• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
13th Mar2015

9000 John Doe – Redneck Is The New Black

by Cristian Danzo

9000 John Doe - Redneck Is The New BlackSe siete alla ricerca di un disco che sappia di marcio, whisky delle peggiori marche e tabacco da mastico, benvenuti: questo è quello che fa per voi. Senza nessun orpello, con una potenza che non cala mai e non risparmia su niente, i 9000 John Doe presentano il loro nuovo album Redneck Is The New Black. La band proviene da Aalborg, Danimarca. Il loro debut risale al 2011 quando rilasciarono Roll With It Or Get Rolled Over, album autoprodotto che gli ha permesso di siglare l’attuale contratto sotto cui è nata l’opera che stiamo analizzando. Si definiscono Hillbilly Hardcore e non si può certo dare torto alle loro parole. Hardcore che affonda le radici nello stoner e in tutto quel rock sudista proveniente dagli Usa, con rimandi al rock’n’roll classico di matrice fifties. Pensate a cosa possa essere un mix del genere, sparato senza fronzoli attraverso una produzione grezza che non lesina su nulla, con testi urlati a squarciagola dall’inizio alla fine. Sembra di essere di fronte ad una motosega che taglia alberi senza pietà e che non si ferma mai, una furia incredibile che rende Redneck Is The New Black un ottimo prodotto molto originale.

Non c’è mai una concessione alla melodia o alla ricerca di qualcosa che possa attirare le masse di grandi ascoltatori. Forse l’unica canzone che strizza l’occhio ad un sound che potrebbe interessare anche gente fuori da certi ascolti musicali è solamente Devilish Blues per quel suo riff talmente rock che anche un ascoltatore medio si accorgerebbe a che categoria appartiene quella schitarrata. Se i Volbeat hanno mischiato metal e rockabilly, i loro conterranei hanno fatto la medesima cosa ma con un mix ed un genere (ed anche un risultato) molto più violento. E, non rimane che dire solo una cosa: complimenti.

Autore: 9000 John Doe Titolo Album: Redneck Is The New Black
Anno: 2014 Casa Discografica: Mighty Music
Genere musicale: Hardcore Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://soundcloud.com/9000johndoe
Membri band:

Tommy Knøs – voce

Thomas Gajhede – chitarra

Mikkel R. Clausen – basso

Morten Larsen – batteria

Tracklist:

  1. Redneck Is The New Black

  2. Snaps Till Death

  3. Did She Say That

  4. Like A Cannonball

  5. Never Corner A Cobra

  6. Black Heart

  7. Country Zombie

  8. Lightning Queen

  9. The House Rules

  10. Devilish Blues

  11. 4 Bastards

Category : Recensioni
Tags : Hardcore
0 Comm
09th Mar2015

Spider Crew – Too Old To Die Young

by Marcello Zinno

Spider Crew - Too Old To Die YoungA pensarci bene esistono tantissimi generi musicali (e relativi sottogeneri) ma se uno volesse concentrarsi solo su quelli che hanno portato avanti idee precise e hanno avuto un impatto sulla vita reale, anche ispirati da grandi avvenimenti che hanno cambiato la storia dell’uomo, il cerchio si restringerebbe molto. Chiaramente il punk entra di diritto in questo discorso, non solo per le note manifestazioni del ’77, gli eccessi contro la cultura conservatrice del tempo e gli sfoghi anarchici, ma anche per l’evoluzione che questo genere ha avuto nei decenni successivi alla propria nascita, vera controcultura rispetto a tutto quello che i mass-media propinavano alla popolazione e all’appiattimento generale delle menti. In questa controcultura rientrano (a ragione o a torto) anche molti movimenti skinhead, alcuni dei quali estremizzano questa tendenza a voler esprimere dissenso, altri invece risultano semplicemente inorriditi da alcuni fenomeni che dovrebbero sconvolgere le genti ma che ne traggono solo indifferenza. Noi non sappiamo se gli austriaci Spider Crew sono tra il primo o il secondo gruppo di persone, ma è certo che il loro ultimo album Too Old To Die Young conferma il loro impegno contro le guerre, contro il fascismo che ha procurato incalcolabili morti nella storia e a favore della gente libera.

Brani come la title track, con le sue raffiche di chitarra, l’hardcore colante sudore e i cori al seguito, o momenti come Punks N Skins sono la benedizione degli Spider Crew alla scena hardcore/oi e con Vienna Riot completano la loro dichiarazione di intenti. Musicalmente non si tratta certo di ragazzini esordienti e dalle note traspare tutta la loro energia e il loro impegno. Non a caso Too Old To Die Young è un album di otto tracce che arriva a stento ai venti minuti, dato di fatto di una missione che vuole attraverso la musica proclamare delle idee, cercare seguito e portare gli ascoltatori a prendere una posizione: o con loro o contro di loro.

Autore: Spider Crew Titolo Album: Too Old To Die Young
Anno: 2014 Casa Discografica: WTF Records
Genere musicale: Hardcore, Punk, Oi Voto: s.v.
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/spidercrew
Membri band:

Sean – voce

Mike – voce

Jacko – basso

Jimmy – chitarra

Tommy – batteria

Tracklist:

  1. Too Old To Die Young

  2. Give Me A Break

  3. Punk N Skins

  4. Vienna Riot

  5. Sick Of You

  6. Through Their Veins

  7. You Better Recognize

  8. Still Crazy But Not Insane

Category : Recensioni
Tags : Hardcore
0 Comm
08th Mar2015

Good Riddance – For God And Country

by Piero Di Battista

Good Riddance - For God And CountryGli anni 90 furono caratterizzati da diversi generi e stili musicali: nella prima metà di quella decade era il grunge ad avere un notevole impatto mediatico, nella seconda fu lo sdoganamento del punk, che, grazie a band come Green Day o The Offspring, riuscì ad imporsi nelle classifiche e ad avere una visibilità più mainstream. Nel frattempo, in California, il punk hardcore ebbe l’apice del suo sviluppo, merito soprattutto di band che, ancora oggi, portano in alto il vessillo di questo stile, parliamo di gruppi come Bad Religion, Nofx, Lagwagon o Pennywise. Tra queste non possiamo dimenticare i Good Riddance, gruppo del quale ci occuperemo da oggi. I Good Riddance si formano a Santa Cruz, California, nel 1986; passano tanti anni facendo la consueta gavetta tra demo, concerti nei locali più disparati delle coste del Pacifico, fino a quando la Fat Wreck Chords si accorge di loro, dando appunto a loro l’opportunità di un contratto con la potente ed efficiente etichetta di Fat Mike; arriviamo così al 1995, anno di pubblicazione di For God And Country, album d’esordio dei Good Riddance.

Il disco propone dodici tracce, nelle quali lo stile dei quattro californiani apparve già ben definito: l’influenza hardcore della zona è uno degli ingredienti che più risalta nel loro sound, condito da una leggera vena melodica, da ritmiche ben sostenute e dalla voce di Russ Rankin, graffiante tanto quanto coinvolgente. Le affinità con l’hardcore old-school vengono già messe in luce dalla opener Flies First Class e da All Fall Down, le ritmiche più sostenute, veloci ed accattivanti arrivano con Better, United Cigar e Wrong Again. La caratteristica, o meglio, il pregio dei Good Riddance sembra essere la naturalezza con la quale riescano a traslare da delle sonorità più potenti ed aggressive, ad episodi leggermente più melodici e, come vedremo, questo stile li accompagnerà nel corso della loro carriera. For God And Country fu un discreto disco, forse ingiustamente o troppo frettolosamente accantonato, però traspariva già le indubbie doti di Russ e compagnia.

Ancora una volta la Fat Wreck Chords dimostrò di avere quella lungimiranza nel dare fiducia ad una band, difatti la sensazione più evidente fu quella che dopo la pubblicazione di For God And Country il meglio doveva ancora venire. Bastò aspettare un solo anno, quando, nel 1996 arrivò A Comprhensive Guide To Moderne Rebellion, disco fondamentale per la carriera dei Good Riddance.

Autore: Good Riddance

Titolo Album: For God And Country

Anno: 1995 Casa Discografica: Fat Wreck Chords
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 6,5
Tipo: CD

Sito web: http://www.grpunk.com

Membri band:

Russ Rankin – voce

Luke Pabich – chitarra

Chuck Platt – basso

Rich McDermott – batteria

Tracklist:

  1. Flies First Class
  2. Better
  3. All Fall Down
  4. United Cigar
  5. Decoy
  6. Boys And Girls
  7. Mother Superior
  8. Twelve Year Circus
  9. Man Of God
  10. Lisa
  11. Wrong Again
  12. October
Category : Recensioni
Tags : Good Riddance, Hardcore
0 Comm
08th Feb2015

Lagwagon – Double Plaidinum

by Piero Di Battista

Lagwagon - Double PlaidinumIl nuovo capitolo della storia discografica dei Lagwagon riguarda Double Pladinium, quarto album del combo californiano, sempre edito Fat Wreck Chords, che ha visto la luce nell’estate del 1997. Sulla scia dei primi tre ottimi dischi, su tutti Hoss, forse il loro miglior lavoro, pubblicato due anni prima, i Lagwagon si erano ormai consacrati nel gota del punk hardcore californiano, divenendo così una della band più influenti ed importanti della scena. Con Double Pladinum Joey Cape e soci continuano nella stessa direzione, partorendo un disco che non si discosta da quanto già di ottimo abbiamo potuto ascoltare; il loro sound rimane sempre incentrato su quella matrice hardcore melodica che da sempre li contraddistingue, ma forse, nel disco di cui parleremo, la vena melodica, in certi tratti, appare più pulsante, sin dalla open-track Alien 8, costituita da una intro “simil-ballad” che va poi a trasformarsi nel classico sound veloce, diretto quanto melodico dei Lagwagon, proponendo un brano che, anche questo, diverrà uno dei più amati e richiesti durante i loro live. Ne segue Making Friends, dove l’hardcore melodico viene leggermente accantonato, dando però più visibilità ad un sound nel quale la sezione ritmica prende il sopravvento; la mancanza di Derrick Plourde alle bacchette si fa sentire, ma va anche detto che il buon Dave Raun (nel suo curriculum mostra presenze nei Me First On The Gimme Gimmes, Rich Kids On LSD e Good Riddance, di certo nomi non di basso rilievo) mette il suo marchio in maniera netta e decisa.

Il sound riacquista quella velocità ed impatto in Unfurnished e Today e con One Thing To Live sterza nuovamente verso lidi più melodici grazie, anche in questo caso, ad una intro lenta composta dal binomio voce-chitarra acustica. Le dodici tracce, per un totale che supera di poco la mezz’ora, scorrono che è un piacere, attraverso le note ed il sound semplice e diretto di Smile, passando per la melodia a tratti leggera di Twenty-Seven, fino a To All My Friends, brano che sentenzia la chiusura di questo disco. Double Pladinium, come già anticipato, prosegue il percorso che i Lagwagon intrapresero con Duh! cinque anni prima. Il sound rimane sempre quell’ottimo mix tra potenza e melodia, che solo un gruppo come il loro, e pochi altri, sono riusciti, e riescono ancora oggi, a proporre in maniera semplice quanto piacevole. Un disco che, a tratti, forse manca di quel pizzico di mordente, ma ripetiamo l’assenza di Plourde dietro le pelli era inevitabile che non avesse ripercussioni sul loro sound. Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad un altro buonissimo lavoro.

Dopo la pubblicazione di Double Pladinium vi fu un altro cambiamento nella line-up: il chitarrista Ken Stringfellow lasciò, e fu sostituito da Chris Rest, anch’esso proveniente dai Rich Kids On LSD, ed un anno dopo, ovvero quasi a fine 1998, i Lagwagon pubblicarono Let’s Talk About Feelings, quinto loro disco, di cui parleremo prossimamente.

Autore: Lagwagon Titolo Album: Double Plaidinum
Anno: 1997 Casa Discografica: Fat Wreck Chords
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 7,5
Tipo: CD

Sito web: http://www.lagwagon.com

Membri band:

Joey Cape – voce

Chris Flippin – chitarra

Ken Stringfellow – chitarra

Jesse Buglione – basso

Dave Raun – batteria

Tracklist:

  1. Alien 8
  2. Making Friends
  3. Unfurnished
  4. One Thing to Live
  5. Today
  6. Confession
  7. Bad Scene
  8. Smile
  9. Twenty-Seven
  10. Choke
  11. Failure
  12. To All My Friends
Category : Recensioni
Tags : Hardcore, Lagwagon
0 Comm
04th Feb2015

Sixtoys – Copy Paste & Repeat

by Piero Di Battista

Sixtoys - Copy Paste & RepeatSiamo nel 2003, anno di pubblicazione di Copy Paste & Repeat, primo EP dei Sixtoys, band belga formatasi nel 1998 che, prima di quest’uscita, aveva pubblicato due demo: Sixtoys nel 1999 e Ten To Six nel 2001. Mentre al di fuori del Benelux erano ancora quasi del tutto sconosciuti, nel loro paese avevano già riscontrato un discreto successo tra i seguaci del genere proposto, ovvero l’hardcore melodico. I Sixtoys sono quattro ragazzi nati tra l’80 e l’82 e tra loro possiamo trovare anche una presenza femminile: la chitarrista e seconda voce Hannelore, cosa non facile da trovare in una punk band. Il loro genere varia tra il punk rock e l’hardcore melodico, proposto in maniera aggressiva, veloce, chiara nei vocalizzi e discreta tecnica strumentale, una miscela di doti che fa risaltare sia il disco nel complesso che quasi ogni singola canzone. Il disco si apre con Break Out; un intro con riff di chitarra quasi metal per poi diventare un trascinante hardcore melodico dove il ritornello e interamente cantato dalla già citata chitarrista Hannelore. Dopodiché si passa alla velocità dirompente di The End, seguita dai riff graffianti e la voce coinvolgente del vocalist Jelle nella terza traccia The Pollution e il punk-core melodico di Lost And Found.

La traccia che fa scendere decisamente il livello di questo disco è la sesta, ovvero Dalton Lullabies, pezzo interamente strumentale realizzato con basso-tuba, chitarra e charlestone. Chiude questo EP la notevole Same Direction, dove la prima e la seconda voce del gruppo si alternano e in cui è possibile notare la buona tecnica alle bacchette del batterista Pietre e del bassista Peter, creando così un sound molto coinvolgente alternando velocità a ritmi più bassi rimanendo discretamente aggressivi. In conclusione, Copy Paste & Repeat fu un buon lavoro, una pubblicazione che certamente puntava il suo sguardo agli amanti di questo stile. I Sixotys erano una buonissima band, una delle poche nate nel Vecchio Continente, peccato che furono parecchio sottovalutati, e di conseguenza ebbero una breve carriera, dando vita soltanto a due full-lenghts.

Autore: Sixotys Titolo Album: Copy Paste & Repeat
Anno: 2003 Casa Discografica: Craze Records
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 7
Tipo: EP Sito web: https://myspace.com/sixtoys
Membri band:

Jelle Janse – voce, chitarra

Hannelore Verstappen – chitarra

Peter Mulders – basso

Pieter Daems – batteria

Tracklist:

  1. Break Out

  2. The End

  3. The Pollution

  4. Lost And Found

  5. Last Time I Saw You

  6. Dalton Lullabies (Tuba Inferno)

  7. Same Direction

Category : Recensioni
Tags : Hardcore
0 Comm
01st Feb2015

Lagwagon – Hoss

by Piero Di Battista

Lagwagon - HossIl racconto sulla discografia dei Lagwagon non conosce soste. Dopo aver raccontato ottimi dischi come Duh! e Trashed, prime due uscite della band californiana, facciamo un altro passo indietro nel tempo, arrivando nel 1995. In quel periodo ci fu una vera e propria esplosione dell’hardcore melodico di matrice californiana, esplosione causata ovviamente anche dai Nostri che, contribuirono ulteriormente alla crescita di visibilità del genere, rilasciando Hoss, loro terzo disco, e indubbiamente uno dei migliori prodotti discografici di quel genere. Hoss, nome tratto da un personaggio di “Bonanza”, telefilm americano trasmesso negli anni 60-70, esce verso la fine del 1995, sempre tramite Fat Wreck Chords, e propone quattordici nuovi brani all’insegna dell’hardcore melodico allo stato puro. La partenza è all’insegna del piede schiacciato sull’acceleratore; Kids Don’t Like To Share e la seguente Violins, quest’ultima indubbiamente tra i brani più significati e rappresentativi dei Lagwagon, mostrano chiaramente il percorso che Hoss andrà a mostrarci. La melodia, anche in questa occasione, funge da ottimo contorno al sound diretto quanto veloce dei Lagwagon ed anche qui la band tende a mettere in mostra le capacità tecniche di membri della band, soprattutto per ciò che riguarda la sezione ritmica con Derrick Plourde alle bacchette che ancora una volta conferma d’essere uno dei migliori batteristi nell’ambito punk hardcore.

Il disco prosegue con l’inconfondibile giro di basso di Move The Car, con la più sostenuta Rifle, passando per un brano come Bombs Away, destinato con il tempo a divenire uno dei cavalli di battaglia della band di Santa Barbara. L’hardcore melodico resta dunque il genere dominante, e Joey Cape e soci lo propongono in maniera ineccepibile, anche in modalità leggermente più scanzonata (Bro Dependent), o lasciando molto più spazio alle tinte melodiche, come si nota chiaramente in Shaving Your Head e Ride The Snake, pezzi che metto il punto conclusivo ad Hoss. Hoss fu, ed è a tutt’oggi, un disco che per certi tratti rasenta il limite della perfezione; è un album in cui l’attitudine dei Lagwagon verso questo stile tende a mostrarsi in maniera ancor più evidente di quanto abbiamo potuto notare coi due precedenti lavori.

Con Hoss quindi i Lagwagon raggiunsero il massimo delle loro capacità, realizzando un disco che influenzerà parecchio la scena di quel periodo. Dopo il rilascio del disco, vi furono due cambiamenti nella formazione: il batterista Derrick Plourde lasciò la band, sostituito da Dave Raun (ex-Rich Kids On LSD), mentre il nuovo chitarrista Ken Stringfellow prese il posto di Shawn Dewey. Con questi cambiamenti la band pubblicò nel 1997 Double Pladinium, quarto loro disco, di cui parleremo prossimamente.

Autore: Lagwagon Titolo Album: Hoss
Anno: 1995 Casa Discografica: Fat Wreck Chords
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 8,5
Tipo: CD

Sito web: http://www.lagwagon.com

Membri band:

Joey Cape – voce

Chris Flippin – chitarra

Shawn Dewey – chitarra

Jesse Buglione – basso

Derrick Plourde – batteria

Tracklist:

  1. Kids Don’t Like To Share

  2. Violins
  3. Name Dropping
  4. Bombs Away
  5. Move The Car
  6. Sleep
  7. Sick
  8. Rifle
  9. Weak
  10. Black Eyes
  11. Bro Dependent
  12. Razor Burn
  13. Shaving Your Head
  14. Ride The Snake
Category : Recensioni
Tags : Hardcore, Lagwagon
0 Comm
28th Gen2015

No Use For A Name – All The Best Songs

by Piero Di Battista

No Use For A Name - All The Best SongsNel 2007 i No Use For A Name giunsero al ventesimo anniversario della loro carriera, una carriera nella quale la band di Sunnydale (California) ha realizzato diversi dischi, ed ha avuto una rilevante importanza per la scena hardcore melodica degli anni 90 grazie ad ottimi dischi, tra cui soprattutto Leche Con Carne! (1995), e grazie anche all’ausilio di Fat Mike e della sua etichetta Fat Wreck Chords. C’è da dire anche che da More Betterness (1999) i californiani hanno preso una svolta verso sonorità molto più melodiche e leggere, che si discostano abbastanza dai loro primi dischi, comunque di qualità superiore alle ultime uscite. La Fat Wreck Chords omaggiò dunque i No Use For A Name con una raccolta contenente ventiquattro brani, più due pezzi inediti. In questo sunto della loro storia, intitolato semplicemente All The Best Songs, viene ripercorsa la loro carriera musicale, a partire dall’EP The Daily Grind (1993) dal quale vengono ripescate Permanent Rust, Feeling The Fire e la titletrack The Daily Grind. Naturalmente anche il già citato Leche Con Carne! viene giustamente ed inevitabilmente ricordato, grazie all’inserimento nella tracklist delle indimenticabili Soulmate, Fatal Flu, Justified Black Eye, Straight From The Jacket ed Exit; è il disco da dove vengono tratti più pezzi (cinque) a pari merito con More Betterness, dal cui si possono riascoltare, tra le altre, apprezzabili brani come Coming Too Close, Life Size Mirror e la ballad Let It Slide.

Ovviamente anche un buon disco come Making Friends non può essere ignorato; quattro pezzi sono tratti da quest’album uscito nel 1997 tra i quali spicca l’ottima Invincibile. Dall’ultimo loro lavoro da studio, prima dell’uscita di questa raccolta, Keep Them Confused (2005) vengano solo pescati tre brani tra i quali il singolo For Fiona. Come già detto, la tracklist si conclude con due brani inediti: History Defeats, in pieno stile melody-core che sarebbe calzata a pennello nel disco Hard Rock Bottom, e la conclusiva Stunt Double che, con il suo intro lento, e conseguenti ritmiche melodiche appare come uno “scarto” di Keep Them Confused, inediti sì, ma non più di tanto dato che non appaiono certamente pezzi memorabili.

All The Best Songs fu una raccolta che, ancora oggi, omaggia pienamente la band californiana. E’ un “best of” che inevitabilmente lascia un ottimo ricordo verso chi ha amato e, ancora oggi, soprattutto dopo la morta del cantante Tony Sly, avvenuta nel 2012, ama questo gruppo. Al momento li ricordiamo con questa semplice raccolta, in futuro non mancheremo di ripercorrere la loro carriera, raccontando i loro dischi, dagli esordi, fino alla drammatica conclusione.

Autore: No Use For A Name

Titolo Album: All The Best Songs

Anno: 2007 Casa Discografica: Fat Wreck Chords
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.nouseforanamemusic.com
Membri band:

Tony Sly – voce, chitarra

Chris Shiflett – chitarra

David Nassie – chitarra

Rory Pfefer – chitarra

Steve Papoutsis – basso

Matt Riddle – basso

Rory Koff – batteria

Tracklist:

  1. International You Day
  2. Justified Black Eye
  3. Coming Too Close
  4. Invincible
  5. Dumb Reminders
  6. Fatal Flu
  7. Life Size Mirror
  8. On The Outside
  9. Soulmate
  10. Let Me Down
  11. Permanent Rust
  12. Chasing Rainbows
  13. Not Your Savior
  14. Black Box
  15. The Answer Is Still No
  16. Straight From The Jacket
  17. Any Number Can Play
  18. For Fiona
  19. The Daily Grind
  20. Let It Slide
  21. Feeding The Fire
  22. Part Two
  23. Growing Down
  24. Exit
  25. History Defeats (inedita)
  26. Stunt Double (inedita)
Category : Recensioni
Tags : Hardcore
0 Comm
25th Gen2015

Lagwagon – Trashed

by Piero Di Battista

Lagwagon - TrashedRiprendiamo il nostro cammino lungo la discografia dei Lagwagon, nome altisonante per quanto riguarda l’attuale scena hardcore melodica made in California, tra l’altro freschi del ritorno con un nuovo disco, Hang, del quale abbiamo parlato poco tempo fa a questa pagina. Ma facciamo un bel passo indietro nel tempo, arrivando nei primi anni 90, più precisamente nel 1994; i Lagwagon, due anni prima, pubblicarono Duh!, loro disco di debutto, album che segnò decisamente la scena di quegli anni, essendo, come abbiamo già visto, un ottimo lavoro. Il disco di cui andremo a parlare oggi è Trashed, seconda uscita per Joey Cape e soci, pubblicato, come il precedente, dalla Fat Wreck Chords. Trashed offre tredici brani, e tutto ciò che di ottimo avevamo visto con il suo predecessore, lo ritroviamo anche in questo caso: hardcore melodico allo stato puro, realizzato con quell’attitudine, passione e devozione che solo i Lagwagon e poche altre band hanno. Il disco scorre via liscio, attraverso le sue ritmiche forsennate ma sempre condite da quel velo di melodia che va a costituire un fondamentale elemento per il sound dei cinque californiani. Sin dalle prima note dell’album, attraverso brani come Island Of Shame, Lazy o Stockin’ The Neighbors risalta subito l’indelebile marchio del combo statunitense, capaci di crearsi sin da subito una loro precisa identità.

Se Give It Back può fungere un po’ da pausa per via della sua ritmica meno sostenuta, il loro impatto sonoro non tarda a ritornare e lo fa tramite ottimi pezzi come Rust, Dis’Chords fino a Coffee And Cigarettes, brano ai limiti del capolavoro, grazie soprattutto alle bacchette magiche di Derrick Plourde, sicuramente uno dei migliori batteristi della scena punk hardcore. Come in Duh!, anche in questo disco abbiamo un omaggio, o meglio una cover, che nella fattispecie si tratta di Brown Eyed Girl, brano di Van Morrison che i Lagwagon ripropongo, in maniera più che apprezzabile, alla loro maniera. Trashed dunque non fa altro che confermare quanto di buono i Lagwagon proposero con Duh!, un ottimo disco che, proprio per l’aggettivo assegnatogli, non merita chissà quali giri di parole discorsi con tanti fronzoli, se non il fatto che Trashed andò ad arricchire la già florida scena punk hardcore di quel periodo, periodo che segnò anche una sorta di sdoganamento di alcuni gruppi punk, come Green Day e The Offspring, verso un pubblico più mainstream.

Il disco, pur nella sua autorevolezza, venne un po’ sottovalutato anche per via di altre ottime pubblicazioni avvenute sempre nel 1994 (Let’s Go dei Rancid, e soprattutto Punk In Drublic dei Nofx), questo però non evitò il crescente interesse verso i Lagwagon, crescendo che culminò l’anno seguente, quando pubblicarono Hoss, indubbiamente il loro miglior disco.

Autore: Lagwagon Titolo Album: Trashed
Anno: 1994 Casa Discografica: Fat Wreck Chords
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 8
Tipo: CD

Sito web: http://www.lagwagon.com

Membri band:

Joey Cape – voce

Chris Flippin – chitarra

Shawn Dewey – chitarra

Jesse Buglione – basso

Derrick Plourde – batteria

Tracklist:

  1. Island Of Shame
  2. Lazy
  3. Know It All
  4. Stokin’ The Neighbors
  5. Give It Back
  6. Rust
  7. Goin’ South
  8. Dis’chords
  9. Coffee And Cigarettes
  10. Brown Eyed Girl

  11. Whipping Boy
  12. No One
  13. Bye For Now
  14. Mama Said Knock You Out

Category : Recensioni
Tags : Hardcore, Lagwagon
0 Comm
31st Dic2014

Sun Eats Hours – The Last Ones

by Piero Di Battista

Sun Eats Hours - The Last OnesNel 2005 non erano molte le band italiane che godevano di un discreto successo fuori dai nostri confini e tra questi pochi gruppi di certo c’erano i Sun Eats Hours (oggi The Sun). Prima di parlare di The Last Ones, disco che i Sun Eats Hours pubblicarono nel 2005 tramite Rude Records, occorre fare un piccolo cenno biografico per chi non li conoscesse. Loro provengono dalla provincia di Vicenza, zona che ha dato i natali ad altri noti gruppi punk, Derozer su tutti. Si sono formati nel 1997 e il loro nome è la traduzione di un detto Veneto che sta a significare di non sprecare il tempo che ti è stato dato, infatti questi quattro veneti seguono l’esempio dato da questa frase realizzando dalla loro nascita, tre ottimi dischi, compreso questo di cui parleremo. The Last Ones contiene quattordici brani ed il filo conduttore di questo lavoro è un punk/hardcore melodico coinvolgente ai massimi livelli, abbastanza scanzonato e graffiante al punto giusto. Rispetto ai dischi precedenti i vicentini strizzato un poco di più al classico rock in alcuni punti tipo in brani come The Level e July 27th, anche se in quest’ultimo la vena punk si fa comunque notare.

Il disco si apre alla grande con due brani di notevole impatto esattamente in stile Sun Eats Hours: Now, Again e Prophet sono entrambe ottime canzoni, indubbiamente tra le migliori di questo full-length. L’uscita del disco è stata anticipata dal singolo di lancio Endless Desire, ottima per promuovere il disco essendo un pezzo di notevole impatto già al primo ascolto. Rispetto a Will e Turn All Over, dischi rispettivamente usciti nel 2002 e 2003, i Sun Eats Hours si evolvono anche nella stesura dei testi, che risultano molto meno banali ma soprattutto toccano diversi argomenti. Anche dal punto di vista tecnico appaiono più maturi e la voce di Francesco si conferma tra le migliori in circolazione. Il disco si chiude con l’ottima The Day I Die, brano tipico per l’hardcore melodico che ci fa capire che questo è un genere che volendo si può creare anche da noi senza scopiazzare band più note made in U.S.A.; dopo un paio di minuti di silenzio I Sun Eats Hours ci regalano in questo disco un brano tratto da un concerto realizzato in Francia.

Con questo disco i Sun Eats Hours si dimostrarono una delle miglior punk band europee ed, a livello qualitativo, di gran lunga superiori a gruppi molto più pubblicizzati. Nel 2010 la band intraprese una nuova strada, cambiò il nome in The Sun e con un radicale cambiamento di tematiche, e con la scoperta della fede, iniziarono a rivolgersi ad un pubblico totalmente diverso da quello che seguiva i Sun Eats Hours. Non entriamo in merito a questo cambiamento dato che trattasi di questioni private su cui comunque la band veneta ha dato spiegazioni; ciò non toglie minimamente il fatto che i Sun Eats Hours rimangono una delle più importanti realtà dell’hardcore melodico nostrano.

Autore: Sun Eats Hours Titolo Album: The Last Ones
Anno: 2005 Casa Discografica: Rude Records
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.thesun.it
Membri band:

Francesco Lorenzi – voce, chitarra

Gianluca Menegozzo – chitarra

Matteo Reghelin – basso

Riccardo Rossi – batteria

Tracklist:

  1. Now, Again

  2. Prophet

  3. The Last Ones

  4. The Level

  5. July, 27th

  6. 2004

  7. Endless Desire

  8. Dull Minds

  9. Sucker

  10. Letters To Lucilio

  11. Enigma

  12. Cracked Circle

  13. My Prayer

  14. The Day I Die

Category : Recensioni
Tags : Hardcore
0 Comm
22nd Dic2014

Lagwagon – Hang

by Piero Di Battista

Lagwagon - HangLagwagon. Un nome di certo altisonante per quanto riguarda l’hardcore melodico made in California, e nome che ha portato in alto questo genere, soprattutto nella seconda metà degli anni 90 quando, anche da noi, vi fu l’esplosione di uno stile che ancora oggi occupa una sostanziosa fetta di appassionati. I Lagwagon tornano dopo quasi dieci anni con un disco da studio. L’ultimo loro lavoro uscì nel non più vicino 2005 (Resolve), ed in questi anni, pur non pubblicando nessun full-lenght, non sono comunque rimasti con le mani in mano, soprattutto il leader e cantate Joey Cape, che si è dedicato ad altri buonissimi progetti musicali, tra i quali spiccano le collaborazione con Tony Sly, ex-cantante dei No Use For A Name, deceduto nel 2012 e grande amico del nostro Joey. Nel frattempo, esattamente nel 2010, ci fu una variazione nella formazione: lo storico bassista Jesse Buglione lasciò la band, e fu sostituito da Joe Raposo, proveniente dai Rich Kids On LSD. Ci occupiamo ora di Hang, nuovo disco dei Lagwagon, pubblicato tramite Fat Wreck Chords (etichetta di proprietà di Fat Mike, leader dei Nofx) e legittimamente uno dei dischi più attesi di quest’anno, vuoi per le indiscusse qualità della band, e vuoi per i molti anni passati dalla loro ultima pubblicazione.

Hang offre dodici brani, ma soprattutto regala ai fan dei Lagwagon e a chi apprezza questo genere un disco davvero destinato a far scuola: hardcore melodico allo stato puro, ritmiche sostenute, a tratti incessanti, chitarre che accompagnano il tutto e vena melodica vistosamente pulsante. Il disco scorre piacevolmente, emoziona anche quando il sound diventa un po’ più pesante come nei casi di Make A Broken Parts o The Cog In The Machine. La magia e l’intensità emotiva non mancano, sin dalla breve open-track Burden Of Proof, realizzata con il binomio Joey Cape più chitarra acustica, e tale intensità emotiva ha il suo apice in One More Song, brano che Joey dedica all’amico Tony Sly, pezzo di un’intensità davvero indescrivibile, ascoltare per credere. Nel corso dell’ascolto ci si imbatte anche in momenti in cui i Lagwagon sembrano tornati indietro di qualche anno, e Burning Out In Style e Drag ne sono gli esempi più lampanti. Non mancano lati più rock (Western Settlements) o leggermente più cupi (You Know Me), fino ad arriva alla meravigliosa In Your Wake, brano all’insegna del più concreto concetto di hardcore melodico, che sancisce nel migliore dei modi la conclusione di questo disco.

Al primo ascolto di Hang la cosa istintiva che viene da fare è di urlare un “welcome back” e di accoglierli a braccia aperte. Quando ci si trova davanti ad un disco così, che nel suo genere risulta completo in ogni aspetto, diventano inutili descrizioni, valutazioni oggettive o altre maniere di decantare un album che tende alla perfezione, quindi da aggiungere rimane poco altro. Per quanto riguarda il genere, è indubbiamente il miglior disco di questo 2014. In ogni caso un bel “bentornati”, seppur riduttivo come termine, glielo diamo comunque. I Lagwagon dimostrano che l’attesa, seppur lunga, è stata ampiamente ripagata. Ora manca solo da attendere qualche mese, fino al prossimo aprile, quando saranno protagonisti di tre concerti qui in Italia, e noi non mancheremo.

Autore: Lagwagon Titolo Album: Hang
Anno: 2014 Casa Discografica: Fat Wreck Chords
Genere musicale: Hardcore melodico Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.lagwagon.com
Membri band:

Joey Cape   – voce

Chris   Flippin – chitarra

Chris   Rest – chitarra

Joe   Raposo – basso

Dave Raun – batteria

Tracklist:

  1. Burden Of Proof
  2. Reign
  3. Made Of Broken Parts
  4. The Cog In The Machine
  5. Poison In The Well
  6. Obsolete Absolute
  7. Western Settlements
  8. Burning Out In Style
  9. One More Song
  10. Drag
  11. You Know Me
  12. In Your Wake
Category : Recensioni
Tags : Hardcore
0 Comm
Pagine:«1...678910111213»
« Pagina precedente — Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • At First – Deadline
    • Rainbow Bridge – Unlock
    • Typhus – Mass Produced Perfection
    • Hybridized – Hybridized
    • Methodica – Clockworks
  • I Classici

    • Quiet Riot – Alive And Well
    • Pallas – XXV
    • Offlaga Disco Pax – Socialismo Tascabile (Prove Tecniche Di Trasmissione)
    • Mountain – Masters Of War
    • King’s X – XV
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Marillion Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in