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10th Mar2022

RockGarage: The End

by Marcello Zinno
Oggi è 10 marzo 2022 e RockGarage festeggia i 10 anni e mezzo di ININTERROTTA attività, 126 mesi (o meglio 3.835 giorni) in cui abbiamo pubblicato TUTTI i GIORNI, senza saltare mai una volta, almeno una news e una recensione. Tanta fatica ma anche tante soddisfazioni. In questi 10,5 anni ho conosciuto centinaia di persone legate al mondo della musica, alcune assolutamente eccezionali, davvero in grado di cambiare in meglio questo magico settore (a partire dai nostri redattori, più di 120 persone che si sono susseguite in 10,5 anni, gente la cui passione mi avrebbe spinto a trasformare RockGarage in una rivista cartacea a tiratura nazionale, se fossimo stati in un’altra epoca), ma altre assolutamente pessime e spregevoli. Gente che non solo è abituata a ragionare esclusivamente del suo piccolo orticello, senza avere lo spirito collaborativo giusto a favore della musica, ma che ha preteso anche che RockGarage glielo curasse per ingrandirlo e il tutto anche gratis!

Ma non è per colpa di questa gente che da oggi RockGarage non sarà più aggiornato, anzi queste persone ci hanno fatto credere ancora di più nella nostra missione. RockGarage è nata con l’idea di fare informazione di qualità, perché la scena emergente italiana merita qualcuno che lo faccia bene e in maniera oggettiva, estraneo agli interessi e ad una visione “provinciale” della musica. L’abbiamo fatto sempre (e non siamo gli unici a riconoscerlo, leggi il commento qui), ma oggi il modo di fruizione dell’informazione è totalmente cambiato. Noi offriamo approfondimenti dettagliati, recensioni che danno delle chiavi di lettura complete degli album analizzati, articoli lunghi, ma purtroppo quello che il pubblico vuole sono le informazioni veloci, i titoli clickbait, una presenza sui social distante dal concetto di informazione. Non è un caso che le pagine e i gruppi Facebook che hanno più seguito (anche nella musica) pubblicano per lo più meme, omaggiano l’ennesimo compleanno di Kurt Cobain, o diffondono notizie dai titoli assolutamente sorprendenti salvo poi raccontare altro nell’articolo. Anche perché le persone si fermano al titolo e tanto basta. Spesso sotto la pubblicazione di una notizia sui social parte una discussione lunghissima di commenti, ma la maggior parte degli utenti dimostra di essersi fermata al titolo…l’articolo non è stato nemmeno aperto! Siamo nell’epoca dei social e dello swipe, dell’informazione “mordi e fuggi”, siamo nell’epoca in cui alcuni siti devono scrivere accanto al titolo “1 min.”, cioè il tempo necessario per leggere per intero l’articolo, altrimenti i lettori non lo aprono nemmeno; siamo nell’epoca dei contenuti che devono durare al massimo 24 ore perché poi “scadono” (si chiamano stories). Aggiungo che alcune persone si tengono informate tramite Facebook (preoccupante!), che siamo nell’epoca in cui il Grande Fratello fa più ascolti di un programma di scienza, un’epoca in cui esiste Lercio che fa ridere molti ma tanti altri credono che le sue notizie siano vere! Siamo in un periodo in cui il fact checking è “secondario” e basta scrivere notizie sensazionaliste per avere view; se la tua storia non è molto sorprendente resti nell’anonimato. E la mia non è una voce isolata (leggi qui in riferimento ai “falsi lettori”)

La conseguenza diretta di questa mancanza di desiderio di approfondimento è che manca la curiosità. Se ti fermi solo sulle grandi notizie, sui grandi fenomeni, quelli da migliaia di “like”, perdi anche la curiosità di scoprire i piccoli. Ed è per questo che la scena emergente italiana, seppur fervida di grandi artisti (e non di artisti grandi), non cresce in seguito. Perché il pubblico non è curioso di scoprirla, non la coltiva. Ho visto concerti di tantissime band emergenti validissime con una decina di persone davanti al palco: questo è normale per una band sconosciuta, ma se la stessa band ha 3-4 album alle spalle e 10 anni di attività, è un problema. Certo, può darsi che non sia riuscita a proporsi nel modo giusto, ma io penso che sia più probabile che le persone (tutte) non abbiano voglia di scoprirla quella band. Attenzione che in questo modello i musicisti non sono esenti da responsabilità, loro stessi sono anche dei lettori. Faccio un esempio: nel 2017 abbiamo pubblicato 1.000 recensioni in un anno (un record assoluto!); ogni band è composta in media da 3-4 musicisti, quindi solo con quei musicisti abbiamo avuto 3.000-4.000 letture. Non dico il 100%, ma se il 30% di quei musicisti fosse tornato nei giorni successivi a leggere altre recensioni avremo avuto costantemente 900-1.200 lettori in più e così anche per il 2018, per il 2019 e così via. Ma così non è stato, i musicisti spesso leggono solo le recensioni dei loro album, poi non tornano più su quel sito.

A questo discorso si aggiunge un altro motivo: anche il modo di fruizione della musica è completamente cambiato. Quando creai RockGarage volevo fortemente che dietro una richiesta di recensione ci fosse l’invio di un CD fisico. Prima di RockGarage facevo la stessa richiesta ai siti di musica per cui collaboravano e mi deridevano. “Le recensioni le facciamo tramite file mp3” dicevano, “nessuno più spedisce CD”. Nel primo anno di attività, RockGarage ricevette 592 CD in redazione, ciò vuol dire più di 1 CD al giorno! Ho sempre creduto nel fisico e ancora oggi ne riceviamo tanti. Però il fisico sta morendo, la musica è divenuta fluida, le piattaforme di streaming hanno cannibalizzato i negozi di dischi. Questo ha una conseguenza per noi: se un tempo, prima di spendere 10-15€ per comprare un CD eri portato a leggere le recensioni sul web per capire se l’investimento valeva la resa, oggi le persone ascoltano quell’album gratis in rete e saltano il passaggio delle recensioni. Poi, molto spesso, anche quando il CD è di loro gradimento, non lo comprano nemmeno, perché in fondo ce l’hanno lì gratis. Ma questo è un altro discorso.

Non vorrei essere frainteso. Io non ho mai pensato nemmeno per un attimo che stessimo facendo il “mestiere” sbagliato, penso ancora che leggere una recensione sia importante come orientamento all’ascolto di un album. Ho sempre creduto che la qualità dell’informazione unita al costante aggiornamento fossero i segreti per un magazine di successo. E lo penso ancora perché per me la parola “successo” non è relativa alle 100.000 visualizzazioni al giorno, ma all’adempiere in modo corretto al ruolo di magazine musicale che RockGarage ha avuto fin dall’inizio (come?! È spiegato molto bene in questo podcast). Se poi il mercato non va in quella direzione amen, RockGarage di certo non si convertirà in un sito di gossip musicale, di gattini con la chitarra in mano o di ricette di cucina (non sto esagerando, su un sito di heavy metal ho letto degli articoli di ricette di cucina abbinate a musicisti!). Allo stesso tempo non voglio dire che “è colpa” solo del pubblico, sicuramente qualche responsabilità ce l’abbiamo anche noi, anzi me le prendo tutte io. Credo comunque che sia iniziata un’altra epoca dell’informazione e che questa non sia l’epoca giusta in cui poter far crescere RockGarage.

Ringrazio quindi tutti quelli che ci hanno supportato, dalle piccole etichette alle agenzie di promozione, dai redattori ai musicisti, da chi si occupa di live a tutti quelli che sono entrati in contatto con noi e vorrei dedicare questi 10 anni e mezzo di attività a chi ci crede ancora e a chi si sbatte affinché qualcosa cambi davvero. Noi ci abbiamo provato, spero che la nostra traccia sia rimasta, in qualche modo, nell’informazione musicale italiana.

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10th Mar2022

I 10 motivi di differenziazione di RockGarage

by Marcello Zinno
Esistono 10 fattori che noi di RockGarage abbiamo inventato o per le quali ci siamo caratterizzati e che spiegano perché siamo diversi dagli altri siti di informazione.

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08th Mar2022

The First 21: come sono diventato Nikki Sixx

by Massimo Canorro
Non è così scontato che, nella sua vita, una rockstar scriva più di un’autobiografia. Si badi bene, non una biografia ma un volume nel quale, in prima persona – anche con il supporto di uno scrittore e/o giornalista – racconti la propria (turbolenta) esistenza. Su è giù dal palco, con annessi e connessi. Prendiamo, ad esempio, i Mötley Crüe. Sulla band, nata ufficialmente il 17 gennaio del 1981, sono stati versati fiumi di inchiostro e realizzati – anche insieme ad altri gruppi – splendidi volumi fotografici (tra i casi più recenti c’è il volumone The Decade That Rocked a cura del fotografo Mark “Weissguy” Weiss, di cui poi parleremo). Ciò nonostante, i membri della band losangelina si sono limitati, perlomeno fin’ora, a pubblicare un libro in prima persona (in questo senso è già da escludere la biografia collettiva di Neil Strauss, The Dirt, summa delle confessioni della band più oltraggiosa del rock, dalla quale è stato tratto l’omonimo biopic per Netflix diretto da Jeff Tremaine).

Un’autobiografia a testa, dicevamo. È il caso di Vince Neil (Tattoos & Tequila, scritta a quattro mani con Mike Sager) e di Tommy Lee (Tommyland, realizzata con Anthony Bozza, che non è stata ancora tradotta in Italia). Mick Mars? Non pervenuto, in questo senso. E Nikki Sixx? Ecco, per lui (che oggi dei suoi compagni di viaggio dice: “Ho trascorso quasi 40 anni con questi tre ragazzi. Sappiamo tutto l’uno dell’altro e tra di noi c’è un legame indissolubile. Anche se litighiamo, questo legame non si potrà mai spezzare”) va fatto un discorso a parte, poiché aveva già spopolato con l’autobiografia The Heroin Diaries – volume manifesto del recovery americano e simbolo dello stile di vita “sex, drugs and rock’n’roll”, scritto in collaborazione con Ian Gittins – oggi ripubblicato da Il Castello Editore (nel 2020 il libro è stato edito da Chinaski). Un viaggio allucinante, questo testo, al limite della sopportazione umana, dedicato “agli alcolizzati e ai tossici che hanno avuto il coraggio di affrontare i propri demoni dimostrando che ci sono luce e speranza alla fine del tunnel”.

Ma non è tutto, poiché il bassista, compositore, scrittore, conduttore radiofonico – nonché, appunto, convinto sostenitore del recupero dalla dipendenza – è anche un fotografo di grido. Una passione, quella per la fotografia, iniziata ai tempi della scuola, e da cui nel 2013 è nato il volume This Is Gonna Hurt. Seguito, quattro anni dopo, dalla corrispettiva personale Conversations With Angels presso La Leica Gallery di Los Angeles. Una foto per immortalare l’infanzia e l’adolescenza? Oggi c’è anche questa. E ha un nome: The First 21: come sono diventato Nikki Sixx. Approdato dalle nostre parti all’interno della collana Chinaski del Castello Editore (tutto torna), che narra le vite e le carriere dei più noti musicisti internazionali, il volume vede il fondatore e anello di congiunzione dei Crüe chiudere un ideale cerchio aperto con The Dirt e proseguito con i Diari dell’eroina. Nel caso di The First 21 – che è anche un singolo, con rispettivo video, contenuto nel doppio album Hits dei Sixx:A.M., occorre parlare – perché tale è – di una biografia non banale, circostanziata e seducente (al pari del suo autore). Un libro di dieci capitoli per 304 pagine – entrato nell’elenco dei best seller del New York Times nella sua prima settimana d’uscita – nel quale Nikki scava, con dolore, tanto nella sua complicata infanzia quanto nella sua tormentata adolescenza. Raccontando l’ardua corsa verso la notorietà e la libertà. “Questo libro è dedicato alla mia famiglia, in modo che possiate meglio comprendere il mio cuore, la mia dedizione, la mia fame di vita e l’amore che provo per voi”.

Oggi Franklin Carlton Serafino Feranna Jr. (“mio padre mi ha chiamato come lui, poco prima di andarsene”, afferma l’attore che lo interpreta nel biopic The Dirt), nato l’11 dicembre 1958 a San Jose, in California, è un uomo completamento nuovo, e la dedica di cui sopra lo dimostra. Non è più l’artista maledetto che ha firmato Primal Scream, brano degli anni Novanta nel quale Vincent Neil canta “If you wanna live life on your own terms, you gotta be willing to crash and burn”. Adesso la frase “se vuoi vivere la vita alle tue condizioni, devi essere disposto a schiantarti e bruciare” non ha più motivo d’essere per l’autore di The First 21 – autobiografia ricca di foto a colori e in bianco e nero, ed è tutt’altro che banale – oggi residente a Westlake Village, lungo il confine tra le contee di Los Angeles e Ventura, con la terza moglie Courtney Bingham, che di recente l’ha reso padre per la quinta volta.

Ciò nonostante, le ferite dell’infanzia sono difficile da rimarginare del tutto. E questo volume è stato catartico per la rockstar, che ha dichiarato alla stampa: “Quando ho avuto il primo figlio covavo ancora del risentimento. Poi mi sono accorto che rimanevo nelle relazioni più a lungo di quanto volessi perché non volevo diventare come mio padre e mia madre. Credevo che restare in una relazione malata fosse meglio per i bambini, perché una separazione li avrebbe fatti sentire abbandonati. Mi sbagliavo. Vorrei aver avuto qualche anno in più sulle spalle prima di prendere certe decisioni, perché avrei scelto sulla base dell’uomo che sono adesso”.

Già, Nikki Sixx – che fuori dai Crüe ha registrato con i 58, Brides of Destruction e Sixx:A.M., e insieme ai membri di quest’ultima band, James Michael e Dj Ashba, ha pubblicato un singolo con lo stesso nome, The First 21, in coincidenza del lancio del libro – viene abbandonato piccolissimo dal papà (Franklin Carlton Serafino Feranna Sr.) e in parte cresciuto dalla mamma (Deana Richards), corista che ha collaborato con Mitzi Gaynor, Nelson Riddle, Count Basie e Frank Sinatra. Così il Nostro si ritrova a vivere con i nonni, sballottato per metà degli States e obbligato a fare la spola tra una fattoria e l’altra. Ma nel cuore tipico del tipico adolescente americano (era un “all american kid”), che si destreggia tra pescare, rincorrere le ragazze e giocare a football – tornando alla famiglia, aspetto curioso è che i suoi nonni paterni, Serafino e Frances, nacquero e si sposarono a Calascibetta, in provincia di Enna, per poi emigrare come tanti nostri connazionali – cresce in lui, sempre più forte, il desiderio di avere qualcosa di più dalla vita.

E non può di certo bastargli vivere a stretto contatto con la natura (“pensavo che i maiali fossero miei amici. Anche i conigli lo erano, almeno finché non scoprii che uno dei miei compiti era quello di ammazzarli”, scrive nel libro). Così il giovane Frank, l’uomo che avrebbe vissuto due volte – nel dicembre del 1987, infatti, viene dichiarato morto per due minuti a seguito di un’overdose di eroina – decide di salire un bus della Greyhound, destinazione Hollywood. Approdato nella “città degli angeli” (“un giorno confesserai, e pregherai i santi di Los Angeles”, è il passaggio di uno dei brani simbolo dei Crüe, nominato per il Grammy Award alla miglior interpretazione hard rock), si trasferisce per un breve periodo a casa dello zio, allora presidente della Capitol Records. E mentre le giornate trascorrono all’insegna di lavori bevi e tutt’altro che appaganti – nonché di piccole truffe necessarie alla sopravvivenza – quella che sarebbe diventata una delle icone del rock’n’roll si rende conto che qualcosa, necessariamente, deve ancora cambiare. Del tutto in meglio.

Così, prova dopo prova (“spendevo tutti i soldi per acquistare amplificatori e strumentazione varia”, scrive ancora), Frank affina le sue capacità di musicista e si unisce ai Sister, la band di Blackie Lawless, nome d’arte di Steven Edward Duren, altro celeberrimo veterano della scena. Nel 1978, insieme al chitarrista del Lizzy Grey, fonda la band London “perché era sempre da Londra che venivano le band migliori” – gruppo in grado di conciliare le sonorità metal con elementi visivi e stilistici legati al glitter rock inglese –, arrivando a rifiutare persino la proposta di unirsi alla band del leggendario chitarrista di Ozzy Osbourne, Randy Rhoads, che il 19 marzo 1985 sarebbe morto in un incredibile incidente aereo. Inizia quindi a farsi chiamare Nikki London per poi passare a Nikki Nine e, infine, a Nikki Sixx. Un giovane uomo che custodisce e coltiva, giorno dopo giorno, un sogno enorme: creare una band capace di conciliare punk, glam e hard rock per dare vita allo spettacolo più incredibile ed eccessivo al quale si sia mai assistito. Ci riuscirà? Per una volta lo spoiler è accettabile, considerando chi è oggi Franklin Carlton Serafino Feranna. Jr. Un artista che con il duro lavoro, molta passione, parecchia sfacciataggine e (perché no) una buona dose di fortuna, suona ancora sui palchi di tutto il mondo insieme ad una delle band che hanno fatto la storia (e continua a farla) dell’hard rock.

Ed ecco che “I primi 21 anni” di Nikki Sixx, raccolti in questa autobiografia profonda e avvincente – quasi come un romanzo di formazione, per come è stata concepita e sviluppata – fa conoscere al lettore un’importante pezzo di vita dell’autore, che ripercorre con sincerità e stile (la lettura scorre che è una bellezza) l’arduo cammino verso la conquista del suo sogno. Desiderio condiviso anche dai suoi compagni di avventura: Vince, Tommy e Mick. E a questo proposito, gli stessi Mötley Crüe sono tra i protagonisti di un corposo volume fotografico particolarmente atteso in Italia, e pubblicato ancora da Il Castello Editore. Si tratta di The Decade That Rocked (376 pagine, 49 euro), che contiene gli scatti più iconici e le interviste più esclusive ai protagonisti, gloriosi ed energici, della scena rock degli anni Ottanta. Al centro dell’opera c’è il monumentale apparato fotografico che giunge dalla sterminati catalogo di Mark Weiss, tra i fotografi del genere più importanti di sempre. Così le immagini (tra palco e backstage) dell’incredibile decennio che ha “rockeggiato” in lungo e in largo sono accompagnate dalle interviste – nonché dai racconti – di Richard Bienstock, musicista e giornalista che ha più di un pelo sullo stomaco, avendo collaborato con le più conosciute testate musicali rock e hard rock.

Il risultato finale è un “tomo” – considerata la mole importante del libro, che già da solo fa bella figura sugli scaffali della libreria di casa –, con prefazione di Rob Halford (Judas Priest), in grado di far vivere (o rivivere, nel caso di chi allora era già adolescente) i suoni e le immagini che hanno mutato, in modo radicale, l’affascinante universo dell’hard rock e del metal. Scatti mai visti – è incredibile la carrellata di immagini inedite di concerti, tour e copertine di album entrati nella leggenda – e storie e aneddoti mai letti di nomi del calibro di Aerosmith, Van Halen, Metallica, Ozzy Osbourne, Guns N’ Roses, Kiss, Twisted Sisters, Bon Jovi e – ovviamente – Mötley Crüe. Ed è proprio una dichiarazione di Nikki Sixx, riportata nel volume, a fornire un’istantanea di quegli anni cosi turbolenti e spassosi per i protagonisti del genere musicale più sfrenato di sempre: “Era un tempo in cui la gente si divertiva e festeggiava. È stato esagerato”. Lunga vita al rock’n’roll. Lunga vita ai Crüe.

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21st Feb2022

PFM: gli esordi e il periodo di Per Un Amico

by Raffaele Astore
Ripercorriamo i primissimi anni di una delle progressive rock band più importanti del nostro Paese e non solo. Ci focalizziamo inoltre sul secondo studio album dal titolo Per Un Amico.

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16th Feb2022

Andati, ma non dimenticati: in cielo si ascolta buona musica

by Francesco Lapiglia
Se c’è una scommessa che potete vincere senza problemi, e non stiamo parlando deibonus senza deposito di 2022, è che fare una lista dei grandi “caduti” del rock senza cadere nei cliché è impossibile. Soprattutto se si mira a non far arrabbiare nessuno, ma, beh, noi ci abbiamo provato quindi cominciamo subito.

Gary Moore

Tra i migliori chitarristi irlandesi, assieme a Rory Gallagher, Gary Moore può aver vantato una chitarra che ha saputo destreggiarsi abilmente dai territori hard rock ed heavy metal, basterebbe citare la sua amicizia e collaborazione con Phil Lynott dei Thin Lizzy, per poi approdare al blues. Un amore per un genere che, nonostante le proteste dei fan della prima ora, ha dato al suo nome la più che meritata notorietà anche al di fuori dei confini europei. Chiedetelo a Still Got the Blues!

Jeff Porcaro

Tutti noi conosciamo iToto, storica band statunitense che ha dimostrato come un gruppo di turnisti è in grado di sconvolgere le classifiche di tutto il globo terracqueo, un gruppo che ha cambiato stile e componenti lungo una carriera lunga più di 40 anni. Canzoni iconiche, alcune ridotte a meme come nel caso di Africa, ma che hanno comunque dimostrato tutta la preparazione tecnica dei loro musicisti. Tra i fratelli Porcaro Jeff è di sicuro quello che più viene alla mente quando si parla dei Toto. Un batterista incredibile, chiamato anche Mr. Shuffle, che ha prestato le sue bacchette anche ad artisti come Michael Jackson, Eric Clapton, Earth Wind & Fire, Bee Gees e così via.

Chris Squire

Più che un bassista potremmo definire Chris Squire come uno dei punti fissi di un progetto piuttosto “instabile” dal punto di vista della line up, e stranamente non stiamo parlando dei Megadeth di un iroso Dave Mustaine, dei britannici Yes. Dei capisaldi assoluti di tutto il progressive rock made in UK, assieme a nomi iconici come Genesis, King Crimson, Jethro Tull, Gentle Giant e così via, il bassista è stato l’unico membro a partecipare a tutti i dischi ed i concerti trovando anche del tempo per un po’ di discografia solista e collaborazioni varie. Un nome per cominciare? L’ex chitarrista dei Genesis, Steve Hackett, sa già come rispondervi.

Francesco Di Giacomo

Rimaniamo in territori progressivi, ma questa volta italiani, probabilmente la nostra scena è riuscita ad eguagliare se non a superare quella britannica in più di una occasione visto il successo di Orme, PFM, Goblin e così via, con una delle voci più iconiche di sempre. Ovvero quella del mitico Francesco Di Giacomo che, con il Banco del Mutuo Soccorso, ha portato il prog italiano verso territori inesplorati, poetici ed onirici in una maniera davvero unica. Recuperate ogni cosa!

Jeff LaBar

Che cos’è la sfortuna? Un gruppo come i Cinderella lo sa benissimo ed infatti rimangono tra le band hair metal, ma la contaminazione blues era davvero forte, ingiustamente più sottovalutate di sempre. Vuoi per il mercato discografico, vuoi per l’ascesa di altri gruppi, fatto sta che senza la chitarra di LaBar non avremmo potuto ascoltare dei capolavori come Night Songs, Long Cold Winter edHeartbreak Station!

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15th Feb2022

Pac–Man (Fever): quando un videogioco diventa un disco

by Francesco Lapiglia
Facciamo assieme un piccolo salto indietro nel tempo di esattamente 40 anni. Che situazione ci si trova davanti agli occhi? Siamo dunque nel 1982, l’Italia ha appena vinto il suo Mondiale di calcio più bello e storico di tutti i tempi, Ronald Reagan ha dimostrato come un attore di Hollywood può diventare Presidente degli Stati Uniti d’America, Blade Runner sbanca ai botteghini e per le sale giochi di tutto il mondo non si fa che parlare di come giocare alle slot machine gratis e di un curioso videogioco in particolare. Pac-Man, uscito nel 1980, è infatti diventato un vero e proprio registratore di cassa, oltre che un’icona immortale del videogioco come lo conosciamo al giorno d’oggi, per la gioia del suo creatore Tōru Iwatani e delle migliaia di appassionati sparsi in giro per tutto il mondo. Praticamente è stato il cabinato più diffuso di sempre, tanto che lo si può vedere ancora oggi sebbene in misura decisamente minore, dove gli amanti delle avventure in 8 bit hanno inserito più monetine di tutti gli altri. Insomma, è semplicemente un successone senza eguali!

Ma la musica sta per cambiare, e gli Iron Maiden con il loro iconico The Number of the Beast lo sanno più che bene ed i sintetizzatori stanno prendendo sempre di più il posto delle chitarre elettriche distorte. Un discorso musicale che è stato percepito da un duo statunitense, tali Buckner & Garcia, che, nel 1982, decisero di omaggiare la pallina gialla creata da Iwatani un paio di anni prima con Pac-Man Fever. Rivediamo dunque brevemente di che cosa si tratta oggi a ben 40 anni dall’anno di esordio. Il duo, dubitiamo seriamente della parentela conJohn Garcia oppure il compianto Jerry dei Greatful Dead, propone dunque un album composto da sole otto tracce. La prima, che poi è anche quella che conferisce al disco il suo nome, è riuscita ad entrare nelle classifiche presentandosi al pubblico come un mix di blues, synth pop, una spruzzata di rock classico ed i suoni provenienti dal videogioco di riferimento.

Stessa cosa, ma decisamente con un minore successo ed un esiguo impatto musicale, si è poi verificata per le rimanenti sette tracce del disco. Tutte queste, infatti, prendevano ispirazioni dai maggiori titoli da sala giochi del momento, ma tale entusiasmo non è certo bastato agli ascoltatori americani e mondiali per gridare al miracolo. Per completezza d’informazione, comunque, vi riportiamo qui sotto la tracklist ed i titoli di ispirazione.

  • Pac-Man Fever (Pac-Man)
  • Froggy’s Lament (Frogger)
  • Ode to a Centipede (Centipede)
  • Do the Donkey Kong (Donkey Kong)
  • Hyperspace (Asteroids)
  • The Defender (Defender)
  • Mouse Trap (Mouse Trap)
  • Goin’ Berzerk (Berzerk)

Il gruppo, poi “menomato” di alcuni membri, realizzò un altro album, poi risuonato, prima di dedicarsi alla partecipazione della colonna sonora del film d’animazione Ralph Spaccatutto. Ad ogni modo, nel loro secondo album, non hanno mai lasciato perdere la carta della cultura pop con pezzi del calibro di E.T., I Love You e Mr. T. Una simpatica citazione, una risata e poi via, nel dimenticatoio. Insert Coin!

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08th Feb2022

Rock Poster 1940-2010 – Il Manifesto Diventa Arte

by EriKa SKorza
Quanti di noi si sono ritrovati ad appendere alla parete quel poster che annuncia lo show della propria band preferita? Ebbene, dietro a quei manifesti non c’è solamente un lavoro studiato nel dettaglio dai grafici che lo hanno creato, ma anche un profondo legame con cause ed avvenimenti storici che sono stati portati sul palco negli anni dai nostri artisti. A raccontarne la viscerale relazione che ha reso certe locandine non solo indimenticabili, ma vere e proprie opere d’arte, c’è lei, Martina Esposito, che con il suo libro Rock Poster 1940-2010, Il Manifesto Diventa Arte, ci accompagna in un lungo viaggio alla scoperta di quei professionisti che, attraverso le loro creazioni grafiche, hanno contribuito ad immortalare gli artisti e gli avvenimenti più importanti della storia della musica rock. La Esposito ci racconta quindi l’evoluzione del processo creativo che procede di pari passo all’evoluzione dei generi musicali. L’interesse che la scrittrice ha per la grafica musicale è palpabile e ne esercita un’accurata analisi grazie anche alla sua esperienza nel campo.

Il viaggio storico-musicale che ci avvolge durante la lettura, ci rivela come una piccola ditta a gestione familiare abbia dato il via, seppure inizialmente senza alcuno sprazzo artistico, alla produzione di manifesti che pubblicizzassero anche eventi musicali (prima degli anni 40 la pubblicità di eventi era rivolta esclusivamente a fiere ed incontri di pugilato). Tratti semplici ma efficaci, contrapposti a colori d’impatto, hanno caratterizzato le raffigurazioni dei primi artisti country, blues e R&B. Alla sperimentazione musicale, affiancata ed influenzata dalle ideologie e dalle lotte popolari sviluppatesi negli anni 60, seguono manifesti più lavorati che ricercano anche lo stato emozionale. Ecco così che la scrittrice ci racconta della poster art, veri e propri manifesti artistici in cui la ricerca della forma e del colore diventa fondamentale per enfatizzare il sentimento dell’amore libero.

Dalla psichedelia all’art decò anni 70, si ritorna all’essenzialità ed immediatezza del flyer punk, per poi procedere con quei manifesti che hanno immortalato la fusione fra le diverse culture. Ecco così che la Esposito ci parla del graffitismo e della cultura underground senza mai farci mancare il riferimento visivo. La scelta della raffigurazione negli anni a venire darà poi priorità alla fotografia, dove i nostri artisti preferiti verranno immortalati nelle loro pose più emblematiche. La scrittrice arriva fino ad oggi attraversando i manifesti più celebri e caratterizzanti i periodi del British pop, trip pop, degli artisti d’avanguardia e della musica sperimentale. Quello che ci ritroviamo fra le mani è un documento ben fatto, che ci aiuta a capire nel profondo le svariate evoluzioni musicali che hanno plasmato il rock ed i suoi sottogeneri. È un testo che ci mostra come i manifesti abbiano aiutato l’espandersi del successo dei musicisti, realizzando una vera e propria contaminazione fra arte e musica.

A rafforzarne il contenuto, troviamo in appendice il saggio breve dal titolo Quando La Musica Rimbalza Sul Muro, opera dell’artista Matteo Guarnaccia.

Category : Articoli
Tags : Libri
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04th Feb2022

Jethro Tull: i 50 anni di Thick As A Brick

by Raffaele Astore
Nell’attesa del nuovo album degli inglesi Jethro Tull rispolveriamo Thick As A Brick che il mese prossimo spegnerà le 50 candeline ma ha ancora molto da dire.

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Tags : Podcast
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02nd Feb2022

La vendetta delle punk

by Massimo Canorro
“Sono stato punk prima di te” canta Enrico Ruggeri. Anticipando Vivien Goldman? Già, perché qui stiamo parlando di una vera e propria istituzione nel genere. Veterana del punk, ma anche della new wave e del reggae, Goldman – classe 1952 – va considerata un punto di riferimento del giornalismo musicale, tanto da essere soprannominata la “professoressa del punk”. E proprio l’autrice di origini londinesi ha firmato, con la solita competenza, un volume assai interessante, realmente investigativo, all’interno del quale mescola interviste e narrazione storica alle proprie esperienze personali (e ne ha da raccontare). All’interno di La vendetta delle punk (Vololibero, 280 pagine, 22 euro) l’autrice analizza quattro temi basilari – identità femminile, denaro, amore/non amore, protesta – per ciascuna delle quali offre ai suoi lettori una ricca playlist (per leggere e ascoltare insieme: mica male). Un poker di argomenti tanto differenti quanto collegati mediante cui Goldman, professoressa associata presso la New York University dove insegna musica (“è sempre stata la mia compagna di ballo”) di genere punk, afrobeat e reggae, sviscera i motivi per i quali il punk costituisce per le donne di ieri e di oggi una forma artistica così liberatoria.

Da qui il sottotitolo del saggio: “Una storia della musica femminista da Poly Styrene alle Pussy Riot”. La prima, all’anagrafe Mary Joan Elliott Said, è stata la cantante e leader gruppo punk rock inglese X-Ray Spex. Le seconde, invece, sono un collettivo punk rock russo, femminista e politicamente impegnato che opera sotto anonimato (in realtà la misteriosa ensemble ha fatto parlare di sé più per questo aspetto che per la musica). Ben tradotto da Fabio Zucchella, “La vendetta delle punk” dimostra quanto l’approccio di Goldman sul giornalismo musicale sia completo, potendo contare anche su un’importante esperienza di addetta ai lavori e avendo contribuito – in maniera diretta – alla nascita del post-punk. Padroneggiare la materia: sai farlo bene. E nell’introduzione del volume, Paola De Angelis – autrice e conduttrice radiofonica – scrive correttamente: “Sono tante le eroine, o come le chiama Goldman, le sheroes che compongono la ciurma ribelle e irriducibile, variegata e indomita, multietnica e geograficamente decentrata del libro, organizzato in quattro sezioni corrispondenti ad altrettanti temi in cui l’autrice ha raggruppato le questioni e le preoccupazioni espresse dalle donne nella musica punk e dintorni”.

Si legge (assai) bene questo saggio, nel quale l’autrice presenta musiciste grintose e originali ma, soprattutto, coraggiose. Artiste provenienti da luoghi lontani, tanto eclettiche quanto rivoluzionarie. Donne punk per le quali “vendetta significava ottenere il medesimo accesso dei coetanei maschi al creare la propria musica, suonare e farsi ascoltare”, incalza Goldman. Punk al femminile: le donne che hanno segnato, in modo indelebile, il genere (altro che “fateci vedere le tette!”). Non semplici figure comprimarie, dunque, ma protagoniste senza se e senza ma. Perché non ci sono stati (né ci sono) solo i “colleghi” maschi: Sex Pistols e Clash su tutti. Meno che mai si può sempre e solo parlare – che Dio la benedica sempre, per carità – di Patti Smith, cantautrice statunitense che oltre che a essere un’icona rock, è anche la madrina di larga parte del punk al femminile (la stessa “sacerdotessa” è presente ovviamente nel racconto, insieme a Grace Jones, Kathleen Hanna e ad altre decine di energiche artiste. Un “semplice” elenco di nomi? Tutt’altro, qui la “ciccia” è tanta).

È una lunga cavalcata – meglio ancora, un intenso tour musicale senza abbandonare il divano – quello che curiosi e appassionati possono vivere sfogliando le pagine di questo libro. Le cui pagine, salpando dalle origini del vecchio continente del punk, approdano ad una dimensione ancora più ampia (dalla Colombia all’Indonesia, così per dire). Scrive l’autrice (che ha lavorato a stretto gomito con personaggi del calibro di Bob Marley e di Fela Kuti, di cui è stata la fidata cronista): “Il viaggio che mi ha condotta a scrivere questo libro inizia in realtà nel 1975, quando cominciai a collaborare con Sounds, un settimanale assai combattivo che si occupava del punk rock più marginale e che pubblicava articoli sulle donne nel rock”. Insomma: il punk è anche donna? Certo che sì. E come si fa a non crederle, quando Goldman scrive: “Ogni volta che noi donne ci stringiamo – metaforicamente – intorno al fuoco, con l’accompagnamento vocale degli uomini che ci amano – sprigioniamo una forza che ci permette di ballare, cantare e condividere le nostre storie e le nostre canzoni”.

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28th Gen2022

Musica in streaming: le migliori piattaforme online oltre a Spotify

by Francesco Lapiglia
Le piattaforme di streaming musicale sono sempre più popolari in tutto il mondo: Spotify, una delle più conosciute e al primo posto per numero di utenti chiudendo il secondo trimestre del 2021 con oltre 500 milioni di iscritti e non accenna a diminuire la sua “scalata” al successo. La tecnologia dello streaming è stata adottata da numerosi servizi, non solo quelli di streaming musicale, e fa parte del quotidiano di milioni di persone: ecco la portata del suo impatto e le principali piattaforme che la utilizzano. Lo streaming sta davvero rivoluzionando il mondo dell’intrattenimento? Come accennato, alla base del funzionamento di Spotify c’è la tecnologia dello streaming, in particolare quello on demand. Ciò significa che chiunque sia iscritto alla piattaforma, sia nella versione gratuita che in quella a pagamento, può ascoltare brani musicali e podcast a proprio piacimento, grazie alla trasmissione di dati in tempo reale ai propri dispositivi connessi a internet. Le piattaforme come Spotify non sono comunque le sole a sfruttare lo streaming: si tratta di una tecnologia particolarmente apprezzata anche da altri settori dell’intrattenimento, dalle piattaforme di riproduzione video ai casinò digitali. Le prime, come Netflix, Prime Video e NowTV utilizzano lo streaming on demand mettendo a disposizione degli utenti iscritti migliaia di titoli tra film, serie TV, documentari e programmi televisivi che è possibile scegliere e riprodurre in pochi secondi sui propri dispositivi connessi. Allo stesso modo, i casinò online come Casinò NetBet permettono ai propri utenti di cimentarsi in tutti i giochi più popolari come la roulette, il blackjack, il baccarat ma è ora possibile farlo anche dal vivo, utilizzando lo streaming, e giocare in diretta nella sezione del casinò live con l’ausilio di croupier esperti.

Ascoltare musica, guardare video e persino giocare alla roulette non richiede più il possesso delle copie specifiche di ogni prodotto o gioco: la vera rivoluzione dello streaming è proprio la possibilità di scaricare i dati dei file desiderati in tempo reale, potendone usufruire in maniera pressoché istantanea. Ma ci sono delle alternative in quanto a piattaforme di streaming musicale? Una volta appurato l’impatto positivo dello streaming per l’intrattenimento e in particolare per il settore della musica, ecco perciò quali sono i tipi di piattaforme musicali più conosciuti, dai colossi come Spotify e Apple Music ai servizi dedicati alla musica alternativa come SoundCloud. Quando si parla di streaming musicale è infatti opportuno distinguere due tipologie principali di piattaforme: il primo è quello dei servizi dedicati alla musica commerciale come appunto Spotify, Apple Music, Amazon Music, Deezer, Tidal e tutti gli altri abbonamenti che permettono di ascoltare i brani musicali più famosi direttamente tramite i propri dispositivi come smartphone, tablet e computer. Il secondo riguarda invece la musica alternativa e indipendente, non per forza legata a contratti con case discografiche di rilievo come la Sony o la Virgin: a questo tipo di piattaforme appartengono nomi come SoundCloud, Bandcamp, Audiomack, YungCloud e ReverbNation, spesso scelte dagli artisti emergenti proprio per riuscire a far conoscere a un pubblico più ampio la propria musica.

Che si tratti di servizi da milioni di utenti o di piattaforme dedicate alla musica indipendente, perciò, è impossibile non notare come lo streaming abbia cambiato il modo di vivere e ascoltare la musica da parte degli utenti e come continuerà a farlo in maniera sempre più innovativa.

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