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17th Mag2013

Scorpions – Comeblack

by Giancarlo Amitrano

Il capolinea è davvero giunto: a meno di clamorosi ripensamenti, cala il sipario sulla carriera musicale degli aracnidi tedeschi. Quaranta e passa anni di onorato servizio che si è cercato di esplicare attraverso le loro “prodezze”, gli eccessi e le pagine storiche da essi scritte. Tanto per non smentirsi, nemmeno al passo d’addio, il combo teutone decide di accomiatarsi dall’uditorio attraverso un’azzeccato mix di vecchi brani reinterpretati in forma più attuale e di cover leggendarie rifatte alla loro maniera. Probabilmente inutile dal punto di vista commerciale, l’album tuttavia si fa ricordare per il modo particolarissimo con cui la band ripropone i vecchi cavalli di battaglia, aggiornandoli all’oggi. Ecco allora, tutti insieme appassionatamente, classici senza tempo come Blackout, The Zoo, Wind Of Change, Still Loving You (addirittura in due versioni), sfilare con la freschezza di sempre e la perizia tecnico-compositiva ormai raggiunta nella loro ascesa all’Olimpo. Seguiti poi da altrettante cover riarrangiate alla loro maniera: ed ecco convivere allegramente versioni aggiornate di Kinks, Beatles, Yardbirds e T.Rex, che da un lato depongono ancora una volta della sterminata capacità di immedesimarsi e spaziare nei vari generi musicali, e dall’altro testimonia la nostalgia che proveremo senza nuovi lavori targati Scorpions dallo stile inconfondibile.

Il quintetto, al suo ultimo “mark”, resta compatto e dallo stile inconfondibile anche nell’esecuzione di brani all’apparenza ad esso non confacenti (ad esempio Tin Soldier degli Small Faces). La produzione patinata fa il resto: suoni pulitissimi e chiarezza negli arrangiamenti. Non occorre altro per lasciare nella memoria di tutti il valore assoluto ed indefettibile di questa band che ha scritto pagine storiche nel panorama musicale. Ci si consenta, allora, di congedarci in modo abbastanza breve e conciso: prima che le lacrime e la tristezza ci assalgano nel pensare che nulla sarà come prima, è meglio far calare il sipario sul quintetto di Hannover, sperando che nel riascoltare i loro vecchi lavori si venga ancora assaliti da un Pure Instinct, oppure da un selvaggio Animal Magnetism!

Autore: Scorpions Titolo Album: Comeblack
Anno: 2011 Casa Discografica: Sony Music
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias Jabs – chitarra

Pawel Maciwoda – basso

James Kottak – batteria

Tracklist:

  1. Rhythm Of Love
  2. No One Like You
  3. The Zoo
  4. Rock You Like A Hurricane
  5. Blackout
  6. Wind Of Change
  7. Still Loving You
  8. Tainted Love
  9. Children Of The Revolution
  10. Across The Universe
  11. Tin Soldier
  12. All Day And All Of The Night
  13. Ruby Tuesday
  14. Big City Nights
  15. Still Loving You
  16. Shapes Of Things
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
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10th Mag2013

Scorpions – Sting In The Tail

by Giancarlo Amitrano

Così è (se vi pare): parafrasando Pirandello, giungiamo al termine di questa nostra avventura che ha attraversato quattro decenni musicali. Se vi pare, perché apparentemente questa fatica è l’ultima del combo tedesco, ma si sa che anche in questo campo, mai dire mai…Ed anche in questa occasione, il quintetto decide di congedarsi in bellezza, non pago di aver sperimentato sulla propria pelle ed a proprie spese ogni genere musicale in tutta la discografia precedente,o almeno in gran parte di essa, in questo ultimo lavoro decide di offrirci una summa di tutto il loro percorso compositivo ed artistico. Difatti, la genesi di Sting In The Tail è totalmente mirata ad assemblare tra loro brani che più diversi tra essi non potrebbero essere. Ma, attenzione: facciamo risaltare all’istante il fatto che il gruppo non indulga assolutamente all’autocompiacimento finale della carriera, stante infatti la solidissima base tecnica e compositiva che promana dai 5, i brani che ne scaturiscono sono ancora e per l’ennesima volta freschi, attuali ed oltremodo godibili all’ascolto. Raised On Rock, ad esempio, è subito marchio di fabbrica: con tocco inconfondibile delle asce ed emozioni vocali non sono ad oggi ancora degne di avere epigoni, con un buon refrain molto rockeggiante e coinvolgente. La titletrack vive del protagonismo della coppia Schenker/Jabs che mantiene costante la giusta tensione ritmica e che viene ben congegnata nella solidità del refrain, ben azzeccato e molto ben impostato tecnicamente . La compattezza di Slave Me consente al brano di pareggiare alcuni passaggi apparentemente discutibili dal punto di vista anche vocale: non apparendo qui Meine particolarmente ispirato, il brano risulta a volte come frenato nel suo comunque buon incedere deciso, salvo poi ritornare alla grande con il gioiello rappresentato da The Good Die Young: la collaborazione della maestosa voce di Tarja Turunen coinvolge alla grande il singer, che qui sfodera una prestazione monstre e di purezza recitativa cristallina, la quale continua nel suo stato di grazia anche nella successiva No Limit, granitica e potente al tempo stesso.

Non è ancora soddisfatto il gruppo: ritenendo di poter essere ancora devastante in alcuni passaggi, decide di dimostrarlo tra i solchi di Rock Zone, che per la sua potenza ben avrebbe potuto comparire ai tempi di Blackout, ovvero trenta anni prima. Mentre con Lorelei viene soddisfatta ancora una volta la voglia di ballad che ormai impera in ogni loro lavoro, le sonorità “morbide” sono poste sempre all’interno di una struttura complessa che ricalca sì clichè ormai consolidati, ma abbina al tempo stesso classe, passione, tecnica e trasporto. Magari ci può stare un quasi passaggio a vuoto, come parrebbe con Turn You On: solo apparentemente, però, grazie al sapiente uso di timbriche quasi AOR in alcuni passaggi che rendono il pezzo ideale contorno di un rock-party dei bei tempi che furono. Molto sostenuta, Let’s Rock conserva una certa agilità di fondo, salvo poi non mantenere a pieno e sino in fondo le premesse ottime con cui il brano inizia, anche grazie ad un ottimo bridge centrale cui però non fa seguito la esplosione sonora che sarebbe logico attendersi dalle premesse. La superba Sly rinverdisce alla grande i fasti delle ballad di classe: la melodia di fondo inesorabile nella sua liricità ed il sapiente dosaggio dei tempi di battuta delle due asce rendono il brano probabilmente il crack del disco. Lento sì, ma di gran classe e non paragonabile alle semplici canzonette strappalacrime di molti presunti loro cloni. Spirit Of Rock, all’apparenza priva di valore artistico, è invece pregnante di significato quasi auto incensante per il gruppo, e lo si può ampiamente concedere, ascoltando l’ultrasessantenne Meine (e soci) darci dentro come il tempo si fosse fermato.

Ed infatti, la traccia finale, tra il serio ed il faceto ce lo conferma: The Best Yet To Come lascerebbe intravvedere spiragli per un loro prosieguo, se davvero il meglio deve ancora venire. Nel frattempo, epitaffio migliore non avrebbe potuto esservi, con un sound ancora attualissimo e di cui certo si sentirà la mancanza. A meno che, l’eventuale Blackout compositivo non sia soppiantato da un Pure Instinct di tornare a deliziare e soddisfare così il loro Unbreakable desiderio di tornare sulle scene, come ci auguriamo.

Autore: Scorpions Titolo Album: Sting In The Tail
Anno: 2010 Casa Discografica: Sony Music
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker– chitarra

Matthias Jabs – chitarra

Pawel Maciwoda – basso

James Kottak – batteria

Tarja Turunen – voce su traccia 4

Tracklist:

  1. Raised On Rock
  2. Sting In The Tail
  3. Slave Me
  4. The Good Die Young
  5. No Limit
  6. Rock Zone
  7. Lorelei
  8. Turn You On
  9. Let’s Rock
  10. Sly
  11. Spirit Of Rock
  12. The Best Is Yet To Come
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
0 Comm
03rd Mag2013

Scorpions – Humanity: Hour 1

by Giancarlo Amitrano

Sapete che siamo quasi alla fine di questa cavalcata quasi quarantennale? Eppure, le sorprese non sono ancora finite ed i nostri eroi non hanno ancora smesso di stupire. Nella loro carriera abbiamo attraversato il periodo duro e puro, lo sperimentale, il soft, il pop-metal (!), il ritorno alle origini, la disco-metal (!!!). Quindi abbiamo esaminato tutti i loro stili, giusto? Sbagliato: con la pubblicazione di Humanity: Hour 1 ci occupiamo, signore e signori, anche del concept, ebbene sì, c’è ancora un recesso della loro preparazione artistica da analizzare. Non indifferente al discorso è la produzione del full-lenght: la supervisione di Desmond Child, già artefice di hits indimenticabili quali Livin’On A Prayer e soprattutto I Was Made For Lovin’You contagia anche il combo teutone. Pur ritornando ad esibire un sound più “moderno” rispetto ai precedenti lavori, il quintetto pone in essere un album che più introspettivo non si potrebbe: stante la caratura ormai acquisita anche dalla collaudata nuova/vecchia sezione ritmica, i brani sono tutti funzionali al concept qui proposto. Non mancano, tanto per gradire, pezzi più rockeggianti quali ad esempio la opener track o anche 321, in cui la band ritorna a proporre tematiche vicine alla loro formazione classica. Purtuttavia, l’acquerello musicale cui ormai ci hanno abituati non riesce a prescindere da un insieme di composizioni molto articolate, come The Game Of Life, in cui la voce di Meine ritorna a sgorgare con la naturalezza di un debuttante che si mette umilmente al servizio della band.

In altri frangenti, come ad esempio The Future Never Dies, ritroviamo la vena sperimentale del gruppo in alcuni arpeggi molto delicati che tuttavia scorrono sicuri e decisi, senza passi falsi, grazie anche al piano dell’ospite Russ Irwin. Dobbiamo ancora riscontrare la presenza di sempiterne ballad, quali Love Will Keep Us Alive, che rendono giustizia alla tecnica compositiva ormai quasi automatica del quintetto. Capisaldi del disco sono sempre i mentori Meine-Schenker: mentre il primo non perde un’oncia della sua particolare tecnica vocale, il secondo paradossalmente con il passare dei decenni affina la sua tecnica alle asce e riesce con la massima naturalezza a svolgere il doppio compito di solista e di ritmico collaudato, come ad esempio in We Will Rise Again, che lo vede valido combattente di razza nell’esecuzione della struttura delle note. Mai alieno dalle estemporanee collaborazioni, anche in questa realizzazione la band si avvale di ospiti di pregio, quali ad esempio Billy Corgan alle parti vocali in The Cross, reso in salsa appetibile anche ai neofiti del genere. Your Last Song vede nuovamente il gruppo al top delle sue possibilità, sempre grazie alla voce manierata di Meine ed al lavoro molto accorto delle asce.

Con gli altri brani che fungono principalmente da contorno, il disco raggiunge in definitiva ancora una volta posizioni di rilievo nella considerazione dei fan, sia pur a scapito delle vendite non proprio ottimali. Love Is War, con le sue melodie accattivanti ed il lavoro delicato delle chitarre, Cold, dal sound molto pungente e con intermezzi vocali molto ben dosati…ecco gli altri momenti salienti che contribuiscono alla lievitazione del valore tecnico del disco, che magari avrà all’epoca, ma anche oggi, fatto storcere il naso ai puristi della prima ora, ma che non ha cedimenti di sorta rispetto all’evoluzione stilistica della band ormai consolidatasi.

Autore: Scorpions Titolo Album: Humanity: Hour 1
Anno: 2007 Casa Discografica: BMG
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias Jabs – chitarra

Pawel Maciwoda – basso

James Kottak – batteria

Tracklist:

  1. Hour 1
  2. The Game Of Life
  3. We Were Born To Fly
  4. The Future Never Dies
  5. You’re Lovin’me To Death
  6. 321
  7. Love Will Keep Us Alive
  8. We Will Rise Again
  9. Your Last Song
  10. Love Is War
  11. The Cross
  12. Humanity
  13. Cold
  14. Humanity (radio edit)
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
1 Comm
26th Apr2013

Scorpions – Unbreakable

by Giancarlo Amitrano

Tre decadi di carriera possono bastare ed avanzare per decretare la morte (musicale) di un gruppo, ma possono anche occorrere a comprendere meglio la smisurata poliedricità dello stesso gruppo. Nel nostro caso, gli scorpioni tedeschi continuano a sorprenderci con l’ennesimo cambio stilistico, l’entrata del nuovo bassista Maciwoda ed il contemporaneo ritorno a quel sano hard che li ha visti degni epigoni europei da contrapporre alle orde d’oltreoceano. Tuttavia, non è tutt’oro quel che luccica, trattandosi di un ritorno alle origini molto soft, i suoni ridivengono sì aggressivi, ma al servizio di brani che non coinvolgono appieno pur nella loro complessità tecnico-compositiva di base. Ad esempio, nella opener track riscontriamo di certo la presenza di riff taglienti della premiata ditta Schenker/Meine, che vengono messi al servizio di un brano che avrebbe ben figurato nei lavori precedenti per le sue melodie particolari ed accattivanti, non certo hard rock. Mentre Love’em Or Leave’em è un brano molto godibile, dalle melodie quasi “easy” per la sua scanzonatezza e per l’immediatezza del suono molto pulito e certo rimodulato in fase di postproduzione in studio, senza nulla togliere al valore del pezzo. Deep And Dark funge da collante con la scaletta successiva, il suono risulta molto coinvolgente e la voce di Meine si conferma ancora ugola d’oro senza scalfitture del tempo. Si può tranquillamente saltare Borderline che non convince appieno e sa di ripetitivo nel clichè offertoci dal quintetto, qui non a suo agio nello snodarsi del brano a causa di una enfatizzazione delle strofe al limite del superfluo.

Dopo una gradevole Blood Too Hot, la band piazza l’immancabile ballad, sia pur in numero ridotto rispetto ai precedenti album: Maybe I, Maybe You ci sorprende piacevolmente con le sue linee melodiche ben azzeccate e che vedono il combo qui al suo meglio nell’esternare a mezzo del brano le atmosfere sognanti di cui è maestro, in un unico con una delicata linea di piano. Someday Is Now è un altro brano che rispecchia l’attuale doppia personalità del gruppo: da un lato rilascia ancora energia pura e dall’altro non lesina di indulgere ad intermezzi leggermente più di facile ascolto, senza che la struttura del brano ne risenta e faccia in modo da avere tempi morti. My City My Town ci conduce attraverso la personalità del quintetto e ci fa comprendere ancora meglio che esso si è ormai incamminato verso una direzione musicale davvero degna di encomio, per voler sperimentare nuovi sentieri musicali su cui confrontare la sua maestria e la tecnica. Through My Eyes si rivela l’altro momento “topico” dell’album, in cui la band riversa a piene mani potenza ed allegria compositiva nella stessa misura, dando modo a tutti gli interpreti di dosare i propri interventi, le proprie battute di entrata ed insieme convergere verso il prodotto finito, ovvero la sperimentazione unita al repertorio classico.

Il trittico finale non toglie e non mette: non toglie, nel senso di sapere cosa ormai la band possa offrire (specie nei passaggi molto complessi di Can You Feel It ), e non mette (come il non attenderci nulla di nuovo oltre al già dato in This Time e She Said ). Un omaggio insperato è la bonus track Remember The Good Times dove la band alla fine dell’album ha ancora la voglia e la forza di offrire una vasta gamma di soluzioni musicali che coinvolgano emotivamente ed appassionino ancora tecnicamente nell’esecuzione. La voglia di osare è ancora intatta: fino a dove e quando riuscirà a spingersi?

Autore: Scorpions Titolo Album: Unbreakable
Anno: 2004 Casa Discografica: BMG
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias Jabs – chitarra

Pawel Maciwoda – basso

James Kottak – batteria

Tracklist:

  1. New Generation
  2. Love ‘em Or Leave ‘em
  3. Deep And Dark
  4. Borderline
  5. Blood Too Hot
  6. Maybe I Maybe You
  7. Someday Is Now
  8. My City My Town
  9. Through My Eyes
  10. Can You Feel It
  11. This Time
  12. She Said
  13. Remember The Good Times
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
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19th Apr2013

Scorpions – Eye To Eye

by Giancarlo Amitrano

Giunti alla soglia del nuovo millennio, i cinque tedeschi non hanno alcuna intenzione nè di ammainare bandiera, nè tantomeno di non continuare a stupire. E dobbiamo dire che ci riescono in pieno…a continuare a stupire: per descrivere Eye To Eye dovremmo religiosamente continuare a parlare di sano e robusto hard rock ed invece, cari amici, eccoci a discutere…di pop-metal! Coerenti con la loro intenzione di percorrere nuove strade musicali, i nostri eroi danno alle stampe un lavoro che più sperimentale non si può, dalle linee sonore all’interpretazione, dall’esecuzione alle composizioni stesse. Criticati ferocemente dai fan ma apprezzati dalle critiche dell’epoca, gli aracnidi non se ne danno per inteso e, con la sola variazione di un nuovo drummer, (l’esperto Kottak) ci danno dentro con questo album che segna l’ennesimo spartiacque della loro carriera. Paradossalmente, proprio la ventata di novità rende onore al disco, che riesce clamorosamente a farsi apprezzare a causa della novità e della freschezza del sound, pur oramai infarcito di campionamenti e sovraincisioni elettroniche. La struttura stessa del disco viene orientata dal nuovo produttore Peter Wolf come cartina di tornasole per l’audience stessa: inteso come potenziale “best of”, il disco segue una virtuale ma precisa scaletta di base. Brani molto orecchiabili che precedono sonorità leggermente, ma non molto, più aggressive, oppure tracce molto ritmate che anticipano pezzi molto sostenuti che poi sfociano in una lunga sequela di potenziali ballad differenti tra esse, ma comuni nel perseguire l’intento di aderire alla nuova direzione musicale.

Possiamo ben districarci, con queste premesse, anche nella recensione del disco odierno: non riesce assolutamente ostico commentarne i brani sapendo con quali parametri ad essi accostarsi. L’opening di Mysterious è ad esempio molto frizzante e ben strutturata nei suoi cardini essenziali grazie al sound ora fresco e ben ritmato, mentre il successivo To Be No.1 si candida già a jukebox single, grazie al cantato molto “trendy” che ben si attaglia agli stereotipi dell’epoca. Da Obsession in poi, quindi, si scatena il processo compositivo di cui sopra accennato: se quest’ultimo appare come pezzo quasi di fabbrica, con sonorità più intense e meno orecchiabili, i successivi 10 momenti dell’album riassumono alla perfezione l’alternarsi di brani “classici” ad altri quasi dance (rabbrividiamo il giusto), che tuttavia paiono riscuotere l’interesse della critica. Sarà la voce più addolcita, gli strumenti meno carichi, gli arrangiamenti molto sobri, sta di fatto che la band riscontra non in termini di vendite il gradimento del disco, ma bensì nelle stesse critiche che ne lodano il coraggio artistico e la svolta ormai intrapresa verso direzioni opposte alla partenza. Possiamo certo segnalare la presenza di brani molto impegnativi, quali ad esempio la title-track molto complessa ed articolata nella sua struttura di base, o anche Skywriter in cui la premiata ditta Schenker/Meine graffia ancora da par suo nell’esecuzione tecnicamente impeccabile, mentre la melodia di Priscilla è quasi AOR.

Dubbi sul contributo del neo entrato Kottak vengono spazzati via nell’apprezzarlo in Du Bist So Schmutzig, molto accattivante e adatto ad orecchie di ogni età, dal purista al neofita. Il tutto, salvo poi concludere nella miglior tradizione del gruppo, ci riferiamo alla superba ed immancabile ballata struggente che dà lustro al disco. Nel caso di specie, A Moment In A Million Years incarna alla perfezione lo spirito del gruppo dell’ultimo decennio, ed anche oltre. Il lirismo che il brano raggiunge non ha nulla da invidiare alle altre precedenti composizioni a tema. La voce di Meine è semplicemente sontuosa ed il resto della band in questa occasione è ancora “unto del Signore” circa lo stato di grazia con cui esegue il brano. Tanto per non far dubitare nemmeno per un momento che il disco sul piatto sia di un altro gruppo,che potesse osare competere con i cinque cavalieri senza macchia e senza paura, sempre sulla breccia.

Autore: Scorpions Titolo Album: Eye To Eye
Anno: 1999 Casa Discografica: Polygram
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias Jabs – chitarra

Ralph Rieckermann – basso

James Kottak – batteria

Tracklist:

  1. Mysterious
  2. To Be No. 1
  3. Obsession
  4. 10 Light Years Away
  5. Mind Like A Tree
  6. Eye to Eye
  7. What U Give U Get Black
  8. Skywriter
  9. Yellow Butterfly
  10. Freshly Squeezed
  11. Priscilla
  12. Du Bist So Schmutzig
  13. Aleyah
  14. A Moment In A Million Years
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
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12th Apr2013

Scorpions – Pure Instinct

by Giancarlo Amitrano

“A volte ritornano”. Non sempre è possibile scacciare o liberarsi dei fantasmi del passato, tanto da rimanervi spesso morbosamente attaccati e desiderosi di condividerne il destino. Nel caso del nostro quintetto, il successo planetario di Crazy World e dell’indimenticabile Wind Of Change restano ben impressi nella mente e nell’animo dei nostri eroi, tanto da spingerli a tentare di confermarsi sulla stessa falsariga, anche a costo di “tradire” temporaneamente le loro origini. Il sound della band è ormai orientato verso la sperimentazione più sfrenata, non solo per l’inserimento delle tastiere, ma soprattutto per il tentativo della band di analizzarsi attraverso le tematiche della vita che rendono i brani ancora più orecchiabili. Anche l’ennesimo cambio di produttore, con Erwin Musper alla consolle, contribuisce ad estremizzare le intenzioni della band, che ritrova in questo caso unità ed armonia di intenti. Scorrendo la tracklist, non si può non notare che il cantato di Meine sia ora molto più nitido e melodico, senza la ricerca affannosa di gorgheggi ed urla lancinanti dell’immediato passato, mentre le asce ormai si consolidano nel perseguire sonorità molto più “radiofoniche” che tuttavia, paradossalmente, nulla tolgono al loro valore, inquadrando gli strumenti nell’ottica di cui sopra si è detto e che ben rendono la definizione attuale del gruppo. Potremmo dire che anche questo album, forse più dei precedenti, si delinea come un potenziale jukebox avulso dalle allora imperanti correnti che prediligevano un rock puro ed incontaminato.

Il cambio del drummer conferisce l’ennesimo slancio al processo di “modernizzazione” della band, stante il background compositivo e di arrangiamenti che Cress porta in seno al combo. Brani quale l’opener Wild Child rendono appieno quanto affermato: il rilassamento in cui ora i Nostri desiderano operare si ascolta chiaramente nell’esecuzione del brano, molto easy nei passaggi centrali e nel delicato ritornello. Fa sempre capolino una sana presenza “elettrica”, che viene tuttavia tenuta saggiamente a freno nell’economia dl brano. Tutte le composizioni risentono ampiamente del nuovo target che la band intende fornire al disco: la nuova sezione ritmica è molto più posata nelle battute e nel dettare i tempi alle chitarre. Does Anyone Know, ad esempio, si erge a caposaldo della direzione intrapresa: voce molto “catchy” e strumenti che sono al servizio del vocalist in un connubio di rara intensità e lirismo. Strutturato intorno ad una saggia combinazione di tutti gli strumenti, si candida ad esserne brano vessillo anche in sede live nella nuova versione del gruppo. Oh Girl non è melensa, nel suo svolgimento: anche stavolta la band sforna un brano solido e corale al tempo stesso, che tuttavia si avvolge su se stesso nel refrain centrale, proprio per il desiderio di voler offrire una base molto meno sostenuta al pezzo. Alla ricerca della sperimentazione, il gruppo non lesina di osare e di pretendere da sé stesso il tirare fuori doti canore e compositive che probabilmente non sapeva di possedere.

Where The River Flows riflette bene il titolo: un lento scorrere del brano, su cui lasciar esibire nella massima tranquillità tutti gli interpreti, qui visibili nella nuova versione quasi AOR. Non certo esenti dal proporre brani “top” in ogni full-lenght, i teutoni stavolta lo individuano in You And I dove Meine e soci sono maestosi ognuno per la loro parte. Si riascolta il singer di quasi un decennio precedente, con la voce modulata e dalla timbrica eccellente, mentre asce e sezione ritmica non perdono un colpo nell’esecuzione alternata di momenti semiacustici ed altri molto più elettrificati. Certificano la scelta ancora una volta azzeccata i due dischi d’oro ed uno di platino che Pure Instinct porta a casa: il pubblico mostra di apprezzare ancora il sound proposto dopo 20 anni di carriera ed è ben disposto a perdonare eventuali passaggi a vuoto, quali ad esempio Are You The One, che non rende giustizia ai 5 per la sua semplicità quasi imbarazzante e fine a se stessa. O anche la conclusiva She’s Knocking At My Door, in cui lo scimmiottare una famosa track dei Purple si riduce ad una pedissequa riproduzione del clichè prediletto dalla band dell’Uomo In Nero. Il passaggio, se non a vuoto, quanto meno contraddittorio dell’album riflette il momento di “trapasso” della band che, senza rinnegare il leggendario passato, si offre devotamente a percorrere nuove strade sonore che allo stato non immagina quali saranno, pur in presenza di un immutato e devoto affetto degli aficionados.

Autore: Scorpions Titolo Album: Pure Instinct
Anno: 1996 Casa Discografica: Polygram
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias Jabs – chitarra

Ralph Rieckermann – basso

Curt Cress – batteria

Tracklist:

  1. Wild Child
  2. But The Best For You
  3. Does Anyone Know
  4. Stone In My Shoe
  5. Soul Behind The Face
  6. Oh Girl
  7. When You Come Into My Life
  8. Where The River Flows
  9. Time Will Call Your Name
  10. You And I
  11. Are You The One ?
  12. She’s Knocking At My Door
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
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05th Apr2013

Scorpions – Face The Heat

by Giancarlo Amitrano

Anno di grazia 1993: siamo ad “appena” metà della carriera discografica del combo teutone e sembra che tutto sia già stato scritto, detto e musicato dal quintetto di Hannover. Ancora una volta ci sbagliamo di grosso: i nostri eroi hanno ancora tante frecce nella faretra da scoccare ed una di questa corrisponde proprio al lavoro di cui oggi ci occupiamo. Opportuno e  repentino giunge anche un cambio nel look e nella formazione. Messe per il momento da parte le atmosfere “soft” che avevano improntato gli ultimi lavori, la band riprende confidenza con tonalità più aggressive e d’impatto sonoro che le ballad precedenti avevano annacquato. In aggiunta, un cambio di formazione si registra nella defenestrazione di Buchholz ed il reclutamento del valido Ralph Rieckermann che contribuisce ancora di più all’ispessimento delle musiche, oltremodo energiche e nuovamente figlie di un classico hard sound. Sin da Alien Nation, la band è di nuovo su piattaforme roventi, in cui la nuova sezione ritmica spara al massimo le sue battute e lo stesso cantato è roco e duro il necessario, mentre le due asce ben si combinano nell’intervallare tra loro riff e lavoro ritmico. No Pain No Gain porta ancora in sé i retaggi di un recente background quasi FM, specie nei cori, ma il refrain e la struttura del brano lo rendono inconfondibile marchio di fabbrica e nel buon lavoro di Meine e nella solida interposizione delle sei corde.

Con Someone To Touch e Under The Same Sun la band si prende un meritato momento di riposo dosando le forze al servizio di tempi più rilassati e di liriche di facile ascolto, sia pure nell’economia generale di un sound sempre sulle righe e con la voce di Meine che non risente per nulla delle ormai due decadi di attività frenetica. Unholy Alliance è passaggio a vuoto. Non si rinviene alcuno degli stilemi della band, che qui appare desiderosa solo di svolgere il compitino e non oltre. Il rilassamento che promana dai solchi del pezzo è evidente: anche gli arrangiamenti sono blandi ed obbligano il singer a sovraccaricare le corde vocali per sopperire alla mancanza di ispirazione. Woman diviene da subito il singolo per eccellenza del disco: le atmosfere volutamente drammatizzate, il testo quasi dark in alcuni passaggi ed il relativo video che lo accompagnano sono i cavalli vincenti. Anche il look della band, per l’occasione calva (!), contribuisce al successo del brano, motivo di vanto del nuovo mago della consolle, il compianto Bruce Fairbairn. Il lavoro del gruppo su Hate To Be Nice è notabile: il neoentrato Rieckermann dona una prova di forza con la 4 corde e dà la stura ad un valzer tecnico di rara intensità. Ottimo Meine nella sua impostazione vocale ed ancora meglio vanno i due guitar hero che a braccetto donano ad intermittenza ritmo e solismo.

Taxman Woman procede spedita per la sua strada e non lascia feriti: la direzione sonora intrapresa si conferma in questo brano dove il quintetto sfodera l’ennesima prova maiuscola. Appaiono tutti a loro agio e nelle esecuzione e nell’orchestrare la tempistica del pezzo. Ship Of Fools ci catapulta davvero nella stramberia: i tempi divengono infatti caotici, il marasma sonoro è completo ed i testi sono volutamente ossessivi nella loro ripetitività, senza però inficiare la qualità del brano, valido e ben temperato nelle battute. Nightmare Avenue è un ideale trait d’union: tra il caleidoscopio di sonorità sinora ascoltate e l’azzeccata miscela di lenti che si sussegue: duro e soffice al punto giusto, il brano non risente per nulla dei rari momenti di debolezza qua e là balenanti, ma anzi rinasce a nuova linfa grazie al lavoro dei due chitarristi, ispirati e coraggiosi nello sdoganare riff apparentemente facili. E giungiamo, come detto, alla triade finale: Lonely Nights si pregia di un bel lavoro di tastiere che valorizzano maggiormente un grande Meine, qui master assoluto del brano; e le due tracce bonus, Destin e Daddy’s Girl, in cui la malinconia regna sovrana e l’ugola del singer pare posseduta da entità sovrannaturali, che portano il vocalist a trarre su sé l’intero peso delle due composizioni, mirabili, non sdolcinate, ma anzi trascinanti specie nell’incessante lavoro di una semiacustica che nella notte si erge a baluardo. Il pungiglione degli aracnidi ha ancora veleno da inoculare nei nostri condotti uditivi.

Autore: Scorpions Titolo Album: Face The Heat
Anno: 1993 Casa Discografica: Polygram
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias   Jabs – chitarra

Ralph   Rieckermann – basso

Herman Rarebell – batteria

John   Webster – tastiere

Luke Herzog – tastiere su tracce 6 e11

Tracklist:

  1. Alien Nation
  2. No Pain No Gain
  3. Someone To Touch
  4. Under The Same Sun
  5. Unholy Alliance
  6. Woman
  7. Hate To Be Nice
  8. Taxman Woman
  9. Ship Of Fools
  10. Nightmare Avenue
  11. Lonely Nights
  12. Destin (bonus track)
  13. Daddy’s Girl (bonus track)
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Scorpions
1 Comm
29th Mar2013

Scorpions – Crazy World

by Giancarlo Amitrano

La gallina dalle uova d’oro e su cui campare di rendita: il sogno ideale di ogni band, affermata o meno, può realizzarsi al momento meno atteso. Dopo il precedente trittico di full lenght,che consacra la band al successo mondiale, manca l’ultimo step che la potesse consegnare addirittura alla leggenda. Puntualmente ciò si verifica grazie ad avvenimenti extramusicali: la caduta del muro di Berlino del 1989 ispira il concept di Wind Of Change, probabilmente la hit più celebre di tutta la loro discografia. Un motivo inizialmente fischiettato, ed in seguito quasi sussurrato, da Meine diventa il simbolo dell’ultimo decennio del XX secolo. Con le sue atmosfere davvero magiche e di portata internazionale, il brano diviene il cavallo di battaglia del gruppo, grazie anche alla diffusione di un memorabile clip a corredo della canzone e che in breve tempo fa il giro del mondo, facendo guadagnare ai teutonici ben 4 dischi d’oro e 6 di platino. La cessazione della collaborazione con il loro mentore Dierks alla consolle non riserva cali di tensione: il nuovo master mind è l’altrettanto leggendario Keith Olsen, che sposa in pieno le ormai consolidate mire intercontinentali del gruppo, ormai orientato verso le stazioni FM. Non che il sound della band si sia affievolito, dato il loro confermatissimo stile ben presente in quasi tutte le tracce dell’odierno lavoro: episodi come l’opener track o ad esempio Hit Betweem The Eyes rendono sempre al meglio il clichè del combo.

Le asce confermano quanto di buono sinora proposto dal duo Schenker/Jabs, con una ormai consolidata alternanza dei tempi di entrata ed il giusto dosaggio degli assoli. La tendenza, tipica degli anni ‘80, ad accompagnare i successi potenziali di una band con azzeccate clips anche in questo caso ben si sposa con la resa interpretativa del quintetto, che ben si presta a“laccare” ancora di più le loro tracce sotto una sapiente direzione artistica. Ne sono esempi lampanti tutti i vari singoli estratti dall’album che qui ancora una volta si conferma essere l’ennesimo potenziale jukebox per i cinque. Almeno sei b-sides sono tratte dal disco, che così può offrire una vasta gamma del repertorio, che spazia a 360°: dal maestoso Don’t Believe Her, in cui la voce di Meine la fa da padrone e fa sembrare lontanissimi i tempi in cui si paventava un suo ritiro forzato dalle scene, all’articolata titletrack che trasporta la band sugli impervi sentieri dei mid-tempos e delle coralità solenni. Per non parlare poi dei monenti più “classici”, quali To Be With You In Heaven, in cui tutti gli strumenti sono volutamente rallentati e la battuta di Rarebell pare essere presa in prestito al miglior Neal Peart, con un sapiente gioco di pedali e grancassa. Ci sono naturalmente gli episodi più “di nicchia”, come Restless Nights, in cui la band pare prendersela comoda e dialogare affettuosamente con un uditorio virtuale, che tuttavia mostra di apprezzare la piega presa dal brano, o altri più sostenuti come Kicks After Six, in cui la band si fa forte della freschezza del testo e della compattezza dei suoni, molto aggressivi e d’impatto.

Per poi chiudere in bellezza con il loro acquerello finale: Send Me An Angel, uno spaccato di meditazione interiore, di lirismo ineguagliabile e di pathos eccezionale. Ancora un clip memorabile a corredo del brano, che sa di etereo ed eterno: così come le melodie di cui trasuda anche questo album, magari non tra i più fenomenali della loro carriera, ma di certo quello di maggiore valenza compositiva, sempre eccelsa.

Autore: Scorpions Titolo Album: Crazy World
Anno: 1990 Casa Discografica: Mercury Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias   Jabs– chitarra

Francis   Buchholz – basso

Herman   Rarebell – batteria

Tracklist:

  1. Tease Me Please Me
  2. Don’t Believe Her
  3. To Be With You In Heaven
  4. Wind Of Change
  5. Restless Nights
  6. Lust Or Love
  7. Kicks After Six
  8. Hit Between The Eyes
  9. Money And Fame
  10. Crazy World
  11. Send Me An Angel
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Scorpions
1 Comm
22nd Mar2013

Scorpions – Savage Amusement

by Giancarlo Amitrano

In preda a smanie intercontinentali, la band tedesca prosegue nel suo strizzare l’occhio al mercato d’oltreoceano, anche a costo di sacrificare leggermente la sua vena artistica. Se con Love At First Sting il gruppo confermava la sua valenza tecnica ormai presente in ogni lavoro, con Savage Amusement esso spazia ancora una volta dal puro hard di base a retaggi psichedelici ancora presenti in esso, per poi giungere clamorosamente (in alcune tracce) a sonorità quasi dance. Chiudendo con questo album la storica collaborazione con la consolle di Peter Dierks, il gruppo riesce fortunatamente a non lasciarsi del tutto alle spalle la sua vena originaria che si manifesta con la traccia d’apertura, ben congegnata sui canoni classici che non prevedono contaminazioni di sovra incisioni o overdub in fase postproduttiva. Le asce sono ben tarate ed il cantato di Meine sgorga ancora una volta melodico ed incisivo al tempo stesso, con la sezione ritmica che alterna tempi sfalsati ad accelerazioni improvvise. La immancabile e puntuale ballad, oltre che doveroso singolo, giunge con Rhythm Of Love, brani in cui le atmosfere tornano ad essere incantate sia pur rese aggressive il giusto nella fase centrale del brano: il lavoro degli axeman si mantiene su livelli di eccellenza, grazie anche all’ottima prestazione vocale, che in alcuni passaggi torna a raggiungere i picchi del suo range tecnico. Un delicato riff di metà pezzo lascia con il fiato sospeso per la sua capacità di coinvolgere nei pur elementari accordi, invero ben piazzati.

Passion Rules The Game vede protagonista la voce quasi “sintetizzata” del singer: probabilmente aiutato da accorgimenti in studio, Meine sforna un’ugola davvero mefistofelica che nel suo immaginario ci conduce attraverso il refrain ed il ritornello davvero interessanti. I mid-tempo che la sezione ritmica adotta, donano al brano la magia che in alcuni passaggi risalta a pieni amplificatori: senza giri di parole, il brano va dritto al cuore ma anche alla mente. Con Media Overkill la band torna alle origini: sound tipicamente aggressivo e sfuriata chitarristica come Dio comanda, mentre ancora Meine produce ghirigori vocali da fuoriclasse, che vengono fuori con la naturalezza che solo i grandi posseggono. Basato su di un facile giro della sei corde, il brano riesce ad evolversi con decisione nella fase centrale, su cui si innestano anche dei poderosi assoli brevi ma incisivi il necessario. Ancora una strizzata all’oceano per Walking On The Edge che è calibrata per le stazioni FM all’epoca imperanti: con le sue melodie quasi AOR, la band riesce nell’intento di coniugare potenza e passione, energia e melodia condensati nei canonici quattro minuti. Non si può disconoscere la grandezza di una band che riesce a tirare fuori il massimo anche da episodi (relativamente) secondari come il brano in esame, solo da loro reso superiore.

Con We Let It Rock…, il punto più basso dell’album giunge puntuale: in questa occasione la band appare del tutto slegata, desiderosa solo di portare a termine il compitino, senza slanci particolari od entusiasmi interpretativi. Sempre ben prodotto tuttavia il brano risente dell’apatia che in questo frangente pare attanagliare il combo che fortunatamente ritrova in fretta la rotta con Every Minute Every Day. Il brano stavolta risale prontamente dal punto di vista tecnico e compositivo, senza tacere dell’interpretazione davvero valida e coinvolgente. Senza fronzoli, il quintetto nel rimettersi all’opera consegna alle chart dell’epoca l’ennesima potenziale hit, con tutti i canoni per raggiungere il successo. Sono gli ottimi cori a dare maggiore spessore al sound ed a potenziare l’estensione vocale del singer, qui ben coadiuvato dalla band a suo agio nell’esecuzione. Ancora una parentesi (in questo senso dovremo esprimerci anche in futuro) dura e pura con Love On The Run, in cui il combo torna a percorrere le assolate vie del sano hard anni 80’. Tutta la strumentazione è accelerata e rende alla perfezione lo stile della band. Cantato aggressivo, asce infuocate e sezione ritmica sparata al massimo sono il marchio di fabbrica: inconfondibile la timbrica del singer ed i duetti della premiata ditta Schenker/Jabs che chiude in bellezza con Believe In Love: ennesimo singolo tratto dall’album che guarda maggiormente alle chart che all’animo selvaggio del gruppo. Senza nulla togliere alla validità tecnica del brano, esso non raggiunge le vette che un inizio molto gradevole lascerebbe sperare, data la buona lena che il quintetto immette nella fase iniziale.

Un passaggio (quasi) a vuoto che tuttavia è lo specchio di quanto i gusti possano differire da un lato all’altro del globo, sia pur nel rispetto massimo per una delle band più influenti del genere.

Autore: Scorpions Titolo Album: Savage Amusement
Anno: 1988 Casa Discografica: Polydor
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias   Jabs – chitarra

Francis   Buchholz – basso

Herman Rarebell – batteria

Tracklist:

  1. Don’t Stop At The Top
  2. Rhythm Of Love
  3. Passion Rules The Game
  4. Media Overkill
  5. Walking On The Edge
  6. We Let It Rock…You Let It Roll
  7. Every Minute Every Day
  8. Love On The Run
  9. Believe In Love
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Scorpions
1 Comm
15th Mar2013

Scorpions – Love At First Sting

by Giancarlo Amitrano

Se con Blackout la band raggiunge il suo picco compositivo e tecnico, con la realizzazione di Love At First Sting si raggiunge la vetta del successo commerciale planetario. Frutto della fortunata collaborazione con il re Mida Dieter Dierks alla consolle, l’album vede consacrare la band anche oltreoceano, certificando il suo successo con tre dischi di platino. Il tutto senza tuttavia tralasciare l’aspetto puramente tecnico, che vede il combo ancora al top dei suoi mezzi espressivi, senza che il successo mondiale del precedente lavoro ne abbia inficiato la capacità esecutiva e propositiva. Nonostante vari contrattempi in studio (una temporanea indisposizione di Rarebell ed alcuni problemi con Buchholz), il gruppo sforna un’altra pietra miliare del genere, in un perfetto mix di hard classico e rock ballad in puro stile anni ‘80. Bad Boys Running Wild apre alla grande: una girandola di accordi delle asce consente l’intro alla sezione ritmica di rara intensità ed anche melodia: innestatasi la timbrica inconfondibile di Meine, il brano scorre orecchiabile attraverso la perfetta combinazione delle melodie che le due chitarre rendono senza sforzo, per giungere al riff di metà brano con sagacia ed energia. Ma è con Rock You Like A Hurricane, giunta presto alla top dei singoli, che il gruppo si consegna alla storia (ancora una volta): atmosfere quasi easy-listening rendono il brano ben strutturato e fanno sì che l’estensione vocale del singer sia la più pulita possibile; unita al solido lavoro degli axeman, la struttura del brano si articola con semplicità anche nel solo immancabile che, lungi dall’apparire fuori luogo nell’economia del brano, lo rende anzi ancor maggiormente variegato ed ancora oggi una delle pietre miliari in sede live.

La ritmica di I’m Leaving You conferma la perfezione tecnica della band: una lunga introduzione di arpeggi semiacustici che via via diviene quasi drammaticamente ossessiva nel suo riproporsi spiana la strada ad una esplosione sonora inattesa; dopo il momento da protagonista del drumming incisivo, l’eco della voce graffiante di Meine si riversa sul brano con potenza inaudita e consente al brano di esplicarsi con forza, energia e melodia anche nei cori. Con un gran solo centrale, il brano si erge a titano della tracklisting assieme alle prossime gemme. Coming Home: chi ha assistito all’esecuzione di questo brano on stage non potrà dimenticare lo spettacolo della “piramide” formata da Schenker e Jabs che sostengono sulle gambe il buon Meine. Ma, non solo di visione si può parlare, bensì di concreta potenza ed esecuzione mirabile con una sezione ritmica che pare un treno senza freni ed il singer che qui appare molto vicino agli “screamers” dell’epoca (Rob Halford in primis) con il suo range vocale che è improntato allo stacco molto roco tra una strofa e l’altra, brano di spessore che resta stampato in mente. La pazzia di The Same Thrill è evidente: la band intende partire subito in quarta con un lungo giro di asce a cui si aggiunge una serie ravvicinata di stacchi energici della grancassa. Condotto dalla buona lena dei chitarristi, il brano si dipana veloce, con la voce che ad un certo punto pare pericolosamente vicina al tracollo, causa l’assenza di discontinuità nel tono adottato da Meine che letteralmente giunge sgolato al bridge finale in cui il ripetersi del ritornello viene quasi sommerso dal muro che asce e sezione ritmica cesellano quasi come una corazza.

Big City Nights è ancora puro AOR. Certo, in stile scorpione, ma con tutti gli ingredienti del caso. Ancora è le sei corde a dettare legge e tempi: ad esse si adegua un grande Rarebell, che in questa occasione lavora molto di pedali, mentre Meine racchiude nella sua interpretazione il meglio dei singer dell’epoca. Tecnica sopraffina e pathos sufficiente a far balzare il brano ancora tra le charts europee in una sezione non usualmente dal gruppo percorsa, quella delle ballads. Mentre As Soon As The Good Times Roll è brano interlocutorio, atto a spianare la strada alle due ultime composizioni. Si segnala tuttavia  per il ritmo quasi reggae (?!) che il alcuni frangenti riveste, stante la particolare timbrica volutamente rallentata che il cantato dona al pezzo. Arriviamo, allora, alle ultime due perle dell’album. Crossfire è un meraviglioso gioco di mid-tempos che viene creato dalla batteria, e su cui si articola un’alternanza di arpeggi della coppia Schenker:/Jabs. Un quasi crescendo wagneriano che il brano costruisce con un via via maggiore intensificarsi del lavoro delle sei corde, che spaziano prima dal doppio lavoro ritmico e poi in un solo intensissimo dalle venature quasi psichedeliche nei passaggi finali. Il tempo si ferma: è il momento di Still Loving You che con le sue atmosfere incantate, le sue melodie senza tempo e tutto il resto marchia a fuoco l’epopea dei tedeschi. Del resto, gli ingredienti vi sono tutti: le acustiche sono perfette, il cantato è paradisiaco ed anche i momenti leggermente sopra le righe denotano una sorta di misticismo interiore in fase esecutiva. Anche gli arrangiamenti sono perfetti e la stesura del testo è davvero superlativa, mentre un doppio solo all’interno del brano è saggiamente scandito dal refrain che non scade nel melenso.Tra i migliori brani del gruppo, e come ballad e come brano tecnico, on stage ancora oggi infiamma i cuori e determina l’accensione di mille e mille luci artificiali. Mentre, artificiali non sono le sensazioni che continuano ad offrirci gli immarcescibili teutoni.

Autore: Scorpions Titolo Album: Love At First Sting
Anno: 1984 Casa Discografica: Mercury Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.the-scorpions.com
Membri band:

Klaus Meine – voce

Rudolf Schenker – chitarra

Matthias   Jabs – chitarra

Francis   Buchholz – basso

Herman   Rarebell – batteria

Tracklist:

  1. Bad Boys Running Wild
  2. Rock You Like A Hurricane
  3. I’m Leaving You
  4. Coming Home
  5. The Same Thrill
  6. Big City Nights
  7. As Soon As The Good Times Roll
  8. Crossfire
  9. Still Loving You
Category : Recensioni
Tags : Scorpions
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