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01st Lug2019

Queens Of The Stone Age – Songs For The Deaf

by Marco Pisano
Josh Homme, dopo aver sciolto i Kyuss qualche anno prima e deciso di intraprendere un nuovo percorso artistico fondando i Queens Of The Stone Age, per la produzione di questo album rincontra sul suo cammino alcuni dei compagni di viaggio che lo hanno accompagnato nell’epopea Kyuss (Mark Olivieri, Chris Goss), più alcune collaborazioni davvero eccellenti (Mark Lanegan, ex Screeming Trees, al basso e ai cori e nientemeno che Dave Grohl alla batteria e alle percussioni). Ci sono tutte le premesse affinché il risultato finale sia di eccellente fattura e infatti l’album è da considerare, senza alcuna remora, uno dei capolavori della discografia dei QOTSA, se non a tutti gli effetti la vetta, lo zenit della loro produzione artistica. Il drumming veemente e furibondo di Grohl, unito alle linee vocali violente, a tratti urlate a squarciagola di Olivieri, supportato anche dal vocione cavernoso di Mark Lanegan, il tutto ovviamente sorretto dalle chitarre precise, affilate e solide come un macigno di Homme, rendono questo lavoro un capolavoro del rock di inizio millennio, una pietra miliare del primo decennio del XXI secolo, uno di quegli album che gli amanti dei QOTSA, dello stoner, ma anche del rock in generale, devono necessariamente avere nella loro collezione. Homme, con questo lavoro, raggiunge una maturità compositiva e artistica invidiabili, riuscendo a recuperare le sonorità dense e corpose dei Kyuss e a fonderle con melodie e linee vocali che, in alcuni tratti, strizzano l’occhio al pop, rendendo molto coinvolgente, orecchiabile ed estremamente fruibile un sound che altrimenti difficilmente avrebbe incontrato i favori del grande pubblico.

La formula seguita al tempo dei Kyuss viene qui depurata delle sue impurità, smussata nei suoi angoli più acuti e rivestita di una veste più sgargiante e gradevole all’occhio, ma non fatevi ingannare: sotto il vestito buono, resta sempre l’anima polverosa, ruvida e scorbutica di un tempo. L’energumeno di una volta si è solo dato una ripulita superficiale e apparentemente si è dato un contegno, ma la sua anima resta sempre quella di un criminale pronto a spaccarvi la faccia al primo momento buono, alla prima vostra distrazione. Al di là dei due singoli No One Knows, Go With Flow e di Another Love Song, esempi perfetti di quella combinazione di durezza rock e leggerezza pop che caratterizzerà lo stile di Homme, il resto dell’album è decisamente aggressivo e violento, con interessanti cambi di ritmo e stoppate che in più di un’occasione ingannano l’ascoltatore facendo credere che la canzone sia finita. In puro stile Kyuss, un album da ascoltare tutto d’un fiato dalla prima all’ultima traccia, senza distrazioni, che va dritto al sodo e da ascoltare a tutto volume. L’abilità di Josh Homme nel saper leggere l’evoluzione e i cambiamenti del mercato musicale, la sua capacità di adattamento ma allo stesso tempo la sua volontà di non gettare nel cassonetto la sua precedente esperienza con i Kyuss, lo hanno portato a realizzare un album monumentale, un ottimo esempio di come si possa crescere ed evolversi senza rinunciare al proprio passato e a ciò che si è stati.

Autore: Queens Of The Stone Age Titolo Album: Songs For The Deaf
Anno: 2002 Casa Discografica: Interscope Records
Genere musicale: Alternative Rock, Stoner Voto: 9
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/QOTSA/
Membri band:
Josh Homme – voce, chitarra
Nick Olivieri – voce, chitarra
Mark Lanegan – voce, basso
Dave Grohl – batteria, percussioni
Tracklist:
1. You Think I Ain’t Worth A Dollar, But I Feel Like a Millionaire
2. No One Knows
3. First It Giveth
4. A Song for the Dead
5. The Sky Is Fallin
6. Six Shooter
7. Hangin’ Tree
8. Go With The Flow
9. Gonna Leave You
10. Do It Again
11. God Is In the Radio
12. Another Love Song
13. A Song for the Deaf
14. Mosquito Song (hidden track)
15. Everybody’s Gonna Be Happy (hidden track)
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Stoner
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24th Giu2019

Kyuss – Welcome To Sky Valley

by Marco Pisano
Chiunque potesse pensare all’epoca, nel lontano 1994, che i Kyuss potessero risentire ed essere condizionati in qualche modo dal passaggio da un’etichetta discografica indipendente come la Dalì Records alla major Elektra Records, nutriva timori privi di fondamento. Quest’album infatti, riprende la linea tracciata dal lavoro precedente, Blues For The Red Sun di cui avevamo parlato a questa pagina e la eleva a livelli di perfezione stilistica e sonora difficilmente raggiunti ed eguagliati negli anni successivi dai molti imitatori dei Kyuss, e forse nemmeno dagli stessi Kyuss. Prodotto anch’esso da Chriss Goss, fa suoi i punti di forza del lavoro precedente e in generale del loro sound, quella commistione rumorosa e potente di heavy metal old school, di psichedelia, di riff chitarristici allo stesso tempo affilati come lame e allucinati e di un groove batteria/basso estremamente solido e granitico, trovano in questo lavoro la loro migliore declinazione, e la coppia di songwriter Homme/Bjork si dimostra pienamente ispirata e in forma. Welcome To Sky Valley risulta, come il suo predecessore, una gemma preziosa di quello stoner metal che, grazie a lavori di questo spessore e valore, stava lentamente emergendo dall’oblio e guadagnandosi un posto di tutto rispetto nella produzione musicale degli anni ’90.

52 minuti di goduria uditiva, di un sound coinvolgente, trascinante e spietato, che non lascia spazio alle distrazioni, che ti cattura e ti stringe in una morsa potentissima dal primo all’ultimo secondo, assorbendo ogni tuo grammo di attenzione e di concentrazione. Capolavori indiscussi Demon Cleaner, l’intermezzo psichedelico acustico Space Cadet, Gardenia e Asteroid, anche se, prestando bene attenzione, si possono rintracciare piccole gemme disseminate in ogni brano, un riff di chitarra, una linea di basso o un groove di batteria interessanti e gustosi. Iconica la copertina dell’album con il cartello “Welcome to Sky Valley” semi illuminato dai fari di una macchina e con l’alba all’orizzonte. Seguite il consiglio lasciato dai Kyuss nei crediti interni dell’album, “Ascoltare senza distrazioni” e lasciatevi trasportare in un viaggio nell’assolato deserto californiano. L’aggettivo “capolavoro” non è decisamente sprecato per definire quest’album.

Autore: Kyuss Titolo Album: Welcome To Sky Valley
Anno: 1994 Casa Discografica: Elektra Records
Genere musicale: Stoner Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/Kyuss-209292342489066/
Membri band:
Josh Homme – chitarra
Brant Bjork – batteria
Scott Reeder – basso
Tracklist:
1. Gardenia
2. Asteroid
3. Supa Scoopa And Mighty Scoop
4. 100 Degrees
5. Space Cadet
6. Demon Cleaner
7. Odyssey
8. Conan Troutman
9. N.O.
10. Whitewater
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Stoner
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12th Giu2019

Kyuss – Blues For The Red Sun

by Marco Pisano
Volete sapere che suono produce il vento del deserto e che sapore ha la polvere? Volete sperimentare sulla vostra pelle un senso di disidratazione, di arsura e di disorientamento? Volete venire travolti da una tempesta di sabbia? Allora dovete necessariamente ascoltare i Kyuss, in particolare il loro secondo lavoro, Blues For The Red Sun, pubblicato nel 1992 dalla casa discografica Dalì Records, e prodotto dai Kyuss stessi, in collaborazione con Chris Goss (chitarrista dei Masters Of Reality). Tra i padri fondatori dello stoner rock, genere esploso alla fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 (casualmente in contemporanea ad un altro filone musicale nato però in una città del Nord degli Stati Uniti di cui non diremo il nome, sarebbe troppo facile indovinare non credete?) la band di Palm Desert, fondata nel 1987 da Joshua Homme (futura voce e chitarra dei giganti Queens Of The Stone Age), Brant Bjork alla batteria, Chris Cockrell al basso (sostituito quasi subito da Nick Olivieri) e John Garcia alla voce, rappresenta la perfetta simbiosi di correnti musicali diverse fra loro, quali heavy metal (influenza fondamentale dei Black Sabbath, in particolare nelle atmosfere cupe, pesanti, scure, nei riff di chitarra taglienti e affilati come rasoi, e nell’uso di accordature alternative, Drop C o Drop D), acid rock, hard rock, blues rock e doom metal.

La partenza dell’album (Thumb) è lenta, quasi rilassata, con un crescendo degli strumenti che sfocia nel cantato aggressivo di Garcia e nella linea di basso di Olivieri pesante come un pianeta, il tutto sormontato dai riff ipnotici e psichedelici di Homme; è un preludio a quello che sarà il mood dominante dell’album, fatto di atmosfere cupe, pesanti e scure come le nuvole di un temporale, effetto creato sia dal basso pesantemente distorto sia dall’uso da parte di Homme di un amplificatore per basso al posto di uno classico da chitarra elettrica. Si approda quindi al capolavoro, alla hit che li ha lanciati al successo e che viene ricordata come il loro brano più famoso, la esplosiva e travolgente Green Machine, dove Bjork scioglie le briglie e lancia i suoi compagni all’assalto, travolgendo l’ascoltatore con un muro sonoro devastante e inarrestabile; da segnalare il riff spettacolare di Homme. La tempesta di sabbia si placa solo a momenti e nella finta quiete il deserto ti assesta colpi micidiali; tra le alte temperature, umidità altissima arrivano visioni, allucinazioni: proprio questa è la sensazione che contraddistingue tutto l’album, in particolare la parte centrale di questo gioiello, dalla traccia 3 (Molten Universe) fino alla 10 (Writhe), un alternarsi costante di intervalli psichedelici, acidi, dettati dalle chitarre allucinate di Homme e accelerazioni inaspettate e improvvise. L’unico autentico e breve momento di pausa, in cui possiamo rifiatare e toglierci di dosso la cappa di umidità e calore in cui i Kyuss ci hanno imprigionato, è la traccia 11 (Capsized), intervallo acustico di nemmeno un minuto di durata, prima di addentrarci verso la conclusione, sempre in stile altamente acido e roboante di Allen’s Wrench e Mondo Generator (da cui prenderà spunto Nick Olivieri per dare il nome al suo gruppo in seguito allo scioglimento dei Kyuss). Rientra pienamente nei canoni di un’atmosfera da trip e allucinata, lo “yeah” finale.

Una perla assoluta del genere stoner rock, da non perdere per nessun motivo se siete dei cultori del genere, o un biglietto da visita estremamente spettacolare per chi voglia avvicinarsi a questo filone ed esplorare quest’universo sonoro. Da segnalare la stupenda copertina, con quelle che sembrano macchie solari in primo piano, circondate da una cornice dorata formata dal nome della band e dal titolo dell’album. Con questa gemma Homme e soci hanno decisamente fatto centro, realizzando una delle pietre miliari del genere stoner e del rock anni 90, Imperdibile.

Autore: Kyuss Titolo Album: Blues For The Red Sun
Anno: 1992 Casa Discografica: Dalì Records
Genere musicale: Stoner Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/Kyuss-209292342489066/
Membri band:
Josh Homme – chitarra
Brant Bjork – batteria
Nick Olvieri – basso, voce
John Garcia – voce
Tracklist:
1. Thumb
2. Green Machine
3. Molten Universe
4. 50 Million Year Trip (Downside Up)
5. Thong Song
6. Apothecaries’ Weight
7. Caterpillar March
8. Freedom Run
9. 800
10. Writhe
11. Capsized
12. Allen’s Wrench
13. Mondo Generator
14. Yeah
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Stoner
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03rd Giu2019

Mongoose / Jahbulong – Split Series 1

by Stedi
La Go Down Recordsinaugura una serie di split album su vinile con questo primo volume condiviso da due giovani “power trio” veronesi. Il lato A ci presenta 5 pezzi dei Mongoose, formatisi nel 2014 ci deliziano con la loro psichedelia pesante e stoner di chiara matrice anni 70 che ricorda a tratti i Blue Cheer di Vincebus Eruptumma che non disdegna la “modernità” dei Kyuss degli inizi. The Fall e Final Exodus sono i loro brani migliori, sicuramente una band da tenere sott’occhio, le premesse per un ottimo full lenght ci sono tutte. Sul B-side troviamo invece i Jahbulong, band ancora più giovane, in attività dal 2015. Il loro è senz’altro un approccio più doom con un suono davvero duro ed cupo. Tutti e 3 i brani inseriti sono davvero di notevole fattura, 20 minuti di intenso heavy sound.

Brava la Go Down, il primo colpo sparato con questa split series è andato nettamente a segno, entrambe le band presentate meritano di esprimersi più compiutamente realizzando qualcosa di interamente loro. Intanto aspettiamo con ansia il seguito il prossimo numero.

Autori: Mongoose / Jahbulong Titolo Album: Split Series 1
Anno: 2018 Casa Discografica: Go Down Records
Genere musicale: Stoner Voto: 7
Tipo: LP Sito web: https://www.facebook.com/Mongoosetheband/
https://www.facebook.com/JAHBULONG/
Membri Mongose:
Daniel Giardina – voce, chitarra
Stefano Castioni – basso
Serana Zocca – batteria
Membri Jahbulong:
Pierpaolo “P. Vinegar” Modena – voce, chitarra
Martino Tomelini – basso
Nicolò Bonato – batteria
Tracklist:
A1. Berseker
A2. Inertial Absorber
A3. The Fall
A4. Final Exodus
A5. Knowledge Is Not The Solution
B1. Black Horses Run
B2. Green Walls
B3. River Of All
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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26th Mag2019

Hey Satan – Orange Moon

by Marcello Zinno
Come tantissime band che inseriscono icone sataniche o nomi che richiamano ambientazioni luciferine nei propri testi ma che poi si dimostrano essere portatrici di altri messaggi, così gli Hey Satan ci stupiscono per tutto tranne che per la loro (a dir la verità assente) ideologia malvagia. Anzi a dir il vero con questo potente terzetto siamo al cospetto di una irruenza stoner a cui molte band vorrebbero giungere ma che fanno fatica a creare: un terzetto che suona potente, con un combustibile rock che è pronto ad esplodere in diverse tracce incluse in questo loro Orange Moon. Non diciamo niente di nuovo visto che con il loro primo omonimo album, di cui avevamo parlato a questa pagina, gli Hey Satan si erano già presentati nel migliore dei modi e qui continuano con il loro potere distruttivo macinando riff su riff e innescando il desiderio di headbanging ad ogni passaggio. È come se vi trovaste in mezzo ad un incrocio e foste disarcionati da un’auto chiamata Ufomammut e da un’altra con il logo dei Motörhead, questo credo che aiuti a rendere l’idea del potere ipercalorico della loro musica.

In più di un momento l’uso sonoro della sei corde, così distorta e piena, ci ricorda un certo Tom Morello, ma l’appeal della band è molto più stoner oriented, è un monolite che piove dritto sulle nostre orecchie. Bello anche l’uso del basso che viene fatto in alcune tracce: Show Me Your Teeth Fucker! è un vero calcio nel culo, velocità e quattro corde come se non ci fosse un domani. Così anche il rock di Prayers Are For Cowards arriva fin dal primo ascolto e piace per la sua irruenza, si tratta di un brano rumoroso ma che per le sue melodie (evidenti nel chorus) può piacere anche a chi non mastica lo stoner. In Pline L’ancien We Salute You il titolo non è solo un caso ma, a parer nostro, un vero e proprio omaggio visto che il riff che continua instancabile lungo il pezzo è molto AC/DC style, pur vestito da una distorsione aderente al sound del trio svizzero. Sul finire evidenziamo la titletrack che sembra quasi una riminiscenza grunge con un incedere lento ma che ti manda in stato catartico e il chorus di Heavy Like A Rose che non può che far innamorare.

Una prova dura come la pietra, che esalta il rock rumoroso e potente. Gli Hey Satan sono una band senza tempo che andrebbe ascoltata prima e poi venerata.

Autore: Hey Satan Titolo Album: Orange Moon
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Stoner, Grunge Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/heysatanrock/
Membri band:
François – voce, chitarra
Laurent – voce, chitarra
Frank – batteria
Tracklist:
1. Housewife Blues
2. South Is The New West
3. Golgotha Beach
4. Show Me Your Teeth Fucker!
5. KO Computer
6. Pork Tournedos
7. Prayers Are For Cowards
8. Pline L’ancien We Salute You
9. Orange Moon
10. Heavy Like A Rose
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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18th Mag2019

A Violet Pine – Again

by Marcello Zinno
Come una persona che passa mesi e mesi in palestra ad esercitare il proprio fisico e guardandosi allo specchio si vede diverso da quando ha iniziato il percorso di allenamento, così gli A Violet Pine hanno acquisito muscoli nuovi rispetto al loro passato. Li avevamo incontrati all’epoca di Turtles (di cui abbiamo parlato a questa pagina) e avevamo sentito che qualcosa, di lì in avanti, sarebbe cambiata. Avevamo parlato di “evoluzione stilistica in corso” e che l’avremo apprezzata “maggiormente sul prossimo album” ed a conferma di questo arriva Again, un album in cui le chitarre (ma in primis la loro personalità sonora) arrivano con maggiore determinazione fin dall’opener Interstellar Love. E’ il terzo album per la band ma il primo autoprodotto e sentiamo che questa è stata una scelta voluta da parte della band, magari per mettersi maggiormente a nudo e non aver timore di imboccare una strada diversa. Questo ci piace, molto. Gli A Violet Pine si sono tuffati nei meandri del rock oscuro, non lo hanno fatto voltando le spalle al passato (la vena dark resta un loro marchio di fabbrica) ma confluendo le loro energie in una natura elettrica che in Again non viene solo dalla chitarra ma anche dalle linee di basso del nuovo ingresso, Francesco Bizzoca, basso che viene fuori in più occasioni.

Run Dog, Run! ha una seconda parte che sottolinea quanto la vena introspettiva sia importante nel songwriting del power trio, però noi più ascoltiamo questo album e più sentiamo il sapore delle chitarre e ci ritornano in mente gli anni del grunge, la sei corde targatta Billy Corgan, le note ruvide e distorte, gli ampli che gracchiano. Intensa la parte strumentale di When Boys Steal Candles che sembra portarci lontano ma è solo un’altra multiforme faccia del sound targato A Violet Pine, Black Lips suona come se fosse una ballad secondo il pensiero della band, un brano in cui il cantato ha il sapore ottantiano mentre poi si sguaina una sei corde potente ed un incedere oscuro a supporto. L’album si chiude con un pezzo strumentale in cui il trio gioca con pattern e arpeggi, anche qui la moltitudine del loro mondo viene fuori, se vogliamo in modo ancora più crudo rispetto agli altri brani, un qualcosa di crudo che affascina e conquista.

Again dura 33 minuti ma la sensazione è che ci sia molta più musica rispetto a quanta l’orologio ci suggerisca, anche grazie a dei ritmi lenti che hanno il potere di entrarti dentro e crearti un’emorragia interna molto più pericolosa di quei tipici colpi heavy che ti trafiggono all’istante e poi ti lasciano agonizzante. Originali e audaci, cupi e profondi.

Autore: A Violet Pine Titolo Album: Again
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Stoner, Grunge, Dark Voto: 7,25
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/avioletpinemusic/
Membri band:
Giuseppe Procida – voce, chitarra
Francesco Bizzoca – basso
Paolo Ormas – batteria
Tracklist:
1. Interstellar Love
2. Run Dog, Run!
3. Again
4. When Boys Steal Candles
5. Black Lips
6. Monster
7. Z00
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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05th Mag2019

Il Gigante – La Rivolta Del Perdente

by Marcello Zinno
Dopo l’EP Stomp! di cui aveva parlato a questa pagina e che ci aveva catapultati giù dalla sedia, Il Gigante torna e lo fa con un full-lenght dal titolo La Rivolta Del Perdente. Un rock travolgente ma che sa essere anche molto trasversale, i ragazzi ci mettono la loro e si sente la passione intrisa in queste tracce. Con l’opener la band probabilmente risponde alle migliaia di recensioni, opinioni controverse, suggerimenti da pseudo esperti e tutto quanto hanno dovuto sentire in questi anni: una serie di “voi dovreste…” essere qualcosa che loro non sono a cui loro rispondono proprio con “allora suona tu“. Pace è un altro brano molto intenso, musicalmente rappresenza una bilancia equilibrata tra grunge e stoner mentre le liriche descrivono la situazione in cui versa il nostro Paese (e probabilmente non solo quello) in cui la pace è un miraggio (“dovrei slegarmi da questa idea di seminare invidia e raccogliere odio…tutto questo odio represso sta diventando una guerra inutile”) mentre l’odio appunto imperversa.

Il rock è diretto ma anche molto curato, le due chitarre si sentono, tavolta giocano ad irrobustire il suono, talvolta ad intrecciarsi creando valore compositivo. Brani come La Notte o Questo È Un Lento non possono che conquistare chi ha sete di rock roccioso, chi ha amato il profilo più deciso ed elettrico dei Ministri, chi è alla ricerca di realtà tricolore che cantano nella nostra lingua ma che sono in grado di parlare un rock internazionale. E guai a pensare che in La Rivolta Del Perdente ci sia solo distorsione continua, provate ad ascoltare Che Sia La Fine e il suo mood indie rock o La Camica Di Mio Padre con le sue strofe morbide che fanno a cazzotti con il chorus; da segnalare anche la titletrack in cui la vena elettrica citata prima è al servizio di un pathos che esplode nel corso della traccia. A noi conquista la verve decisa di Charlie, un pezzo che è puro heavy rock e che dal vivo ha tutte le carte giuste per spaccare.

Davvero ben curato il lavoro grafico e il packaging. Se amate il rock italiano con carattere non potete lasciarvi sfuggire questo album.

Autore: Il Gigante Titolo Album: La Rivolta Del Perdente
Anno: 2019 Casa Discografica: Jap Records
Genere musicale: Stoner, Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/IlGiganteBand
Membri band:
Daniele Benincasa – voce
Marco Mariotti – chitarra
Simone Giacomucci – chitarra
Samuele Settimi – basso
Giacomo Ciancaleoni – batteria
Tracklist:
1. Allora Suona Tu
2. Pace
3. La Notte
4. Che Sia La Fine
5. Nagaraya
6. La Rivolta Del Perdente
7. Charlie
8. La Camicia Di Mio Padre
9. Questo È Un Lento
10. Viviamo Per Non Morire Mai Più
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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13th Mar2019

Jesus Franco & The Drogas – No(w) Future

by Marcello Zinno
Tornano i Jesus Franco & The Drogas che avevamo incontrato ai tempi del precedente Damage Reduction (recensito da noi a questa pagina), il loro concetto di musica non cambia, sempre in bilico tra psichedelia sperimentale e stoner vivo e pulsante. I brani risultano molto diluiti, soprattutto nella parte iniziale dell’album, il loro concetto di psichedelia poggia qui proprio su un annacquamento delle tracce, come se la band volesse opporsi filosoficamente ma anche concretamente a tutte le regole imposte dal music business per realizzare musica “vendibile”. Basta ascoltare Acufene, un brano dalla matrice compositiva semplice ma che ripete i propri elementi fino a superare i sei minuti di ascolto; l’esercizio si ripresenta anche nella seconda traccia con la differenza che lì i minuti totali non superano i 4 e nel complesso il risultato è più digeribile.

Ma No(w) Future, album che fin dalla copertina rende chiarissimo il suo messaggio portante ovvero il decadimento della società non solo in ambito musicale ma da vari punti di vista, possiede una parte centrale fatta di muscoli e accelerazioni varie, momenti intensi e pulsanti (sia in termini di ritmica che di pattern) che rappresentano ciò che più ci piace di questo progetto: non si può non citare Right Or Wrong, un brano che sa di rock’n’roll con tempi dispari, uno sfogo che dà l’impressione come se i The Doors fossero stati calati in un acido dall’effetto schizofrenico. Incisivo e martellante è Some People che è capace di rendere ostile il rock’n’roll attraverso un drumming incessante ed entrandoti fin sotto la cute.

Ma l’essenza dei Jesus Franco & The Drogas a parer nostro è in brani come Wake Up, momenti lisergici che richiamano le sonorità anni 70, anche qui diluiti seppur aderenti alla loro concezione di rock, brani che in sede live potrebbero durare tranquillamente il doppio. Questo è il territorio della band. No(w) Future è senza dubbio un album coraggioso che probabilmente non capirete da lucidi e che frantuma i soliti schemi nella sua semplicità, senza eccedere in estremismi difficili da digerire.

Autore: Jesus Franco & The Drogas Titolo Album: No(w) Future
Anno: 2019 Casa Discografica: Bloody Sound Fucktory
Genere musicale: Stoner, Psichedelia Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/jesusfrancoandthedrogas/
Membri band:
Andrea Carbonari – chitarra
Alessandro Fiordelmondo – chitarra
Michele Prosperi – batteria
Andrea Refi (aka Sonny Alabama) – voce
Tracklist:
1. Acufene
2. No Talen Show
3. Right Or Wrong
4. Some People
5. Blast-O-Rama
6. Brain Cage
7. Wake Up
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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01st Feb2019

Hubeskyla – Fly On Wings Of Love

by Marcello Zinno
Tornano gli Hubeskyla, sempre nel segno del rock psichedelico. Il loro nuovo Fly On Wings Of Love possiede però una carica più heavy psych, o meglio potremo dire stoner psych, davvero intensa. I suoni polverosi e lisergici sono rafforzati da chitarre decisamente rock e una sezione ritmica compatta che sa essere cornice in cui i rocker si muovono agiatamente. Per fortuna lo stile degli Hubeskyla non si perde in sperimentazioni lunghe e intricate, piuttosto insistono spesso su dei riff come sul finale di Right Here, perché la loro musica vuole esplodere più che evolversi, o come nell’ultima traccia. L’eccezione si chiama They Control Us All (parte centrale) dove ci si perde senza soluzione di continuità tra suoni ed effetti…poco concreti in questo passaggio, ma il genere lo esige. Inoltre in questo album vengono aggiunte anche delle linee vocali, a differenza di quanto accadeva con il precedente strumentale Spencer’s Return, linee vocali che ben si accoppiano con lo stile fumoso dell’album. La release si apre con It Starts To Make Sense che interpreta su un riff rotondo tanto da ricordare lo sludge dei Down (ai tempi di Nola), se non fosse per l’assenza di una matrice metal e per una tastiera che profuma di psichedelia intensa; anche nella già citata The Control Us All (ma durante la parte iniziale) si picchia duro consigliando un headbanging lento e cadenzato, come stoner insegna.

Nell’ultima Punishment il rock trasuda dalle note, certo in una visione quasi sessantiana, che lambisce la storia del rock: un riff, sempre lo stesso, su cui poi si muovono i diversi contributi (assolo, voce…) quasi come fosse un trip di acidi di cui non si conosce la destinazione. Bella prova, seppur niente di rivoluzionario nella scena stoner psych.

Autore: Hubeskyla Titolo Album: Fly On Wings Of Love
Anno: 2018 Casa Discografica: We Don’t Make It Records, Fidel Bastro Label
Genere musicale: Stoner, Psych, Krautrock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.hubeskyla.ch
Membri band:
Fabrice Seydoux – batteria, voce
Christophe Jaquet – voce
Lionel Gaillard – chitarra, voce
Duri Darms – chitarra, tastiere, voce
Mathias Bieri – chitarra, voce
Tracklist:
1. It Starts To Make Sense
2. Right Here
3. They Control Us All
4. Fly Away
5. Punishment
Category : News, Recensioni
Tags : Stoner
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21st Gen2019

John Garcia And The Band Of Gold – John Garcia And The Band Of Gold

by Giuseppe Celano
L’ex singer dello stoner non ha di certo bisogno di presentazioni, ha militato in diverse band e per così tanti anni che per citarle tutte ci vorrebbe un capitolo a parte. Quello che si può affermare con certezza è che ha conservato un fuoco intatto nella voce portandola fino ai giorni nostri dimostrandolo con la lenta, ipnotica nell’incedere e arricchita di chitarre spettrali, Space Vato opener del nuovo lavoro di questo formidabile performer da sempre immerso nella spirale Kyuss da cui probabilmente non uscirà mai. Canta benissimo, un puro piacere per orecchie e cuore e se possibile anche meglio delle due precedenti prove. Grazie al songwriting più a fuoco e alla possente produzione di Chris Goss (Master Of Reality e a lavoro con Kyuss e Queens Of The Stone Age) il disco scivola via fra chitarre ribassate, riff taglienti e voce sferzante su Jim’s Whisper, arricchita da un southern flavour solo molto caldo.

Rispetto alle ultime uscite, questo lavoro sfoggia ritmiche danzerecce mancate finora nella sua produzione (Chicken Delight). Spinge di forza raggiungendo velocità di crociera grazie alla spinta propulsiva della sezione ritmica ma la reale potenza risiede nel canto e nelle entrate di quella voce viscosa applicata alle sciabolate Kentucky II e My Everything. L’energia sprigionata dal singer statunitense è davvero qualcosa di invidiabile (Cheyletiella). Alla sua età, sono ben 48, due terzi dei suoi colleghi sono artisticamente bolliti o morti. Sebbene i riferimenti alla band madre siano sparsi un po’ e sapientemente dappertutto, questo lavoro ha una sua anima e originalità innegabili. A sigillare il tutto ci pensa la take Softer Side, ammantata da una coltre psichedelica prima e sostituita a metà da una sezione più hard con il singer seriamente impegnato su high-pitched tone. Davvero imperdibile.

Autore: John Garcia And The Band Of Gold Titolo Album: John Garcia And The Band Of Gold
Anno: 2019 Casa Discografica: Napalm Records
Genere musicale: Stoner Voto: 8
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/JohnGarciaOfficial/
Membri band:
Ehren Groban – chitarra
Mike Pygmie – basso
Greg Saenz – batteria
Tracklist:
1. Space Vato
2. Jim’s Whiskers
3. Chicken Delight
4. Kentucky II
5. My Everything
6. Lillianna
7. Popcorn (Hit Me When You Can)
8. Apache Juncion
9. Don’t Even Think About It
10. Cheyletiella
11. Softer Side
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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