• Facebook
  • Twitter
  • RSS

RockGarage

      

Seguici anche su

        Il Rock e l'Heavy Metal come non li hai mai letti

  • Chi siamo
  • News
  • Recensioni
  • Articoli
  • Live Report
  • Foto Report
  • Interviste
  • Regolamento
  • Contatti
  • COLLABORA
27th Lug2013

Martiria – The Eternal Soul+Live ad Play It Loud

by Marcello Zinno

I Martiria cavalcano letteralmente l’onda del power/epic metal italiano, non solo per gli ingomgranti nomi a livello internazionale con cui hanno collaborato in passato (Carl Sentance, Carlos Cavazo, Jeff Pilson e addirittura Vinny Appice) ma anche per le ultime idee sfornate a proprio nome. Già nel 2012 ci avevano letteralmente stupito con il concept album Roma S.P.Q.R. (la nostra recensione disponibile a questa pagina), costruito con tanta attenzione ed una maturità che non tutte le band, seppur longeve come loro, dispongono. E in attesa del nuovo capitolo discografico pronto sul finire del 2013, la band decide di ristampare un loro cavallo di battaglia ormai sold out da tempo: con l’aiuto della prolifica My Graveyard Produtions, The Eternal Soul (datato 2004), che sancì l’esordio della band, rivede la luce in una confezione doppia arricchita dal loro più recente show live al Play It Loud Festival. Una pubblicazione sicuramente interlocutoria, priva di inediti, ma che ricorda quanto abbiano realizzato i Nostri negli ultimi anni cercando di tenere alta la bandiera dell’heavy per lo più per chi è appassionato di sonorità ottantiane. L’album ovviamente risente di suoni e scelte compositive datate che non risalgono al 2004 ma affondano le radici decenni or sono cercando di ricostruire quell’atmosfera magicamente epica che alcuni hanno coniato (Ronnie James Dio docet). L’impatto resta ovviamente heavy/power, la radice sulla quale si ergono le idee del combo (il brano Arthur e il riffing iniziale di The Ancient Lord parlano da sole), ma gli inserti tastieristici spingono verso il passato. La produzione è (volutamente?!) scarna e vicina all’originale così da non tradire la percezione di chi l’album lo conosceva nella sua versione originale; questo sta semplicemente nella scelta di rimasterizzare l’album così come nella sua versione del 2004 e dare in questo modo la possibilità di acquistare l’uscita originale ai nuovi fan della band.

Resta il fatto che i brani dei Martiria, pur essendo fedeli ad uno stile proprio, suonano assolutamente trasversali, difficile provare noia o ripetizione nella loro proposta musicale. La ballad Babylon Fire ad esempio spezza la corsa: non si tratta di un semplice brano dai ritmi lenti ma di una vera composizione in cui i canoni emotivi della musica vengono stressati e portati fuori per ammaliare l’ascoltatore grazie anche ad una vena nostalgica. Questo imprinting non può durare a lungo, visto che la vena epica è nei Martiria sempre al servizio dell’heavy tirato e così a metà brano il panorama cambia e la potenza, mista ad una classe di primo livello, vengono fuori. La passione per l’epoca romana i Martiria l’ha sempre avuta, non solo per l’artwork che sembra anticipare il concept Roma S.P.Q.R., ma anche per il brano Romans And Celts, tipico trademark della band fatto di assoli, sei corde affilate e ritmi pacati per creare il giusto pathos. Noi li preferiamo in brani come The Soldier And The Sky e Celtic Lands, ricchi di ingredienti e di decisione che richiamano molto della tradizione epic metal tedesca.

Per quanto concerne il secondo album, ovvero l’estratto della loro esibizione al Play It Loud Festival di Bologna che risale al più recente 2009 si nota anche qui che i suoni sono rimasti originali, registrati e per nulla modificati prima della incisione, questo per enfatizzare la resa live della band. Grande attenzione viene data al meno recente album The Age Of Return del 2005 dal quale vengono estratte tre tracce, The Cross, Misunderstanding e la title track, mentre le altre quattro tracce sono equamente suddivide tra The Eternal Soul (2004) e Time Of Truth (2008). La carica che sprigiona la band è notevole, anche se alcune parti lente proprie del loro stile si combinano meno per una resa all’interno di un festival. Misunderstanding tiene ad esempio alta l’attenzione, più complessa per l’habitat live The Most Part Of The Men, sopra le righe Celtic Lands con i suoi assoli e il rifferama cattivo e in chiusura The Age Of The Return che offre un colpo di coda notevole, sia ritmico che melodico.

Quindi un’uscita utile per approfondire il doppio volto dei Martiria, quello in studio e quello live. Indipendentemente dalle vostre preferenze va riconosciuto il peso di questa band nel panorama epic/heavy nazionale e non.

Autore: Martiria Titolo Album: The Eternal Soul+Live ad Play It Loud
Anno: 2004 (ristampato 2013) Casa Discografica: My Graveyard Productions
Genere musicale: Power Metal, Epic Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.martiria.com
Membri band:

Rick Anderson – voice

Andy Menario – chitarra, tastiere

Derek Maniscalco – basso

Maurizio Capitini – batteria

Marco R. Capelli – testi

Tracklist:

Disc 1 (The Eternal Soul remastered):

  1. Memories
  2. The Ancient Lord
  3. The Most Part Of The Men
  4. Arthur
  5. Celtic Lands
  6. Babylon Fire
  7. The Grey Outside
  8. Romans And Celts
  9. The Soldier And The Sky
  10. Fairies
  11. Winter

Disc 2 (Live ad Play It Loud – 2009):

  1. The Cross
  2. Misunderstandings
  3. The Most Part Of The Men
  4. Celtic Lands
  5. Prometeus
  6. Give Me A Hero
  7. The Age Of The Return
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
18th Lug2013

Victorius – The Awakening

by Alberto Lerario

Un risveglio lieto ed improvviso ci porta alla scoperta dei teutonici Victorius, che giocano ad alto numero di ottani, suonando melodie a velocità più che elevata, nel loro ultimo disco The Awakening. Una classica ricetta power metal accompagnata da una produzione di ottimo livello rendono gustoso e assai piacevole l’ascolto di questo album. La band tedesca infatti, propone armonie accattivanti e d’impatto dispensando groove e grinta in ogni traccia, riuscendo a miscelare il tutto con una buona dose di tecnica. Il risultato è un suono elegante e aggressivo che colpisce fin dal primo ascolto e non sbiadisce con l’andare del tempo. Tanto per mettere in chiaro le cose la band teutonica mostra subito le sue influenze con Age Of Tyranny, come a voler dire: Gamma Ray, Hammerfall, Blind Guardian, questo è per voi! Starfire arde con passione accesa e voce potente. Canzone suggestiva e ben equilibrata. The Awakening è un innno potente in cui emerge in maniera evidente il talento di tutti componenti del gruppo, in particolar modo l’intreccio armonico delle chitarre di Dirk Scharsich e Steven Dreißig. Anche quando le canzoni rallentano come con Lake Of Hope, gli assoli sono sempre presenti e sempre coinvolgenti, la voce grintosa di David Babin raggiunge vette più che mai elevate. In Under Burning Skies gli elementi della tastiera sono prevalenti, ma non troppo invadenti. La fulminante Black Sun è bruciante, con un ritmo che non lascia spazio ad appelli, ma la seguente Demon Legions frena un po’ gli entusiasmi con la sua aura oscura appesantita.

Attraverso le terre morte, Through The Dead Lands, torna a mancare il fiato con il ritmo inesorabile che prosegue anche nella seguente Call For Resistance. Il disco si chiude davvero in bellezza con la trionfante Kings Reborn, e l’inno Metalheart, in grado di gonfiare il petto di ogni ascoltatore in cui è racchiuso un vero “cuore di metallo”. Cosa aspettarsi quindi da The Awakening? La risposta è semplice: power metal di purezza cristallina, elegante e potente. Attendiamo già con fiducia il prossimo album dei Victorus, sperando che prima o poi questa band tedesca faccia una capatina anche dalle nostre parti per poterceli godere dal vivo.

Autore: Victorius Titolo Album: The Awakening
Anno: 2013 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Power Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.victoriusmetal.net
Membri band:

David Babin – voce

Dirk Scharsich – chitarra

Steven Dreibig – chitarra

Andreas Dockhorn – basso

Tyl Fiedler – batteria

Tracklist:

  1. Age Of Tyranny
  2. Starfire
  3. The Awakening
  4. Lake Of Hope
  5. Under Burning Skies
  6. Black Sun
  7. Demon Legions
  8. Through The Dead Lands
  9. Call For Resistance
  10. Kings Reborn
  11. Metalheart
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
18th Giu2013

Artlantica – Across The Seven Seas

by Giancarlo Amitrano

Supergruppi: gioie e dolori che spesso vanno a braccetto e non sempre prevalgono le prime. L’unione estemporanea di turnisti doc o di membri appena fuoriusciti dalle proprie band il più delle volte dà vita a progetti leggendari (Asia, ad esempio), altre volte può sfociare in qualcosa che appare molto vicino all’incompiuto. Fortunatamente non è ciò che accade ascoltando il lavoro d’esordio degli Artlantica che nasce dalla collaborazione di una costola degli Artension (West e Staffelbach) con la sezione ritmica formata dal turnista doc John Macaluso alle pelli (ex-Tnt, tra gli altri) e dal basso del nostrano Steve Di Giorgio. Naturalmente è d’obbligo precisare che le performance singole degli artisti sono a dir poco impeccabili: stante l’estemporaneità del progetto, tutavia, dobbiamo riscontrare con gioia anche il raggiungimento dell’affiatamento necessario perché il prodotto finale possa dirsi davvero esente da pecche. Ponendosi come ideale continuazione della band di comune provenienza, il singer ed il guitar hero svizzero ripropongono quasi egualmente le sonorità e le timbriche che hanno fatto la fortuna della band capitanata dal virtuoso Vitalji Kuprij. Con la collaborazione aggiuntiva di Dani Loble nella metà dei brani e di Chris Cafferty sulla opener track e You’re Still Away, il disco si presenta denso di suoni quasi barocchi e molto sinfonici che non di rado sfociano anche nel prog. Ad esempio, 2012 si riempie del lavoro indiscusso di Mistheria alle tastiere, le quali creano l’atmosfera giusta per sfoderare la poderosa voce del singer, subito immerso nelle timbriche epiche di cui la traccia è impregnata. Grazie alla potente sezione ritmica ben collaudata, il brano scorre via con energia e melodica armonia al tempo stesso, senza cedere un’oncia al tappeto power cui la band si orienta. Ottima la fase centrale su cui il solo di Staffelbach tocca i punti più alti di una ideale distorsione del suo strumento, coadiuvato ottimamente da tutto il gruppo in un brano da subito candidato ad hit.

Prodotto dallo stesso chitarrista, il disco risente alla grande delle sue influenze neoclassiche: lo testimonia Devout che risulta essere brano gradevolissimo sin dalle prime note. Il cantato quasi medievale di West consente alla band di instaurare un tappeto sonoro di rara intensità, con le tastiere sempre in bella mostra e la sezione ritmica che usa toni aggressivi e di metronoma precisione svizzera (guarda caso). Ottimo il duetto tasti-sei corde che spiana la strada al rush finale quasi mistico. Giungiamo alla titletrack che si apre con un delicato arpeggio iniziale di Staffelbach che consente al singer di esprimersi su tonalità a lui molto congeniali, ovvero un eloquio rallentato il giusto che scandisce con attenzione le strofe ed ancora meglio il refrain. Ancora le tastiere in evidenza ed a condurre le danze, lasciando poi il passo ad un delicato solo dell’axeman, in un con il codazzo gradevole dei tasti d’avorio. You’re Still Away è dominio diretto del singer: con l’ospite Cafferty alla sei corde, può sbizzarrirsi in un’interpretazione di rara intensità, toccando vette da tempo non raggiunte. Tra i migliori brani dell’album, il pezzo si dipana attraverso un’ardita combinazione della sezione ritmica con il lavoro di Misterhia, qui quasi al top, con il sostegno dell’ascia in sottofondo, che dona ancora maggior valore con il solo finale su cui si innesta ancora magica la melodia dei tasti che paiono librarsi in aria.

Grandioso John West in Ode To My Angel: la prestazione vocale a dir poco superba del singer dona una luce quasi angelica al brano, che viene arricchito anche da un delicato e breve solo di Staffelbach, ancora bravo nel rispondere “presente” al momento giusto. Con Fight For The Light, lungi dal prendersi una pausa, la band spara ancora cartucce mortifere. Il tempo che le percussioni donano al brano obbliga sia il singer che gli altri musicisti a tenersi sempre sopra le righe, in un’ideale cavalcata quasi metal in alcuni passaggi. Lo screaming finale è degno di encomio e grazie ad esso tutto il brano decolla ed esplode al momento giusto. Demon In My Mind è barocco il giusto: i passaggi sinfonici di Misterhia spianano la strada ad un’altra performance di rilievo, grazie anche al ritmo della grancassa che stacca nel momento stesso in cui il singer si eleva di tonalità. I passaggi tastieristici sono il degno prologo all’ennesimo solo al fulmicotone di Staffelbach, qui idealmente al comando di una ciurma scatenata, diretta verso l’apoteosi finale. Return Of The Pharaoh Pt III racchiude nella sua totale strumentalità il campionario tecnico della band: ogni strumento si diletta a mostrare i muscoli in una cavalcata possente in cui i tasti come ovvio predominano; senza per questo però omettere le prestazioni della sezione ritmica e dello svizzero oramai inarrestabile nelle sue acrobazie. L’incipit di Heresy è di pregevole fattura: clavicembalo dominante in un brano di spessore tecnico notevole; ancora John West sugli scudi, e qui fa buon uso dei toni adottati nella sua Royal Hunt-era, qui davvero presente anche nei giri di chitarra molto azzeccati. Il mid-tempo finale che fa capolino tra le righe consente ancora un gorgheggio finale, che ci perpara al colpo decisivo. Puntualmente assestatoci con Nightmare Life, dove Mistheria si erge a padrone assoluto, tralasciando l’ennesima prova monstre del singer, qui ispirato ed anche bravo nel trovare la giusta linea sonora sugli stacchi della grancassa.

Non se ne dispiaccia il buon West se osiamo paragonarlo, per questa prova, al miglior Doogie White di rainbowiana menoria: possiamo farlo anche in virtù della seconda parte della sua esibizione del brano, meravigliosamente modulata assieme al tastierista. Ed a chiudere le danze, ancora un memorabile solo di Staffelbach, che riesce a farci ancora intirizzire dall’emozione nel diradare verso la fine del lavoro, che, ove dovesse essere seguito da altri capolavori come questo (che da tanto non ci capitava di ascoltare) rischierebbe di catapultarsi dritto nell’empireo dei grandi.

Autore: Artlantica Titolo Album: Across The Seven Seas
Anno: 2013 Casa Discografica: Spv/Steamhammer
Genere musicale: Power Metal Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.artlanticamusic.net
Membri band:

John West – voce

Roger Staffelbach – chitarra

Steve Di Giorgio – basso

John Macaluso – batteria

Mistheria – tastiere

Dani Loble – batteria su tracce 1,2,3,4,6,9,10

Chris Cafferty – chitarra su tracce 1 e 4

Tracklist:

  1. 2012
  2. Devout
  3. Across The Seven Seas
  4. You’re Still Away
  5. Ode To My Angel
  6. Fight For The Light
  7. Demon In My Mind
  8. Return Of The Pharaoh pt III
  9. Heresy
  10. Nightmare Life
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
15th Giu2013

Great Master – Serenissima

by Antonluigi Pecchia

Sono passati tre anni da quando i veneti Great Master hanno dato alla luce il loro album di debutto e ora ritroviamo la band con l’uscita di Serenissima, opera che visivamente si presenta come un piccolo gioiellino in una confezione digipack curatissima e un artwork che lascia a bocca aperta, un’ottima presentazione ma andiamo a scoprire il suo contenuto. Un lavoro che più che essere definito un concept può essere visto come una vera e propria ode alla città di provenienza di questi ragazzi, uno dei luoghi più belli della nostra nazione, Venezia, come anche il titolo del disco ci suggerisce. Città ricca di misteri con un’infinita storia alla spalle che la band omaggia alla grande nel corso dei dodici brani del disco, durante la quale si denota tutto l’amore che questi ragazzi nutrono per le loro origini. I millenni che la città nordica si porta sulle pietre, vengono cantati su un power metal a volte tirato che si accosta ai loro corregionali White Skull, altre più melodico che lascia spazio ad attimi di epicità. Nel corso dei brani svariati sono i richiami alle classiche colonne portanti dell’heavy/power metal europeo ma la band con maestria, riesce sempre ad imprimere il proprio marchio in ogni brano, anche per quanto riguarda la cover conclusiva di Medieval Steel dall’omonima band americana che sì rispecchia l’anima dell’originale ma non stona con l’opera della band veneta, dagli ottimi assoli di chitarra a cura di Jahn Carlini al particolare timbro vocale di Max Bastasi, bravo sia in acuti che in tonalità più basse. Un viaggio nel passato di questa antica città, coinvolgente e mai banale.

Autore: Great Master Titolo Album: Serenissima
Anno: 2012 Casa Discografica: Underground Symphony
Genere musicale: Power Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.great-master.com
Membri band:

Max Bastasi – voce

Jahn Carlini – chitarra, tastiere

Daniele Vanini – chitarra

Marco Antonello – basso

Francesco Duse – batteria

Tracklist:

  1. The Ascention
  2. Queen Of The Sea
  3. Doge
  4. The Merchant
  5. Golden Cross
  6. Marco Polo
  7. Across The Sea
  8. Black Death
  9. Enemies At The Gates
  10. Marching On The Northen Land
  11. Lepanto’s Call
  12. The Fall
  13. Medieval Steel (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
15th Apr2013

Avantasia – The Mystery Of Time

by Massimo Macera

Era circa poco meno di 2 anni fa, quando Tobias Sammet concludeva con il botto il concerto degli Avantasia al Wacken nel 2011, tornato in patria aveva avuto il tempo di riposarsi e magari di pensare ad un nuovo album  da comporre. Sì esatto aveva avuto del “tempo”…“che concetto peculiare…”, deve aver pensato. E fu così che previo annuncio sul suo sito ufficiale nel 2012, il mastermind del progetto Avantasia riprese ancora una volta penna e spartiti per lavorare ad un nuovo fantasmagorico concept su tempo, scienza e religione, pervenuto alla bramosa mano del pubblico nell’aprile del successivo anno, con il nome di The Mistery Of Time. Sammet lo definisce “rock epic”, in effetti lo stile della composizione risulta evoluto verso un hard rock melodico molto deciso piuttosto che power metal, sia per le dinamiche che per la struttura armonica, che offre delle interessanti alternative rispetto ad altrimenti veloci pezzi sparati ed assoli vertiginosi oramai già ascoltati e riascoltati, fatta eccezione per alcune tracce che tuttavia non guastano affatto. Il cast di quest’opera conta, oltre ai già conosciuti Michael Kiske (Unisonic, ex-Helloween), Bob Catley (Magnum) e Cloudy Yang (Avantasia) che Tobi tiene gelosamente stretti al proprio fianco, anche nuove “reclute” il cui timbro è particolarmente piaciuto a quest’ultimo, ascolteremo infatti esponenti del metal e dell’hard rock come Mr.Big, Pretty Maids e Saxon. A coronare il tutto è l’ingaggio di una prima vera orchestra per le registrazioni, essenziale è infatti la collaborazione con la German Film Orchestra Babelsberg, presente anche in un album degli Edguy. Ma accingiamoci ora ad ascoltare il prodotto.

L’album si apre con Specters, l’orchestra crea subito la tensione e dopo pochi secondi sfocia nell’intro vero e proprio coadiuvato da batteria e chitarre, il pezzo è riccamente strutturato, e riesce efficacemente ad evocare nella mente dell’ascoltatore i suoi fantasmi, in un perfetto connubio tra strumenti classici e moderni, in particolare per le tastiere dell’inquietante intermezzo che precede l’ultimo ritornello (pianoforte, strings, sinth e persino un clavicembalo!). Il tema del ritornello sulle ultime ottave del pianoforte a mo’ di carillon conclude la traccia e lascia solo un breve attimo di silenzio prima che la frenetica The Watchmaker’s Dream cominci la sua corsa, un flusso ininterrotto di doppio pedale in dodici ottavi che fa da base all’accompagnamento su cui il timbro di Joe Lynn Turner (ex-Rainbow, ex-Deep Purple) si precipita nuovamente in un duetto con Tobias Sammet (entrambi già interpreti del primo pezzo). Anche qui l’attenzione è subito catturata dall’organo hammond che accompagna le strofe e che delizia i fan dei Deep Purple con un assolo alla Jon Lord a circa metà della canzone. È la volta di Black Orchid, l’atmosfera è resa maestosa e cadenzata dall’introduzione orchestrale che ricorda a grandi linee quella di Sign Of The Cross da The Metal Opera, che fa da preludio ad un duetto tra Sammet e Biff Byford (Saxon) adorno di cori ed armonie imponenti.

A seguire nell’ordine troviamo Where Clock Hands Freeze: i performer dell’orchestra Babelsberg hanno ancora una volta il compito di introdurre il pezzo, il pathos creato da archi e fiati annuncia l’infallibile duo del power, Sammet-Kiske all’opera in strofe veloci e dinamiche e ritornelli in cui il frontman degli Unisonic non delude le aspettative con i sempre amati acuti adamantini come solo lui sa fare. A questo punto Tobi decide di fare un break dall’adrenalina dei primi quattro pezzi e assegna al quinto posto Cloudy Yang nel suo secondo ingaggio da lead vocalist negli Avantasia, cantando con il soprano leggero in Sleepwalking, molto semplice, sentimentale, in effetti un po’ scontata ma pur sempre orecchiabile. Arriviamo ad una delle due tracce più lunghe della raccolta, Saviour In The Clockwork in cui Tobi richiama a raccolta tutte le voci maschili fino ad ora presentate (Kiske, Byford e Turner) per unirsi a lui in un’altra fantastica corsa. I dieci minuti del pezzo sono magistralmente organizzati in varie sezioni, che vanno dalle più potenti e ritmate del refrain a quelle più lente e a dinamica bassa, che servono per creare il climax che riporterà nuovamente il groove della traccia alle stelle riprendendo il ritornello per concludere. Stessa cosa dicasi per Invoke The Machine, featuring Ronnie Atkins (Pretty Maids): qui le linee di chitarra elettrica e batteria si fanno ancora più aggressive, per un brano intenso ed incalzante, magari un po’ ostico da digerire al primo ascolto ma decisamente meritevole una volta metabolizzato.

Concediamoci un altro break per assaporare un po’ di sentimentalismo in chiave rock come si deve: la consueta ballad mai assente nelle opere di Tobi ci viene offerta da Eric Martin (Mr. Big) e risponde al nome di What’s Left Of Me, pezzo araldo delle ultime due tracce che concluderanno l’album. Stiamo parlando di Dweller In A Dream in cui fa il suo ritorno Michael Kiske, nell’ultima traccia di stampo power, e di The Great Mystery, il gran finale alla quale prestano la voce Turner, Byford ed un ritrovato Bob Catley, in uno spettacolare melting pot di stili diversi amalgamati alla perfezione. Rock e musica classica sposano perfettamente musical e gospel, per la degna chiusura di una delle opere meglio riuscite al genio del leader degli Edguy, che riconferma per la sesta volta il suo talento mai obsoleto e incredibilmente versatile.

Autore: Avantasia Titolo Album: The Mystery Of Time
Anno: 2013 Casa Discografica: Nuclear Blast
Genere musicale: Power Metal Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: http://www.tobiassammet.com
Membri band:

Tobias Sammet – voce, basso

Sascha Paeth – chitarra

Miro Rodenberg – tastiere

Russel Gilbrook – batteria e percussioni

Tracklist:

  1. Specters
  2. The Watchmaker’s Dream
  3. Black Orchid
  4. Where Clock Hands Freeze
  5. Sleepwalking
  6. Saviour In The Clockwork
  7. Invoke The Machine
  8. What’s Left Of Me
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
31st Mar2013

Avantasia – The Metal Opera Pt.2

by Massimo Macera

Ad un anno dalla pubblicazione del primo capitolo di The Metal Opera, il genio musicale di Tobias Sammet (frontman degli Edguy) fa il suo ritorno sotto le luci della ribalta per regalarci il tanto atteso finale delle vicende di Gabriel e del suo viaggio nella terra di Avantasia. Il valente cast di The Metal Opera pt.2 rimane pressoché invariato eccetto per un’ulteriore ingaggio: al già fantastico cameo di personaggi accuratamente selezionati tra i gruppi di maggior spicco del genere power (Helloween, Gamma Ray, Angra ed altri), Sammet aggiunge Bob Catley, vocalist dei Magnum, nei panni (o forse rami) di un albero della conoscenza, in stile Pochaontas di Walt Disney. Tra gli strumentisti invece fanno il loro ingresso Eric Singer (dei Kiss) alla batteria, e Timo Tolkki (ex Stratovarius) alla chitarra, già presente nel progetto ma fino ad ora soltanto come cantante. La proposta musicale dell’album rimane, ovviamente, non dissimile da quella del suo predecessore, ovvero improntata verso la potenza e la dinamicità tipiche del power metal ed arricchita da sezioni di orchestra classica e di cori maschili epici, senza disdegnare però tracce più lente e sentimentali. Si riscontra infatti che in tutti e due le raccolte sono sempre presenti almeno due ballad, una delle quali eseguita completamente al pianoforte, talvolta merlettata con dei violini.

Va sottolineato comunque, che in questo secondo capitolo, l’album perde alcuni dei tratti caratteristici che lo fanno leggermente involvere verso una “normale raccolta di pezzi” piuttosto che un’opera: sono infatti assenti intermezzi completamente strumentali, o parti recitate, ed in più diviene evidente che l’inventiva di Sammet comicia ad essere ridondante e meno originale, benchè comunque sempre piacevole (ovviamente diamo per scontato un precedente ascolto della part 1 dell’opera). Troviamo però anche pezzi di grande impatto, basti pensare a The Seven Angels, il brano di apertura, una maestosa rapsodia lunga ed articolata (la struttura non differisce molto dall’intramontabile Bohemian Rhapsody dei Queen) alla quale prende parte la quasi totalità del cast. Ad essa segue No Return, un precipitoso duetto tra Sammet e Matos, ma oltre la velocità, null’altro degno di nota caratterizza questo pezzo. È la volta di The Looking Glass e In Quest For in cui Sammet viene affiancato da Bob Catley, rispettivamente in un primo deciso e cadenzato duetto dal ritornello polifonico ed accattivante, e in una seconda ballad al pianoforte; anche qui (pur ribadendo che comunque i pezzi sono orecchiabili in generale) la sola novità ci è data dal timbro del nuovo personaggio della storia, essendo la struttura molto simile ad Inside dal primo album.

Spezziamo tuttavia una lancia a favore di Tobi per la traccia che segue, The Final Sacrifice, un cruento e frenetico duetto tra quest’ultimo e il già incontrato vocalist dei Virgin Steele, David DeFeis, il cui ringhiante e straziante timbro evoca brillantemente la tortura fisica che il suo personaggio sostiene nella storia; inoltre le sue tre ottave e mezzo di estensione vengono finalmente alla luce, conservando potenza anche nei passaggi più acuti, un fattore che aiuta a differire dagli altrimenti già sentiti gorgheggi sottili di Michael Kiske e di Andre Matos. Sempre più prossimi alla fine seguitiamo con un poker di pezzi rappresentanti l’epilogo della trama: scontri vinti con tragiche perdite, malvagi che si pentono, e il salvataggio finale della sorella tanto amata, stiamo parlando di Neverland (Sammet e Rob Rock), Chalice Of Agony (un altro immancabile terzetto firmato Sammet, Hansen e Matos) e Memory (Sammet e Ralf Zdiarstek), anch’esse caratterizzate da epici ritornelli corali. L’opera si conclude con Into The Unknown in cui la sofisticata orchestra annuncia un viaggio verso l’ignoto e fa da sfondo alle voci di Tobias e della tenera Sharon Den Adel fino ad allora rimasta dietro le quinte (nella storia dietro le sbarre), per un duetto trepidante di gioia ed avventura, di quelli che accompagnano il “the end” alla fine di una meravigliosa storia.

Per finire, malgrado qualche passabile acciacco, The Metal Opera Pt. 2 costituisce un altro importante prodotto per coloro che si sono votati al power metal, sia per completezza, che per ciò che offre la raccolta in sè, il teutonico Tobias Sammet infatti dimostra di saper risultare creativo e coinvolgente anche in una produzione musicale decisamente corposa. Con questi due album il progetto Avantasia si assicura un brillante inizio per quello che si spera essere un florido ed apprezzato percorso.

Autore: Avantasia Titolo Album: The Metal Opera Pt.2
Anno: 2002 Casa Discografica: Scarecrow Records
Genere musicale: Power Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.tobiassammet.com
Membri band:

Tobias   Sammet – tastiere, voce

Henjo   Richter – chitarra

Markus   Grosskopf – basso

Alex   Holzwarth – batteria

Tracklist:

  1. The Seven Angels
  2. No Return
  3. The Looking Glass
  4. In Quest For
  5. The Final Sacrifice
  6. Neverland
  7. Anywhere
  8. Chalice Of Agony
  9. Memory
  10. Into The Unknown
  11. Chalice Of Agony (edit version bonus track)
  12. Avantasia (single version bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
20th Mar2013

Helloween – Straight Out Of Hell

by Gianluca Scala

Grandissimo e gradito ritorno delle zucche di Amburgo che con questo nuovo lavoro discografico si confermano capisaldi del power metal di scuola europea. Ebbene sì, gli Helloween a distanza di tre anni dal metallifero 7 Sinners tornano a deliziare le nostre giornate con 15 nuovi brani (noi abbiamo sottomano la versione digipack condita da grandi bonus track) che non si discostano molto dal genere che propongono dalla pubblicazione di Master Of The Rings in poi, in pratica da quando l’ex singer degli hard rocker Pink Cream 69, il buon Andi Deris, ha preso in mano il microfono e la guida della band. In questo nuovo album troverete tutti gli ingredienti che messi insieme creano questa musica tiratissima e godibilissima e sempre colma di melodie eccellenti ed assoli di chitarra a quattro mani da incorniciare nella propria stanza. E qui le nostre zucche amburghesi non si sono risparmiati proprio per nulla. Il primo brano che é anche il primo singolo di lancio dell’album porta il nome di un personaggio epico che riporta al periodo Maya, Nabataea. La canzone é molto bella e ben introduce con i suoi continui cambi di tempo il resto del disco, brano perfetto sotto tutti i punti di vista.

World Of War, Live Now e la grandiosa Far From The Stars sono un perfetto tris d’assi di pregevole power metal che gli Helloween calano ad inzio delle danze ricordando a tutti che questo genere lo hanno creato e fatto crescere anche loro. Gli assoli di chitarra e la doppia cassa, lanciatissima in Far From The Stars vi faranno impazzire di estrema e metallica gioia. Una bella novità di questo ultimo lavoro sta anche nel constatare dello spazio che è stato concesso a livello compositivo e sopratutto nella stesura dei testi delle canzoni al bassista Markus Grosskopf e al chitarrista Sascha Gerstner: il bassista ha firmato ben tre brani mentre Gerstner, che in genere dava solo un apporto prettamente solistico sul lato pratico, si è qui cimentato a scrivere anche i testi di diverse canzoni. Tra queste citiamo l’esplicita già dal titolo Asshole e l’unica ballad presente in questo episodio discografico, ossia la melensa Hold Me In Your Arms. Se poi aggiungiamo che la title track è una delle canzoni più belle scritte negli ultimi anni dagli Helloween potete solo gioire leggendo queste righe.

La grafica del disco é curatissima come sempre, belle le immagini della band ed anche le zucche che fanno da tema portante sia sulla copertina che nel booklet interno, con tanto di lyrics comprese. E tante ghiotte sono anche le bonus tracks incluse, con tanto di dediche particolari come quella fatta a Freddie Mercury con la canzone Wanna Be God, o della versione hammond del brano Burning Sun  per Jon Lord dei Deep Purple (un doveroso R.I.P. per questi due grandi musicisti che ora non ci sono più). Se avete ascoltato Straight Out Of Hell noterete che per un pò di tempo sarete a posto con voi stessi. Tremate, tremate le zucche son tornate!

Autore: Helloween Titolo Album: Straight Out Of Hell
Anno: 2013 Casa Discografica: Sony Music/Columbia
Genere musicale: Power Metal Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.helloween.org
Membri band:

Andi Deris – voce

Michael Weikath – chitarra

Sascha Gerstner – chitarra

Markus Grosskopf – basso

Daniel Loeble – batteria

Tracklist:

  1. Nabataea
  2. World Of War
  3. Live Now
  4. Far From The Stars
  5. Burning Sun
  6. Waiting For The Thunder
  7. Hold Me In Your Arms
  8. Wanna Be God
  9. Straight Out Of Hell
  10. Asshole
  11. Years
  12. Make Fire Catch The Fly
  13. Church Breaks Down
  14. Another Shot Of Life (bonus track)
  15. Burning Sun (bonus track – hammond        version)
Category : Recensioni
Tags : Power metal
1 Comm
16th Mar2013

Avantasia – The Metal Opera Pt.1

by Massimo Macera

Caccia alle streghe, una sorella in pericolo, un oscuro segreto ed un’altra dimensione piena di personaggi fantastici, ingredienti perfetti per una storia fantasy, no? Fu così che nel lontano luglio 2001 l’allora ventiquattrenne Tobias Sammet leader degli Edguy, armato di pentagramma, penna ed inventiva decise che quelli sarebbero stati gli elementi perfetti per una storyline degna di un concept album, il cui successivo lavoro portò all’uscita di una pietra miliare del power metal, ora decantata (cantata, da chi può…) ed elogiata da tutti. Stiamo parlando di The Metal Opera, divisa in due raccolte omonime, rispettivamente Part 1 e Part 2. Qui parleremo di della prima parte. Ma cos’è che rende così speciale quest’album? La risposta arriva dall’ascolto delle tracce stesse. Si nota quasi subito che non è la sola voce di Tobi (Gabriel Laymann) quella che domina benché sia comunque presente in tutta la raccolta. È infatti la collaborazione tra il frontman degli Edguy e la crème di icone del power metal (quali Stratovarius, Gamma Ray, Helloween, Angra e non solo) il punto cardine che caratterizza The Metal Opera; ogni special guest presta la sua preziosa voce ad un dato personaggio all’interno della trama, sia esso più marginale come ad esempio quello di Anna Held, (interpretato dalla leggiadra Sharon Den Adel, vocalist dei Within Temptation) presente solo nello strappalacrime Farewell, o riproposto più volte, come quello di Lugaid Vandroiy, compagno di viaggio (e di acuti) del protagonista (interpretato nientemeno che da Michel Kiske, ex-front man degli Helloween, con il quale notiamo Sammet adora duettare), in Breakin’ Away e nell’epica The Tower, dove per altro fa la sua unica apparizione un tenebroso Timo Tolkki (ex-Stratovarious) nel ruolo della voce della decantata torre.

I pezzi si caratterizzano per un largo uso di orchestrazioni classiche, magari non ricchissime ma comunque efficaci ad addolcire un po’ l’atmosfera dominata altrimenti solo da veloci chitarre elettriche e doppio pedale a profusione. Sammet, inoltre, pare ritenere indispensabile l’utilizzo di cori a più voci esclusivamente maschili in quasi tutti i pezzi (in accordo con le vicende della storia), i quali sembrano dar fiato alla coscienza del protagonista, permettendoci di coglierne i disagi e le riflessioni: ne abbiamo un calzante esempio nei ritornelli di Glory Of Rome, Serpents In Paradise (quest’ultima assieme ad un espressivo David DeFeis, dei Virgin Steele) e Breakin’ Away, come anche nell’imponente Sign Of The Cross, in cui appare anche l’autoritario timbro di Oliver Hartman (ex-At vance), perfetto nel ruolo del Papa Clemente VIII e quello di Bob Rock, degli Impellitteri, che interpeta il suo sottoposto, il vescovo Von Bicken. Non mancano poi tracce che esulino un pochino dal resto dell’album: ritroviamo infatti Inside eseguita completamente al pianoforte, che fa da base alle voci di Kai Hansen (ex-Helloween, attuale leader dei Gamma Ray) nel ruolo di Regrin, il nano, e del brasiliano Andre Matos (ex-Angra) nei panni di Elderane, l’elfo, in un introspettivo e breve terzetto con il protagonista sulla fantasia.

Una critica da muovere a Tobias tuttavia è il poco spazio solistico che egli concede ai colleghi strumentisti, alcuni di loro selezionati ancora una volta da altre band. Annoveriamo tra loro il bassista Markus Großkopf, degli Helloween, e Henjo Richter dei Gamma Ray, la cui chitarra è il primo strumento dopo l’orchestra ad aprire gli inizi dell’album in Reach Out For The Light. Gli unici pezzi totalmente strumentali, ovvero Prelude all’inizio, In Nomine Patris e A New Dimention, (queste ultime due dalla durata relativamente troppo breve) sono appannaggio esclusivo dell’orchestra. Per concludere, un’ensamble svariato di voci e strumentisti, competente e azzeccato, ed una produzione musicale coinvolgente, dalle armonie mai scontate, diverse ma tuttavia coerenti sia tra loro che con la storyline, rendono The Metal Opera un prezioso manufatto da aggiungere obbligatoriamente alla playlist di chi muove ancora i primi passi nell’ambito del power metal, ed anche coloro che hanno affinato le loro orecchie nel genere non rimarranno delusi nell’ascoltare questa speciale variante più melodica, la cui inusuale ma accattivante struttura offre un alternativo ed interessante punto di giunzione tra il metal e i canoni della musica classica che differisce dal solito canto impostato su chitarra elettrica.

Autore: Avantasia Titolo Album: The Metal Opera Pt.1
Anno: 2001 Casa Discografica: AFM Records
Genere musicale: Power Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.tobiassammet.com
Membri band:

Tobias   Sammet – tastiere, voce

Henjo   Richter – chitarra

Markus   Grosskopf – basso

Alex   Holzwarth – batteria

Tracklist:

  1. Prelude
  2. Reach Out For The Light
  3. Serpents In Paradise
  4. Malleus Maleficarum
  5. Breaking Away
  6. Farewell
  7. The Glory Of Rome
  8. In Nomine Patris
  9. Avantasia
  10. A New Dimension
  11. Inside
  12. Sign Of The Cross
  13. The Tower
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
05th Mar2013

Angra – Best Reached Horizons

by Marcello Zinno

Cambiare cantante è sempre un problema per una band. Quando una formazione sforna album epocali i fan si affezionano ai musicisti che hanno creato quelle canzoni. Ciò è tanto più vero se ci parla del singer la cui performance resta impressa anche per chi non è attento ai tecnicismi musicali rappresentando il primo fattore che si imprime nella mente di chi ascolta. Questo lo sanno tantissime band (Iron Maiden, Marillion, Judas Priest, Black Sabbath, Deep Purple, Helloween, Dragonforce, Alice In Chains, Gotthard…): si tratta di un ostacolo molto rischioso che può sancire la fine della carriera della band o altre volte, con anni e anni di lavoro, una rinascita (AC/DC su tutti). Anche gli Angra rientrano in questo discorso, raccontato nel vero senso della parola da questo Best Reached Horizons uscito a fine 2012 sotto SPV/Steamhammer. Dal 1993 al 1999 infatti la band brasiliana è stata diretta da Andre Matos, mentre al 2000 in poi dietro il microfono è stato scelto Edu Falaschi. Un cambio di rotta che ha significato molto per la band e che ha voluto essa stessa mettere a confronto con questa doppia uscita nella quale il primo album rappresenta la prima epoca della band mentre il secondo il periodo più nuovo vissuto con Edu.

Ma ciò non basta, perchè in realtà i due CD ripercorrono in ordine cronologico i successi delle due formazioni (senza considerare le sostituzioni degli altri, seppur importanti, musicisti). Il CD 1 contiene le prime quattro tracce estratte da Angels Cry (1993) la quinta e la sesta da Holy Land (1996) un estratto live da Holy Live (1997) la title track dell’EP Freedom Call (1996) e due brani di Fireworks (1998). Non abbiamo dubbi: le tracce sono davvero il meglio del meglio della produzione realizzata con Matos e rappresentano un pò una guida per chi non conosce la band per scoprire il loro fantastico mondo. Stesso discorso per il secondo CD dedicato ad Edu: le prime due tracce estratte da Rebirth (2001) la title track dell’EP Hunters And Prey (2002), due brani da Temple Of Shadows (2004), due da Aurora Consurgens (2006) e due dal più recente Aqua (2010). Tutto rigorosamente in ordine cronologico. Inutile fare una disamina dei singoli brani: è stato selezionato di proposito il meglio della loro carriera, anche per omaggiare questa release che rappresenta il primo ‘best’ a nome Angra. Curioso scoprire, tramite proprio questa scelta di ordinare temporalmente le tracce, quanto si sia evoluto il power metal della band, passando da un power/prog dalle tinte molto epiche nella prima fase ad un power/heavy comunque molto tecnico del secondo periodo. Gli stili vocali sono simili tra loro: acuti e vette altissime caratterizzano le voci di Matos e Falaschi anche se nel primo si ravvisa una spregiudicatezza maggiore. Ovviamente la differenza principale è che il primo risiede stabilmente nel cuore dei fan per le emozioni copiosamente elargite in passato.

Curiosa in chiusura la scelta di inserire una cover, si tratta di Kashmir dei Led Zeppelin, rivista profondamente secondo lo stile che caratterizza i brasiliani senza snaturarne la versione originale. In conclusione possiamo parlare di un prodotto commerciale? Non possiamo negare che si tratta di un’uscita per far rivivere ai fan le perle delle due ere e permettere a chi non conosce gli Angra di condensare in due ore veramente il top da loro prodotto in venti anni di magistrale carriera. Secondo noi è qualcosa di più…ora che anche Edu Falaschi ha annunciato di lasciare la band è possibile che con questo ‘best’ si voglia fare il punto dei due periodi precedenti e puntare ad uno nuovo con un terzo singer. Staremo a vedere.

Autore: Angra Titolo Album: Best Reached Horizons
Anno: 2012 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Progressive, Power Metal Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.angra.net
Membri band:

André Matos – voce

Edu Falaschi – voce

Rafael   Bittencourt – chitarra

Kiko Loureiro – chitarra

Felipe Andreoli – basso

Luis Mariutti – basso

Ricardo Confessori – batteria

Aquiles Priester – batteria

Tracklist:

Disc 1

  1. Carry On
  2. Angels Cry
  3. Wuthering Heights
  4. Evil Warning
  5. Nothing To Say
  6. Holy Land
  7. Carolina IV (Live)
  8. Freedom Call
  9. Lisbon
  10. Metal Icarus

Disc 2

  1. Nova Era
  2. Rebirth
  3. Hunters And Prey
  4. Spread Your Fire
  5. Waiting Silence
  6. The Course Of Nature
  7. Salvation Suicide
  8. Arising Thunder
  9. Lease Of Life
  10. Kashmir
Category : Recensioni
Tags : Power metal
1 Comm
25th Feb2013

Fatal Impact – Esoteria

by Giancarlo Amitrano

Anche dai recessi più sperduti del nostro vecchio continente possono fuoriuscire solide realtà musicali, senza che il Paese di provenienza sia di ostacolo. Essendo, anzi, nel caso di specie il luogo in esame tra i più degni e nobili ispiratori di frange estreme del metal quali il death o anche il brutal. Il combo norvegese rilascia il secondo full-lenght dopo un quinquennio dal lavoro di esordio, mostrando una apprezzabile volontà di uscire fuori dai canoni consolidati del power da esso proposto in questo disco, che comunque risente ancora di una cappa di a volte latente pressapochismo in alcune tracce, specie per quanto riguarda la base compositiva, che pare non del tutto a suo agio nell’espressione delle tonalità alte da parte del singer. Imperniato quasi completamente attorno all’arcano ed al mistero, l’album offre uno spaccato di immaginazione musicale davvero ispirata in alcuni passaggi, ma purtroppo ripetitiva in altri. La titletrack è un buon intro che serve a creare l’opportuna atmosfera d’ambiente che spiana la strada a A New Era, brano molto intenso e su cui la band si esprime al meglio anche nei legati della chitarra, che cerca di rendere al meglio l’intenzione quasi metal nel bridge centrale. Where The Alders Grove ricalca stancamente la traccia precedente, costituendone forse un ideale prosieguo, peraltro mal riuscito a causa di una produzione che incupisce troppo il sound. Silent December risalta senza meno come la gemma del disco: classica ballad in stile power, dove le asce in questa occasione realizzano un’azzeccata combinazione dei suoni e consentono al singer di esprimersi finalmente al meglio con una timbrica che spazia dalle tonalità cupe a quelle ben più pulite nello svolgimento del pezzo. Almeno in questo frangente, la band si mostra finalmente compatta, cosa che purtroppo non si riscontrerà ancora spesso lungo la durata del disco.

Endtime Theater e The Blind Mans Eye è un dittico di brani che non mette e non toglie: in ambo le tracce le premesse sono ottime con le sonorità molto velocizzate e con il singer che si danna il suo per rendere ancora più compatti i brani. Eppure, dopo un attento ascolto resta la sensazione di trovarsi di fronte ad un lavoro incompiuto, a causa della scarsa ispirazione che la band appare immettere nell’esposizione dei brani, mentre con The Arrival si risale la china per quanto concerne il trasporto e l’intensità della band. Le atmosfere si fanno nuovamente cupe e la band appare qui a suo agio nel consentire un saggio uso del growl al singer in vari passaggi. Carica ed energia trasudano qui a pieni amplificatori, grazie ai tempi ben distribuiti. A View To Hell e Under The Stars sono ennesime power song che rendono bene l’intenzione della band di tributare i titani del genere, sia pur a modo loro. Rivisitati i clichè da seguire, i brani sono strutturati secondo le intenzioni canoniche della band e non per questo il sound risulta piatto o ostico da ascoltare. The Final Solace è invece un buon brano d’impatto, in cui la voce fa da padrona e viene seguita docilmente dal resto del combo nelle sue evoluzioni, senza aggiungere nulla di nuovo che possa indirizzare a mutare opinione sul lavoro sin qui svolto.

Verity Of Splendor si caratterizza per la relativa calma e pacatezza che riesce a trasmettere con le sue atmosfere: quasi a fungere da passerella finale a Funeral, in cui la band ci dona con sorpresa un solido lavoro dell’organo che disegna un brano stavolta davvero coinvolgente e che ripaga di alcuni passaggi a vuoto precedenti. Passaggi che ci si augura non si ripetano in futuro con i prossimi lavori.

Autore: Fatal Impact Titolo Album: Esoteria
Anno: 2012 Casa Discografica: Nadir Music
Genere musicale: Power Metal Voto: 6
Tipo: CD Sito web: http://www.fatalimpact.no
Membri band:

Jorn Oyhus – voce, chitarra, tastiere

Per Anders Olsen – chitarra

Sondres Endsen – batteria

Freddy – basso

Tracklist:

  1. Esoteria
  2. A New Era
  3. Where The Alders Grove
  4. Silent December
  5. Endtime Theater
  6. The Blind Mans Eye
  7. The Arrival
  8. A View To Hell
  9. Under The Stars
  10. The Final Solace
  11. Verity Of Splendor
  12. Funeral
Category : Recensioni
Tags : Power metal
0 Comm
Pagine:«1...910111213141516»
« Pagina precedente — Pagina successiva »
  • Cerca in RockGarage

  • Rockgarage Card

  • Calendario Eventi
  • Le novità

    • Novaffair – Aut Aut
    • Depulsor – Walking Amongst The Undead
    • Giuseppe Calini – Polvere, Strada E Rock’n’roll
    • Bull Brigade – Il Fuoco Non Si È Spento
    • Mandragora Scream – Nothing But The Best
  • I Classici

    • Royal Hunt – Moving Target
    • Angra – Omni
    • Black Sabbath – 13
    • Saxon – Inspirations
    • Whitesnake – Forevermore
  • Login

    • Accedi
  • Argomenti

    Album del passato Alternative Metal Alternative Rock Avant-garde Black metal Cantautorale Crossover Death metal Doom Electro Rock Folk Garage Glam Gothic Grunge Hardcore Hard N' Heavy Hard Rock Heavy Metal Indie Rock Industrial KISS Libri Metalcore Motorpsycho Motörhead New Wave Nu metal Nuove uscite Podcast Post-metal Post-punk Post-rock Power metal Progressive Psichedelia Punk Punk Rock Radio Rock Rock'N'Roll Rock Blues Stoner Thrash metal Uriah Heep
Theme by Towfiq I.
Login

Lost your password?

Reset Password

Log in