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23rd Apr2019

Avenged Sevenfold – Waking The Fallen

by Matteo Pasini
Dopo l’esordio discografico con Sounding The Seventh Trumpet, avvenuto nel 2002 e recensito a questa pagina, gli Avenged Sevenfold iniziano una serie di tour che li porta in giro per gli States e li fa conoscere sempre di più. E così nel 2003, dopo aver firmato per la nuova etichetta Hopeless Records e introdotto al basso il nuovo membro Johnny Christ, che subentra a Daemon Ash, esce infatti Waking The Fallen. Questo album è il momento della svolta artistica della band statunitense che crea un lavoro che si diversifica in maniera netta dal precedene, partendo dale linee vocali decisamente più equilibrate, dove M.Shadows alterna in maniera impeccabile clean e growl, e proseguendo con una struttura melodica costruita con accuratezza e precisione. La partenza è piutosto dark con la titletrack Waking The Fallen, un brano oscuro, compassato e quasi irreale, ma accelera improvvisamente con Ubholy Confession, singolo che ha prceduto l’uscita stessa, dove si iniziano ad intravedere le capacità di The Rev dietro le pelli, che dà un tocco di particolarità al tutto, così come in Chapter Four, probabilmente il brano che più incarna l’essenza del metalcore di quegli anni: ritmi serrati alla batteria, chitarre pirotecniche di contorno e una linea vocale che parte melodica per poi cimentarsi in grida a squarciagola.

L’alchimia sonora che si è creata all’interno della band è ormai a prova d’udito, e viene certificata da pezzi come Second Heartbeat e Radiant Eclipse, nei quali si avverte un’esecuzione corale di tutto rispetto e delle dinamiche che fanno presagire a cambiamenti improvvisi e scattanti, in grado di mantenere alta la soglia d’attenzione dell’ascoltatore. I Won’t See You Tonight è una traccia divisa in due parti e la si può raffigurare come le due facce della stessa medaglia: nella prima ci si tuffa in una ballad dall’ambientazione malinconica e a tratti gotica, dove un pianoforte struggente si alterna a chitarre a tinte epiche. Nella seconda i nostri ci rivegliano dal torpore con un sound più irrobustito e potente, sostenuto dale chitarre che si prendono la scena.

Gli A7X riescono, in poco più di un anno, ad amalgamare tutte le influenze musicali che avevano cercato di far convergere nel loro primo lavoro, che però risultò abbastanza grezzo, per crearne uno che riuscirà a lanciarli definitivamente verso il successo.

Autore: Avenged Sevenfold Titolo Album: Waking The Fallen
Anno: 2003 Casa Discografica: Hopeless Records
Genere musicale: Metalcore Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://avengedsevenfold.com/
Membri band:
M.Shadows – voce
Synyster Gates – chitarra, pianoforte
Zacky Vengeance – chitarra
Johnny Christ – basso
The Rev – batteria e percussioni
Tracklist
1. Waking the Fallen
2. Unholy Confessions
3. Chapter Four
4. Remenissions
5. Desecrate Through Reverence
6. Eternal Rest
7. Second Heartbeat
8. Radiant Eclipse
9. I Won’t See You Tonight Part 1
10. I Won’t See You Tonight Part 2
11. Clairvoyant Disease
12. And All Things Will End
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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16th Apr2019

Avenged Sevenfold – Sounding The Seventh Trumpet

by Matteo Pasini
Gli Avenged Sevenfold sono una delle più discusse e chiacchierate band del nuovo millennio, pionieri della scena metalcore che ha conquistato le nuove generazioni. La band, fondata da M. Shadows insieme al compagno di classe The Rev e all’amico Zacky Vengeance, fa il proprio esordio discografico nel 2001, con Sounding The Seventh Trumpet mostrava le potenzialità e la voglia di emergere dei ragazzi californiani, che cercarono di amalgamare le loro influenze in unico disco. Un lavoro che però riuscì solo in parte, poiché al netto di voler esaltare l’attitudine punk miscelata alla componente hardcore, rimarcata dalla batteria che viaggiava a mille all’ora e dalle contaminazioni panteriane che provano ad appesantire il sound con un groove più potente e massiccio, le idee del quintetto sono però ancora acerbe e discontinue. Questo testimoniato dalla confusione che si crea nell’accavallare tutti questi generi così diversi ma allo stesso tempo così vicini se mixati nel modo giusto. Nelle dodici tracce che compongo l’album la voce di M. Shadows è cattiva e arrogante, improntata su un canto in screamo per gran parte dell’album, tecnica che gli costerà cara durante il proseguo della carriera, ma che calza a pennello con le intenzioni della band.

Quindi, per chi ha conosciuto gli A7X in una fase più avanzata, rimarrà sorpreso nell’ascoltare brani come Turn the Other Way e We Come Out At Night che evidenziano il mood aggressivo e sfacciato della band, tipico di quei ventenni che vogliono azzannare il Mondo e dimostrare il loro valore con ferocia e determinazione. C’è però spazio per parti decisamente più melodiche come Warmness On The Soul, dove pianoforte e chitarra strappalacrime vanno in sostegno a M. Shadows in una delle sue rare apparizioni totalmente in clean. Seppur, come detto poco fa, le abilità tecniche non fossero ancora eccelse, riuscirono comunque a catturare le attenzioni di una label pronta a produrre il disco, la Good Life Recordings, la prima a credere nel potenziale di questi ragazzi e, a vedere i risultati futuri, non avendo affatto torto.

Può essere quindi considerato l’apripista ufficiale dei californiani ma che certo non verrà ricordato come il migliore della carriera visto l’evidente squilibrio con il quale hanno voluto gestire questa startup.

Autore: Avenged Sevenfold Titolo Album: Sounding The Seventh Trumpet
Anno: 2001 Casa Discografica: Good Life Recordings
Genere musicale: Metalcore Voto: 5,5
Tipo: CD Sito web: http://avengedsevenfold.com/
Membri band:
Matthew Shadows – voce
Zacky Vengeance – chitarra, voce
Justin Sane – basso
The Rev – batteria, voce
Tracklist:
1. To End The Rapture
2. Turn The Other Way
3. Darkness Sorrounding
4. The Art Of Subconscious Illusion
5. We Come Out Tt Night
6. Lips Of Deceit
7. Warmness On The Soul
8. An Epic Of Time Wasted
9. Breaking Their Hold
10. Forgotten Faces
11. Thick And Thin
12. Streets
13. Shattered By Broken Dreams

Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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07th Mar2019

Without Skin – Worships

by Marcello Zinno
I Without Skin sono una punk band anomala. Nella loro musica si avverte solo in alcune trame la loro appartenenza alla scena punk, alcuni passaggi ritmici, i riff sporchi e la furia tipica del genere, fattori che sicuramente contraddistinguono il sound della band e che non sono secondari nel loro stile. Ma noi facciamo fatica ad incasellarli solo nel punk, sarà l’urlato del singer che fa molto metalcore o anche i diversi cambi di tempi e di soluzioni che ci presentano questo power trio come un progetto molto più ricco rispetto alla classica band da tre accordi che alza il volume e crea una rumorosa corsa verso i “two-minute-song”. Provate ad ascoltare Walks Home With Fire, un brano che ha un tipico incedere punk ma che poi piazza degli assoli che ci ricordano la scena stoner, oppure Not Worth It uno dei brani che più di tutti si avvicina ai costrutti heavy metal e che ci colpisce davvero per potenza e stile; se questa band francese in futuro dovesse seguire questo percorso potrebbe davvero a parer nostro creare momenti di grande impatto, sia in cuffia che in sede live.

Ancora, Canal è un intermezzo ambient strumentale che crea poi un crescendo metal dall’impatto furioso, qualcosa che solo a dirla fa capire la distanza in anni luce di questo progetto da una tipica punk band. Non mancano i momenti più punk-oriented come Regression o The Uprising ma anche in questi brani ci sono stacchi e cambi di direzione che aprono la band a diversi stili e denotano una creatività musicale che assolutamente non può essere rinchiusa solo in questo genere. È nei momenti che abbiamo evidenziato prima che secondo noi si cela il vero valore di questo progetto, una band che se procederà sul solco del metal incluso in questo primo vero album creerà dei brani davvero entusiasmanti. La band si sta evolvendo e noi siamo curiosi di scoprire quale direzione imboccherà.

Autore: Without Skin Titolo Album: Worships
Anno: 2019 Casa Discografica: Les Disques du Hangar 221
Genere musicale: Metalcore, Heavy Metal, Punk Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://without-skin.bandcamp.com
Membri band:
Romain Neveu – chitarra, voce
Gabriel Fritsch – basso, voce
Marc Raas – batteria
Tracklist:
1. Left Behind
2. Belong / Behave
3. Walks Home With Fire
4. Old Knives
5. Not Worth It
6. Canal
7. Regression
8. The Uprising
9. Falling Free
10. Black Sun
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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05th Feb2019

Codename: Delirious – The Great Heartless

by Marcello Zinno
Il bello del metalcore è che a differenza di altri generi molto più netti (si pensi al black metal o al punk) vive di mille sfumature diverse, ogni band che segue questo filone cerca infatti di offrirne un’interpretazione personale. Certo, negli anni del pieno successo commerciale di questo genere è nato un calderone enorme in cui finivamo formazioni che alla ricerca dei grandi numeri proponevano soluzioni tutte simili, ma vi sono state anche realtà che si sono messe in gioco. A noi i Codename: Delirious hanno ricordato più movimenti nu metal che per primi inserivano sonorità elettroniche, dj ed effetti particolari in pattern decisamente metal, che non formazioni metalcore dure e pure. Il chorus di RyoLeon o le strofe di Chissà ci hanno riportati agli anni in cui ci sgolavamo sotto le grandi hit dei Linkin Park, ma c’è da dire che l’imprinting di altri momenti del loro album d’esordio risulta decisamente più metal. Proprio Chissà ci sembra un brano molto completo che presenta ottimamente il sound della band, quindi se volete avere un’idea dei Codename: Delirious partite da qui; ma se siete alla ricerca di un brano per le vostre playlist allora optate per He Gotta Know The Name che con voci clean, suoni pomposi e ritmi non veloci vi conquisterà.

La vena elettronica arriva decisa in brani come Dr. Braun: ciò che ci piace di questo combo è che l’elettronica è sempre al servizio di una modernizzazione del sound, mai invece si corre il rischio che essa trasformi la band in una realtà sperimentale o avanguardistica; la matrice metal si fa sentire e l’elettronica è al servizio di questa, non l’inverso. Non a caso vogliamo evidenziare un momento ancora più deciso, si tratta di Lost At Sea, un pezzo in cui le linee vocali in alcuni frangenti sembrano inseguire un Corey Taylor di matrice Slipknot mentre i riff costruiscono l’ossatura portante fatta di metalcore.

Un buon album, nulla che faccia gridare al miracolo ma una intrigante variazione al tema classico del metalcore internazionale.

Autore: Codename: Delirious Titolo Album: The Great Heartless
Anno: 2018 Casa Discografica: Agoge Records
Genere musicale: Metalcore, Elettronica Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/CodenameDelirious/
Membri band:
Omar Petrucci – voce
Dario Frascati – chitarra
Marco Catanzaro – basso
Cristian Rivera – batteria
Luca De Vecchi – consolle
Tracklist:
1. Act so Tough
2. RyoLeon
3. Dr. Braun
4. Chissà
5. Lost At Sea
6. Love Song
7. Worst Of Me
8. He Gotta Know The Name
9. Bridge Over Alpa-Z
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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04th Feb2019

Bring Me The Horizon – Sempiternal

by Margherita Balzerani
Sempiternal, dal titolo breve ed incisivo (soprattutto se confrontato con il suo predecessore), è il quarto album dei Bring Me The Horizon e rappresenta una svolta all’interno della loro carriera. Evidentemente il quintetto di York sentiva l’esigenza di cambiare ed inizia a farlo proprio da qui, con una graduale transizione che li porterà al genere più melodico e commerciale delle opere future. Come di consueto, l’album è unitario, sia per l’atmosfera sonora che per le tematiche trattate nei testi. Ciò che invece lo distingue dagli altri è la maggior lunghezza delle parti melodiche all’interno dei pezzi, nonché l’introduzione di brani privi di scream o growl, base fondamentale della sopracitata trasformazione. Con sonorità ben diverse da ciò che suggerisce il simbolo indiano sulla copertina, il disco inizia con Can You Feel My Heart, uno dei brani migliori, con un ritmo potente e ripetitivo creato dai suoni elettronici ed un testo di disperato amore urlato in maniera così convincente da rendere partecipi del dolore espresso tutti gli ascoltatori. Un altro pezzo efficace, in particolare dal vivo, è Empire (Let Them Sing), un inno da intonare con le mani alzate nella corale risposta alle parti del cantante.

Vi è poi una serie di canzoni metalcore simili a quelle del loro precedente repertorio, con strofe canoniche e ritmi già sentiti, rese però più distinguibili dai ritornelli orecchiabili (Go To Hell For Heaven’s Sake) e a volte rese adatte ad un pubblico più ampio tramite una maggior lentezza e semplicità nei suoni (Sleepwalker). Abbiamo infine due brani, che si discostano da ciò con un’insolita sperimentazione, il cui uso dell’elettronica è riconducibile ad atmosfere più industrial, accompagnate però dal cantato roco e potente che caratterizza Oliver Sykes non solo in questo periodo. And The Snakes Start To Sing è una suggestiva immersione emotiva in un clima etereo e sospeso che mantiene però il suo carattere inquieto e oscuro, quasi come nei brani doom. La celeberrima Hospital For Souls chiude invece il disco eguagliando il livello dell’apertura, chiude il cerchio con l’efficace contrasto fra le parti sussurrate su una base quasi silenziosa e le rabbiose urla che esplodono insieme ai ritmi duri e assordanti.

Fra l’introspezione dei testi, pieni di sentimenti ed emozioni negative da smuovere nell’inconscio, e le melodie originali, Sempiternal si snoda per i suoi 45 minuti come un album di alto livello a cui però manca il coraggio di entrare a far parte di quel genere che segnerà la nuova gioventù del rock, in cui i labili confini con il metal e l’elettronica diventeranno quasi inesistenti, creando un insieme unitario e coerente. Tutto sommato è buon disco di passaggio, al centro fra consuetudine ed innovazione.

Autore: Bring Me The Horizon Titolo Album: Sempiternal
Anno: 2013 Casa Discografica: Sony
Genere musicale: Metalcore Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.bmthofficial.com/
Membri band:
Oliver Sykes – voce
Lee Malia – chitarra, cori
Matt Kean – basso
Matt Nicholls – batteria e percussioni
Jordan Fish – tastiera, synth, cori

Special guest:
Immanu El – cori
Tracklist:
1. Can You Feel My Heart
2. The House Of Wolves
3. Empire (Let Them Sing)
4. Sleepwalking
5. Go To Hell For Heaven’s Sake
6. Shadow Moses
7. And The Snakes Start To Sing
8. Seen It All Before
9. Antivist
10. Crooked Young
11. Hospital For Souls
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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22nd Gen2019

Zero – Waves Of Griefs, Seas Of Regrets

by Marcello Zinno
La band Zero è italiana solo sulla carta di identità. Nel loro sound, presentato con evidenza dall’album Waves Of Griefs, Seas Of Regrets, c’è una profonda matrice metalcore di stampo americano, una produzione curata anche se non ineccepibile e dei riff di chitarra precisi nella loro esecuzione ma ruvidi ne suoni, per rimarcare lo stampo metal e a tratti anche un po’ alternative metal. Particolari anche le partiture ritmiche che propongono cambi continui in diversi momenti (come in Before You Judge) in alcuni tratti sfiorando il prog-core ed esaltando le doti tecniche del combo che comunque non eccedono mai in esaltazione stilistica ma restano ancorate ad una forma canzone che in diversi momenti fa bella mostra attraverso i buoni chorus. Anche il growling resta fedele alla matrice metalcore, non è mai troppo profondo ma non cede ad influenze clean (eccetto per Future Debts), tracciando un vero e proprio marchio di fabbrica per la band. La titletrack ha dei buoni arrangiamenti che la rendono originale all’ascolto, e anche delle partiture di chitarra che si intrecciano molto bene; stesso dicasi per Choosing Oblivion; citiamo anche Goodbye, Brother Sea, il brano con più influenze djent del lotto, che presenta sul finale una tastiera che dona un interessante sapore alla traccia, segno che le idee non mancano.

Analizzate le singole componenti va vista però anche la proposta nel suo complesso, una proposta musicale comunque di impatto diretto e che si presta ad avere una buona resta a livello live (a patto che i suoni ricevano l’attenzione che meritano), ma in generale gli Zero sono ancora all’inizio dello sviluppo del loro trademark, al momento molto vicino a band di genere già sentite. Brani come The Way Through non aggiungono nulla alla scena metalcore e ci fanno sperare che il combo riesca ad affilare meglio le proprie unghia in futuro. Per il momento bene così!

Autore: Zero Titolo Album: Waves Of Griefs, Seas Of Regrets
Anno: 2018 Casa Discografica: Ghost Record Label
Genere musicale: Metalcore Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: https://www.wearezeroband.com
Membri band:
Marco Zavagnin – voce
Tommaso Corrà – chitarra
Jacopo Bidese – batteria
Matteo Nardello – basso
Tracklist:
1. Overwhelming Waves
2. Goodbye, Brother Sea
3. Before You Judge
4. Stronger Than Ever
5. The Way Through
6. Waves Of Griefs, Seas Of Regrets
7. Future Debts
8. Choosing Oblivion
9. Yearning Shores
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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04th Gen2019

Annisokay – Arms

by Massimo Volpi
L’oceano metalcore è vasto: se si considerano anche i mari e tutti gli altri specchi d’acqua, i vari sottogeneri, allora ci troviamo davanti a un territorio attualmente quasi sconfinato. Tra queste acque, nuotano anche gli Annisokay, giunti al quarto album. Arms è un buon album, soprattutto per la voce unclean di Dave Grunewald e per la violenza che raramente riesce ad essere contenuta. Il brano di apertura, Coma Blue, è solo il primo esempio. Già da Unaware, capiamo che i Nostri siano molto portati per alternanza di suoni e ritmi, come anche le due voci sanno bene duellare. Cori semplici da stadio, possibile scorciatoia verso il successo, l’album scorre fluido in modo interessante, portando via con la sua potenza tutti i possibili ostacoli, proprio come un mare agitato, ma non in tempesta. Già perché gli Annisokay sanno bene cosa stanno facendo, e fanno di tutto per movimentare il loro corso, non sempre riuscendoci fino in fondo. Sanno andare forte e urlare, rallentare ed essere melodici, per poi esplodere di nuovo con dei breakdown incredibili, come in Good Stories. Molte le contaminazioni, a volte pop a volte più pesanti, altre ancora di elettronica, ma tutto dosato a dovere. Il copione prosegue, in modo originale ma mai troppo vario; quasi nessun colpo di scena, ma nemmeno di sonno; segno che quella sensazione di conoscere i dosaggi sia proprio vera. Tra le altre spiccano Innocence Was Here e Humanophobia. Fino ad arrivare al featuring di Chris Fronzak degli Attila, in Private Paradise, brano vagamente hip-hop/rap, forse vera sorpresa dell’album. Chiudono One Second e Locked Out, Locked In, riprendendo un po’ il corso lasciato.

La copertina è molto suggestiva, quella modella ranicchiata su centinaia di vecchie fotografia con una pistola è un’immagine forte e allo stesso tempo delicata, che incuriosisce. Proprio come la musica al suo interno. Nel libretto, in mezzo ad altre fotografie, i testi delle canzoni scritti su fogli qua e là e le foto singole dei membri della band. Un artwork davvero ben confezionato.

Autore: Annisokay Titolo Album: Arms
Anno: 2018 Casa Discografica: Arising Empire
Genere musicale: Metalcore Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.annisokay.com/
Membri band:
Christoph Wieczorek – voce, chitarra
Dave Grunewald – voce scream
Norbert Rose – basso
Philipp Kretzschmar – chitarra
Nico Vaeen – batteria
Tracklist:
1. Coma Blue
2. Unaware
3. Good Stories
4. Fully Automatic
5. Sea of Trees
6. Innocence Was Here
7. Humanophobia
8. End of the World
9. Escalators
10. Private Paradise
11. One Second
12. Locked Out, Locked In
Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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21st Ott2018

Sink The Ship – Persevere

by Massimo Volpi

Sink The Ship - PersevereC’è uno scheletro palombaro sulla copertina di Persevere dei Sink The Ship, fresco metalcore da Cleveland, Ohio. Un’immagine simpatica che nasconde un album potente e fresco. Easy metalcore, a tratti pop, con melodie molto varie e breakdown davvero secchi, come in Out Of Here. Cinquanta minuti mai banali fortemente influenzati da band come A Day To Remember mescolati con sonorità decisamente più pop e easy listening. Una formula che sembra funzionare abbastanza bene, soprattutto nel non annoiare l’ascoltatore. Un disco facile, abbastanza immediato; non occorrono infatti molti passaggi per assimilare le canzoni; Domestic Dispute ne è l’esempio più lampante e riassume bene quello che è tutto l’album. Ben suonato, ben scritto. Un buon lavoro, consigliato agli amanti di questo genere. In Take This To Heart sono più forti le influenze pop punk, mentre la titletrack Persevere è forse il pezzo più esplosivo.

First Strike e Exposing The Hype tornano a essere più metalcore ma sempre con un buon alternare di melodia e breakdown. Chiudono The Chase, ballatona con coro finale in sfumando e una versione acustica di Domestic Dispute, piacevole anche se non necessaria. Bene Sink The Ship.

Autore: Sink The Ship

Titolo Album: Persevere

Anno: 2018

Casa Discografica: Sharptone Records

Genere musicale: Metalcore

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.sinktheshipband.com

Membri band:

Aaron Skinner – chitarra

Brandon Knerem – chitarra

Zakk Godare – basso

Colton Ulery – voce

Zac Fox – batteria

Tracklist:

  1. Second Chances

  2. Out Of Here

  3. Domestic Dispute Feat. Bert Poncet

  4. Everything Feat. Levi Benton

  5. Nail Biter

  6. Put Up Or Shut Up

  7. Persevere

  8. Trust Your Gut

  9. Strike First

  10. Exposing The Hype

  11. Deadweight

  12. Take This To Heart

  13. The Chase

  14. Domestic Dispute (acoustic)

Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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02nd Ott2018

Beartooth – Disease

by Marcello Zinno

Beartooth - DiseaseTornano i Beartooth con il loro terzo full-lenght dal titolo Disease. Anche in questo lavoro c’è condensato tutto il loro sapore statunitense, metalcore USA che arriva dritto alle orecchie e con quell’appiglio melodico (molti chorus strizzano l’occhio alle radio come quello di Fire o You Never Know) che piace sicuramente al grande pubblico. Non deve infatti ingannare il termine metalcore perché Caleb Shomo e soci si aggrappano al rock verace d’oltreoceano (inclusi rock’n’roll e glam rock) e realizzano una dozzina di tracce che si lasciano ascoltare con molto piacere, anche grazie ad una durata che resta ancorata ai 3 minuti; qua e là appaiono pattern ritmici o riffing che strizzano l’occhio al metalcore e che permettono di inserire questa band in questo filone musicale (si ascolti ad esempio Bad Listener) ma siamo lontani dal metalcore europeo o da quello decisamente più incline a sonorità estreme. Non è un caso che Disease dia una sensazione di party, spinge ad essere ascoltato ad alto volume, nonostante non sia un album ispirato a sensazioni positive, come lo stesso Shomo ha affermato in qualche intervista passata, a differenza del precedente Aggressive.

In generale Disease è comunque un album abbastanza variegato, noi apprezziamo i momenti più tirati come Manipulation o Used And Abused che restano fedeli al desiderio della band di proporre qualcosa di orecchiabile ma che spingono anche sull’acceleratore. La produzione è davvero ben curata e come detto i brani scendono giù con vero piacere.

Autore: Beartooth

Titolo Album: Disease

Anno: 2018

Casa Discografica: Red Bull Records

Genere musicale: Metalcore, Rock

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.beartoothband.com

Membri band:

Caleb Shomo – voce

Kamron Bradbury- chitarra

Zach Huston – chitarra

Oshie Bichar – basso

Connor Denis – batteria

Tracklist:

  1. Greatness Or Death

  2. Disease

  3. Fire

  4. You Never Know

  5. Bad Listener

  6. Afterall

  7. Manipulation

  8. Enemy

  9. Believe

  10. Infection

  11. Used And Abused

  12. Clever

Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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10th Set2018

Polaris – The Mortal Coil

by Massimo Volpi

Polaris - The Mortal CoilUn album metalcore. Ancora. Un altro. Vero, ma proviamo a trovare la nota positiva in questo The Mortal Coil, nuovo album dei Polaris. La rabbia. Anche se sentimento principe, spesso solo apparente, di questo genere, questo album suona davvero rabbioso. Nel cantato e nel suonato. Nonostante la composizione dei brani, apparentemente, non brillante, è un disco che sa farsi apprezzare dopo qualche ascolto. Questo potrebbe essere però un’arma a doppio taglio per la band australiana. In un’epoca dove tutto corre velocemente, non riuscire a conquistare al primo ascolto, potrebbe risultare un problema in termini di acquisizione di nuovi ascoltatori; dall’altra parte, realizzare un album meno immediato, significa aver fatto qualcosa di meno banale di altri. O forse di meno azzeccato. Questo solo il futuro ce lo dirà; e il futuro dei Polaris potrebbe davvero essere interessante.

Tra i brani, oltre all’opener Lucid, spiccano Frailty e Crooked Path. Inutile il paragone con i grandi nomi del genere; i Polaris tentano di destreggiarsi su una strada affollata, nell’ora di punta. Difficile. Non impossibile. La copertina è suggestiva; un figura umana cadente sospesa tra petali e un orologio da tasca. Orologio che compare anche negli angoli delle pagine interne; le lancette infatti segnano l’ora corrispondente al numero di pagina, ma questo lo avrò notato solo io; sono cose che i distratti non notato, proprio come detto in apertura per l’ascolto dell’intero album. S avete del tempo e vi piace il metalcore, potreste pensare di dedicarlo a questo album dei Polaris.

Autore: Polaris

Titolo Album: The Mortal Coil

Anno: 2017

Casa Discografica: Resistent Records, Sharptone Records

Genere musicale: Metalcore

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://polarisaus.com.au

Membri band:

Jamie Hails – voce

Jake Steinhauser – basso, voce

Rick Schneider – chitarra

Ryan Siew – chitarra

Daniel Furnari – batteria

Tracklist:

  1. Lucid

  2. The Remedy

  3. Relapse

  4. Consume

  5. Frailty

  6. In Somnus Veritas

  7. Dusk To Day

  8. Casualty

  9. The Slow Decay

  10. Crooked Path

  11. Sonder

Category : Recensioni
Tags : Metalcore
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