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23rd Set2016

Helloween – The Time Of The Oath

by Ottaviano Moraca

Helloween - The Time Of The OathNel 1996 non potevamo permetterci di comprare tutti i CD dei tanti gruppi che seguivamo così facevamo a turno e poi ce li passavamo. Questo The Time Of The Oath toccò in sorte al mio amico Matteo e ben gli disse perché il lavoro è di quelli che valgono e infatti lui letteralmente, e a buon diritto, lo consumò. Finalmente fuori dalla crisi dei primi anni ’90 e rassicurati del buon riscontro del precedente Master Of The Rings, gli Helloween infatti tentavano di ritrovare definitivamente agli antichi fasti, forti anche di una formazione di nuovo stabile. Questo album non nasceva però sotto i migliori auspici e venne infatti dedicato a Ingo Schwichtenberg, batterista del combo tedesco fino al discutibile Chameleon, suicidatosi da poco sotto un treno della metropolitana. Nonostante la tragedia, o forse investiti dalla responsabilità di dover fare bene in ricordo dell’amico scomparso, i Nostri riuscirono nel più arduo dei compiti: bissare il successo del disco del riscatto riaprendo così definitivamente una carriera che sembrava molto ben avviata sul viale del tramonto. Chi li aveva dati per spacciati dovette quindi ricredersi e a suon di un power/speed davvero efficace gli Helloween ancora una volta riuscirono ad incantare l’ascoltatore con una proposta moderna, differente dai precedenti lavori ma comunque riconoscibile come appartenente al loro dna.

Furono soprattutto la opener We Burn, la successiva Steel Tormentor, la variegata Mission Motherland e ovviamente la title track The Time Of The Oath a convincere che le zucche erano tornate… o forse che, in verità, non se ne erano mai andate. Tutto bene, come si conviene per un gruppo di questo calibro, per quanto riguarda la produzione, di primissimo livello, e l’artwork, in linea con quello dei precedenti lavori e dal family feeling inequivocabile. Ma è soprattutto per il sound che questo disco piace e stupisce. Vario, compatto, potente, aggressivo ma non eccessivo e sempre perfettamente intellegibile rende questo lavoro tanto più libidinoso da tenere nello stereo tanto più si ruota verso l’alto la manopola del volume. I brani se ne giovano e a completare l’opera ci pensa un songwriting ispirato e strutturato che li rende anche particolarmente immediati e quindi adatti all’esecuzione dal vivo. E’ con l’intensità dell’esecuzione però che il gruppo conquista punti e dà spessore a questa proposta che infatti riscosse da subito un ottimo successo di vendite.

Ne seguì un tour mondiale memorabile che toccò in diversi punti anche l’Italia e obbligò il sottoscritto a seguire l’amico Matteo per strapparlo dalle transenne sotto il palco prima che fosse troppo tardi. Sì, è questo il rischio che si corre con The Time Of The Oath dunque siete avvertiti… però fatevi un favore: non perdetevelo!

Autore: Helloween Titolo Album: The Time Of The Oath
Anno: 1996 Casa Discografica: Castle Communications
Genere musicale: Power Metal Voto: 7,25
Tipo: CD Sito web: http://www.helloween.com
Membri band:

Andi Deris – voce

Roland Grapow – chitarra

Michael Weikath – chitarra

Markus Grosskopf – basso

Uli Kusch – batteria

Tracklist:

  1. We Burn
  2. Steel Tormentor
  3. Wake Up The Mountain
  4. Power
  5. Forever And One (Neverland)
  6. Before The War
  7. A Million To One
  8. Anything My Mama Don’t Like
  9. Kings Will Be Kings
  10. Mission Motherland
  11. If I Knew
  12. The Time Of The Oath
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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21st Set2016

Gamma Ray – Empire Of The Undead

by Ottaviano Moraca

Gamma Ray - Empire Of The UndeadPrima ancora di entrare in studio per registrare questo undicesimo album (e prima che il loro studio venisse completamente distrutto da un incendio insieme a gran parte della strumentazione della band) Kai Hansen aveva dichiarato che il sound avrebbe virato verso il thrash. In questo senso il disco è un fallimento quasi totale. Sotto tutti gli altri punti di vista invece il gruppo ha fatto un ottimo lavoro sfornando l’ennesima perla di power/speed teutonico e festeggiando così nel migliore dei modi il traguardo dei venticinque anni di carriera. Non si torna indietro e nemmeno i Nostri possono rivedere i fasti degli anni ’90 ma Empire Of The Dead è comunque migliore almeno dei due diretti predecessori e dunque è da considerare una prova assolutamente positiva soprattutto se inquadrata in un periodo in cui il genere mostra una certa “stanchezza”. Ecco, qui non ce n’è traccia e anzi brani come Avalon, Born To Fly, Pale Rider e I Will Return mostrano di essere freschi e, come nella migliore tradizione dei raggi gamma, allegri e melodici. Quello che un po’ invece è cambiato e la voce dell’inesauribile frontman-chitarrista che rispetto al passato perde poco in termini di interpretazione, intensità ed estro ma molto in quanto ad estensione. Dal prossimo album dovrebbe arrivare un cantante in pianta stabile per dare al nostro eroe maggiore libertà espressiva sul palco, ma finché non verrà annunciato ufficialmente questi sono pettegolezzi quindi aspettiamo.

Non mancano capitoli delicati come l’apprezzabile ballad Time For Deliverance, né davvero cruenti e diretti come Hellbent o la title track in cui velocità e ferocia raggiungono livelli selvaggi, o ancora l’epica Demonseed infarcita di tecnicismi, ma quest’ultima considerazione in effetti si potrebbe estendere all’intero CD in cui i musicisti non trovano un attimo di respiro. Produzione, nemmeno a dirlo, ai massimi livelli tanto da sembrare a tratti persino troppo perfetta e patinata ma comunque mai “plasticosa” grazie soprattutto al sound equilibrato e riconoscibile. Ed è proprio questo sound, marchio di fabbrica del gruppo fin dagli inizi, che qui si evolve leggermente senza snaturarsi, con grande soddisfazione di chi lo ha sempre apprezzato come di chi lo approccia per la prima volta. Altro sigillo di garanzia dei Gamma Ray sono i cori che, trascinanti come di consueto e come si conviene, coinvolgono l’ascoltatore dall’inizio alla fine lasciandolo inesorabilmente senza un filo di voce.

In definitiva questi tedeschi consolidano la fama di essere non solo immortali ma anche incorruttibili difensori del genere che da sempre, pur con qualche modesta variazione, ci hanno proposto. E ci riescono con un altro capitolo addirittura in crescita che ci suggerisce quanto sia profondo il pozzo di creatività a cui possono attingere e allo stesso tempo ci sorge il sospetto che Hansen abbia trovato la fonte dell’eterna giovinezza (quanto meno artistica). Il che mi porta ad una domanda: ma per loro il tempo non passa? Incrollabili.

Autore: Gamma Ray

Titolo Album: Empire Of The Undead

Anno: 2014

Casa Discografica: earMUSIC

Genere musicale: Power Metal

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.gammaray.org

Membri band:

Kai Hansen – voce, chitarra

Henjo Richter – chitarra, tastiera

Dirk Schlächter – basso

Michael Ehré – batteria

Tracklist:

  1. Avalon

  2. Hellbent

  3. Pale Rider

  4. Born to Fly

  5. Master of Confusion

  6. Empire of the Undead

  7. Time for Deliverance

  8. Demonseed

  9. Seven

  10. I Will Return

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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19th Set2016

Helloween – Keeper Of The Seven Keys Part II

by Ottaviano Moraca

Helloween - Keeper Of The Seven Keys Part IIRagazzi, questo è uno dei miei album preferiti di sempre!!! E voi direte “certo, a chi non piace?”. Vero, però ogni tanto capita di dover scrivere di album che per un motivo o per l’altro sono stati particolarmente significativi nella nostra esperienza di “metallari” e siccome è questo il caso sono contento di poterlo raccontare a quei, pochi spero, che ancora non lo conoscono. Questo album è come una di quelle macchine d’epoca perfettamente mantenute nel tempo che ancora oggi sanno catturare tutti gli sguardi oscurando la gloria di modelli più moderni e performanti ma dal fascino comunque inferiore. Ma torniamo a noi: siamo negli anni della massima gloria del metal e gruppi come Iron Maiden e Judas Priest affrontano tour mondiali megalitici mentre gli Helloween portano alta la bandiera tedesca (quasi) tenendo testa ai cugini d’oltremanica. Le vendite del precedente lavoro, idealmente la prima metà di quello che doveva essere un album doppio, sono andate bene e della crisi che arriverà con il grunge negli anni a seguire ancora non c’è traccia. Con l’ispirazione a livelli mai più raggiunti e una formazione degna del titolo di “dream-team”, i Nostri si sentono pronti ad incidere nell’acciaio alcuni dei futuri stilemi del genere. Sotto il cofano di questo bolide di metallo troviamo quindi Kiske alla voce e Hansen alla chitarra solista per una cilindrata totale capace di raggiungere velocità impressionanti.

Ecco quindi che dopo un solo anno dalla precedente prova discografica esce Keeper Of The Seven Keys – Part II. Il lavoro convince e coinvolge fin dall’intro e uno dopo l’altro inchioda l’ascoltatore a suon di capolavori del calibro di Eagle Fly Free, Rise And Fall, Dr. Stein, I Want Out e ovviamente la lunghissima title track. Ma questa fuoriserie non ha solo cavalli vapore in numeri da motore nautico ma anche classe e, sentite bene, senso dell’umorismo (o una vena di follia, se preferite) per stemperare ogni secondo in cui i più incontentabili potrebbero ravvisare ritmi costantemente molto serrati. Quest’auto non è quindi solo veloce e affascinante ma anche divertente da guidare, ascoltare il finale di Rise And Fall o il testo di Dr. Stein per credere, e letteralmente non riuscirete più a togliervela dal garage… o dal lettore CD. Se poi apprezzate le cromature o le finiture di classe non preoccupatevi perché qui non c’è una nota lasciata al caso e ogni arrangiamento, come nelle migliori special, è studiato per rendere al massimo sotto il profilo estetico. Una cosa è certa: dal grande pathos di We Got The Right al tiro heavy di March Of Time per finire con l’incredibile varietà di Keeper Of The Seven Keys questo lavoro ha il grande merito di incontrare il gusto di tutti soprattutto grazie ad un’intensità costante e altissima davvero rara in un disco power/speed.

Capitolo verniciatura, pardon, produzione: impeccabile all’epoca, regge il colpo ancora oggi con solo piccolissimi accenni di ruggine ad aumentarne il fascino che non può nemmeno dirsi vintage visto quanto sia scimmiottato anche ai giorni nostri. Il sound è aggressivo e tagliente ma non estremo e completa l’opera disegnando linee sempre diverse e in continua tensione tra loro. Insomma questo motore è puro heavy metal che romba melodia e tuona virtuosismi e tecnica a non finire. Concludendo, se vi sentite abbastanza in forma per mettervi alla guida di questo bolide che vi farà cantare a squarciagola per seguire i tanti ed elettrizzanti cori che scaturiscono dai cilindri preparati “pronto-gara” allora allacciate le cinture e assicuratevi di non soffrire di cervicale perché il vento e gli strappi di trasmissione, ovvero quasi cinquanta minuti di headbanging, non vi daranno respiro! Siete avvertiti!

Autore: Helloween Titolo Album: Keeper Of The Seven Keys Part II
Anno: 1988 Casa Discografica: Noise Records
Genere musicale: Power Metal Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.helloween.com
Membri band:

Michael Kiske – voce

Kai Hansen – chitarra, tastiere

Michael Weikath – chitarra

Markus Großkopf – basso

Ingo Schwichtenberg – batteria

Tracklist:

  1. Invitation
  2. Eagle Fly Free
  3. You Always Walk Alone
  4. Rise And Fall
  5. Dr. Stein
  6. We Got The Right
  7. March Of Time
  8. I Want Out
  9. Keeper Of The Seven Keys
  10. Save Us
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Power metal
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19th Set2016

Veonity – Into The Void

by Marcello Zinno

Veonity - Into The VoidEsiste una strana formula tra band giovani che riescono a crearsi in poco tempo un dignitoso seguito e uso di generi musicali in voga varie decadi fa. Sulla carta sarebbe cosa impossibile, a meno di parlare di plagio, invece vi sono varie realtà che, rifacendosi a schemi di successo tempo addietro, riescono a crearsi un proprio spazio nella scena musicale attuale. Ma la vera sorpresa è che qui non si parla di sonorità che, nel bene o nel male, sono sempre rimaste a galla, come il rock classico (si veda Airbourne vs AC/DC) o l’hard rock (come i Lordi vs Kiss e Alice Cooper), bensì di un genere, il power metal, che è stato oscurato nel corso del XXI secolo e che oggi fa fatica a risultare ancora degno di interesse. Nel loro nuovo album, Into The Void (figlio di Gladiator’s Tale, uscito ad inizio 2015), i Veonity riescono a mostrare i propri muscoli e rendere appetibile il proprio trademark power: si sentono forti le influenze di Stratovarius per quanto riguarda tastiere e ritmiche, queste ultime spesso velocizzate per dare più verve alla proposta, e in ciò ammettiamo che più di una volta viene a galla l’anima speed a cui i Dragonforce ci hanno abituati.

Non può mancare una vena classica, potremo dire epica, che compare in alcuni cori a più voci e negli intermezzi, altri elementi che ci riportano agli anni 90 quando il power metal era inteso in questo modo. Eppure lo stile dei Veonity non finisce qui, perché alcune scelte sonore applicate alla sei corde sembrano voler citare gli immancabili Helloween (ascoltare Winds Of Faith) mentre, se vogliamo osare, la loro attitudine e alcune costruzioni ci riportano allo stile che ha reso i Manowar famosi (volendo uscire un po’ dal seminato power). Tutto uguale? Diremo proprio di no: innanzitutto la produzione è curatissima, i suoni sono missati molto bene e il risultato finale è davvero lodevole. Inoltre Into The Void gronda compattezza e tecnica in ogni dove, si ascoltino gli assoli di Frozen o la priestiana Warriors Of Time per avere un esempio. Brani come Awake o la stessa titletrack sono esempi di una band che ha molto più di soli tre anni di vita, ma ci sentiamo di citare anche Until The Day I Die che con il suo ritornello si apre ad un pubblico più ampio e Heart On Fire, brano epico e suggestivo.

Certo, per chi mastica power metal a colazione, pranzo e cena questo album potrebbe sembrare un po’ derivativo ma l’impatto delle tracce, il riffing e le capacità del quartetto attirano una forte attenzione che farà sicuramente parlare di loro.

Autore: Veonity

Titolo Album: Into The Void

Anno: 2016

Casa Discografica: Sliptrick Records

Genere musicale: Power Metal

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.veonity.com

Membri band:

Sköld – voce, chitarra

Samweli – chitarra

Lidre – basso

Kollberg – batteria

Tracklist:

  1. When Humanity Is Gone

  2. Frozen

  3. A New Dimension

  4. Awake

  5. Insanity

  6. Solar Storm

  7. Until The Day I Die

  8. In The Void

  9. Warriors Of Time

  10. Astral Flames

  11. Heart On Fire

  12. Winds Of Faith

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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15th Set2016

Gamma Ray – Heading For Tomorrow

by Ottaviano Moraca

Gamma Ray - Heading For TomorrowChe da fisici nucleari vi siano familiari le radiazioni elettromagnetiche ad alta energia, che talvolta abbiate desiderato la loro capacità di trasformare nell’incredibile Hulk persino il mite Bruce Banner o che con il Grande Mazinga ne abbiate apprezzato l’utilità nel difenderci dagli invasori, tutti conoscete i “raggi gamma”. Per i metallari invece i Gamma Ray sono la creatura di Kai Hansen, il talentuoso chitarrista tedesco che, dopo aver lasciato gli Helloween al loro destino, decise di fondare una band da poter dirigere senza mai dover scendere a compromessi. Il nostro eroe, smentendo tutti coloro che lo davano per finito, recluta l’amico Ralf Scheepers e con lui nel giro di poco dà alle stampe questo primo lavoro dal sound, assai prevedibilmente, vicino a quello delle zucche di Amburgo. Ma non chiamatelo spin-off, per rubare un termine caro a questo periodo in cui nel bene e nel male siamo invasi dai telefilm, perché questa neonata band presto se la giocherà ad armi pari con quella che le donò una costola. Siamo infatti nel 1990 ed evidentemente o in Germania il power metal lo hanno nel sangue oppure la nuova avventura galvanizzò i Nostri a tal punto da permettergli di sfornare in brevissimo tempo una perla contenente brani della caratura di The Silence, un classico che ancor oggi, a distanza di oltre 25 anni, è considerato tra i più emozionanti della loro produzione.

Musicalmente siamo dunque di fronte ad un metal allegro e spensierato ma mai banale o eccessivamente facile nonché contaminato da scorribande in territori spesso sorprendenti… provare per credere! Apprezzabile quindi la proposta che mischia con saggezza velocità, potenza, aggressività, melodia, originalità e atmosfere ariose e, a tratti, persino divertenti. Mai e poi mai noiosi o soffocanti i Nostri ci dilettano anche con qualche sperimentazione negli arrangiamenti, come in Space Eater, o nell’armonia, come in Money. Sostenuti dalla buona sezione ritmica, Hansen e Scheepers possono dare buona prova del loro estro, come detto in grande evidenza per tutto il disco, e della loro tecnica, che si dimostra versatile e sempre al servizio dell’espressività piuttosto che fine a sé stessa. Condensato di tutto questo talento è la lunghissima title track, quasi un quarto d’ora di suite che da sola potrebbe costituire un intero album tanto è varia e articolata nella composizione. La produzione dell’intero disco invece convince un po’ meno perché, pur essendo assolutamente adeguata, non brilla come questo lavoro avrebbe meritato. Pieno com’è di piccole chicche tutte da gustare si fatica un po’ più del necessario per cogliere al primo ascolto tutte le sfumature che pure meriterebbero attenzione anche se, va detto, avere una scusa per ripassare questo CD più di qualche volta non è certo un disturbo.

Insomma, anche se per il calibro degli autori questo album non può essere considerato un esordio discografico nel vero senso della parola, bisogna riconoscere freschezza e ispirazione ad un progetto che avrebbe facilmente potuto essere un clone degli Helloween mentre si dimostra tanto originale da guadagnare, da subito la sua ragione d’essere. Concludendo questo lavoro non può mancare nella collezione di qualsiasi metallaro, non solo per il valore assoluto chiaramente innegabile, ma anche per il valore storico e per ciò che rappresenta per l’intero movimento power. Fan dei raggi gamma siete avvisati.

Autore: Gamma Ray

Titolo Album: Heading For Tomorrow

Anno: 1990

Casa Discografica: Noise Records

Genere musicale: Power Metal

Voto: 7,75

Tipo: CD

Sito web: http://www.gammaray.org

Membri band:

Ralf Scheepers – voce

Kai Hansen – chitarra

Uwe Wessel – basso

Mathias Burchard – batteria

Tracklist:

  1. Welcome

  2. Lust For Life

  3. Heaven Can Wait

  4. Space Eater

  5. Money

  6. The Silence

  7. Hold Your Ground

  8. Free Time

  9. Heading For Tomorrow

  10. Look At Yourself (cover degli Uriah Heep)

Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Power metal
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14th Set2016

Perseus – A Tale Whispered In The Night

by Ottaviano Moraca

Perseus - A Tale Whispered In The NightCosa succederebbe se il tour bus dei Judas Priest andasse a scontrarsi con quello dei Gamma Ray e poi, strisciando rovinosamente sull’asfalto, insieme carambolassero nel bar dove gli Iron Maiden stanno prendendo un caffè? Ve lo diciamo noi: dai resti fumanti e dalle lamiere contorte uscirebbero questi Perseus che arrivano alla seconda prova sulla lunga distanza dopo che il precedente concept aveva riscosso discreti apprezzamenti. Questa ambiziosa band di Brindisi si ripresenta dunque alla ribalta per raccontarci un’altra storia attraverso un nuovo, grandioso progetto di 19 pezzi, di cui però otto sono brevi interludi di collegamento tra le tracce, per quasi un’ora di solido metallo a cavallo tra il power e l’heavy più moderno. Va ricordato a chi non ha la memoria molto lunga che l’espediente di collegare le parti dell’opera tramite intermezzi non è una novità ma, almeno in ambito metal, si può ricondurre allo splendido Operation Mindcrime (Queensrÿche, recensito da noi a questa pagina http://www.rockgarage.it/?p=9919) di fine anni ’80 in cui però si poteva ravvisare con maggiore, e sicuramente desiderabile, parsimonia.

Al di là dell’esasperazione di questa soluzione, i Nostri fanno tutto bene confezionando un lavoro convincente tanto dal punto di vista esecutivo che da quello compositivo. La giusta dose di tecnica, ascrivibile soprattutto al lavoro dei due axemen, condisce dunque questo lavoro che, come anticipato, si sa distinguere anche per l’apprezzabile struttura dei brani, piacevole soprattutto perché sempre opportunamente varia e movimentata. Ottimi anche gli arrangiamenti che si appoggiano anche a qualche tastiera, ma solo per supporto e quindi non disturberanno gli amanti dei sound più “chitarrosi”. Sezione ritmica sempre a punto anche se fin troppo presente e monolitica per un lavoro che punta molto sull’espressività lasciando spesso in secondo piano la carta della cattiveria pura a tutto vantaggio dell’impatto emotivo. Inappuntabile invece il lavoro dietro al microfono che mostra maturità, talento e un’invidiabile varietà espressiva. Dunque dal punto di vista musicale questa proposta convince senza alcun dubbio. Quello che manca potrebbe essere una maggiore originalità non tanto nei contenuti quanto magari nel sound, dal sapore non proprio inedito, e soprattutto nel genere di appartenenza in cui la band nemmeno tenta di portare qualcosa di nuovo. Certamente non era questo l’intento del gruppo ma provarci non avrebbe guastato perché le carte per far bene anche in questo frangente ci sono tutte.

Tirata d’orecchi invece alla voce comunicazione: il corredo del CD è completo ma l’artwork avrebbe dovuto essere realizzato meglio così come il loro sito web che poteva essere all’altezza del loro nome, soprattutto alla luce dei diversi anni di attività della band. Attesi dunque al decisivo varco del terzo album in cui vorremmo vedere tutta la classe del progetto Perseus messa a frutto a 360°.

Autore: Perseus

Titolo Album: A Tale Whispered In The Night

Anno: 2016

Casa Discografica: Buil2kill Records

Genere musicale: Power Metal, Heavy Metal

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.perseuspowermetalband.com

Membri band:

Antonio Abate – voce

Gabriele Pinto – chitarre

Cristian Guzzo – chitarre

Alex Anelli – basso

Feliciano Lamarina – batteria

Tracklist:

  1. Intro

  2. The Diary

  3. Time Over

  4. Hidden Murders

  5. Magic Mirror

  6. Echoes Of Mind

  7. Dying Every Time

  8. Ana Annur

  9. Deceiver

  10. Lux Domini

  11. Son Of The Rising Sun

  12. My Endless Dream

  13. Whispers In The Mist

  14. I’m The Chosen One

  15. Rain Is Falling

  16. Legions Of Ravens

  17. Never Surrender

  18. The Ride Of Pegasus

  19. Epilogue

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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31st Ago2016

Gabriels – Fist Of The Seven Stars (Act 1) – Fist Of Steel

by Ottaviano Moraca

Gabriels - Fist Of The Seven Stars (Act 1) – Fist Of SteelMai… Mai… Scorderai, l’attimo… la terra che tremò e poi… Silenzio… E…”. Ok, ok, potrebbe essere che mi sia lasciato prendere un po’ dall’entusiasmo ma ora vi spiego perché, anche se sono certo che chi ha riconosciuto la citazione della sigla italiana avrà già capito dove voglio andare a parare… e per quanto incredibile possa essere è proprio come sembra: questo è un concept album su Ken Shiro (Hokuto No Ken). Ah, per chi invece non conoscesse uno dei più rappresentativi cartoni degli anni ’80… ehi ma che ci fate ancora su queste pagine?! Correte a colmare la vostra lacuna!!! Scherzi a parte stiamo parlando di un cartone-culto che fu il primo a mostrare ai ragazzi un certo tipo di distopia e di violenza intrecciati in una story line struggente ed epica al tempo stesso. Proprio sulla prima parte della storia si basa questo lavoro difficile e talmente ambizioso da essere addirittura diviso in atti di cui il presente Fist Of Steel costituisce il primo episodio. Bene, introduzione conclusa, veniamo ai Gabriels ovvero al progetto solista del talentuoso compositore e tastierista siciliano Gabriele Crisafulli che per l’occasione si circonda di una pletora di ottimi musicisti, tutti reclutati nel sempre più denso panorama metal italiano.

Diciamolo subito: questo disco è molto ben realizzato e come in tutte le migliori rock opera che si rispettino ad ogni personaggio è associato un interprete differente. Traviamo quindi Wild Steel a dare voce al protagonista Ken, Ida Elena De Razza è la sempre tormentata Julia, Marius Danielsen dà vita al controverso Shyn, a Dave Dell’ Orto invece è affidato il ruolo del brutale Jager mentre Dario Grillo funge da narratore dell’intera vicenda. Ora sappiamo chi ha fatto cosa e perché quindi possiamo dedicarci a quello che ci preme di più: il come. Iniziamo dal capitolo tecnica: uno per l’altro tutti i musicisti coinvolti si difendono egregiamente dando a tratti grande sfoggio di capacità esecutiva. Su tutti ovviamente spiccano i virtuosismi del padrone di casa che, per chi sa apprezzare i sound molto “tastierosi”, sono una vera delizia. Le linee melodiche sono sufficientemente elaborate e personali e solo in alcuni momenti, pochi per la verità, sanno di già sentito o di prevedibile. Un aspetto di assoluto rilievo invece è la struttura dei dodici brani che, pur costituendo un unico elemento semantico, presi singolarmente al loro interno risultano variegati e articolati al punto giusto. Nonostante la talvolta notevole durata quindi non c’è noia, ma, è giusto sottolinearlo, nemmeno confusione, in questi brani che migliorano davvero ad ogni ascolto.

Gran classe e grande sensibilità quindi in questo disco che andrebbe gustato seguendo i testi (e la storia) opportunamente forniti nel corredo di copertina, il cui artwork e la cui grafica avrebbero però potuto (e dovuto) essere curati di più e meglio. Siamo infine alle, poche, note negative. Una su tutte la produzione, che risulta costantemente ovattata e comunque sotto tono rispetto alla bontà di un prodotto che ne risulta davvero un po’ danneggiato. Ed è un vero peccato perché con una generale resa sonora migliore, e senza alcuni suoni di tastiera talvolta troppo plasticosi e artificiali, l’esperienza di rivivere in musica la storia di Ken Shiro avrebbe potuto essere molto più entusiasmante. Resta quindi ancora di più il rammarico di non poter godere dal vivo di questa opera che difficilmente potrà essere musicata su un palco, non fosse altro che per il numero di musicisti che andrebbero coinvolti nell’operazione. Ma non abbattiamoci perché anche quando non viene nei panni di un uomo dal pugno d’acciaio… c’è sempre speranza… (sì, è questa la morale ultima della storia).

Autore: Gabriels Titolo Album: Fist Of The Seven Stars (Act 1) – Fist Of Steel
Anno: 2016 Casa Discografica: Diamonds Prod
Genere musicale: Power Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.gabriels.it
Membri band:

Gabriels – tastiere, voce

Wild Steel – voce

Dario Grillo – voce

Marius Danielsen – voce

Ida Elena De Razza – voce

Dave Dell’ Orto – voce

Iliour Griften – voce

Glauber Oliveira – chitarra

Stefano Calvagno – chitarra

Giovanni Tommasucci – chitarra

Francesco Ivan Sante’ Dall’O – chitarra

Angelo Mazzeo – chitarra

Tommy Vitaly – chitarra

Dino Fiorenza – basso

Christian Cosentino – basso

Simone Alberti – batteria

Tracklist:

  1. Fist Of Steel
  2. She’s Mine
  3. Mistake
  4. Seven Stars
  5. A New Beginning
  6. Break Me
  7. My Advance
  8. To Love, Ever Invain
  9. Sacrifice
  10. Black Gate
  11. Revenge Invain
  12. Decide Your Destiny
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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29th Mar2016

Wind Rose – Wardens Of The West Wind

by Marcello Zinno

Wind Rose - Wardens Of The West WindA guardare l’artwork dell’ultimo lavoro dei Wind Rose, band dagli albori legata alla famiglia discografica Scarlet/Bakerteam, ci viene subito in mente la scena symphonic power metal tedesca e in particolare i Blind Guardian del periodo Imaginations From The Other Side / Nightfall In Middle-Earth e, perché no, anche A Night At The Opera. Dai personaggi rappresentati nell’artwork (che omaggia i bardi celtici), ai colori usati (che richiamano paesaggi epici e habitat tipici di quelle sonorità, quali foreste umide e disabitate), si trova tantissimo di quella mentalità. Anche un pizzico di tradizione viking, per lo più nell’immagine dei protagonisti che nelle sonorità, a confermare la proposta del quintetto molto “targhettizzata” (giusto per usare un termine troppo moderno per loro).

Ma non si tratta di puro estetismo, infatti anche nei suoi contenuti Wardens Of The West Wind si colloca proprio al centro di questa scena, con orchestrazioni molto marcate, chitarre potenti, cori epici e una produzione (per fortuna) all’altezza del numero di suoni e strumenti adottati. In prima linea la sei corde che costruisce un vero muro sonoro (complice le scelte produttive) ma, a differenza di altre band emergenti di pari genere, la personalità di questo strumento viene resa più particolare dai numerosi arricchimenti compositivi, arrangiamenti compresi, che rendono più pomposa la resa finale.

Brani lunghi, con chorus ben costruiti e stratificazioni vocali, sono il cuore del sound targato Wind Rose: Ode To The West Wind e la lunghissima Skull And Crossbones riassumono bene la prestanza sonora e gli intenti della band. In un quadro così ben chiaro è perfettamente incastrata una traccia dedicata alle opere di Spartaco. Non può mancare almeno un intermezzo strumentale che in questo lavoro prende il nome di The Slave And The Empire e saggio ne è il concepimento: in un album di oltre cinquanta minuti era fondamentale un pezzo che sospendesse la corsa e facesse riprendere il fiato all’ascoltatore e, in mancanza di ballad, quest’esigenza diveniva vitale. Un segno di maturazione compositiva oltre che coerenza alla scena.

Autore: Wind Rose

Titolo Album: Wardens Of The West Wind

Anno: 2015

Casa Discografica: Scarlet Records

Genere musicale: Symphonic Power Metal

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.windroseofficial.com

Membri band:

Francesco Cavalieri – voce

Claudio Falconcini – chitarra

Dan Visconti – batteria

Federico Meranda – tastiera

Cristiano Bertocchi – basso

Tracklist:

  1. Where Dawn And Shadows Begin

  2. Age Of Conquest

  3. Heavenly Minds

  4. The Breed Of Durin

  5. Ode To The West Wind

  6. Skull And Crossbones

  7. The Slave And The Empire

  8. Spartacus

  9. Born In The Cradle Of Storms

  10. Rebel And Free

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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16th Feb2016

Odyssea – Storm

by Trevor dei Sadist

Odyssea - StormLa curiosità è molta, finalmente ho tra le mani, il nuovo album degli Odyssea, progetto, del virtuoso Pier Gonella, già chitarrista di band quali Necrodeath, Labyrinth, Mastercastle. Dopo il debutto Tears In Flood, datato 2004, dopo dieci anni e qualcosa, è il momento del secondo full lenght. Tutto questo tempo ha permesso a Pier di comporre con calma (nonostante alcuni brani siano stati scritti anni fa) e di presentarsi sul mercato discografico, con un album variegato, specie per le tante collaborazioni, che hanno arricchito l’intero lavoro. Alla voce, troviamo un altro personaggio di spicco del metal nostrano, Roberto Tiranti che, con la sua timbrica inconfondibile e la sua tecnica vocale, ha pensato a colorare i brani grazie a dinamiche e linee melodiche che spaziano da toni medio-alti, a quel calore, di scuola hard rock. La matrice è ovviamente power, nonostante sarebbe un errore fatale pensare di trovare nella musica degli Odyssea solamente epiche cavalcate e nulla più. I riffs sono intelligenti e per nulla scontati, a tratti sembra di rivivere le intense sensazioni dei periodi migliori, legati all’era malmsteeniana. Ma come detto, con lo scorrere delle songs, le venature si fanno più versatili e meno individuabili, anche se dietro al power di partenza si cela la voglia di ripercorrere i fasti hard rock.

Pier Gonella, oltre che nelle vesti di chitarrista e musicista, figura nei panni di produttore e arrangiatore, la sua prestazione è davvero molto buona. La partenza è riservata a No Compromise. Si tratta di un brano energico, tra i capitoli più heavy dell’intero disco, mentre la successiva Anger Danger, volge a un power epico, specie nel chorus. Con Understand ci troviamo di fronte a quanto i Nostri condividono con gli anni 80, sicuramente uno dei capitoli migliori dell’album, grazie ad un riff portante, davvero interessante e alla calda voce di Roberto che ancora una volta ci entusiasma. La spirituale Ice, vede la partecipazione di Giorgia Gueglio, singer dei Mastercastle, per un attimo i giochi si fanno, più ragionati e meno istintivi, anche se il tempo di rilassarci dura davvero poco, Freedom ci riporta dritti nel power, sulle note di una furente doppia cassa, mentre Roberto, “gioca” con la sua voce e lo fa molto bene. A metà album, c’è spazio per una sorpresa, un omaggio alla band degli Oliver Onions, formazione italiana che negli anni 70/80 ha scritto molte colonne sonore di film e cartoon; in questo caso gli Odyssea, vanno a tributare la band con la cover di Galaxy, rendendo al brano quel tocco di personalità in più, che lo avvicina al resto senza stonature.

E’ arrivato anche il momento di ascoltare la, title track: Storm è un brano energico in cui emerge maggiormente la stima nei confronti del mai troppo citato Yngwie, davvero pregevole il solos di Pier sulla coda del brano. Il nuovo album degli Odyssea, si fa sempre più piacevole, tra le note di Ride, che ci portano indietro di qualche anno. Tears Of The Rain, si tratta di una canzone di assoluto primo impatto, non c’è respiro, rapiti dalla musica degli Odyssea, e in questo senso un ruolo determinante lo gioca la successiva Apocalypse pt.2, brano strumentale dove le capacità di Pier Gonella vengono ancora alla luce in una cavalcata neoclassica coadiuvata da orpelli electro. Facciamo ritorno alle opulenze epiche, con Fly non ci si annoia, anzi sul finire dell’album sono ancora qui, a tessere lodi, anche con la nuova candidatura dell’alternative version di No Compromise. Pollice in su, per questo secondo capitolo targato Odyssea, un album che consiglio vivamente a tutti i metallers, specie a chi non si ferma alle troppe etichette, ci troviamo di fronte ad un album dannatamente heavy e questo è ciò che conta. Promossi a pieni voti. In alto il nostro saluto!

Autore: Odyssea

Titolo Album: Storm

Anno: 2015

Casa Discografica: Diamonds Prod

Genere musicale: Power Metal

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: https://odysseaprojectmetalband.bandcamp.com/

Membri band:

Pier Gonella – chitarra

Roberto Tiranti – voce

Tracklist:

  1. No Compromise

  2. Anger Danger

  3. Understand

  4. Ice

  5. Freedom

  6. Galaxy

  7. Storm

  8. Ride

  9. Tears In The Rain

  10. Apocalypse Pt II

  11. Fly

  12. No Compromise (alternative)

Category : Recensioni
Tags : Power metal
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10th Feb2016

Rhapsody Of Fire – Into The Legend

by Cristian Danzo

Rhapsody Of Fire - Into The LegendQuando acquistai Legendary Tales nel 1997 ero un adolescente affascinato da anni dal rock e dal metal. Spinto dai consigli di un amico e dalle recensioni entusiastiche apparse sulle riviste cartacee (a quei tempi, carissimi, internet era una cosa oscura che, chi aveva la fortuna di possedere, esercitava il suo zen aspettando che la pagina si aprisse, tipo caricamento della cassetta su Commodore 64) quell’album si rivelò un’ottima spesa. I Rhapsody Of Fire (a quel tempo semplicemente Rhapsody) rivoluzionarono con il loro sound molta della scena metal ed ebbero un successo incredibile. Ora che di acqua ne è passata sotto i ponti, i nostri eroi del power sinfonico danno alla luce Into The Legend, il loro decimo album. Dopo la separazione amichevole avvenuta da Luca Turilli nel 2011, la band triestina rimane saldamente nelle mani di Alex Staropoli, poliedrico tastierista e compositore, nonché leader del combo italiano. Le due novità dai tempi di Dark Wings Of Steel (album precedente a questo, del 2013) permangono anche nella nuova uscita: l’assenza di una saga, che aveva contraddistinto sin dall’inizio i testi e gli album dei Nostri, e uno spostamento verso un sound più aggressivo. Senza snaturarsi. Cosa più semplice a dirsi che a farsi. Perché combinare una vera orchestra in fase di mixaggio con un muro sonoro non è proprio un’operazione da tutti. Le chitarre ed i riff di Roberto De Micheli sono aggressivi, superveloci e davvero notevoli. I Rhapsody Of Fire si mantengono sui loro ottimi standard compositivi e tecnici. Ineccepibili ai loro strumenti, con un Fabio Lione che come al solito regala un’ottima prova in fase vocale.

La strada battuta è quella del loro tipico sound, caratteristica che li ha sempre contraddistinti fin dall’inizio. Per chi li conosce, difficile ascoltare un pezzo di Into The Legend senza indicazione e non capire che si tratta proprio di loro. Un bel disco, con tutti i crismi che piaceranno sicuramente ai fans della band triestina, che procede fiera e a testa alta nel portare avanti un discorso musicale che li ha fatti conoscere, fin dai loro esordi, in tutto il mondo.

Autore: Rhapsody Of Fire

Titolo Album: Into The Legend

Anno: 2016

Casa Discografica: AFM Records

Genere musicale: Power Metal, Symphonic Metal

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: http://www.rhapsodyoffire.com

Membri band:

Fabio Lione – voce

Roby De Micheli – chitarra

Alessandro Sala – basso

Alex Staropoli – tastiere

Alex Holzwarth – batteria

Tracklist:

  1. In Principio
  2. Distant Sky
  3. Into The Legend
  4. Winter’s Rain
  5. A Voice In The Cold Wind
  6. Valley Of Shadows
  7. Shining Star
  8. Realms Of Light
  9. Rage Of Darkness
  10. The Kiss Of Life
Category : Recensioni
Tags : Power metal
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