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23rd Mar2021

Royal Hunt – Dystopia

by Marcello Zinno
I Royal Hunt sono una delle tantissime band che nel corso della propria storia avrebbe meritato di più, sia per la qualità offerta sia per la prolifica discografia. Eppure, a parte qualche album classico (chi non ricorda Paradox?!) che ha garantito anche tour di un certo livello, i danesi nati nel lontano 1989 si sono mossi sempre sottotraccia, quasi relegati ad un pubblico di estimatori. Eppure il loro metal a tratti power è sicuramente all’altezza delle produzioni internazionali. È quel “a tratti” che spiega realmente il pubblico potenziale di questa band: infatti il loro metal è sicuramente molto legato alla scena heavy, ma è pur sempre retto e concepito dal loro mastermind, André Andersen, che è principalmente un tastierista! Quindi, seppur i brani dei Royal Hunt dispongano di potenti riff, non hanno sicuramente la presa chitarristica che possono avere band come Edguy (giusto per citare una formazione similare), anzi forse per questo sono più vicini agli Avantasia (in questo Dystopia li accomuna anche l’impiego di una serie molto elevata di singer, come scelta tipica di Tobias Sammet).

In una visione così orientata ai tasti neri e bianchi e meno al metal duro e puro, non può mancare una ballad romantica che prende il nome di I Used To Walk Alone (non ha nulla a che vedere con la quasi omonima song degli Helloween) con passaggi molto orchestrali oppure un altro passaggio morbido ma non acustico che avrebbe spopolato negli anni 80 e che prende il nome di Snake Eyes. Al contrario un brano metal cattivo, che propone anche dei buoni solismi dallo stile barocco, è The Eye Of Oblivion che, insieme a Hound Of The Damned, rappresentano le vette di questo lavoro: potenza, voce acuta senza eccedere, parti studiate, arrangiamenti di classe…il mercato tedesco ha davvero sete di questo stile. Nel complesso quindi un album che piacerà ai tradizionalisti del metal continentale europeo, soprattutto in alcune tracce; in generale Dystopia è consigliato a chi ama il metal classico e barocco di decine di artisti stranieri, stile che a nostro modesto parere in Italia ha un mercato modesto ma che fuori dal nostro continente gode di buona salute.

Autore: Royal Hunt Titolo Album: Dystopia
Anno: 2020 Casa Discografica: NorthPoint Productions, King Records
Genere musicale: Power Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.royalhunt.com
Membri band:
André Andersen – tastiere, chitarra
D. C. Cooper – voce
Andreas Passmark – basso
Jonas Larsen – chitarra
Andreas “Habo” Johansson – batteria

Special guest:
Mats Leven – voce
Mark Boals – voce
Henrik Brockmann – voce
Kenny Lubcke – voce
Alexandra Andersen – voce
Tracklist:
1. Inception ℉451
2. Burn
3. The Art Of Dying
4. I Used To Walk Alone
5. The Eye Of Oblivion
6. Hound Of The Damned
7. The Missing Page (Intermission I)
8. Black Butterflies
9. Snake Eyes
10. Midway (Intermission II)
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Power metal
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22nd Mar2021

Piqued Jacks – Synchronizer

by Gabriele Rusty Rustichelli
Straordinario viaggio musicale per i nostrani Piqued Jacks che pubblicano un album di 11 tracce registrate all’Esagono di Rubiera (studio storico dove molte grandi produzioni italiane videro la luce nei tempi d’oro) e mixate in Inghilterra in 3 studi diversi seguiti da 3 produttori artistici differenti (Brett Shaw, Dan Waller e Julian Emery). Davvero un progetto ambizioso ma ben riuscito. Ci si stupisce sempre quando si scopre che musicisti “vicini” (non si abita molto distanti) siano capaci di concentrare tanto talento in 11 canzoni e tu non li conoscevi neppure di nome (mea culpa). Ti viene da chiederti “ma dove vivevo?” e capita più spesso di quel che pensiate. Tanto che vogliamo rimanere informati sul mondo esterno, non si smette mai di imparare e di stupirsi…e stupirsi è bellissimo! Di certo non è un genere che io ascolto ogni giorno, ma qui non si sta parlando dei miei gusti ma di una produzione oggettivamente fatta molto bene e di canzoni che possono tranquillamente essere paragonabili ai grandi successi che le radio ci propinano quotidianamente. Si spazia davvero tanto, dal funky al rock più ruvido, dal pop all’alternative da ballate a brani strumentali.

Il disco apre con Golden Mine, un tiro già sentito ma sempre coinvolgente e tutti gli elementi sonori già danno il mood positivo per tutto il lavoro. Non mi stupisce che alcuni singoli siano già passati su radio importanti. Tutto fila a meraviglia e sembra davvero di ascoltare una produzione internazionale prodotta da major. Ma forse perché in effetti lo è…una grande produzione. Segnale che quando le cose vengono curate, c’è talento e lo stesso viene guidato nella direzione giusta, non abbiamo nulla da che invidiare alla musica che arriva dall’estero che sembra sempre più figa di quella prodotta in casa nostra. Uno dei brani che più mi ha rapito è Purgatory Law (ottava traccia del lavoro), davvero un bel pezzo. Auguro davvero tutte le soddisfazioni ai ragazzi perché davvero se le meritano. Bella scoperta, bel disco, ottima produzione e ottimi musicisti.

Autore: Piqued Jacks Titolo Album: Synchronizer
Anno: 2021 Casa Discografica: INRI
Genere musicale: Alternative Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: https://www.piquedjacks.com/
Membri band:
E-King – voce, piano, tastiere
Majic-o – chitarre, tastiere, voce
Littleladle – basso, moog, voce
HolyHargot – batterie, percussioni, piano, tastiere, voce
Tracklist:
1. Golden Mine
2. Every Day Special
3. Spin My Boy
4. Mysterious Equations
5. Elephant
6. Call My Name
7. Dancers In Time
8. Purgatory Law
9. Fire Brigade
10. Hello?
11. Lonely Hearts, CozyHut
Category : Recensioni
Tags : Alternative Rock, Nuove uscite
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22nd Mar2021

Japanese Ghost Army – Ok Laptop

by Marcello Zinno
Il duo Japanese Ghost Army si presenta con un EP che dal titolo suggerirebbe lande elettroniche e digitali, invece l’unione della chitarra e della batteria pesca dal rock classico, settantiano per suoni, sperimentale per attitudine. L’opener infatti mette subito in scena un certo rock psichedelico, non tanto per gli effetti utilizzati (la proposta è essenziale) bensì per il taglio compositivo, quasi math e relativamente intricato, fino all’ingresso di un basso fuzz e della distorsione che fanno esplodere il tutto; è proprio questa essenzialità che lascia immaginare qualcosa di più, una ricetta più articolata e che possa davvero stupire, infatti è solo quando anche il basso si unisce e i pattern divengono più complessi che esce fuori uno stile interessante. Un viaggio nell’introspezione e nel gioco musicale ha il nome di X-Emperor, brano interessante e a nostro parere punto cardine dell’EP.

Lo stile strumentale e per certi versi sperimentale di Ok Laptop è da levigare a nostro parere: le parti più rock vanno finalizzate in modo da giungere più incisive, i passaggi più complessi hanno bisogno di cornici che valorizzino questi estri (ad esempio in Alkaline Third le divagazioni sono piazzate lì, lasciate a loro stesse). Ma le idee ci sono e sono tante, ciò basta per spingerci a seguire le attività dei campani Japanese Ghost Army.

Autore: Japanese Ghost Army Titolo Album: OK Laptop
Anno: 2021 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Psichedelico, Alternative Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: japaneseghostarmy.bandcamp.com
Membri band:
Domenico Iorio – chitarra, voce
Ciro Rapicano Aiello – batteria, percussioni
Tracklist:
1. 22 Accent
2. (NTH)
3. X-Emperor
4. Alkaline Third

Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Psichedelia
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21st Mar2021

Ruben Minuto – The Larsen’s Sessions / Live In Studio

by EriKa SKorza
Uscito a gennaio su tutte le piattaforme digitali tramite Delta Promotion, è The Larsen’s Sessions-Live In Studio, tredicesimo album del musicista Ruben Minuto. Fin da subito si possono apprezzare le fortissime influenze country e blues di Ruben, che lo hanno portato nel corso della sua carriera non solo a partecipare all’Owensboro Bluegrass Ibma Festival, ma anche ad essere eletto Artist Of The Week dal Chicago Blues Magazine grazie alla sua partecipazione al Festival Blues di Chicago. L’album interamente registrato dal vivo senza l’uso di sovraincisioni, si compone di dieci tracce divise in sette riarrangiamenti di brani tratti dai precedenti album del musicista, più tre cover rivisitate delle canzoni Molly & Tenbrooks, You’re The One That I Want direttamente dal film Grease, e Why Should I Be So Lonely di Jimmie Rodgers. Apprezzatissime sono Jimmy Two Steps, dal sound grintoso tipico di un blues movimentato, e High Heel Shoes dalle influenze più rock, le quali spingono l’ascoltatore ad immaginarsi nel bel mezzo di un concerto.

In Along The Way, canzone riflessiva e a tratti malinconica, troviamo nel ritornello interessanti cambi armonici che lo rendono orecchiabile ma per nulla scontato. In Be Alive Ruben ci regala una versione in acustico arricchita dalla presenza dei cori che ben si sposano con l’ambient generale della canzone. Forse il tasto dolente lo si trova nella cover You’re The One That I Want, versione interessante sulla prima parte del brano perché inaspettata, ma che tende a dare la sensazione di non concludersi mai. Who Cares è la ballad, intima e delicata, performata assieme ad una giovanissima voce, quella di Sophie Elle. E non è l’unica a prestare la sua voce per questo disco. Troviamo infatti un feat. con Jane Jeresa nella track di Grease, e la cantautrice Lucia Lombardo nell’emozionante ed intensa In The Hands Of Time. Ottima la scelta di inserire come ultima traccia la cover di Why Should I Be So Lonely, dove Ruben con la sua voce dal timbro caldo e avvolgente, pare quasi volerci cantare una ninna nanna sussurrandoci “per oggi ho finito, ma ci rivedremo presto”.

Il disco nel complesso è coerente con la scelta di tutti i vari arrangiamenti curati dal chitarrista Luca Crippa, che ben si legano fra loro e che attingono ai vari generi musicali riscontrabili nel southern rock americano. The Larsen’s Sessions/ Live In Studio è un album che si potrebbe ascoltare tranquillamente seduti sul proprio divano sorseggiando un bicchiere di vino, oppure facendoci guidare dal suo sound nell’immaginarci seduti su un prato di fronte ad un live show.

Autore: Ruben Minuto Titolo Album: The Larsen’s Sessions / Live In Studio
Anno: 2021 Casa Discografica: Delta Promotion
Genere musicale: Southern Rock, Rock Blues Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/ruben.minuto/
Membri band:
Luca Crippa – chitarra
Jane Jeresa – voce
Sophie Elle – voce
Lucia Lombardo – voce
Tracklist:
1. Molly And Tenbrooks
2. This Hour Of The Day
3. Jimmy Two Steps
4. Along The Way
5. You’re The One That I Want (Feat. Jane Jeresa)
6. High Heel Shoes
7. Be Alive
8. Who Cares (Feat. Sophie Elle)
9. In The Hands Of Time (Feat. Lucia Lombardo)
10. Why Should I Be So Lonesome (lonely)
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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19th Mar2021

Holy Monitor – Southern Lights

by Marcello Zinno
Arrivano dalla Grecia gli Holy Monitor e abbracciano una visione psichedelica del rock. Detto questo in molti immagineranno una di quelle band inconcludenti che si perde nella sperimentazione e in lunghi passaggi strumentali senza fine; invece il quintetto si trova esattamente agli antipodi di questa visione musicale. Gli Holy Monitor infatti hanno un grandissimo pregio, quello di usare la psichedelia ma allo stesso tempo di dare molta concretezza alla musica. Non a caso la tracce hanno delle strofe e dei ritornelli, una parte cantata comunque importante, e gli strumenti si fanno sentire; diciamo che il loro psychedelic rock è più figlio di un certo space rock ma che sa colpire deciso, regala quel sapore retrò (tastiere e suoni in generale) pur affascinando chi ha sete di rock. Noi ci troviamo anche alcuni insegnamenti blues, come la ripetitività di certe parti, i riff rotondi e un incedere semplice ma che non perde mordente; forse è proprio qui che i ragazzi potrebbero mettersi in gioco maggiormente, magari creando dei diversivi, delle incursioni fuori dal tracciato, stupire l’ascoltatore senza perdersi nella sperimentazione fine a se stessa. Ascoltando infatti brani come la title track, al netto del bridge strumentale che conduce fino alla fine della traccia e che piace, viene mostrato un approccio monolitico che si ripete spesso quasi fino allo sfinimento.

La resa finale è comunque affascinante: un rock suonato (provate a sentire solo il basso di The Sky Is Falling Down oppure il riff iniziale di Ocean Trail) che ha compostezza e spessore. In pratica provate a prendere i Blue Öyster Cult, fateli vivere in una comune appassionata di stoner e rhythm’n’blues: avrete gli Holy Monitor pronti a far esplodere gli amplificatori.

Autore: Holy Monitor Titolo Album: Southern Lights
Anno: 2021 Casa Discografica: Blackspin Records, Primitive Music
Genere musicale: Rock Psichedelico, Space Rock Voto: 7,5
Tipo: LP Sito web: https://www.facebook.com/holymonitor/
Membri band:
George Nikas – voce, chitarra
Stefanos Mitsis – chitarra
Alex Bolpasis – basso
Vangelis Mitsis – tastiere
Dimitris Doumouliakas – batteria
Tracklist:
1. River
2. Naked In The Rain
3. Blue Whale
4. Southern Lights
5. The Sky Is Falling Down
6. Hourglass
7. Ocean Trail
8. Under The Sea
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Psichedelia
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18th Mar2021

Mattatoio5 – Escapes

by Raffaele Astore
Tra musica visionaria, post-rock ed una ricercata sperimentazione, questa band, nata tra Padova e Venezia, si presentò nel 2015 con Cheap Pop un disco che proiettava già l’idea di questa nuova produzione della quale ne parliamo qui oggi. Il loro è un sound che se pur da un lato strizza l’occhio al post-rock d’annata, dall’altra richiama atmosfere che hanno a che fare con una nostra vecchia conoscenza irlandese che qui non nominiamo per opportunità ma che nel loro album più orientato verso l’elettronica mista al rock, costruirono, come questi ragazzi veneti, la loro maturazione. Se prendete ad esempio Untie Me incisa con la partecipazione di Adeena Karasick, vi sembrerà che qui siamo in una sorta di allucinazione wilsoniana che nulla toglie ad Adeena, la brava poetessa canadese, che presta alla band sonorità non facili da trovarsi in giro di questi tempi. E senza parlare di Escape che, con la partecipazione di Romina Salvadori, diventa la vera perla di questo disco capace di abbracciare stili affascinanti e diversi fra loro tanto che, il lavoro diventa difficile da assorbire con pochi ascolti.

Si perché Escapes è un disco dalle mille sfaccettature, un disco che elargisce sensazioni a valanga oltre che grande musica. Sarà che la produzione è curata da Amaury Cambuzat degli Ulan Bator, musicista che ebbi la fortuna di conoscere tanti anni fa in una afosissima estate, sarà che i Mattatoio5 sono grandi musicisti e basta, ma questo Escapes è il segno di una maturità acquisita e di una padronanza che le composizioni musicali qui presenti sono tutte apprezzabilissime. Ho letto a proposito di questi ragazzi che i loro riferimenti musicali potrebbero ben essere il Bowie degli anni ottanta o, addirittura, i Joy Division ma, se devo essere sincero nei Mattatoio5, da ciò che sento, vedo solo dei ragazzi ispirati da grande musica, oltre che animati da tanta voglia di creare; insomma più che Bowie e Joy Division in loro è possibile apprezzare il genio e la compostezza di un certo Brian Eno.

Ma lasciamo stare questi paragoni perché Escapes è un disco sapiente, sperimentale, pop ed assolutamente fantastico! Come faccio a dirlo? Basta ascoltare Lost In Time per capirlo e ricominciare daccapo con Hey There.

Autore: Mattatoio5 Titolo Album: Escapes
Anno: 2021 Casa Discografica: Amaury Cambuzat
Genere musicale: Post-Rock, Electro Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.mattatoio5band.com/
Membri band:
Filippo De Liberali – synth, programming
Tommaso Meneghello – voce, basso, synth
Davide Truffo – chitarra

Special guest:
Amaury Cambuzat – voce, su The Gutters, basso e wurlitzer su Untie Me, synth e tastiere su Grey, synth, tastiere e drum programming su Come Together, basso su Rat Race; drum machine e drum programming su Lost In Time
Romina Salvadori – voce su Grey, Developing Solutions, Escape, Lost In Time
Adeena Karasick – voce su Untie Me
Bernardino Carbone – batteria Untie Me, Grey, Developing Solutions, Come Together, Please, Lost In Time
Tracklist:
1. Hey There
2. The Gutters
3. Untie Me
4. Grey
5. Developing Solutions
6. Come Together
7.Escape
8. Please
9. Rat Race
10. Lost In Time
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Post-rock
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18th Mar2021

Gruppo Palude – Arché

by Marcello Zinno
Essendo un grande appassionato di progressive rock, da anni mi affiora una domanda fissa: ci sarà mai qualche band che riuscirà a proporre un progressive rock non per forza ancorato agli anni 70, a quelle strutture e sonorità che ormai vengono riproposte quasi come omaggio senza però riuscire a guardare avanti? Questa domanda sorge spontanea perché troppe formazioni prog guardano indietro senza aggiungere nulla di proprio, senza inserire elementi innovativi che puntino a creare un seguito giovane intorno a questo affascinante genere musicale. Ebbene, adesso posso dire che una risposta a questa domanda c’è ed è Gruppo Palude, una band all’esordio discografico ma che crea una ricetta davvero entusiasmante. La cornice è proprio il prog rock che amiamo, ma all’interno i ragazzi ci mettono un po’ di tutto, come un pizzaiolo che crea una base e poi condisce arricchendo di colori e sapori multiformi la sua opera. Il groove di Il Canto Delle Sirene, le parti (super)rappate di Pillola Azzurra, la sensazione di orchestrazione di Il Guerriero, il crossover di Piangere Da Soli, sono davvero tanti i territori raggiunti, e conquistati, da questo quintetto.

E come se non bastasse arriva un brano, Prosopopea, che sembra scritto da una band con almeno tre album alle spalle: maturo, un cantato deciso e ispirato, la band riesce a trasportarci da momenti intimi a pattern decisi e profondamente rock, con schemi dispari che cambiano con una enorme rilassatezza. Più si va avanti nella tracklist e più verve ed energia escono fuori (soprattutto rispetto alle primissime tracce), come se la band avesse trovato la propria valvola di sfogo (o di comunicazione), il proprio canale rock da attivare. Va comunque detto che Arché non è un album per tutti, non solo bisogna disporre di una mente aperta ma anche per apprezzare i singoli brani sono necessari più ascolti e fatti con attenzione. Questa è la dimostrazione che si tratta di un grande album.

Autore: Gruppo Palude Titolo Album: Arché
Anno: 2021 Casa Discografica: Fil 1933
Genere musicale: Prog Rock Voto: 7,75
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/GruppoPalude
Membri band:
Tommaso Severgnini – voce, flauto traverso
Angelo Panichella – chitarra
Ruben Nese – chitarra, synth
Michele Ripamonti – basso
Riccardo Zerboni – batteria
Tracklist:
1. Mayday
2. Stop. Go!
3. Pillola Azzurra
4. Il Canto Delle Sirene
5. Prosopopea
6. Il Guerriero
7. Nostalgia
8. Hey Man
9. Piangere Da Soli
10. Ora E Qui
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Progressive
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17th Mar2021

Joseph Parsons – At Mercy’s Edge

by Raffaele Astore
Di band australiane ne conosciamo bene due, King Gizzard e Lizard Wizard ed i Tame Impala. E li conosciamo a tal punto che ci siamo davvero consumati le orecchie a furia di ascolti, con i primi in modo particolare capaci di produrre album come fossero noccioline, i secondi per la loro ricercatezza sonora. E se con loro siamo in tutt’altri lidi musicali, oggi ci siamo divagati un po’ e davvero siamo felici perché era da tanto che non ascoltavamo il puro rock, quello classico, quello che abbiamo probabilmente ascoltato per la prima volta e di cui non ce ne ricordiamo più per quanta musica è passata dagli stereo di casa nostra…e non solo da quelli. E così tra tocchi folk e puro rock il disco si apre con Greed On Fire che oltre ad essere il video promozionale del disco, presenta in tutto il suo ardore il rock d’oltreoceano che un po’ assomiglia a certe cantate alla Bruce Springsteen…ma poi chi dice che Joseph Parsons non ha grinta e grande intuizione musicale come quella del Boss? Lo dimostra tutto questo disco che è da ascoltare dal primo all’ultimo pezzo ed infatti si cambia subito rotta con Changes Everything che è già molto più rock, con quelle costanti plettrate sulle corde oltre che con la voce dalle tonalità knopfleriane.

Poi ci chiediamo, quando arriva Nerve, se dopo l’era trumpiana le distese americane sono ancora le stesse perché, questo, è un brano che porta tanta nostalgia della cara vecchia America, quella dei rodei, quella delle lunghe strade nel deserto, quella degli indiani oramai a tutti gli effetti non più selvaggi, insomma l’America che abbiamo sempre immaginato completamente diversa dalla realtà. Ed infatti il bel rock’n’roll ci riporta a quella che è la realtà anche musicale di quest’America sempre nell’occhio del ciclone, anche musicale, tanto che questo At Mercy’s Edge ci sembra che sia un viaggio rock sulle strade americane alla ricerca forse di quella “strada” che Kerouac cantò. L’arrivo di Madness ci fa piombare in un blues con cui comprendiamo quanto questo At Mercy’s Edge sia diversificato ed anche coerente musicalmente; si potrebbe anche dire che lo stile Springsteen sia presente ma non crediamo molto in plagi mistici perché Parsons ha tutti gli attributi per affermare il suo di stile.

Ed il disco continua tutto in piena armonia con quanto fin qui scritto fino a Mercy’s Edge,grande e nostalgico pezzo di country rock. Ragazzi questa è l’America del rock, non c’è solo Elvis!

Autore: Joseph Parsons Titolo Album: At Mercy’s Edge
Anno: 2020 Casa Discografica: Meer Music, Blue Rose Records
Genere musicale: Rock’N’Roll Voto: 7
Tipo: CD Sito: https://www.josephparsons.com
Membri band:
Joseph Parsons – voce, chitarra
Freddi Lubitz – basso, chitarra, voce
Ross Bellenoit – chitarra, voce
Sven Hansen – batteria, voce
Tracklist:
1.Greed On Fire
2. Changes Everything
3. Nerve
4. Madness
5. Trouble Zone
6. Last One In
7. One More
8. Living With The Top Down
9. Mule Train
10. Mercy’s Edge
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock'N'Roll
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17th Mar2021

Zedr – Futuro Nostalgico

by Marcello Zinno
Luca Zedr Fivizzani, in arte Zedr, presenta il suo nuovo album come un lavoro di “psycho-cowboy music”, intendendo un mix di musica western, surf e psichedelia pop. In realtà, ascoltando Futuro Nostalgico, ci sembra di esserci imbattuti in un album ai confini tra l’indie rock e l’indie pop in cui la chitarra spesso adotta effetti western a discapito di distorsioni più vicine al rock, ma soprattutto con una scelta che primeggia su tutte: le linee vocali in primo piano. È questa scelta, e l’uso che se ne fa, che a nostro parere fa perdere pubblico nella folta schiera del rock (nella quale ci sono anche tantissimi appassionati di western, con James Hetfield primo della lista) tanto da arrivare in alcuni momenti ad abbracciare l’indie pop più innocuo (Lo Straniero). Coerente però per certi versi il concept che è alla base dell’album: l’abuso della tecnologia che ci fa perdere di vista alcune cose ben più importanti ed è da apprezzare che venga scelto un sound per certi versi vintage, seppur con una buona e attuale produzione. Consigliato l’ascolto di Teoria Del Disordine che marca bene lo stile di Zedr, nonostante nel ritornello si faccia ammaliare un po’ troppo dalle melodie zuccherine; l’allegria di Nictofobia si scontra con la durezza dei suoi testi, ma musicalmente è un altro momento piacevole.

Nel complesso lo stile è interessante ma crediamo vada sviluppato in una direzione meno incline all’ascolto popolare e magari più aperto ad una visione rock decisa.

Autore: Zedr Titolo Album: Futuro Nostalgico
Anno: 2020 Casa Discografica: Overdub Recordings
Genere musicale: Indie Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: www.facebook.com/sonozedr
Membri band:
Zedr – voce
Federico Gaspari – chitarra
Tancredi Lo Cigno – batteria
Luca Giachi – basso
Tracklist:
1. Il Grande Dittatore
2. Polvere
3. Lo Straniero
4. Teoria Del Disordine
5. Quello Che Non Luccica
6. Nictofobia
7. Ogni Parte Di Me
Category : News
Tags : Indie Rock, Nuove uscite
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16th Mar2021

Lunar Clock – The Scream Of Nature

by Raffaele Astore
Per essere un esordio, questo disco è semplicemente fantastico e per diversi motivi. Il primo è che il rock che questi ragazzi olandesi propongono contiene tutte quelle sfaccettature che lo rendono grande dal principio alla fine del disco. Ogni nota è studiata, i musicisti, si capisce subito che sono ben affiatati tra loro. Il secondo è che il disco sin dalla sua apertura promette bene e il racconto proposto ha a che fare con Skrik (L’Urlo) del pittore norvegese Edvard Munch che poi, in realtà, non è solo un dipinto ma una serie di quadri che qui, in questo bel disco vengono rappresentati. Il terzo è che la perfezione e la piacevolezza di un rock che viaggia tra classicismo progressive, tocchi di jazz e symphonic rock che esaltano quest’opera, composta proprio come se fosse un quadro. E se Munch è l’espressionismo in persona, gli olandesi Lunar Clock sono, con questo album, The Scream Of Nature, i cantori di un rock essenziale, senza fronzoli, semplice, talmente semplice da diventare immediatamente grande. Sinceramente di esordi così ne ho sentiti tanti, ma questo mi ha letteralmente folgorato mentre mi riprendevo da un buon pasto di mezza giornata. In cuffia avevo questa bella produzione, ma la bellezza di questo lavoro mi ha spinto con forza su questa tastiera ad esprimere di getto quelle che sono le mie impressioni che, oltre ad essere tutte positive, non sono solo il frutto di un ascolto critico dell’album, ma sono anche il risultato di una serie di sensazioni che non sto qui a raccontarvi.

Dallo scampanellio di Frieze che mi ricorda un Tubular Bells di anziana memoria, ai cori sovrapposti dello stesso brano che mi riportano ai lirismi della regina Queen ed ai primi New Trolls mi introduco, pian piano, al rumore dell’acqua che anticipa Skrik, coacervo iniziale di tocchi e ritocchi prima che il synth faccia il suo ingresso in questo già favoloso album che non lascia scampo e mi tiene sveglio. E così, mentre mi sembra di viaggiare, l’arrivo di Sadness Under The Bel Venus che sa già di sinfonismo puro, mi accompagna lentamente in un’atmosfera da sogno battente grazie ad un bel fraseggio della chitarra sulla quale, ad un certo punto, si adagia il pianoforte dello stesso Roben Bear che canta sostenuto da Shardan Stream fino allo giungere del flauto (magico) che, in chiusura, è come il tocco vellutato di una fata. Che dire poi di A Winter Storm On Spring Blossoms che è un vero e proprio dipinto in note, con il jazz rock che si appropria dei passaggi prog fin qui ascoltati mentre di soppiatto va a fondersi con il predominio di tastiere, synth e campionature lasciando però sfogare la chitarra di Stream in un grande assolo. Ascoltare per credere, e se non ci credete peggio per voi! Ed è ancora peggio per voi se la dolcezza di Equal Adoration non riesce ad avvolgervi nonostante i suggerimenti che vi abbiamo fin qui dato, perché è davvero difficile in un disco rock, che è anche impegnato culturalmente, riuscire a trovare delle carezze musicali così ben congegnate e concepite, con gli strumenti che sembrano essere le voci di centomila angeli che oggi, mentre scriviamo, ci hanno detto che sono andati via per sempre.

La musica di Bridge Of Anxiety è basata sul dipinto Ansia, una delle tre opere che Munch realizzò con un ponte quale sfondo ed è così avvolgente che quando arriva la successiva Despair, siamo ormai dentro i dipinti del pittore, insieme ai cori che sentiamo svettare sopra un piano accarezzato, ed una chitarra appena sfiorata. Poi, in chiusura, le tre sezioni di Metabolism, una vera e propria suite come prog comanda giocate tar mellotron, chitarra acustica, assoli di chitarra elettrica, i bei cori di Matebolism II: Mother Nature’s Sanctuary che, insieme a Metabolism III: Spring mettono i sigilli a questo splendido album che ha colpito così tanto. È difficile trovare esordi così, ma se son tulipani fioriranno. Già il primo è sbocciato in tutta la sua bellezza ed è di una qualità rara, infatti c’è solo un modo per raggiungerlo: sintonizzarsi sull’ora lunare.

Autore: Lunar Clock Titolo Album: The Scream Of Nature
Anno: 2020 Casa Discografica: Clock Towwers Records
Genere musicale: Symphonic Prog Voto: 9
Tipo: CD Sito web:  https://lunarclock.nl/
Membri band:
Robin Boer – tastiere, voce
Shardan Stream – chitarre, campionatore, voce
Karsten van Straten – batteria, percussioni
Thefar Side – basso
Tracklist:
1. Frieze
2. Skrik
3. Sadness Under The Belt Of Venus
4. A Winter Storm On Spring Blossoms
5. Equal Adoration
6. Bridge Of Anxiety
7. Despair
8. Metabolism I: The Tree of Life
9. Metabolism II: Mother Nature’s Sanctuary
10. Metabolism III: Spring
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Progressive
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