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19th Giu2019

Screaming Dead Balloons – L’Un Ar Id

by Raffaele Astore
Dopo il precedente, strabordante lavoro che ci ha davvero colpito e di cui abbiamo parlato a questa pagina, un altro colpo giunge ai nostri timpani con questo disco che abbiamo messo sul piatto per ascoltarlo con la dovuta attenzione. Ci aspettavamo, come spesso capita alle band, una caduta di stile rispetto all’esordio, ma in realtà siamo, ancora una volta, di fronte ad uno straripante sound fatto di kraut, psych, garage e di tanti generi che ci riportano indietro nel tempo quando il rock era non la madre, ma il padre di tutti i sound. Non c’è che dire, ma la bravura di questi ragazzi greci, gli Screaming Dead Balloons, sta tutta nel saper sapientemente e magistralmente miscelare il garage con la psichedelia, un po’ come i cari e mai dimenticati Hawkwind che hanno fatto un po’ storia in questo genere di cose. Infatti, anche lo space rock è abbastanza presente in questo disco, ma sa mantenersi perfettamente sempre ai margini di tutto quel “creato” che riuscirebbe a far innamorare anche San Francesco. Scusatemi se divago un po’ in questo frangente ma ne vale la pena ogni tanto far sfuggire la mente dalla solita quotidianità. Ritornando a questa produzione, con L’Un Ar Id degli Screaming Dead Balloons, pubblicato il 18 gennaio di quest’anno, la band greca pare azzeccare il momento perché questo LP è fatto di quel materiale e quelle sonorità che in questo momento ci si aspetterebbe dagli Screaming. E tutto ciò è un segno evidente di intelligenza musicale, di conoscenza dei propri mezzi a disposizione e del possesso di idee chiare e precise, non buttate lì a caso tanto per produrre, ma messe su vinile perché sono tutte idee complete ed evolute.

Infatti, questa evoluzione la si intravede nella copertura di una vasta gamma di suoni che sono sotterranei, malinconici, che esplodono quando è il caso in un punk garage estremo ma che alla base di tutto hanno, come ormai dna di questa band, il rock’and’roll a portata sempre di mano, anzi di strumento. Le voci, lo abbiamo già anticipato nella recensione del precedente disco, sono assolutamente uniche e straordinarie, a volte appaiono come le timbriche che accompagnano il metal più viscerale, mentre, spesso, invece, sono il mantra di tutto un discorso sonoro cucito su misura oltre, naturalmente a ritmo, bassi e toni di chitarra da far paura. E questo nuovo L’Un Ar Id lo dimostra ampiamente attraverso il brano di apertura Y.O.L.A. che gioca molto anche su un bel rock’n’roll, un pezzo che trascina il piede e dal vivo di certo porterà la gente a ballare freneticamente. E tutto a differenza di Nio Nio che appare più un brano da ricerca anche se viene qui inserito un mantra sonoro che non ci fa restare di certo indifferenti. Anzi qui siamo proprio in pieno modern psycho rock, un pezzo che sprigiona energia allo stato puro come non accade spesso. Bella qui poi la prova del bravo Ioannis Pispirikos che alla chitarra sfodera un solismo quasi da mille e una notte.

E così accade che gli Screaming Dead Balloons oltre a sfornare, in questo 2019, un disco di soli trentasette minuti, dimostrano pienamente di quanto siano in grado di fare perché, questi ragazzi della madre Grecia sono davvero – almeno per noi che li abbiamo ascoltati per la prima volta in assoluto – una vera ed eccellente sorpresa. E poi quella stupenda Super Psych People che da subito abbiamo riportato sulla nostra chitarra elettrica non lascia spazio a nessun altro commento perché qui se pensate di trovarvi di fronte a dei dilettanti…vi sbagliate di grosso.

Autore: Screaming Dead Balloons Titolo Album: L’Un Ar Id
Anno: 2019 Casa Discografica: Sound Effect Records
Genere musicale: Psych Rock, Acid Rock, Garage Psych, Heavy Psych, Space Rock, Kraut Rock Voto: 7
Tipo: LP Sito web: https://business.facebook.com/ScreamingDeadBalloons/
Membri band:
Ioannis Pispirikos – voce, chitarra, mandolino
Dionisis Dallas – basso
Panos Liakakos – batteria
Tracklist:
1. Y.O.L.A.
2. Can I
3. Nio Nio
4. T4
5. Mandolino
6. Son Of The Sun
7. Super Psych People
8. You And She
9. Lion
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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16th Giu2019

Screaming Dead Balloons – Banana Blue

by Raffaele Astore
Quattro pezzi, unici e concentrati, dove la psichedelia la fa da padrone assoluto con puntate nei meandri del kraut rock, per una composizione complessiva che non è martellante come magari ci si aspetta da un disco così, ma è invece il mantra di un album ben pensato e realizzato. Un disco che dal titolo si rifà a quel tipico sound da bassifondi metropolitani e che grazie ad Andy Wharol, sbarcarono nella Factory per poi divenire il sound dei mai dimenticati Velvet Underground. Non è che ci stiamo qui scervellando a trovare paragoni con le band del passato, ma la musica degli Screaming Dead Balloons, sprigionata da questo bel Banana Blue del 2014, si mantiene ancora intatta come se per loro, il tempo, non fosse mai trascorso, insomma quasi fosse quella prima volta che tutti bene o male ricordiamo. Il rock così come lo si conosce oggi ha sempre viaggiato tra Regno Unito e Stati Uniti, ma questi ragazzi, provenienti dalla madre Grecia, sono arrivati a sfornare un disco così piacevole, quasi una sfida a quella crisi che colpì la terra ellenica alcuni anni fa quando anche la Grecia finì nel limbo del fallimento economico (un po’ come noi insomma). Banana Blue è una vera e propria sfida a quel mondo esterno che, per quanto legato al denaro, è comunque sempre fuori da quelle idee che hanno spinto la band greca a realizzare questo bel lavoro.

Album importante quello degli Screaming Dead Balloons, Banana Blue si muove tra pure esplosioni garage ed un rock’n’roll oscuro ma vitale, un lavoro che tende ad emulare forse un po’ i Black Angels considerati dai molti eredi della tradizione rock psichedelica dei 13th Floor Elevators, anche se a noi piace aggiungere che anche i Warlocks di Bobby Hecksher hanno fatto la loro parte. L’apertura di questo bel prodotto, affidata a Take Me Up, si barcamena tra giochi puramente psichedelici ed ipnotici che ci trascinano nell’ascolto di una piece di puro blues elettrico, un pezzo che lascia subito il segno perché si snoda lungo le tortuosità di un sound che definire “criptogarage” non ci pare azzardato. Anche l’apertura di Mysterious Evenings appare come la classica introduzione tutta giocata sul tambureggiare del basso che alla fine trascina il pezzo in una composizione da mistero puro. La voce di Ioannis Pispirikos fa poi tutto il resto nel richiamare quella musica capace di scivolare sempre di più in uno scatenato rock da bassifondi, un po’ anche a richiamare certe sperimentazioni louridiane da Metal Machine Music. Ed è così che ciò che emerge qui è un sound di pura acidità che risucchia la mente in vorticosi viaggi da mille e una notte.

Banana Blue è un EP forte e potente come forti e potenti sono le loro esibizioni live, tutte da gustare per chi ne ha o ne ha avuto la possibilità; lo confermano anche i suoni cupi e imperiosi di questo bel lavoro che ci permettiamo di consigliare a chi ama il lato oscuro del rock. Se dovessimo dare una connotazione più precisa di Banana Blue, qui tutto lascia intendere che oltre allo stretto connubio tra psichedelia e noise, il proliferare di esplosioni garage e rock’n’roll sono un mix perfetto sul quale la band greca lavora con un perfezionismo da dieci e lode. Infatti sembra che Banana Blue che abbiamo messo sul piatto per ascoltare e trarne le dovute riflessioni, debba esplodere da un momento all’altro rovinandoci quel prezioso impianto hi-fi che possediamo. Ma non fa niente, perché se ciò dovesse accadere avremmo ottenuto in modo semplice quello che in fondo ci si aspetta da un disco così. E se Take Me Up si gioca tutto sulla psichedelia, Mysterious è un pezzo così ipnotico che naviga in acque tipicamente blues mentre, Red House, pezzo breve quanto basta, crea un’atmosfera da puro caos controllato per nulla sgradevole all’udito.Chiude Banana Blue quello che secondo noi è forse il brano più avvolgente di questo esordio ellenico; infatti The Good The Band And The Evil, pezzo spesso eseguito nelle esibizioni live della band, oltre ad essere il brano più lungo presente su questo vinile, è caratterizzato oltre che dal suono personalissimo degli Screaming Dead Balloons, dalla voce di Ioannis Pispirikos che richiama alla mente quella di un Jim Morrison nel pieno della sua maturità canora, così come la chitarra dello stesso Pispirikos è lo strumento che più sostiene e completa il sound che la band greca propone. Non c’è che dire, se questo è l’esordio, aspettiamoci prima o poi un capolavoro di genere.

Autore: Screaming Dead Balloons Titolo Album: Banana Blue
Anno: 2014 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Psych Rock, Acid Rock, Garage Psych, Kraut Rock Voto: s.v.
Tipo: LP Sito web: https://business.facebook.com/ScreamingDeadBalloons/
Membri band:
Ioannis Pispirikos – voce, chitarra
Dionisis Dallas – basso
Panos Liakakos – batteria
Tracklist:
1. Take Me Up
2. Mysterious Evenings
3. Red House
4. The Good The Band And The Evil
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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29th Mag2019

The Brian Jonestown Massacre – The Brian Jonestown Massacre

by Giuseppe Celano
Diciottesimo disco per The Brian Jonestown Massacre, combo super acido di Chicago il cui imponente moniker nasce ovviamente da Brian Jones degli Stones e dal massacro di Jones Town. Ispirati dagli Spaceman 3, e da tutta quella pletora di esponenti della psichedelia, i Nostri hanno una carriera quasi trentennale che portano avanti non solo con dignità ma anche con grande classe e un pizzico di sana follia che non guasta mai. Sono una specie in via di estinzione, difficile incasellarli da qualche parte o dimenticarsi dei loro dischi, gioiellini di psichedelia in volo su chitarre acustiche contrapposte a elettriche dissonanti su cui si appoggia quella voce bassa, e così particolare, di Newcombe (Drained). Nove brani in tutto, per meno di quaranta minuti, in cui il cuore batte alla stessa velocità della mente avvolta dai densi fumi di sostanze psicoattive. L’andamento però è volutamente rallentato per mettere l’ascoltatore a suo agio attraverso melodie sghembe e ripetizioni funzionali (Cannot Be Saved).

Ovviamente non perdono l’occasione per omaggiare gli Spiritualized in We Never Had A Chance e infilano la ballad killer Too Sad To Say You per poi improvvisamente cambiare passo con la cavalcata Remember Me This che anticipa What Can I Say, sigillo di questo più che gradito e convincente ritorno.

Autore: The Brian Jonestown Massacre Titolo Album: The Brian Jonestown Massacre
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Psychedelic Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://thebrianjonestownmassacre.com/
Membri band:
Joel Gion – tambourine
Ricky Maymi – chitarra
Ryan Van Kriedt – chitarra
Tracklist:
1. Drained
2. Tombes Oubliées
3. My Mind Is Filled With Stuff
4. Cannot Be Saved
5. A Word
6. We Never Had A Chance
7. Too Sad To Tell You
8. Remember Me This
9. What Can I Say
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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26th Mag2019

Onioroshi – Beyond These Mountains

by Raffaele Astore
Ci sono delle band che amano suonare e ci sono musicisti che riunitisi in band sanno creare. Il rock, come si legge spesso in qualsiasi volume tratti il genere, è un modo di essere, di vivere, di porsi all’attenzione, di sperimentare nuove avventure e così via. E ci sono poi le divisioni geografiche, le appartenenze, anche se la musica è sempre quella anzi, come spesso affermava Lou Reed, bastano tre accordi per fare del buon sound. Ma Lou Reed a parte, quello di cui ci occupiamo oggi è il primo lavoro di una band romagnola che è stata capace di fondere influenze tipicamente psichedeliche e prog miscelandole con un alternative rock ed un indie che ha creato una sorta di connubio tra generi, un vero piacere all’ascolto. Anche la formazione poi è il minimo che una band di rock possa chiedere, un po’ come ai tempi dei Grand Funk Railroad che in tre fecero sfaceli, in particolare, nelle versioni live. Ma lasciamo i vecchi dinosauri e veniamo a questi giovani nostrani che debuttano con questo bel lavoro, Beyond These Mountains, pieno di quelle sonorità a noi tanto care e che spingono quasi sempre la redazione a proporci le recensioni sui cui lavorare. L’apertura del disco affidata a Devilgrater si presenta con una linea morbida e dolce che fa immediatamente credere che ci si trovi di fronte ad un pezzo tranquillo, quasi rilassante, ma niente di tutto questo è vero perché irrompono in seguito riff duri di chitarra e la band sembra schizzare a tutta velocità dimostrando però quanto ognuno dei componenti siano in grado di realizzare del rock che, nonostante i quattordici minuti di durata del brano, sembrano essere comunque pochi.

Locusta sembra in partenza essere uno di quei pezzi dei primi Black Sabbath, almeno dal punto di vista ritmico visto che l’inciso sembra essere martellante più che mai, ma anche qui l’ingresso degli altri strumenti è cucito come se il sound volesse trasformarsi in qualcosa di più sofisticato. Qui il basso la fa da vero padrone perché detta tutta la linea musicale che si deve seguire fino a quando la voce interviene come faceva il grande Syd Barrett, innestando così suoni prettamente psichedelici di buona fattura. C’è da restare davvero esterrefatti per questa seconda traccia che in un discorso di coerenza si allaccia perfettamente a quella di apertura di Beyond These Mountains, traccia che diventa un pezzo di psichedelia con tanto di sperimentazioni sonore che non guastano. Socrate è invece più dark nei suoni quasi a richiamare quelli degli ancora acerbi Pink Floyd che gli Onioroshi sembrano aver adottato anche se la band, qui, si spinge anche verso i confini di una sperimentazione che non dispiace affatto. Ed anche Eternal Snake che è la traccia più lunga dell’intero lavoro si mantiene in quella psichedelia da caleidoscopio barrettiano, un pezzo questo dove è messa in risalto tutta la capacità di scrivere e comporre degli Onioroshi.

Beyond These Mountains è un album fatto di rock, quel rock essenziale che tutti ben conosciamo, un album forte e che guarda tanto alla psichedelia ma che è anche profondo e caratterizzato da una bella creatività. Inoltre, pur essendo il primo album letteralmente autoprodotto dalla band c’è da notare che la formazione stessa, a differenza della militanza di alcuni componenti nei Kimono Lights, stavolta, ha invertito la rotta e si è diretta versi un sound più dark, psichedelico, a volte irrequieto che, se non fosse per il fatto che è la band stessa a richiamare i Pink, noi li vedremmo forse più vicini alle cupe atmosfere dei The Cure. Ma questa è solo una nostra opinione e nulla di più.

Autore: Onioroshi Titolo Album: Beyond These Mountains
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Alternative Rock, Indie Rock, Progressive, Psichedelia Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.facebook.com/onioroshi
Membri band:
Manuel Fabbri – basso, voce
Enrico Piraccini – percussioni, voce
Matteo Sama – chitarra
Tracklist:
1. Devilgrater
2. Locusta
3. Socrate
4. Eternal Snake (Mantra)
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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13th Apr2019

Edmond Jefferson & Sons – The Winter

by Marcello Zinno
Una band giovane, giunta al secondo album con questo The Winter, ma già ha evoluto il proprio sound. La ricercatezza compositiva ha vinto a favore di ritmi più lenti e introspettivi. La psichedelia ha preso il sopravvento, in brani come Erine è quello l’elemento cardine insieme alla splendida e ispiratissima voce di Josette. Ma le chitarre ci sono e sono incredibilmente retrodatate, ascoltare First Race sembra riportarci agli anni dei Blue Öyster Cult, quando i fumi delle sostante stupefacenti davano sostanza a dei riff altrimenti tiepidi, seppur sapienti, poi i ragazzi ci mettono anche un po’ di muscoli ed escono fuori pezzi come Laïtak, con un basso deciso e una cornice rock che sa urlare. Eppure la sei corde non vince il premio come protagonista di The Wnter perché la lentezza, il sapore vintage, il cantato così tagliente (il francese in Le Botanistes spiazza, in tutti i sensi) prendono la statuetta d’oro; sì è vero la slide guitar in Helsinki regge quasi tutto ma il rock inteso dagli Edmond Jefferson & Sons gioca su altre coordinate. E allora ascoltate la prima parte di Zingueria e immaginatevi un Nick Cave di anni fa, al quale poi i ragazzi aggiungono la sei corde e iniziano giustamente a prendere una distanza tutta loro.

La lentezza dicevamo, un brano come la titletrack sembra avere almeno il doppio della sua durata, altro che 3 minuti per andare in radio, e questa è una caratteristica non da poco perché solitamente è indice di una proposta noiosa, che stanca, ed invece nel loro caso si tratta di qualcosa di stratificato, una proposta che solitamente riesce a ricreare solo chi ha vissuto a pieno il sound degli anni 70. E allora cosa manca a questo lavoro davvero ben fatto? Una personalità ancora maggiore, ingredienti frutto della loro gioventù e della voglia di mettersi in gioco. La ricerca del proprio stile è ancora in corso anche se The Winter è (e secondo noi resterà tale) un tassello importante nella discografia della band.

Autore: Edmond Jefferson & Sons Titolo Album: The Winter
Anno: 2019 Casa Discografica: Hummus Records
Genere musicale: Psychedelic Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/edmondjeffersonandsons/
Membri band:
Josette Seydoux – voce, percussioni
Arno Carnal – chitarra, voce
Bertrand Vorpe – chitarra
Antoine Guerne – basso, percussioni
Thibaud Gerber – batteria
Tracklist:
1. Hotcha
2. Erine
3. First Race
4. Les Botanistes
5. Helsinki
6. The Winter
7. Laïtak
8. Avril Orange
9. Lost
10. Zingueria
11. The Line
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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03rd Mar2019

Pip Carter Lighter Maker – Treenity

by Raffaele Astore
Non li avevo mai ascoltati questi ragazzi modenesi che sanno come mischiare psichedelia, pop, garage rock, folk ma che hanno un comune denominatore, vale a dire certi amori come quello di Syd Barrett che traspare tutto dai pori di questo CD che ci è giunto. Certo che quel sound da swinging London qui è tutto palpabile come quella primitiva musica che ci riporta indietro a certi Kinks che abbiamo consumato sul piatto del nostro giradischi. E i Pip Carter Lighter Maker sono talmente aperti alle sonorità di quel periodo da essere giunti, con questa produzione che risale allo scorso anno, ad un bivio che li porta ad essere davvero…bravi. Poi, quella voce – al di là dei suoni – di Claudio Lippi che sembra essere il crocevia tra Barrett ed un certo Re Lucertola la dice lunga su come sappiano scegliere le giuste armonie e chiavi di lettura sonora. Per fortificare questo nostro pensiero è sufficiente ascoltare Day By Day, il secondo pezzo di questo CD, che richiama alla mente il volto e le sonorità, onnipresenti che Syd Barrett diede ai primi Pink Floyd. E poi, noi che siamo ormai degli habitué londinesi, ci sembra di essere ancora lì tra l’ultimo ed il prossimo…viaggio.

E così con Mellow sembra di essere in Berwick Street a Soho raffigurata nella copertina di What’s The Story Morning Glory degli Oasis, una strada famosa a Londra per i negozi di dischi indipendenti. Qualcuno di voi si chiederà se il nostro è un viaggio nella musica o altro ed invece, il nostro, è un andirivieni di sapori e camminate per le vie della grande metropoli dove anche le pietre sono musica, basta conoscerne i mille luoghi che ne propone. Ma ritorniamo a questo bel lavoro capace di unire psichedelia elettrica a ballate folk che hanno il sapore d’altri tempi; l’album si presenta con una bella copertina che ispira ad un allucinogeno paesaggio e che sembra, se fosse stato realizzato in bianco e nero e non a colori, uno dei film monocolore di Warhol insieme ai Velvet Underground, un bell’impatto che lascia già presagire quello che ascolteremo all’interno del CD. Where Is The Love, il brano di apertura, già fa scaldare i motori di quel sound retrò anni sessanta che diede l’avvio all’era di uno “psichedelismo” a divenire e che definì non solo un’epoca sonora e giovanile; basta ascoltare il parallelismo della chitarra con gli altri strumenti ed in particolare una batteria suonata alla Charlie Watts, per capire di fronte a che tipo di atmosfera ci si trovi.

La cosa più interessante di questa nostrana band, che potrà far molto strada se ne ha voglia, è la capacità di unire un sound semplice e d’atmosfera con una spensieratezza d’altri tempi ma anche con quella grande naturalezza che si addice tutta a questa band del modenese. Sarà forse la città emiliana a proiettare tutta questa scanzonata loquacità ad essere la molla che porta i Pip Carter Lighter Maker a realizzare dischi così? Lo speriamo perché questo ulteriore lavoro che si muove tra psichedeliche sonorità e folk elettrico merita un posto assicurato nei nostri, e speriamo, nei vostri ascolti. Bravi!

Autore: Pip Carter Lighter Maker Titolo Album: Treenity
Anno: 2018 Casa Discografica: Hey Man Records
Genere musicale: Psichedelia, Electro Folk Voto: 8
Tipo: cd Sito web: https://pipcarter.wixsite.com/pipcarterpsychedelic
Membri band:
Claudio Luppi – chitarra, voce
Carlo Alberto Moretti – basso, cori
Pier Luigi Lanzillotta – batteria, percussioni

Special guest:
Fabio Vecchi – tastiere
Brani:
1. Where Is The Love
2. Day By Day
3. Mellow
4. The Peaches The Allman Brothers
5. Dj Of The Highway
6. Remember Me
7. Telescopes
8. Same Old Song
9. The End Of The World
10. The Sountracks Of Our Lives
11. Where Is The Love
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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24th Feb2019

Kenyon Bunton – This Guy’s Disguised This Sky

by Raffaele Astore
Quando certa musica sembra lontana dai nostri ambiti si ha una certa difficoltà ad integrarsi con i messaggi che le nuove sonorità trasmettono. E’ successo anche a noi che di musica ne ascoltiamo tanta ogni giorno, quasi ogni momento potremmo dire, ma quando ci è giunto a casa l’ultimo lavoro di Kenyon Bunton, presi come eravamo da altre personali vicissitudini, abbiamo messo da parte il CD proponendoci di ascoltarlo con attenzione in un successivo momento. Quel momento poi è finalmente arrivato e ci siamo accorti che a volte gli spazi per dedicarsi all’ascolto approfondito di certe produzioni non bastano mai perché, This Guy’s Disguised This Sky di Kenyon Bunton, pubblicato a gennaio di quest’anno ed uscito a poca distanza dal bell’esordio del 2018, quel’All Planets Must Land del quale ce ne occuperemo magari in un secondo momento, merita davvero non solo di essere ascoltato ma potremmo dire assaporato virtualmente. Eh sì, perché le atmosfere create da Bunton meritano di essere considerate quali una vera e propria fusione di generi che variano tra psichedelia ed una certa “medievalità moderna”. Ma c’è dell’altro in tutto This Guy’s Disguised This Sky che non può essere in alcun modo tralasciato, ed infatti sin dalla prima traccia, Seeing Is Stealing, la chitarra assume un ruolo fondamentale perché oltre che ad essere lo strumento in prima linea si catapulta in un bel crescendo portando dietro di sé, poco alla volta, tutti gli altri strumenti per un sound che pur sembrando vicino ad un country di vecchia estrazione alla fine del pezzo richiama molto lo stile adottato dai primi Genesis, ed in egual misura, dai Jethro Tull più acustici. Comunque, al di là delle nostre considerazioni stilistiche, il pezzo ci appare ben costruito, e questo è l’evidente segno di che genere di artista abbiamo in ascolto sul piatto del giradischi.

Se non fosse poi per la linea musicale di apertura, il secondo pezzo ci sembra essere un brano estratto da una world music allo stato puro che nulla ha da invidiare a chi ha adottato questo genere nel rock; infatti Seeign Infinity è una vera e propria lirica soft che sembra essere appesa alla psichedelia folk di certi Fugs d’altri tempi. Insomma una vera e propria chicca, così come tutto l’album che stiamo ascoltando con notevole piacere. Pass The Salt tende a mantenersi sulla stessa onda media con atmosfere lisergiche che danno la sensazione di un viaggio in lande deserte grazie a quella chitarra acustica che è davvero un piacere ascoltare. Il successivo passaggio, quello di The Sky Ain’t Blue, apre ad un rock di matrice C.S.N.&Y. che non disdegna a questo punto un disco che si sta rivelando più che piacevole, insomma una vera e propria novità che sembrava avessimo dimenticato. Il pezzo che dà il titolo all’album non poteva non giungere in questo momento per stemperare quella musicalità fin qui proposta da Kenyon Bunton, ma il suo essere vicino a certi movimenti fa sì che This Guy’s Disguised This Sky diventa un vero e proprio viaggio che ci ricorda certe sperimentazioni alla Lino Capra Vaccina che ben conosciamo. L’artista prog più compiuto lo troviamo in The End Of A Superhero che gioca superbamente fra strumenti e voce con un mantenimento della musicalità prog che diventa quasi pura poesia. Una traccia consistente davvero questa, tanto da meritarsi l’appellativo di probabile miglior solco, ma lascio a voi qui decidere, perché, come sempre, l’ascolto di un disco è sempre del tutto personale.

Con Waiting For A Train si ritorna alle atmosfere soffici che tanto ci hanno ammaliato sin dall’inizio di questo This Guy’s Disguised This Sky, atmosfere che navigano tra psichedelia e ballate capaci di inglobare suoni quasi da space rock. Ed è in questo pezzo che il pianoforte e la chitarra giocano quel ruolo fondamentale che fa di questo disco una piacevolissima sorpresa. Summer Song, dall’apertura al Neil Young elettrico prima èra, mi stimola a ritornare all’ascolto di un vecchio disco del songwriter americano, After The Gold Rush, uno dei miei preferiti. Ma è uno stimolo che provvederò a soddisfare dopo la chiusura di This Guy’s Disguised This Sky, affidata a Waiting In The Rain che dimostra quanto davvero valido sia questo lavoro di Kenyon Bunton, una produzione dove l’artista sembra abbia voluto continuare a dimostrare di che pasta è fatto. E se quanto trapelato corrisponde al vero, quest’anno attendiamo da Kenyon Bunton una produzione live ed un ulteriore terzo CD di nuove proposte che non lascerà di certo insoddisfatti chi lo segue da sempre. Finora abbiamo avuto certezze…per la garanzia aspettiamo il prossimo.

Autore: Kenyon Bunton Titolo Album: This Guy’s Disguised This Sky
Anno: 2019 Casa Discografica: Standardtunarecords
Genere musicale: Progressive Rock, Space Rock, Cantautorato, Psichedelia Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/standard.tuna.90
Membri band:
Kenyon Bunton – voce, chitarra
Ackley Stephen Alder – chitarra
Richard Harris – basso
Joanne Johannsson – tastiere, piano
Donk – percussioni
Tracklist:
1. Seeing Is Stealing
2. Seeing Infinity
3. Pass The Salt
4. The Sky Ain’t Blue
5. This Guy’s Disguised This Sky
6. The End Of A Superhero
7. Waiting For A Train
8. Summer Song
10. Waiting In The Rain
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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13th Feb2019

Ananda Mida – Cathodnatius

by Marcello Zinno
Tornano gli Ananda Mida, il cui esordio discografico dal titolo Anodnatius (trattato da noi a questa pagina) ci suona ancora nelle orecchie. Un lavoro dai suoni legati al passato ma da un sapore psichedelico senza tempo. E il loro ritorno non fa di certo rimpiangere quel lavoro, infatti l’opener di questo Cathodnatius apre il sipario su un certo prog rock di richiamo UK con una matrice di base su cui poi il viaggio prende forma. I Nostri si muovono comunque perfettamente nello scenario psichedelico, non di quello strumentale e introspettivo, bensì la psichedelia elegante e futuristica, onirica e spessa di gusto musicale. Blank Stare è il passaggio veloce, con una ritmica più incisiva su cui le linee vocali di Conny Ochs si incrociano alla perfezione e interpretano molto bene il brano; le tastiere ci rimandano ad un passato lontano, quasi riminiscenze space rock perché è questo il vero terreno fertile su cui si muovono gli AM. Stupisce Out Of The Blue, un pezzo acustico dall’intensità davvero difficile da riscontrare in brani pubblicati ultimamente, vagamente Rolling Stones, parzialmente folk, spiazza chi si aspettava effetti a non finire anche in questa traccia di tre minuti precisi.

Gli schemi si ripetono in parte rispetto al precedente album Anodnatius ma questa ripetizione fa assolutamente piacere perché le idee di questo progetto ci colpiscono molto; cambia la struttura della tracklist, composta da brani a due a due in quanto a durata, fino ad arrivare alla lunga suite Doom And The Medicine Man. 22 minuti che partono con un incedere lentissimo dal sapore pinkfloidiano indiscutibile e non accennano accelerazioni di sorta, piuttosto si intessono, nel tempo e nello spazio si evolvono, mostrando un songwriting di livello internazionale. Ricordi intensi dei Blue Öyster Cult, è lì secondo noi che si va a pescare ma i ragazzi riescono a vestire quel sound di attuale e saporito anche ormai nel 2019, e questa è una capacità assolutamente rara. Lavoro davvero interessante.

Autore: Ananda Mida Titolo Album: Cathodnatius
Anno: 2019 Casa Discografica: Go Down Records
Genere musicale: Psychedelic Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://anandamidaband.bandcamp.com
Membri band:
Davide Bressan – basso
Max Ear – batteria
Conny Ochs – voce, percussioni
Matteo Pablo Scolaro – chitarra
Alessandro Tedesco – chitarra, percussioni
Tracklist:
1. The Pilot
2. Blank Stare
3. Pupo Cupo
4. Out Of The Blue
5. Doom And The Medicine Man
I. Towers And Holes
II. Opening Hours
III. Rude Awakening
IV. The Medicine Man Is Looking For A Cure
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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06th Gen2019

Prins Obi & The Dream Warriors – Prins Obi & The Dream Warriors

by Raffaele Astore
Prins Obi & The Dream Warriors è in realtà il debutto del supergruppo greco, per l’esattezza ateniese, dedito all’underground le cui matrici greche si sentono eccome, ma è anche il terzo lavoro solista di Prins Obi che giunge dopo il bel The Age Of Tourlou. Prins Obi, si lascia accompagnare in questo viaggio dai The Dream Warriors, esorcizzando tutta una serie di demoni che sembrano comporre l’ossatura musicale di questa produzione che giunge quasi al termine dello scorso anno. Ed è questo loro esercizio propiziatorio a riportarli su sponde dove glam ed hard rock si incontrano anche su terreni prettamente psichedelici anche se di matrice tipicamente ellenica. La musica proposta da Prins Obi & The Dream Warriors, altro progetto di George Dimakis il frontman dei Bby Guru, sembra muoversi tra il sound psichedelico dei Pink Floyd, qualche passaggio stile T.Rex – che non disdegna mai – e quel suono underground fresco e piacevole che coinvolge anche chi non ne vuole essere implicato. Apparentemente, Prins Obi & The Dream Warriors si presenta come un album tosto e sincero, ma degno di esser menzionato per l’assoluta sincerità che emana, una sincerità musicale che prosegue le linee intraprese in Love Songs For Instant Success del 2013, Notions del 2014 e The Age Of Tourlou del 2017.

Ma entriamo un po’ più a fondo per capire con chi abbiamo a che fare: Prins Obi è il moniker di Georgios Dimakis, musicista e membro dei Bay Guru con cui ha pubblicato quattro album e cinque EP digitali che hanno condotto il nostro a maturare una certa esperienza che trasferisce in questa esperienza con i Dream Warriors. L’apertura di Prins Obi & The Dream Warriors è affidata a Concentration che propone un rock influenzato da quel pop anglosassone che per nostra fortuna apre le porte ad una delle più belle canzoni rock che ci è capitato di ascoltare in questi ultimi tempi, Flower Child, forse perché ha forti richiami a quel rock tutto glaciale della madre terra svedese. Qui, in questo brano, la presenza di una ritmica marcata, integrata da un basso essenziale, trascinano poi in Negative People / Άμοιρε Άνθρωπε che è un pezzo capace di emanare un ipnotismo unico e pregevole. Il successivo passaggio, quello che ci viene proposto con Astral Lady Blues, è un rock blues di buona fattura, energico quanto basta a richiamare vecchie atmosfere dove gli “scarafaggi” erano padroni assoluti. Δίνη è invece il pezzo che ci piace di più forse perché amiamo le contaminazioni ed è qui con la lingua greca che trascina in un bel psychedelic pop e le contaminazioni diventano realtà.

Ma i brani che giungono successivamente, quali Sally Jupinero e Guilty Pleasure Theme sono quelli che hanno un sapore differente rispetto agli altri perché capaci di richiamare certi vecchi moventi musicali tipici dei grandi Doors, senza però disdegnare l’hard rock più tradizionale. Tocca poi ad una breve sezione musicale, che ci viene proposta con For Absent Friends, emulare certo progressive canterburyano che diventa anche incipit di apertura al pezzo conclusivo, Wide Open, bella ballata stile Cohen che non disegna per nulla quale chiusura a questo omonimo Prins Obi & The Dream Warriors. Insomma qui sembra proprio di trovarsi di fronte alla nascita di un soggetto tutto nuovo, del quale ne sentiremo spesso parlare. Tra l’altro Prins Obi & The Dream Warriors sono la conferma di quanto la nuova musica rock, per meglio adattarsi ai nostri tempi, ama sempre più contaminare e contaminarsi di quei linguaggi per i quali, ad esempio, il Salento ne è stato un precursore (tanto per citarne uno quello di Phil Manzanera, ex Roxy Music e grande produttore pinkfloydiano, o Anna Phoebe violinista londinese della Trans Siberian Orchestra).

Autore: Prins Obi & The Dream Warriors Titolo Album: Prins Obi & The Dream Warriors
Anno: 2018 Casa Discografica: Inner Ear Records
Genere musicale: Psichedelia, Glam Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/prinsobiproject
Membri band:
Georgios Dimakis – voce, piano, synth
Pantelis Karasevdas – batteria, percussioni
Sergios Voudris – basso, chitarra
Kwstas Red Hood – percussioni
Chris Bekiris – chitarra
Tracklist:
1. Concentration
2. Flower Child (Reprise)
3. Negative People / Άμοιρε Άνθρωπε
4. Astral Lady Blues
5. Fingers
6. Δίνη
7. Αδαμάντινα Φτερά
8. Sally Jupinero
9. Guilty Pleasure Theme
10. For Absent Friends
11. Wide Open
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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28th Dic2018

Ground Control – Untied

by Marcello Zinno
Due anni fa nascevano i Ground Control, un progetto rock che ha optato per un nome molto comune sia nella scena musicale che fuori da essa. A scanso di equivoci specifichiamo subito che non si tratta dei Ground Control che anni fa proponevano thrash metal e di cui avevamo parlato a questa pagina. Si tratta di una formazione nuova di zecca che è uscita da pochissimo con il debut album Untied. Il loro è uno rock che combatte un’eterna lotta, da una parte con la ritmica che cerca di accelerare e di puntare ad una costruzione veloce, dall’altra con le influenze psichedeliche che diluiscono i tempi e puntano ad un’idea di musica più intima. Domani È Un Posto Freddo è l’esempio dell’animo più psichedelico della formazione, lo stesso profilo musicale che li ha legati a David Bowie e che li ha spinti a coverizzare Absolute Beginners, ovviamente non arrivando all’impatto emotivo con la versione originale. A noi piace Untied The Horses: è qui che le due anime prima descritte dalla band raggiungono l’apice. La sezione ritmica crea la cornice solida e prestigiosa in cui testi in italiano ed in inglese nonché la chitarra (complici anche effetti azzeccati) si muovono con destrezza creando un momento degno di nota. Poi arriva il rock blues che prende il nome di First Fire e ci coinvolge dal piede che si muove a tempo alla nuca che non sembra volersi fermare.

Altro brano che ha mordente e che lascia segni al proprio passaggio è Utube Killed The Video Star: a parte essere un’affascinante (mezza) citazione che conquista fin dal titolo, possiede delle strofe ben costruite e un messaggio di critica che si lascia apprezzare. Untied è un album non privo di pecche, la produzione andrebbe sicuramente migliorata e oltre ai suoni dimostra in diversi punti di essere comunque un debut album, ma il percorso imboccato dalla band a parer nostro è quello giusto. Le tracce hanno un grosso potenziale in sede live e la band ha qualcosa da dire, ottimi presupposti per sfondare.

Autore: Ground Control Titolo Album: Untied
Anno: 2018 Casa Discografica: CameHouse RC
Genere musicale: Rock Psichedelico Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.groundcontrolstoner.it
Membri band:
Marco Ravasini – voce
Pietro Albera – batteria
Marco Camorani – chitarra
Jambo Iori – basso
Tracklist:
1. Kaputt Mundi
2. Major
3. Utube Killed The Video Star
4. Domani È Un Posto Freddo
5. Untied The Horses
6. First Fire
7. Italiani Brava Gente
8. Absolute Beginners
9. Il Giorno Mi Consuma
Category : Recensioni
Tags : Psichedelia
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