ogni tanto e orgogliosamente un’icona nazionale. Una tracklist che corre veloce fino dalla traccia di apertura, Here And Now, per poi rallentare verso metà album, Train Of Life e Another Day With Your Soul, o lasciarsi influenzare da ritmi blues, I Will Find A Way. Spazio anche a sonorità più heavy, All You Got, e la potente title track che chiude questo album.

Un buon album, fatto di hard rock classico, così difficile da trovare di questi tempi. La copertina è bella, classico logone di teschio scolpito; l’interno è scuro con testi in chiaro alternati ad altrettanto classiche foto da disco metal anni 70-80. Un ritorno alle origini, o anche solo semplicemente un omaggio.

Autore: Ruxt Titolo Album: Back To The Origins
Anno: 2019 Casa Discografica: Diamond Productions
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/Ruxtrockband
Membri band:
Matt Bernardi – voce
Stefano Galleano – chitarra
Andrea “Raffo” Raffaele – chitarra
Steve Vawamas – basso
Alessandro “Attila” Fanelli – batteria
Tracklist:
1. Here And Now
2. I Will Find A Way
3. All You Got
4. River Of Love
5. Be What You Are
6. Train Of Life
7. Another Day With Your Soul
8. Come Back To Life
9. Remember The Promise You Made
10. Tonite We Dine In Hell
11. Back To The Origins
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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17th Apr2019

Twelve Back Stones – Becoming

by Marcello Zinno
I Twelve si danno una spolveratina e una pettinata, si fermano, mettono a fattor comune delle nuove idee, cambiano moniker in Twelve Back Stones e tornano sulle scene con un nuovo album dal titolo Becoming che lascia presagire già le loro intenzioni fin dal titolo. Infatti le 10 tracce, pur essendo “solo” un secondo album, hanno quasi tutte un potenziale da hit internazionale; certo le strutture sono quelle seguite dall’hard rock glam più radiofonico e meno pieno di eccessi degli anni ottanta, ma va riconosciuto che i chorus e più in generale i brani si ascoltano più volte e diventano canticchiabili già dopo pochissimi ascolti. Sembra quasi un incontro di boxe dove sul pugno destro c’è l’hard rock e la sua chitarra composta ma con riff duri come la pietra, sul gancio sinistro invece c’è una capacità di scrivere rock anthem; e il nostro boxer è capace di colpire, non tanto alternando in maniera corretta i singoli colpi, bensì fondendoli e sommando la potenza del braccio sinistro a quella del braccio destro, tanto che in alcuni brani non si sa se prevale la forza dell’hard rock o la trasversalità del rock. A noi piacciono i momenti più tosti, quelli che forse strizzano l’occhio ad un’attitudine più sleaze come On The Road che sicuramente farà leccare i baffi ai fan dei Mötley Crüe. Il rock viene anche fuori con Wild Sun, un pezzo che ci piace e seppur melodico, grintoso, ma ancora di più nel chorus della conclusiva Anytime, il momento forse più duro dell’album.

Poi c’è qualche brano che dal punto di vista compositivo sembra essere stato scritto con intenzioni più ricercate, parliamo di Drive Crazy che ha poco di orecchiabile, una chitarra decisamente rock e un grip nella strofa che ci piace davvero molto; ma parliamo anche di Stars la cui chitarra nella strofa lascia un sapore alla Placebo sulla nostra lingua, in generale un pezzo compatto e orecchiabile allo stesso tempo. In Take Me Higher si sentono troppo gli echi di Jumpin’ Jack Flash. Va detto che spesso abbiamo la sensazione di brani scritti per il grande pubblico, i chorus sono ripetuti troppo in diversi brani e rischiano di stancare, o ancora un pezzo come Whiskey And Flower è una macchietta per chi ascolta musica da più di due decenni. Ma quindi il nostro boker vincerà l’incontro? Non dipende se l’antagonista sia italiano o straniero, piuttosto se i Twelve Back Stones si troveranno dinanzi un atleta con delle risorse personali, moderne e interessanti avranno sicuramente un incontro difficile da superare.

Autore: Twelve Back Stones Titolo Album: Becoming
Anno: 2019 Casa Discografica: Vrec Music Label
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/TwelveBackStones/
Membri band:
Giacomo Magi “Jack Stone” – voce
Matteo Giommi “Matt” – chitarra
Michele Greganti “Greg” – chitarra, voce
Fabrizio Raffaeli “Fabri” – basso, voce
Fabrizio Ricci “Rixx” – batteria
Tracklist:
1. Liar
2. Black Rose
3. On The Road
4. Whiskey And Flower
5. Drive Crazy
6. Stars
7. Take Me Higher
8. Mother
9. Wild Sun
10. Anytime
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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05th Apr2019

The Sticky Fingers Ltd. – Point Of View

by Cristian Danzo
Non fatevi fuorviare dal nome di questa band perché (per fortuna) non si tratta di una mera copia o di una reinterpretazione pedissequa dei Rolling Stones, anche se sullo stile musicale proposto da questi ragazzi italiani (vengono dalla provincia di Modena) gli stessi hanno sicuramente una grande influenza. Point Of View è il secondo album della band (dopo la pubblicazione di esordio omonimo del 2014 recensito da noi a questa pagina) che propone un rock ed un hard rock energico, festaiolo ed adatto alla dimensione live per chi ha voglia ballare e saltare senza mai fermarsi. Qualche venatura southern si aggiunge al tutto, rendendo un po’ più preziose e meno scontate le composizioni. Perché diciamo che questo disco è adatto alla dimensione live? Perché la potenza espressa in studio dai quattro già raggiunge dei livelli molto alti dal nostro stereo e quindi immaginiamo che questa dimensione dal palco venga pompata ancora di più.

Point Of View è un’opera adatta agli estimatori del genere, agli intransigenti dell’hard rock vecchio stile. Sicuramente le canzoni che vanno a comporre questo album riescono a far smuovere i piedi anche alle persone più pigre ed apatiche verso questo tipo di musica, catapultando l’ascoltatore verso una dimensione di festa e voglia di scalpitare, grazie anche alla competenza tecnica e musicale che indubbiamente i ragazzi hanno ed espongono in maniera sapiente. Chi invece è alla ricerca di qualcosa di originale o che cambi il corso della musica, deve guardare ad altri lidi.

Autore: The Sticky Fingers Ltd. Titolo Album: Point Of View
Anno: 2018 Casa Discografica: Sneakout Records
Genere musicale: Hard Rock, Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/thestickyfingersltd/
Membri band:
Lorenz – voce, chitarra
Giorgio “Jesus” Santi – chitarra
Jaypee – basso Flash – batteria
Tracklist:
1. Bad Mood
2. You Don’t Have To Go
3. Hope You Like It
4. Be Your Man
5. Shine
6. Underdog
7. I’ll Go Alone
8. Misery
9. North Star
10. Naked Soul
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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31st Mar2019

Rattlesnake – Rock You All

by Marcello Zinno
Dopo un incredibile viaggio negli anni 90 e una lunghissima pausa si fanno risentire i Rattlesnake, formazione rimasta troppo allungo in silenzio e ora pronta a sfondare i nostri amplificatori. Sì perché il loro hard rock incandescente non può essere ascoltato ad un volume inferiore all’80% della portata di qualsiasi impianto esista sulla faccia della Terra: fin dall’opener Midnite Ride sembra di rivivere le scorribande hard degli anni 80 ma con una muscolatura sonora in quanto a produzione incredibilmente attuale. È questo connubio che ci affascina, lo stile che ha reso immortale questo genere nel passato e i suoni che rendono moderna la loro proposta, il tutto fuso all’unisono per sprigionare un hard rock sapiente, semplice e diretto. Dog Without A Bone, insieme all’opener, scendono giù come un bicchiere di Jack Daniel’s mentre si fa headbanging, poi con Love With A Zombie entrano in gioco le fortissime influenze AC/DC, è come se la band avesse voluto inserire una sorta di ballad al centro della tracklist anche se sembra di sentire davvero la coppia Young all’opera.

Il rock scorre nelle vene di questo quartetto francese e Wet And Ready accontenta tutti i rocker proponendo una ricetta immortale che dal vivo non può che far esplodere il pubblico, stesso discorso per la titletrack di questo breve ma denso EP che ha un chorus che si presta a coinvolgere chiunque sia di fronte al palco dei Rattlesnake. Rock You All è la colonna perfetta per ogni raduno di biker che si rispetti!

Autore: Rattlesnake Titolo Album: Rock You All
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Hard Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: http://www.rattlesnake-band.ch
Membri band:
Dylan “Didi” Droxler
Raphaël “Raph'” Droxler
Jean-Claude “Bourreau” “Bison” Schneider
Christian “Indi” Inderbitzin
Tracklist:
1. Midnite Ride
2. Dog Without A Bone
3. Love With A Zombie
4. Wet And Ready
5. Rock You All
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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18th Mar2019

Red B – Night’s Callin’

by Giancarlo Amitrano
Ritorna fragorosamente a far parlare di sé un altro degno esponente della scena metal nazionale, fortunatamente mai sazia di sfornare musicisti validi come il Nostro in questione. Quel Red Bertoldini già protagonista dietro le pelli dei suoi recentemente riformati Dark Lord, apprezzati non poco dalla scena underground e non solo della nostra perennemente affamata (di metallo) Nazione. L’album offertoci è un “classicissimo” esempio di hard ottantiano, con il singer assolutamente non spaventato nel cimentarsi con melodie tanto care a mostri sacri del genere, come nelle 10 tracce proposteci con indubbia maestria e tecnica impeccabile: a cominciare dall’esplosiva Fallin’ Through The Sky ed il suo incipit che mettono subito in evidenza le potenti capacità del singer, coadiuvato alla grande dagli strumentisti di cui ha ritenuto circondarsi, i quali non si fanno pregare nell’inondare letteralmente lo stereo di note potenti e clamorosamente impeccabili che iniziano già ad essere ampiamente gradevoli. Segue l’altrettanto energizzante Everybody, graffiante ed agguerrita il giusto: la band non si fa mancare il necessario range di energia che comunque non cozza con le comprovate capacità singole del quintetto, valido vessillifero del metallo Nostrano.

I’ve Been Killing ci sembra rappresentare un primo momento di “stacco” all’interno dell’album: il trasparire, neanche tanto velatamente, di sfumature a tinte sudiste ci induce a valutare la band ed il suo mentore come ampiamente capaci di passare con nonchalance da un genere all’altro, mantenendo sempre una più che rimarchevole tecnica, sulla quale si erge sempre il cantato degnissimo del nostro connazionale. Into The Street, in un con il suo intro, ci riporta il combo verso sonorità tanto care all’hard’n’heavy puramente targato anni 80: la sei corde del buon Favero ci riporta con l’ascolto a timbriche e melodie ad oggi non più tanto rinvenibili nelle odierne band, magari anche più accorsate e quindi occorre esser grati a gruppi come questo odierno che con la loro passione e la loro tecnica riescono ancora ad emozionarci come ai bei tempi che furono. Giungiamo quasi senza accorgercene alla titletrack ed anche in questo frangente veniamo investiti piacevolmente da un torrente di note assolutamente non cacofoniche, ma anzi capaci di esaltarsi/ci con la loro prorompente vitalità che va sempre a braccetto (altro dato da non sottovalutare) con l’essere funzionale all’economia del brano.

Lookin’Stars From The Sea potrebbe apparire come un “elementare” momento di relax che la band si prende all’interno del lenght. Nulla di più errato dato che il quintetto continua a darci dentro di brutto, senza perdere un’oncia di energia e coerenza compositiva che si libra ancora maestosa con la successiva The End, ballatona magistralmente eseguita con tecnica sopraffina, giustamente suddivisa tra tutti i componenti, che in questo caso tornano a far riecheggiare venature southern specialmente nel cantato del valido singer, qui attento a non rifare pedissequamente il verso a giganti quali ad esempio Ronnie Van Zant o Stevie Ray Vaughan, titani inarrivabili del genere. Il caleidoscopio che la band ci offre non smette di stupirci: abbiamo anche il tempo di trovarci di fronte all’anima blueseggiante che il gruppo mostra di possedere in misura notevole con l’esecuzione della superba Bad Woman. La timbrica vocale quasi “nera” che il leader maximo infonde alla traccia ci indurrebbe, da un lato, a materializzare ai nostri occhi un crack assoluto quale Glenn –The Voice- Hughes, dall’altro più modestamente ma contenti del paragone, restiamo con i piedi per terra e ci teniamo stretta la prestazione originalmente italica di Bertoldini.

Chiudiamo con A Man In The Mirror e la sua interpretazione anche drammatizzata in alcuni passaggi, con atmosfere introspettive che ancora una volta avrebbero fatto la gioia di maestri del genere, rimarcando con questo la piacevole sensazione che un gruppo come questo rivesta in sé tante sfaccettature degne dell’accostamento ai mostri sacri, mantenendo comunque una sua ben precisa originalità che ben sperare fa per il suo futuro.

Autore: Red B Titolo Album: Night’s Callin’
Anno: 2018 Casa Discografica: Argento Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://twitter.com/theREDBbanda
Membri Band
Red Bertoldini – voce
Edo Favero – chitarra
Tony. T – batteria
Gilberto Ilardi – basso
Antonio Voltattorni – tastiere
Tracklist:
1. Fallin’ Through The Sky
2. Everybody
3. I’ve Been Killing
4. Into The Street (intro)
5. Into The Street
6. Night’s Callin’
7. Lookin’ Stars From The Sea
8. The End
9. Bad Woman
10. A Man In The Mirror
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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18th Feb2019

Ghost – Prequelle

by Massimo Volpi
I Ghost sono senza dubbio tra le band più interessanti degli ultimi anni. Interessanti per quello che fanno, la musica, il mistero delle identità dei membri della band, lo show dal vivo, le grafiche ma anche e soprattutto per avere generato un discussione senza fine tra fan e non fan che ha diviso il pubblico metal più purista da quello più mainstream e pop, unendolo nell’opinione riguardo proprio i Ghost stessi. Già perché se c’è una cosa che non si può negare è che la band svedese sia seguita da un pubblico tutt’altro che omogeneo. Con questo Prequelle, Tobias Forge sveste i panni di Papa Emeritus per vestire quelli di Cardinal Copia, rinnova il parco dei Nameless Ghoul e sforna un album eccezionale. Al primo ascolto forse banale ma in realtà tutto tranne che banale; semplice, forse è la definizione più corretta. E fare un album semplice è cosa molto difficile. Semplice perché entra in testa e nel resto del corpo in un modo immediato. Fa canticchiare e ballare; effetti non propriamente metal. E infatti i Ghost non sono una band metal; sono una truffa ben organizzata e palese, che funziona perché studiata e realizzata in modo perfetto. Le grafiche, la presenza scenica, i costumi. Tutto.

Tutto questo teatro è però accompagnato da una musica altrettanto di alto livello che rende quest’opera impeccabile. Sonorità dai 60 agli 80, dance, prog, metal, c’è un pochino di tutto; assemblato in modo egregio ed elegante. Rats è la prima traccia che fa intendere quanto detto finora. Così come See The Light, Miasma e ovviamente Dance Macabre che suona quasi come un film dance anni 80, soprattutto nel remix dei Carpenter Brut. La stessa “complessa semplicità” si ritrova nelle note e nelle parole di Pro Memoria, facendo di questo album un contenitore stracolmo di potenziali singoli. Un album curato alla perfezione, forse tra i migliori del 2018, in qualsiasi categoria lo vogliate mettere. Contrapposizione e mistero che non possono non affascinare; sicuramente una delle band da non perdere nel loro prossimo tour. La copertina, neanche a dirlo, è un capolavoro.

Autore: Ghost Titolo Album: Prequelle
Anno: 2018 Casa Discografica: Loma Vista Recordings
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.ghost-official.com
Membri band:
Cardinal Copia (Tobias Forge) – voce
Nameless Ghoul Aether (Ben Christo) – chitarra
Nameless Ghoul Alpha (Chris Catalyst) – chitarra
Nameless Ghoul Water (Per “Sodomizer” Eriksson) – basso
Nameless Ghoul Air (Zac Baird) – tastiera
Nameless Ghoul Earth (Jan Vincent-Velazco) – batteria
Tracklist:
1. Ashes
2. Rats
3. Faith
4. See The Light
5. Miasma
6. Dance Macabre
7. Pro Memoria
8. Witch Image
9. Helvetesfönster
10. Life Eternal
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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07th Dic2018

Boston – Boston

by Giancarlo Amitrano

Boston - BostonDifficilmente un album di esordio necessita di una lunga premessa alla sua gestazione ma nel caso delle autentiche leggende di cui ci occuperemo, essa non solo è doverosa ma necessaria per comprendere forse tutto il movimento musicale in seguito sviluppatosi. Rotante alla figura unica del leader Scholz, laureato in tecnologia, il gruppo ha letteralmente dovuto sudare più delle famose sette camicie per arrivare all’album odierno: dopo aver ottenuto diversi rifiuti dalle case discografiche verso i primi demo da lui registrati, la caparbietà di Scholz viene premiata con una audizione per la Epic. Pur convinta della bontà del progetto, la major impose al gruppo di registrare l’album presso studi professionali, abbandonando l’empirismo romantico del chitarrista per affidarsi alle nuove tecnologie di incisione. Per non perdere l’occasione d’oro, Scholz accetta, ma non senza “ingannare” la stessa Epic: affermando di registrare a Los Angeles, incide invece nel suo studio personale per recarsi nella “città degli angeli” solo per il missaggio finale, d’accordo anche con il co-produttore. Miracolosamente immune, tutto il progetto vede la luce con la benedizione della stessa casa discografica, stavolta convinta della qualità del prodotto e della registrazione.

Il risultato è un clamoroso successo, con le prime tre tracce tutte premiate dalla gloria del singolo, oltre che dalla certificazione di disco d’oro, di platino ed addirittura di diamante, divenendo da subito uno degli album di debutto più venduti della storia. Basta ascoltare del resto More Than A Feeling per rendersi conto che probabilmente la band ha codificato i concetti di AOR o pomp-rock, sino ad allora avvolti in un alone di indecifrabilità: la voce di Delp è tra le più eteree sinora ascoltate, mentre le magiche atmosfere create da Scholz trascinano in un morbido incanto musicale; e cosa dire delle splendide acrobazie delle chitarre e soprattutto del leggendario ritornello, cantato a squarciagola a milioni in tutto il mondo?! Ovvia prima super hit dell’album, che prosegue con la successiva Peace Of Mind e le asce che da acustiche diventano subito elettriche come una fuoriserie che velocemente acquista giri lungo una lunghissima autostrada, condotta dalla morbida voce del singer che si avvale alla grande di cori sapientemente dosati dagli altri compari di avventura, evidenziandosi nella fase centrale il duetto tra i due chitarristi che senza sovrapporsi macinano il loro torrente di note, conducendo anche questa traccia a divenire singolo.

Foreplay/Long Time è una cavalcata di oltre sette minuti che non lascia respiro: i tasti magici di Scholz sono la base portante del brano, su cui si accendono via via tutti gli strumenti in un crescendo di rara intensità che si attenua leggermente nella fase centrale con la delicata voce di Delp, coadiuvato alla grande dal robusto lavoro delle chitarre, qui protagoniste di assoli importanti e con la funzione di raccordo tra le varie anime del brano, a tratti delicato ed in seguito molto aggressivo sino alla fine…a proposito, anche questa traccia è singolo! I tre minuti di Rock And Roll Band sono gradevolissimi per la loro semplicità, a volte elementare ma mai noiosa: sempre il singer a menare le danze su di un brano valido e del tutto anni 70 nel suo dipanarsi, come solo i cliché americani imponevano, ovvero liberare gli istinti senza pensarci su troppo. Smokin’ ed il suo hard’n’roll avrebbero fatto la fortuna dei Triumph: ebbene sì, in questa traccia riascoltiamo echi gloriosi del trio canadese, con il drumming poliedrico, le chitarre potenti ed il cantato aggressivo e coinvolgente; a questo aggiungasi un piacevolissimo solo centrale delle tastiere a guida del leader indiscusso della band, cui non sarà parso vero in questa occasione esibire la sua valenza artistica. Hitch A Ride, in assoluto la prima traccia ad essere incisa, vede una sostenuta prova vocale del buon Delp, che impersona alla grande i panni del menestrello con alle spalle tutta una potenziale orchestra, qui riassunta ancora da un gioco di tastiere che Scholz stesso confessa aver ottenuto rallentando con le dita il nastro durante la registrazione, senza che di tutto ciò si riscontri presenza, dato che subito a seguire c’è il buon solo delle sei corde a distrarre tutti dal trucco.

Sognante ed incantata, Something About You è una semiballad, ben interpretata dal gruppo che fa seguire ad un intro delicato ed arpeggiato il seguito indiavolato ed intenso, lasciando al brano sempre quel quid di ipnotico, con i cori aggraziati e del tutto “americani”, ottimi per un ideale manifesto AOR delll’epoca. A chiudere, Let Me Take You Home Tonight, unica traccia ad essere stata davvero incisa secondo i voleri della casa produttrice, è a marchio esclusivo di Delp: composta dal medesimo, infatti, lo lascia libero di esprimersi da autentico singer a stelle e strisce, con la slide che lo accompagna maliziosa nei suoi vocalizzi; eppure, il brano conclusivo chiude degnamente l’album con il suo gioco combinato di tasti e corde, su cui si erge il buon singer verso una strada che si preannuncia molto interessante per la band.

Autore: Boston

Titolo Album: Boston

Anno: 1976

Casa Discografica: Epic

Genere musicale: Hard Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.bandboston.com

Membri Band

Tom Scholz – chitarra, tastiere, basso

Brad Delp – voce

Barry Goudreau – chitarra

Fran Sheehan – basso su tracce 3 e 8

Sib Hashian – batteria

Jim Masdea – batteria su traccia 4

Tracklist:

  1. More Than A Feeling

  2. Peace Of Mind

  3. Foreplay/Long Time

  4. Rock And Roll Band

  5. Smokin’

  6. Hitch A Ride

  7. Something About You

  8. Let Me Take You Home Tonight

Category : Recensioni
Tags : Boston, Hard Rock
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30th Nov2018

Run Chicken Run – Don’t Forget The Wine

by Marcello Zinno

Run Chicken Run - Don't Forget The WineTornano i Run Chicken Run, di corsa come è nel loro stile e a due anni di distanza dal precedente Open The Grill, di cui avevamo parlato a questa pagina, pubblicano un nuovo ensemble di inediti. Ci erano piaciuti fin da subito, lo ammettiamo: il loro stile molto debitore agli AC/DC, fatto di hard rock e classic rock (seppur influenzato dal blues nelle strutture di alcune canzoni), ci aveva conquistati e come non potrebbe succedere quando è suonato così bene, compatto e con un suono che arriva anche se proveniente dai più piccoli palchi del globo?! Solitamente questa scelta stilistica suggerisce una formazione che è e resterà cementificata sul proprio stile, richiamando un genere e un sound, proprio quello che gli AC/DC hanno reso celebre, che non morirà mai; ma i Run Chicken Run ci dimostrano di essere un’eccezione, già da questo lavoro si evolvono e accettano volentieri sapori diversi, pur se su di una base comune al precedente album: le incursioni heavy nell’opener Rust From Space e in parte in Boredom Killers, il tappeto rock’n’roll piazzato da Your Girl, tutti passaggi che ci dimostrano quanto la band si sia messa in gioco rispetto alla proposta della precedente uscita.

Ma non è tutto perché anche gli altri brani sono interessanti: Louder On You sembra un b-side dei The Darkness con il suo riff rotondo da “profanare” ad alto volume in sede live, la cadenzata Black Shadow, un brano che sembra un martello che picchia duro finché la roccia non è infranta; ancora a fine album troviamo Real Man, il brano più veloce del lotto che farà la gioia di chi è cresciuto a pane e NWOBHM e Black Out che sembra uscita da un concerto dei Raven. Don’t Forget The Wine è un album molto compatto, indicato anche a chi ascolta heavy metal e classic heavy metal (non con ritmiche troppo veloci però) in quanto il sound è trasversale tra il mondo del rock e quello del metal e dal vivo sicuramente è in grado di acquisire un sapore unico. Bravi ragazzi!

Autore: Run Chicken Run

Titolo Album: Don’t Forget The Wine

Anno: 2018

Casa Discografica: Volcano Records

Genere musicale: Hard Rock

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/weregonnarockyou/

Membri band:

Michele Montesi – chitarra, voce

Paolo Scarabotti – basso

Leonardo Piccioni – chitarra

Mirko Santacroce – batteria

Tracklist:

  1. Rust From Space

  2. Your Girl

  3. Louder On You

  4. Sun

  5. My Heart Is A Stone

  6. Black Shadow

  7. Good Brewer

  8. Boredom Killers

  9. Real Man

  10. Blackout Out

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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26th Nov2018

Royal Blood – Royal Blood

by Maurizio Trentin

Royal Blood debut albumDuo di Brighton formatosi nel 2013 dal bassista e cantante Mike Kerr e dal batterista Ben Thatcher. Iniziano con la pubblicazione di due singoli, riscuoteranno subito l’attenzione della critica. Precedentemente gli Artic Monkeys invitarono il duo in apertura dei loro concerti. Primo impatto da parte della critica, avviene ricevendo una candidatura al BBC Sound Of 2014, anno che vede pubblicato il loro primo album Royal Blood. La fortuna arriva e spinge, sarà l’album più venduto nel Regno Unito quell’anno. Il tour europeo ed infine l’attenzione da parte del gioiello dei Led Zeppelin, Jimmy Page, che esalta la band; ecco ciò che ha detto al NME Magazine: “I went to hear them in New York. They were fantastic. Absolutely riveting, they’re such fine musicians. However long the set was, I could have heard twice as much. Their album has taken the genre up a serious few notches. It’s so refreshing to hear, because they play with the spirit of the things that have preceded them, but you can hear they’re going to take rock into a new realm – if they’re not already doing that. It’s music of tremendous quality”. Il 2015 è un anno ancora più ricco e proficuo, ma fermiamoci al loro album omonimo.

Out Of The Black, è un pezzo carico, infatti la soluzione basso-batteria trova una amalgama completa e dirompente. Tutto è compatto e non vi è dubbio che qui ci si trova di fronte ad una miscela esplosiva derivante dal rock blues che possiamo definire hard blues. Il pezzo sfonda, è perfetto, la voce di Mike è pulita, elevandosi da quella massa sonora che spinge e romba. L’immaginario mi spinge proprio in questa direzione scaraventandomi in un paesaggio letteralmente fantastico dove l’aspetto contraddittorio ha la sua tangibilità. Una città decisamente tecnologica dove la forza della natura determina la propria egemonia monocromatica limitando ogni possibile fonte di luce. In contrapposizione un groviglio di radici arboree secolari che avvinghiano ogni abitazione o angolo stradale. Questo paesaggio onirico e selvaggio, ha come sottofondo la forza e l’energia dei Royal Blood. Come On Over, spinge tutta la sua forza e ci protegge da questo meraviglioso incubo. La mancanza di presenza umana ha una sua importanza e ci stupisce. Le note comunque si impongono e l’hard sostiene come un pilastro la propria tendenza ad una matrice blues. In Figure It Out il basso è cupo ma ruggente, la tonalità vocale di Mike ricorda un po’ i primi White Stripes, ma è solo una suggestione, il pezzo viaggia.

You Can Be So Cruel è molto british se non con timbri glam rock. Blood Hands dirompe in una sonorità hard, ma con sé porta anche tutta l’esperienza del primo post-punk inglese. In Little Monster si impone il basso e ruggisce la sua compattezza, che mi scaraventa nella mia visione e questa volta l’allucinazione tentacolare e districante che le radici arboree assumono creano quel labirintico intreccio visivo che accompagnano le ritmiche del basso e batteria. Loose Change è un hard rock tipico e sincopato e gremito di energia. Careless spinge in una tipica sonorità grunge e hard così come Ten Tonne Skeleton. Il ritornello di quest’ultima è molto più semplice o orecchiabile ed assai cadenzato. In Better Stranger la batteria ben marchiata è definita, sincopata e precisa, il basso si avvolge ad essa ma propone attimi di respiro di puro hard blues. Questo movimento sonoro, rispecchia completamente il mio stato visivo e crea una sorta di rete arborea infinita e non soffocante ma tendenzialmente liberatoria verso un punto improvviso di luce abbagliante. Una visione che indica un proseguo sia nella composizione di questo duo eccezionale, ma soprattutto con la voglia di scoprirlo in una prossima nuova opera sonora.

Come avrete capito l’album ci ha completamente catturato, al punto di farci viaggiare in ambientazioni visive e sonore che giocano fra loro in una danza quasi esilarante. Giustamente è molto confortante scoprire una band che dalla semplicità delle strumentazioni esprimono al massimo la propria capacità, rimanendo lucidi e nello stesso tempo puliti. Una lezione che dovrebbe essere da spunto per le attuali band “pseudomusicali” che ingannano ed appiattiscono la ricchezza dell’essenza musicale, per un semplice profitto di carattere speculativo. L’art cover di Royal Blood presenta una composizione illustrata di stile surrealista. Anzi l’artista Dan Hiller ricorda quelle incisioni del periodo vittoriano dove i personaggi assumono sembianze animalesche. Non vi è dubbio che lo stile sia tipico della cultura anglosassone del primo ottocento. Il grottesco non è diretto ad una tendenza satirica, ma al contrario assume una diversa entità quasi nobiliare. Questa illustrazione prende a pieno il contenuto musicale dei Royal Blood elevandone il valore.

Autore: Royal Blood

Titolo Album: Royal Blood

Anno: 2014

Casa Discografica: Black Mammoth Records

Genere musicale: Hard Blues

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: http://www.royalbloodband.com

Membri band:

Mike Kerr – voce, basso

Ben Thatcher – batteria

Tracklist:

  1. Out Of The Black

  2. Come On Over

  3. Figure It Out

  4. You Can Be So Cruel

  5. Blood Hands

  6. Little Monster

  7. Loose Change

  8. Careless

  9. Ten Tonne Skeleton

  10. Better Stranger

Category : Recensioni
Tags : Hard Rock
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