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28th Mag2018

Childrenn – International Exit

by Valerio Veneruso

Childrenn - International ExitUn anno dopo il loro disco d’esordio Animale recensito da noi a questa pagina, i danesi Childrenn ritornano alla ribalta con International Exit, il nuovo lavoro discografico che questa volta si avvale della colalborazione di Randall Dunn, produttore di un certo spessore (nonchè fondatore dei Master Musicians Of Bukkake), che ha firmato album di gruppi come i Wolves In The Throne Room, gli Akron Family o i Sunn O))) (giusto per citarne alcuni). Ad aprire quest’ultima fatica ci pensa Cool Ache un brano deciso che, tra cori, riverberi e una batteria pesante, fa presagire quell’atmosfera psichedelica che caratterizza difatti l’intero disco. Nonostante questo però la traccia non parte mai realmente lasciando l’ascoltatore un pò con le orecchie asciutte. La successiva Royal Fever invece, distinta da sonorità prettamente stoner, sembra rivelare un pò di più il vero carattere di questa sorprendente band scandinava. Where’s The Door? è il titolo del primo singolo di questo disco che, grazie alla potenza allucinata del riff principale della chitarra, continua a infondere all’intero progetto un’energia vibrante difficile da schivare.

Year Of Complaint è forse la canzone più violenta e coinvolgente di International Exit: 2 minuti e 41 secondi di pura energia elettrica accompagnata da una batteria martellante e da una voce altrettanto presente. Melodiche e trascinanti invece The Signal’s Clear e A New Low. Vagamente riconducibile alle atmosfere dilatate dei Radiohead è il singolo 11th Hour Lullaby/Cloud#22 dove l’inclusione di una parte elettronica-strumentale lascia intendere soprattutto la voglia di sperimentare dei Childrenn senza dover essere per forza inseriti all’interno di etichette o spazi circoscritti. Le ultime trace del disco tendono al raggiungimento di una melodia sempre più rarefatta, quasi da ambientazione desertica, con I Am The Antenna, Sing Sing Electric e la solenne Year Of Desire.

International Exit si presenta in definitva come un album che scivola molto piacevolmente facendosi ascoltare, con tutte le sue sfaccettature, in maniera estremamente naturale. Un lavoro colto e pieno di riferimenti dal quale si percepisce tutta l’influenza di progetti stoner psichedelici come i Samsara Blues Experiment, Desert Session o di sonorità ancora più intimistiche e ipnotiche come quelle dei King Gizzard And The Lizard Wizard. Da ascoltare più e più volte, magari in macchina, di notte, sulla strada verso casa.

Autore: Childrenn

Titolo Album: International Exit

Anno: 2017

Casa Discografica: Mighty Music

Genere musicale: Rock, Stoner, Psichedelia

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/CHILDRENNtheband

Membri band:

Jacob Brixen – voce, chitarra

Manoj Ramdas – chitarra

Jakob Jørgensen – basso

Johan Lei Gellett – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Cool Ache

  2. Royal Fever

  3. Where’s The Door?

  4. Year Of Complaint

  5. The Signal’s Clear

  6. A New Low

  7. 11th Hour Lullaby/Cloud #22

  8. I Am The Antenna

  9. Sing Sing Electric

  10. Year Of Desire

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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17th Mag2018

MinimAnimalist – W.O.K.

by Paolo Tocco

MinimAnimalist - W.O.K.Direi che ci sono regole buone per restar fermi in casa, regole ottime per somigliare a chi ci sta di fianco che a sua volta somiglia a chi gli sta di fianco ancora, e alla fine ci sono regole assai efficaci per far finta che le regole non servano a nulla. La verità è che alla fine non ci stiamo inventando nulla dunque questo secondo disco dei MinimAnimalist lo lascio scorrere senza ricercare la novità. Ma chi riesce più ad essere originale oggi? Di sicuro non è questo power duo che viene dalla Puglia a fare cose originali. Power duo, come andava di moda fino a qualche anno fa, tra i poppettari Pan Del Diavolo ai BSBE e come loro tanti meno noti e più famosi. I White Stripes hanno sdoganato questo modo di fare musica anche ai mondiali di calcio…ma questa è un’altra storia…che poi loro con la parola “power” non è che c’entrino poi tanto. Un passo indietro e uno di fianco. I MinimAnimalist pubblicano W.O.K. con queste 11 tracce inedite che sinceramente mi restituiscono aria buona. Sono andato a sentire le canzoni di Motta, lui che ha vinto il Tenco, lui che viene incoronato come un nuovo “poeta”…poi sinceramente mia nipote ha scritto cose per gioco assai più intense. Dunque aria fresca e sinceramente aria anche pulita nonostante la ruggine degli amplificatori e la pastosità ruvida del suono che i Nostri ci regalano.

Un disco che, ripeto, non inventa niente ma che porta a casa un cofanetto di brani altamente ispirati, idee, personalità e semplicità. Sinceramente sono poco avvezzo al genere quindi metto le mani avanti recando opportune scuse a chi invece, capendone, avrebbe ben altro da dire (forse). Ad istinto e a sensazione trovo che W.O.K. sia un disco pulito, appunto. Il singolo di lancio Ing. Giannino (con un video ben fatto e assai interessante) rivela la leggerezza e la pulizia di questo disco. E non siamo di fronte al pop da cassetta per quanto i Nostri con questo brano abbiano provato a far incontrare le due facce: lo stoner che a tratti strizza l’occhio nel prog con il pop di maniera che cerca la soluzione da farti ricordare anche quando sei a spasso. Ma i MinimAnimalist sono ben altro. Sono proprio come si apre il disco, con l’eponimo W.O.K., che mi cattura d’intelligenza e di carattere quella pausa di silenzio che se durava ancora avrei gridato alla citazione di J. Cage. Brani poi come Maglione mettono in luce la capacità di fare del rock duro (stoner appunto) assottigliando anche la lama di taglio e comprimendo la scrittura in giochi melodici che qualcun altro avrebbe fatto con glockenspiel o synth dal suono di gocce. E questa voce di Fabio Cazzetta (se non erro) sottile anch’essa, sempre un poco rimaneggiata elettronicamente (mi sembra di sentire del vocoder proprio in Maglione, forse sbaglio) ma comunque distorta sulle punte ha queste sembianze di dannazione, di vibrato dannato, di sofferenza. In alcuni piccoli tratti la accosterei (con somme distanze di rispetto) al fenotipo di Jeff Buckley (avete capito? Con dovute distanze…rispettandole anche.).

Assai intrigante Elefante che più di tutte probabilmente smonta e rimonta una scrittura di drumming molto esterofila con uno special che riporta il riff di chitarra protagonista e queste sovraincisioni slide che buttano acido sul tutto. E poi ci sono momenti di sosta e di riflessione – per modo di dire – come nella bellissima Mi Buttavo: più ariosa la prima con i primi spiragli alla Foo Figthers e un testo che quasi si perde come liquido che perde dalle tubature. Bellissimi gli spazi in cui si incastrano le parole, bellissima questa intimità di batteria e questa chitarra che pinkfloydianamente ribadisce un concetto di note assai sintetico. E se il prog fatto pop si materializza nel pieno stoner di Disturbo Tripolare con questi cambi di tempo e di design, con questi ostinati assai presuntuosi, il disco si chiude con una mini suite di 5,52 minuti in cui di nuovo ritroviamo una introspezione che cerca la via di fuga e la trova in una coda – manco a dirlo strumentale – di dissonanze e di libertà invasive. Eppure questo dei MinimAnimalist non è per niente un disco invasivo nonostante ci siano tutte le caratteristiche per far bene il rumore e distrarre il popolo da questa maledetta plastica banale del pop moderno.

A quanto pare ci sono espressioni altre e di ben altro livello da ragazzi che invece di crescere a pane e televisione, son venuti fuori dai vinili dell’america rock. Sarebbe curioso sapere quali, e anche se fossero CD…davvero un bel lavoro.

Autore: MinimAnimalist

Titolo Album: W.O.K.

Anno: 2018

Casa Discografica: Cabezon Records

Genere musicale: Rock, Stoner

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://minimanimalist.bandcamp.com

Membri band:

Davide Bianco – chitarra, lap steel

Fabio Cazzetta – batteria, voce

Tracklist:

  1. W.O.K.

  2. Ing. Giannino

  3. Maglione

  4. Il Mercato Delle Decisioni

  5. Hai Già Vinto

  6. Efelante

  7. Povero Me

  8. Giuda

  9. Mi Buttavo

  10. Disturbo Tripolare

  11. Come Si Può

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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20th Mar2018

Sunderfeet – Nightmare For Myself

by Trevor dei Sadist

Sunderfeet - Nightmare For MyselfSono sempre affascinato dalle sonorità fumose, le prime note di questo Nightmare For Myself mi rimandano all’ascolto di uno stoner sincero, che non conosce tradimenti. Dopo un primo EP rilasciato nel 2014, i Sundefeet sono pronti per il grande salto e lo fanno con questo debut, un album interessante che non aggiunge molto al genere ma che consolida appieno quello che già sappiamo. Non manca nulla perché la band possa essere considerata e rigettata nel calderone delle band stoner che nell’ultimo periodo sono emerse in buona parte del mondo. Dying Day è la giusta opener carica di energia che sposta da subito l’asticella verso la vetta, con No Man’s Land sappiamo di un altro lato dei Sunderfeet, quello che attinge anche dal grunge pur restando sugli stilemi stoner specie per i riff, dove il buon Simon Mack si fa apprezzare grazie alla sua vena sabbatiana. Adoro il feeling seventies grazie a Mushroom Fail sono catapultato in quegli anni, vestito di uno smanicato in pelle a cavallo di una vecchia Harley verso mete sconosciute, non ne voglio sapere di scendere dalla mia compagna di viaggio a due ruote, sulle note di Upset Man una song misteriosa, selvaggia. Ho apprezzato il mix del disco che non conosce alcuna sbavatura, capace di passare con naturalezza dalle parti più sabbiose all’energia di riff robusti, come per Death Prowler.

Ho raggiunto la metà del full lenght sempre più soddisfatto per essermi imbattuto nella musica di questo trio francese, che fa della genuinità l’arma vincente, 13 aggiunge qualcosa alla musica dei transalpini mettendo in risalto l’ottimo lavoro sulle voci. Questo è un genere sperimentale che fa nella ricerca dei suoni un costante lavoro, in questo caso spetta a Spread Your Story farne abuso, Simon Mack si lascia andare a un solos perfettamente incastrato a un riff massiccio dove la sezione ritmica per opera di Matthieu Ernewein al basso e Luke Duke alla batteria fornisce un lavoro pieno. Temi allegri quanto energici con l’arrivo di Common Aim, i Sunderfeet per un attimo vestono panni grunge, anche se la base di partenza resta lo stoner, la titletrack (Nightmare For Myself) è una ballad pensierosa che mi accompagna ai titoli di coda, ma prima di chiudere c’è ancora spazio per W.A.R. che come per Dying Day mette in mostra la parte più aggressiva della band.

Sono soddisfatto e appagato, posso tranquillamente rimettermi in sella alla moto, non ho meta ma di certo la colonna sonora del mio viaggio non manca! In alto il nostro saluto!

Autore: Sunderfeet

Titolo Album: Nightmare For Myself

Anno: 2017

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Stoner

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: https://sunderfeet1.bandcamp.com

Membri band:

Simon Mack – chitarra

Matthieu Ernewein – basso

Luke Duke – batteria

Tracklist:

  1. Dying Day

  2. No Man’s Land

  3. Mushroom Fail

  4. Upset Man

  5. Death Prowler

  6. 13

  7. Spread your Story

  8. Common Aim

  9. Nightmare for Myself

  10. W.A.R

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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13th Mar2018

General Cluster – Greetings From Black Mountains

by Trevor dei Sadist

General Cluster - Greetings From Black MountainsLo stoner e lo sludge metal nell’ultimo periodo sono generi che si sono affacciati di prepotenza al grande pubblico. I General Cluster, band francese dedita e fedele a questi generi ne sono portavoce attraverso otto tracce di questo interessante nuovo album dal titolo Greetings From Black Mountains. Si parte con No One’s Bitch che apre le danze in maniera decisa, grazie a riff che non lasciano scampo e un chorus che entra prepotentemente nella testa dell’ascoltatore. Gli elementi che hanno reso celebre il genere ci sono tutti, dove rimandi ai Black Sabbath specie sulle sei corde sono leggibili, nel sound dei General Crusher tuttavia non mancano accostamenti all’heavy classic, grazie a una sezione ritmica che picchia duro. Dopo i mid tempo di The Rover irrompe la furia selvaggia di Shield Wall dai toni più allegri e meno doom, proprio con la seguente Voices la band assume un altro costume, quello rallentato avvicinandosi alle trame di band quali Electric Wizard e Red Fang. Apprezzo sempre molto lo stoner, che mi riporta indietro nel tempo facendomi rivivere le emozioni seventies, calandomi in un’atmosfera fumosa, sabbiosa, dal colore giallo ocra. Let’s Go Porn è una canzone energica, tra le mie preferite, che nei suoi cinque minuti a disposizione mette in mostra il genere nella sua totalità.

La formazione dei General Cluster esprime il concetto delle rock band con una line-up classica a cinque, dove ogni musicista gioca un ruolo di assoluta importanza, trascinati dalla voce di Dammut, ruvida, calda e dove serve rabbiosa; riguardo alla sezione ritmica mi sono già espresso, Ross The Boss e Sly costituiscono un muro sonoro capace di sorreggere a dovere i riff ragionati dalla coppia Erwan e Julien. Mountains e Torment Day mi hanno fatto avvicinare ai titoli di coda, poco altro da aggiungere, anzi i Nostri confermano lo stato di forma che si esaurisce con Five Months, ottima chiusura di un album che da subito mi ha colpito per la sua genuinità. Lo stoner si è diffuso in tutto il mondo e in Europa è un cuore pulsante grazie a band come i General Cluster. In alto il nostro saluto!

Autore: General Cluster

Titolo Album: Greetings From Black Mountains

Anno: 2017

Casa Discografica: Swamp Bloody Swamp

Genere musicale: Stoner, Heavy Metal

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: http://www.generalclustercrew.com

Membri band:

Dammut – voce

Ross The Boss – batteria

Erwan – chitarra

Julien – chitarra

Sly – basso

Tracklist:

  1. No One’s Bitch

  2. The Rover

  3. Shield Wall

  4. Voices

  5. Let’s Go Porn

  6. Mountains

  7. Torment Day

  8. Five Months

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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06th Mar2018

Eradius – Eradius

by Trevor dei Sadist

Eradius - EradiusOmonimo debut album per gli Eradius, duo attivo da circa due anni. La loro musica si può definire alternative rock in tutti i sensi, certamente con rimandi all’indie inglese di ultima generazione, nonostante ci sia influenzata anche dallo stoner oltreoceano. Le dodici canzoni presente su questo disco d’esordio sono di buona fattura, specie considerando che, i due terribili ragazzi (Richard Dylan Ponte e Edoardo Gomiero) non chiedono ausilio e sono decisi ad andare in fondo con questo combo vincente. Non lasciatevi ingannare, nel sound dei Nostri non manca davvero nulla, anche nei momenti di riflessione gli Eradius riescono a sopperire molto bene, grazie a suoni a tratti electro e con la giusta ansia, derivata anche da testi impegnati. Si tratta di un progetto davvero interessante che strizza l’occhio agli anni settanta ma che al tempo stesso non stona ai giorni nostri, complice un ritorno di fiamma del genere. Tra le mie preferite Aliens, Black Queen, la curiosa Desert Painter e Medusa che racchiude tutti gli stilemi del rock moderno e non solo.

Tuttavia non trovo ci siano cali di stile o canzoni deboli, anzi a dire il vero confermo che su quest’omonimo debutto gli Eradius hanno fatto le cose molto bene, andando a incuriosire l’ascoltatore con la loro musica mai statica e ricca di spunti. Non mi resta altro che promuovere a pieni voti questo primo full lenght targato Eradius. Avanti così, sinceri complimenti. In alto il nostro saluto!

Autore: Eradius

Titolo Album: Eradius

Anno: 2018

Casa Discografica: (R)esisto

Genere musicale: Stoner, Alternative Rock

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/EradiusRock

Membri band:

Richard Dylan Ponte – voce – basso

Edoardo Gomiero – batteria

Tracklist:

  1. Alternative

  2. Poison Eyes

  3. Aliens

  4. Black Queen

  5. Timmy C.

  6. Democrazy

  7. Medusa

  8. Feel

  9. Desert Painter

  10. Overthink

  11. Raise ‘N Resist

  12. Digital Puppets

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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05th Mar2018

High Reeper – High Reeper

by Giuseppe Celano

High Reeper - High ReeperFormati nel 2016, debuttano al Philly/DE nella prima fase del 2017, forti di un sound fortemente incastonato nello stoner vicino ai primi Sabbath. Si muovono sicuri su ritmiche potenti, bassi iponotici e chitarre sferraglianti; accelerano per poi rallentare e appesantirsi sferrando coltellate doom. Gli High Reeper sono cinque zucche malate per i Black Sabbath: Pat Daly, Zach Thomas, Andrew Price, Napz Mosley, Shane Trimble sono i fautori di questo plumbeo hard rock laido che scorre lungo tutto questo disco appena stampato dalla Heavy Psych Sounds Records. Il loro esordio è stato prodotto, registrato e missato dal bassista Shane Trimble, al TTR studios a Philadelphia e nel suo studio Delwood Sound a Delaware. Si parte sulle note di Die Slow che omaggia l’hard rock più diretto per poi lasciar spazio al rock’n’roll di Chrome Hammer. Ma è in Soul Taker che i Nostri buttano giù la maschera, o se preferite vengono scoperti, a causa del rifferama che fonde Hand Of Doom e Warning. In Reeper Deadly Reaper il canto è al limite del fuori registro, sforzato e gracchiante per una take lunga e ossessiva quanto basta. Puzzano di lavori in pelle, erba, alcol e morte per un proto metal d’annata, nove tracce sparate in faccia come un diretto di Tyson.

In Black Leather (Chose Us) un algido giro di basso s’insinua fra i contorti accordi del rifferama per una fucilata stoner, bella dilatata, con chitarre dolenti, pentatoniche in assolo e il cantante forte e sicuro. Chiude Friend Of Death scippata da Dehumanizer con il mai troppo compianto Ronnie James Dio, e precisamente presa da I. Sperando in un secondo capitolo, possibilmente orfano dell’ingombrante punto di riferimento mostruosamente creato da Tony Iommi.

Autore: High Reeper

Titolo Album: High Reeper

Anno: 2018

Casa Discografica: Heavy Psych Sounds Records

Genere musicale: Stoner, Doom

Voto: 6,75

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/HIGHREEPER/

Membri band:

Pat Daly

Zach Thomas

Andrew Price

Napz Mosley

Shane Trimble

Tracklist:

  1. Die Slow

  2. Chrome Hammer

  3. Soul Taker

  4. High Reeper

  5. Reeper Deadly Reeper

  6. Weed & Speed

  7. Double Down And Let It Ride

  8. Black Leather (Chose Us)

  9. Friend Of Death

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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20th Feb2018

The Blacktones – The Day We Shut Down The Sun

by Trevor dei Sadist

The Blacktones - The Day We Shut Down The SunPer un attimo mi distraggo ma ci pensano i The Blacktones a farmi tornare concentrato a colpi di riff letali. The Upside Down, opener del nuovo The Day We Shut Down The Sun, è una canzone che da subito mette in luce le ottime intenzioni della band, di fatto credo che sia il miglior modo per esordire su disco, si pigia sull’acceleratore tra riff granitici e un ottimo lavoro da parte della sezione ritmica. Ci troviamo di fronte a una formazione nostrana che, se ce ne fosse bisogno ci dimostra ancora una volta come nel nostro Paese ci siano band di tutto rispetto. Con le seguenti Ghosts, The Emperor e la title The Day We Shut Down The Sun scopriamo i lati più riflessivi dei The Blacktones quelli legati allo stoner, allo sludge, al southern metal, all’amore per i Black Sabbath, specie nella traccia che dà il nome all’album. Sono rimasto spiazzato ma di certo non deluso anzi la band isolana ha messo in mostra un altro lato della loro faccia, facendolo comunque molto bene, dove il singer Aaron Tolu si fa apprezzare per la sua versatilità. Il mio giudizio è buono, mi piace il modo in cui i The Blacktones si approcciano al singolo brano, abbracciando diversi stili musicali sempre all’interno del rock, del metal, sia chiaro: ora i Nostri sono certamente aggressivi come i Pantera, mentre l’attimo seguente introspettivo alla Tool. Non ci sono sbavature grazie a una buona caratura tecnica di cui la band è in possesso.

Dopo il “momento quieto” torna la tempesta con Idiots che esordisce con un ottimo riff di scuola Darrell, ma è ancora tempo di cavalcare lo stoner doom con Broken Dove che di fatto chiude musicalmente il disco prima di lasciare spazio a rumori poco rassicuranti. Buon album per i Blacktones, avanti così. In alto il nostro saluto!

Autore: The Blacktones

Titolo Album: The Day We Shut Down The Sun

Anno: 2017

Casa Discografica: Sliptrick Records

Genere musicale: Stoner, Sludge, Heavy Metal

Voto: 7,5

Tipo: CD

Sito web: https://www.facebook.com/TheBlacktonesBand

Membri band:

Aaron Tolu – voce, theremin

Sergio Boi – chitarra, voce

Paolo Mulas – chitarra

Gianni Farci – basso

Maurizio Mura – batteria

Tracklist:

  1. V – The Pope

  2. The Upside Down

  3. Ghosts

  4. IV – The Emperor

  5. The Day We Shut Down The Sun

  6. Not The End

  7. III – The Empress

  8. Alone Together

  9. I.D.I.O.T.S.

  10. II – The Popess

  11. Nowhere Man

  12. Broken Dove

  13. I – The Magician

  14. 0 – The Fool

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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02nd Dic2017

Meteor Chasma – A Monkey Into Space

by Marcello Zinno

Meteor Chasma - A Monkey Into SpaceDavvero affascinante il concept che è alla base del debut album dei Meteor Chasma: associare lo stoner grezzo e le sfumature psichedeliche ai viaggi nello spazio, un’associazione quantomai semplice ma che trova un connubio fantastico visto che i due temi hanno un’affinità incredibile e un unico comune denominatore: il viaggio verso lande disabitate. Debutto in tutto e per tutto visto che il power trio punta alle radici dello stoner, q uello carico di chitarre grezze, che sembrano grattare in gola, e riff groovy, rotondi, che a tratti (vuoi anche per i suoni sporchi ma voluti) sembrano citare lo sludge (nell’opener ad esempio ci tornano in mente i Down di Nola). Si parlava anche di psichedelia e su questo fronte arriva Ride A Meteor che cita con evidenza le immense lezioni targate Pink Floyd (periodo Wish You Were Here), un brano questo che potrebbe davvero essere la colonna sonora per una sonda che viaggia nel vuoto cosmico; diverso invece il profilo pseudo psichedelico di Atomic Mushrooms, un brano che implode su se stesso e finisce per ripetersi senza aggiungere davvero corposità all’album.

Il brano che crediamo essere il cavallo su cui scommettere circa il futuro dei Meteor Chasma è però Lost Martian sia per la giusta intuizione sonora alla sei corde sia per la saggia altalena tra parti lente con arpeggi che fanno trattenere il respiro (strofa) e ritornelli esplosivi ed accelerati. L’album si chiude, per noi, con l’incandescente Astroviking, altro brano potente che appagherà chi mastica quotidianamente stoner ma anche chi ama più in generale il rock. Una prova che graffia come un felino in pericolo di vita.

Autore: Meteor Chasma

Titolo Album: A Monkey Into Space

Anno: 2017

Casa Discografica: Music For People

Genere musicale: Stoner

Voto: 6,5

Tipo: CD

Sito web: http://meteorchasma.bandcamp.com

Membri band:

Tony Shoesless – voce, chitarra

Carlo Armiento – basso

Sabè – batteria

Tracklist:

  1. Spaceship 2346

  2. Space Time

  3. Neil Gagarin

  4. Ride A Meteor

  5. Lost Martian

  6. Atomic Mushrooms

  7. Jupiter

  8. Astroviking

  9. Life On Exoplanet

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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30th Ott2017

Tracker – Rule Of Three

by Marco Castoldi

Tracker - Rule Of ThreeRule Of Three non è una, ma ben tre palle di magma incandescente che colano nelle orecchie già dal primo ascolto. Undici pezzacci di sana, dura e pura adrenalina, con distorsioni e fuzz spinti al limite, come nella migliore tradizione della Palm Desert di inizio millennio. Tuttavia la nuova fatica dei Tracker non è una mera rivisitazione manieristica in chiave cupamente mitteleuropea della scena californiana di genere. Eh no, Rule Of Three è anche tanta sperimentazione noise, soprattutto in brani come Carlos’ Guilty Pleasure che concede generosamente un prosperoso décolleté di improvvisazioni e virtuosismi misto assoli e synth visionari, come quelle cose buone e acide di una volta alla maniera degli At The Drive In / Mars Volta. Il tripudio di improvvisazioni e di fuzz spinto al limite prosegue in Recalibrate, altro bel pezzone aggressivo e con una ritmica talmente arrogante, ma talmente arrogante e cafona, che ci si sente presi a martellate nello stomaco per tutti i sette minuti della sinfonia di basso distortissimo. Seguono altre due grandi cavalcate, I Work At The Fuzz Factory e Easy Friends, che ammiccano di brutto allo stile a marchio Josh Homme, soprattutto nell’ironia e nei coretti con vocalizzi. Tuttavia, anche qui non siamo di fronte a un esercizio di manierismo stoner, tutti e due i pezzi sono infatti impreziositi qua e là da un po’ di synth.

Insomma, dalla traccia uno alla traccia nove i Tracker regalano sonorità al fulmicotone, che una volta visualizzate in chiaro esplodono in un sound sporco, durissimo e allo stesso tempo controllato tecnicamente e ricercato. Segue una chiusura di album che noi troviamo un possente tripudio di alternatività introspettiva e di cupezza che ci spara con la macchina di Martin McFly in quel frammento di fin de siécle dominato da Tool e dalla loro prosecuzione naturale conosciuta al secolo come A Perfect Circle, solo con qualche piccolo vezzo elettronico qua e là, soprattutto in A Loose Personification Of Time, una celebrazione della psichedelia sabbathiana rivisitata in chiave millennial. Per farla breve, se ti piacciono i Kadavar, Conan il Barbaro e non disdegni esplorare sonorità del giuoco stoner-psichedelico dei meno conosciuti ma egualmente validi Elder, Fuzz e Dopelord, Rule Of Three è una gemma mitteleuropea che non devi lasciarti mancare, il cristallo di boemia con cui fare il figo e il ricercato mostrando agli amici la mensoletta dei dischi alternative.

Autore: Tracker

Titolo Album: Rule Of Three

Anno: 2017

Casa Discografica: Noise Appeal Records

Genere musicale: Alternative Rock, Stoner

Voto: 8

Tipo: CD

Sito web: www.trackerband.at

Membri band:

Martin Fuchs – basso, synth, voce

Max Mühlbacher – chitarra, voce

Daniel Walter – batteria, synth, voce, chitarre

Tracklist:

  1. Elektrosmog

  2. Peccadillo

  3. Hitting A Wall

  4. Berenice 2nd

  5. Carlos’ Guilty Pleasure

  6. Recalibrate

  7. I Work At The Fuzz Factory

  8. Easy Friends

  9. Everything Under Control

  10. Veins Out

  11. A Loose Personification Of Time

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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26th Set2017

Guantanamo Party Program – III

by Trevor dei Sadist

Guantanamo Party Program - IIICittà di provenienza Wroclaw (Polonia), i Guantamano Party Program sono il risultato dell’incontro tra due generi, da una parte è indubbio l’amore per il post-hardcore, dove rabbia, genuinità e istinto primordiale sono messi in primo piano, dall’altra mi sento di chiamare in causa lo stoner/sludge, che arricchisce il progetto di pillole di modernità. Davvero interessante la singolare proposta, ho apprezzato la rabbia con cui i nostri terribili polacchi si districano tra le note di questo III. La produzione è in linea con quello che la band ha da dire, ogni strumento è ben definito, nonostante non viene mai meno la potenza. Darek è il singer dei GPP, la sua voce sputa fuori rabbia, su canoni medio/alti, a tratti in stile punk, mi piace il suo modo di interpretare drammaticamente ogni singolo brano, il più delle volte immergendosi nella profonda tristezza. Si tratta di un buon album, specie per chi adora le atmosfere ricche di pathos, di teatralità, pensando attraverso il dramma di una città violentata dal fumo che si alza al cielo, mentre i giovani giocano a diventare uomini. In alto il nostro saluto!

Autore: Guantanamo Party Program

Titolo Album: III

Anno: 2017

Casa Discografica: Antena Krzyku Records

Genere musicale: Stoner, Sludge, Post-Hardcore

Voto: 7

Tipo: CD

Sito web: https://gppband.wordpress.com

Membri band:

Darek – voce

Wojtek – chitarra

Łukasz – chitarra

Grzesiek – basso

Kuba – batteria

Tracklist:

  1. [5:50]

  2. [4:46]

  3. [5:02]

  4. [4:02]

  5. [5:37]

  6. [4:03]

  7. [5:45]

  8. [5:01]

Category : Recensioni
Tags : Stoner
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