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28th Feb2021

Whitesnake – Forevermore

by Giancarlo Amitrano
Dopo essere tornati, dopo circa un decennio, con la pubblicazione di Good To Be Bad di cui abbiamo parlato a questa pagina, Coverdale e i suoi proconsoli lasciano trascorrere circa altri tre anni per rientrare in pista con un nuovo lenght. Distribuito coraggiosamente dalla nostrana etichetta Frontiers, nonché prodotto dai medesimi Coverdale e Aldrich, il disco risente a pieno titolo delle atmosfere nuovamente eccessive degli anni 2000, in cui il glam e il troppo sono di nuovo sulla breccia; di conseguenza, anche l’album risente di questa atmosfera, sfrontata e fracassona in ogni sfaccettatura, come evidenzia l’iniziale Steal Your Heart Away, che vede Coverdale arrochire ulteriormente il già “negroide” vocione, mentre i fidi chitarristi sciorinano a piene mani le note necessarie per enunciare la insinuante linea sonora della traccia, impreziosita già dalle acrobazie del fido Aldrich. Tempi molto mid per All Out Of Luck, dove la venatura blues compare per non fare solo capolino, mentre Coverdale rallenta a dovere le note per far meglio risaltare il ritornello molto intrigante, che le “svergognate” tastiere di Drury contribuiscono a far apprezzare, mentre i cori rafforzano la sanguigna voce dell’ex Purple. Love Will Set You Free è il singolo dell’album: testo banale ma ad arte per confermare all’uditorio che la sua fedeltà sarà sempre ben ripagata, mentre la sezione ritmica procede spedita verso mete a volte molto ottantiane e quindi molto intense, pur se inserite in un decennio ben diverso. La scusa per tornare alle decadi precedenti la fornisce graziosamente il duo Aldrich/Beach con una “svisatona” egualmente ripartita tra i due che non si rubano la scena, meritandola entrambi con la loro ascia.

Easier Said Than Done ci propone la ballad di turno: pur se spesso argomento di discussione e divisione tra i fan di band simili, con la gran parte in genere pronta a storcere il naso ad un loro ascolto, nel caso di specie la traccia scorre bene, senza eccessive mielosità di sorta, con un Coverdale molto attento a non apparire eccessivamente suadente o morbido, inserendo spesso cori che riempiono la traccia al punto giusto, tanto per far gradire un altro buon assolo a sei corde che rialza l’atmosfera altrimenti leggermente sonnacchiosa. Con Tell Me How i ritmi tornano fortunatamente a salire, con le chitarre che dettano bene i tempi allo stentoreo singer, che non si sforza soverchiamente a cantare note in alcuni passaggi molto alte: ma l’età non più verdissima non funge da parafulmine al Nostro, che padroneggia ancora da par suo il microfono per guidare colleghi più giovani nella loro esuberanza in un brano comunque accattivante e dalla melodia aggressiva. I Need You ammicca anch’esso al facile ascolto: le tastiere sono qui presentissime, da puro airplay radiofonico, pur con tempi non del tutto dimezzati; i coretti che si ascoltano consentono al vecchio bucaniere di guadagnare anche stavolta la pagnotta tra urletti accennati tanto per guadagnarsi un quasi obbligato passaggio radiofonico che tanto gradisce anche i falsettoni del caso.

One Of These Days è un bel brano acustico da ascoltare comodamente lungo una autostrada a stelle e strisce tanto cara al Nostro, che in questa occasione continua a strizzare l’occhio alle classifiche d’oltreoceano, che tanto premiarono la band del “Serpente Bianco” decadi or sono, pur se in contesti ben diversi, ma il risultato a casa viene portato a casa anche in questa occasione. Le atmosfere si sono pericolosamente intorbidite, quindi sarebbe il caso di rischiarare le medesime: chissà se ci si riesce con Love And Treat Me Right e le sue ritmiche finalmente di nuovo aggressive che Coverdale riesce ancora a ben declamare, pur se all’interno di una traccia che stavolta non avrebbe meritato gli ennesimi cori che, invece di arrecare prestigio al brano, lo rendono francamente “mollaccione” nel suo complesso e stavolta lontano anni luce dai ringhi dei bei tempi di Slide It In ad esempio. Fortunatamente, siamo ancora sorpresi da una nuova esecuzione potente, che si materializza con l’interpretazione di Dogs In The Street. Finalmente Coverdale ritorna a graffiare come nelle migliori occasioni, pur se il mood è diverso: abbiamo stavolta un solido duo di asce che macina note a dovere, pur se in compagnia degli immancabili background vocali, che tuttavia possiamo eccezionalmente considerare quali apripista ad un enorme assolo che potenzia finalmente il brano. Fare Thee Will torna su lidi e venature romantiche tanto care al singer, che qui si bea eseguire un brano dalle tinte tanto a lui care, con la voce che non si sforza eccessivamente (siamo sulla sessantina, non dimentichiamolo…): non rammarichiamoci eccessivamente all’ascolto di una traccia altrimenti gradevole in altri contest.

Con Whipping Boy Blues la band paga il giusto tributo al genere che tutto ha ispirato: un solido blues corroborato da un hard’n’roll che qui ben si sposa con le intenzioni del cantante del Nord Yorkshire, dedito a saldare le competenze a chi ha dato la stura a tutta la musica moderna. Ci sono gli assoli del duo Beach/Aldrich a ricordarci che le sonorità sono ora del nuovo millennio, ma sempre devote a chi ha preceduto nei secoli. My Evil Ways ricorda il purissimo rock’n’roll degli anni 50, elettrificato con un sano hard il giusto tanto per non mischiare il sacro con il profano (quale dei due lo è?): la band si (s)batte il giusto per offrire ancora graffi di una certa energia, ma siamo oramai alla fine del lenght e con qualche artificio a sei corde si riesce a portare a termine il compito. Si chiude con la titletrack, che invece avrebbe meritato ben altra sistemazione nella scaletta: tutti i 7 minuti del brano sono finalmente la chiusura degnissima dell’album, grazie ad una superba prestazione corale della band: su tutti, ovviamente, la voce magica e paradisiaca del singer, che qui sforna una prestazione da urlo, ricordando brani classicissimi per la loro struttura articolata e tecnicamente complessa. Dopo la fase arpeggiata, si passa in fretta a quella dove le chitarre torreggiano e disegnano atmosfere incantate, dove pathos e melodia si intrecciano alla grande grazie al collante vocale sfoggiato da Coverdale, che non avrebbe potuto chiudere più degnamente un album che può tranquillamente essere riascoltato ancora ed ancora…forevermore!

Autore: Whitesnake Titolo Album: Forevermore
Anno: 2011 Casa Discografica: Frontiers
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.whitesnake.com
Membri Band:
David Coverdale – voce
Doug Aldrich – chitarra
Reb Beach – chitarra
Michael Devin – basso
Brian Tychy – batteria
Timothy Drury – tastiere
Tracklist:
1. Steal Your Heart Away
2. All Out Of Luck
3. Love Will Set You Free
4. Easier Said Than Done
5. Tell Me How
6. I Need You
7. One Of These Days
8. Love And Treat Me Right
9. Dogs In The Street
10. Fare Thee Well
11. Whipping Boy Blues
12. My Evil Ways
13. Forevermore

Category : Recensioni
Tags : Whitesnake
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27th Feb2021

Camel – On The Road 1982

by Fabio Loffredo
Dopo un live come Never Let Go, Andrew Latimer preferisce proseguire nel ripescare live e renderli disponibili per la sua label, la Camel Productions, ma dopo un live del genere è difficile reggere veramente il passo, perché per dare un seguito agli On The Road, Latimer sceglie un’annata non proprio felice per i Camel. Il precedente One The Road 1972 ripescava i primi passi della band e il nuovo On The Road 1982, segnava i loro passi più commerciali. Ma dal vivo Latimer riesce comunque a dare tutto di sé anche se i componenti di quel periodo non erano molto soddisfacenti a partire da Chris Rainbow che copre molte parti vocali e i brani hanno quindi arrangiamenti diversi e giusti per la sua voce. Il concerto celebrava i primi 10 anni dei Camel e brani come Sasquatch e Lies, sono sempre una parte importante della musica della progressive rock band inglese, mentre Wait risulta essere alquanto frettolosa ed imperfetta e anche You Are The One non convince molto. La magia dei Camel è anche questa, tanti cambi di line-up, problemi con le label e anche con molti protagonisti di questa storia, ma dal vivo anche ogni errore, ogni stanchezza viene ripagata con un musicista come Andrew Latimer, vero collante di una band che poteva essere morta e sepolta già da anni.

Questa passione e questa voglia si sente nei brani finali come Manic, Wait e particolarmente su una strepitosa versione di Never Let Go, dove il pubblico olandese impazzisce con grandi applausi. Con questi live e questi anni di silenzio Andrew Latimer ha riordinato le idee e due anni dopo tornerà a dirigere i Camel verso una vera rinascita e un nuovo decollo.

Autore: Camel Titolo Album: On The Road 1982
Anno: 1994 Casa Discografica: Camel Productions
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.camelproductions.com
Membri band:
Andrew Latimer – chitarra, voce
Andy Dalby – chiarra
Chris Rainbow – tastiere, voce
Kit Watkins – tastiere, voce
David Paton – basso, voce
Stuart Tosh – batteria, cori
Tracklist:
1. Sasquatch
2. Highways Of The Sun
3. Hymn To Her
4. Neon Magic
5. You Are The One
6. Dafted
7. Lies
8. Captured
9. A Heart’s Desire/End Peace
10. Heroes
11. Who We Are
12. Manic
13. Wait
14. Never Let Go
Category : Recensioni
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26th Feb2021

Saxon – Power & The Glory

by Giancarlo Amitrano
Non si finisce mai di stupirsi. Ogni sforzo volto a migliorare le proprie prestazioni, nella vita come nel lavoro, deve fare sempre i conti con il giudizio altrui (fortunatamente , non sempre…): nel caso dei Saxon, nonostante una sinora fin qui mirabile quaterna di album sfornati e premiatissimi dall’uditorio e dal battage pubblicitario, la (occorre dirlo) poco lungimirante visione della pur validissima casa discografica, invece di tirare il freno a mano e concedere al gruppo una pausa di riposo per consentirgli di ripartire alla grande, decide di continuare a spremere la gallina dalle uova d’oro ed imporre quasi subito un successore al già massimo Denim And Leather. Il risultato che spesso si ottiene in questi casi è quello di incorrere in un clamoroso flop di vendite e di gradimento: eppure (ecco la meraviglia di cui in premessa), non solo vien fuori un altro lenght di assoluto spessore, ma addirittura ad oggi risulta essere l’album più venduto della carriera del gruppo. L’unico pegno da pagare a quanto sopra (si fa per dire) risulta essere il dolorosissimo cambio alla batteria che vede subentrare Nigel Glockler (ex Toyah) al posto della macchina da guerra Pete Gill. Ed è proprio questo cambio, le cui ragioni restano ancor oggi avvolte nel mistero, a far storcere il naso ai fan della prima ora, che accusano la band di aver introdotto alle pelli un drummer che prima aveva suonato punk (!) paventando un clamoroso voltafaccia alle fortune del gruppo. Ma la band risponde da par suo con due mosse altrettanto valide: di una ne parleremo a breve, mentre l’altra consiste nell’assumere quale produttore nientemeno che Jeff Glixman, già sugli scudi con Kansas e Magnum oltre che reduce freschissimo dalla collaborazione con Gary Moore per la realizzazione del gioiello Corridors Of Power.

Ed ecco allora che anche i testi risentono di tutto questo, con una maggiore intimizzazione dei brani ed un occhio più attento alle vicende che il gruppo sente di vivere in prima persona, come la titletrack, che si occupa nientemeno che della guerra delle Falklands, in prima linea vissuta dalla Gran Bretagna: il brano è veloce, aggressivo ed intenso grazie alla maggiore pulizia sonora delle chitarre che fanno posto al comunque buon lavoro del neo batterista, mentre il cantato di Byff è energico come al solito, con tanto di “declamazione” centrale del testo, giusto per fornire l’alibi al valido solo finale della consolidata coppia Oliver/Quinn. Redline è il brano preferito dal singer, come da lui stesso dichiarato nelle note di copertina: sembra ascoltare un assaggio di ZZTOP (!) che sopra un riff apparentemente semplice si gettano a capofitto come dei arrabbiati biker che si catapultano appunto verso la sottile linea rossa di un traguardo costituito da assoli brevi ma intensissimi ben scanditi dal drumming incisivo e chiarissimo. Warrior  si avvicina pesantemente alle sonorità di Wheels Of Steel, includendo la fierezza delle origini nordiche del gruppo britannico che qui riversa la sua energia proprio da guerriero: sono nuovamente i circa tre minuti di durata a dare la misura della dimensione raggiunta dal gruppo, che riesce a condensare e contenere la propria energia in questo lasso di tempo senza mancare ai suoi comandamenti originari fatti di super riff che scandiscono la voce stentorea di Byford, autentico dominatore della scena.

Nightmare è il singolo assoluto dell’album: talmente singolo e singolare nella sua struttura, molto mid e rallentata, da giungere addirittura a Sanremo (!) nello stesso anno 1983 (ecco la seconda mossa di cui sopra); sarà stato magari eseguito in playback per non demolire a furia di watt gli studi dell’Ariston, ma la prestazione del quintetto spacca anche sul piccolo schermo, non potendo certo spaventarsi di fronte a poche centinaia di persone a teatro rispetto alle decine di migliaia che solitamente fronteggiano dal vivo: un’abilissima mossa, quindi, che rende ancor più accorsata la posizione dei nostri eroi. Un altro anthem si palesa da lontano: This Town Rocks pare scritto apposta per dominare le platee on stage con il suo ritmo vertiginoso e spericolato, su cui fanno da padrone il basso indiavolato di Dawson ed anche i primi “conati” di vorticosa grancassa di Glockler, che presto vengono raggiunti dagli ennesimi pirotecnici assoli delle asce. Watching The Sky è una bella traccia immediata, sulla quale si possono ascoltare vari e ripetuti stacchi di Glockler, mentre Byff torna ad essere lo screamer di turno, non senza qualche “indulgenza” al narrativo: trattasi inoltre di brano molto riflessivo, con il quale la band invita a considerare che quello umano non è il solo genere esistente nell’universo; per fortuna, ci pensano i soli della coppia Quinn/Oliver a farci tornare ad argomenti più “pratici”, oltre che ad un solido metallo.

L’esecuzione di Midas Touch è intrigante per il buon lavoro slide delle chitarre, mentre il mai troppo apprezzato Dawson disegna un solidissimo tappeto sonoro con il suo basso preciso e puntuale, che consente a Byff di enunciare a suo piacimento le note di un brano rapido, su cui aleggiano echi di un solido bagaglio tecnico, evidenziato dagli assoli spassionati e lucidissimi che le due asce sfornano in un crescendo di esaltazione tecnica. Si chiude con il crescendo di The Eagle Has Landed ed il paio di minuti iniziali che tratteggiano l’avvicinarsi di un qualcosa di maestoso che sta per approdare a bersaglio: ed è il vocione di Byff l’oggetto in questione avvistato, che qui veste i panni di un autentico “storyteller” nel tracciare le righe esatte di un brano quasi progressivo in alcuni passaggi;. Ed anche l’assolo viene di conseguenza, molto intenso e drammatizzato con un sapiente “bending” che allunga sapientemente le note a preparare la fase finale condotta dal drumming inferocito di Glockler che chiude un album ancora oggi memorabile.

Autore: Saxon Titolo Album: Power & The Glory
Anno: 1983 Casa Discografica: Carrere
Genere musicale: Heavy Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.saxon747.com
Membri Band:
“Byff” Byford –  voce
Paul Quinn – chitarra
Graham Oliver – chitarra
Steve Dawson – basso
Nigel Glockler – batteria
Tracklist:
1. Power & The Glory
2. Redline
3. Warrior
4. Nightmare
5. This Town Rocks
6. Watching The Sky
7. Midas Touch
8. The Eagle Has Landed
Category : Recensioni
Tags : Heavy Metal, Saxon
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26th Feb2021

Frankie And The Witch Fingers – Monsters Eating People Eating Monsters…

by Marcello Zinno
Qualcosina, la copertina del nuovo album dei Frankie And The Witch Fingers, la suggerisce. Questa opera artistica piena di colori e un po’ confusionaria, quasi un mashu-p di oggetti e personaggi diversi, fa intravedere una certa predilezione per la psichedelia, per le jam session e per la sperimentazione. E anche in questo caso “l’abito fa il monaco” perché basta ascoltare l’opener per apprezzare questa jam su un pattern immutato arricchito dalle percussioni e, perché no, anche con un certo tiro hard rock. Ed è proprio in queste poche righe che si riassume la battaglia del quartetto: un hard psych cadenzato e martellante, incentrato solitamente su un passaggio ritmico che si ripete senza tregua e su cui le chitarre ora hard ora psych colorano e dipingono, il tutto con un sound tipicamente settantiano che richiama diverse band di quell’epoca (citiamo in primis i Blue Öyster Cult). Tanto è forte la carica dell’hard psych che noi suggeriamo di ascoltare questo Monsters Eating People Eating Monsters… come fosse una sola traccia; certo vi sono alcuni passaggi con qualche strattone, ad esempio Sweet Freak che poggia non sulla ritmica ma sulle chitarre, ma in realtà ad ascoltarlo bene sembra una lunga jam che attraversa stati d’umore differenti pur inseriti nel medesimo live.

A noi piace la carica di Simulator che dà una carica fortissima e a metà corsa inserisce un intermezzo strumentale stravagante (samba?!) per poi riprendere con la seconda strofa e riconsumare calorie a iosa. Il brano più potente e completo dell’album. Decisa e incalzante anche Cavehead, un brano in cui ci si proietta almeno una se non due decadi avanti come suono, la sperimentazione sta anche in questo, ma convince per la sua irruenza, seppur rappresenti meno l’album nel complesso. Si chiude con Mepem che ha un vago sentore in stile King Crimson. Monsters Eating People Eating Monsters… è un album davvero sopra le righe che fonde classe ed energia, una fusione complessa ma, quando funzionante, assolutamente vincente.

Autore: Frankie And The Witch Fingers Titolo Album: Monsters Eating People Eating Monsters…
Anno: 2020 Casa Discografica: Greenway, The Reverberation Appreciation Society
Genere musicale: Hard Psych Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.frankieandthewitchfingers.com
Membri band:
n.d.
Tracklist:
1. Activate
2. Reaper
3. Sweet Freak
4. Michaeldose
5. Simulator
6. Urge You
7. Cavehead
8. Mepem
Category : Recensioni
Tags : Hard Rock, Nuove uscite
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25th Feb2021

Tanto Rumore Per Nulla – #Cambioprofilo

by Paolo Tocco
Cerco davvero qualcosa di bello dentro i nuovi dischi di questa scena italiana. Tra l’altro siamo a due passi gli uni dagli altri, siamo iper connessi, così vicini che abbiamo smesso di guardarci. Eppure non la smettiamo di saturare i nostri canali, i nostri ascolti, le nostre macchine operatrici a cui affidiamo il compito di generare, produrre…quasi con la bulimica ossessione di dover produrre un bel certificato dalla pubblica piazza, senza chiedersi quanto questo bello sia poi denso di senso e di contenuto. Il paradosso dei like a cui oggi destiniamo la misura di ogni cosa umana. Siamo a due passi anche geograficamente io e i Tanto Rumore Per Nulla, abruzzesi come me, a due passi di città orami distanti anni luce da un covid che non passa. Ascolto questo esordio dal titolo (guarda caso social media utile) #Cambioprofilo…non ce la facciamo a star lontani da questi schemi per quanto il disco spesso punta il dito verso la verità, condannando la facciata ipocrita di questa società. Ci ho provato a trovare il bello e volendo è facilmente raggiungibile in questi inediti in cui colpisce la produzione assai spiccata e gustosa, in bilico tra il Franch House dei sintetizzatori e quel groove berliniano che trovo (con le opportune e doverose differenze sia chiaro) dentro un lavoro come Uprising dei Muse. Le differenze opportune fatele da voi.

Mi piace molto questa voce che finalmente segue con coerenza la produzione, senza mai svendersi e anzi arricchendo il suono che di suo, in tutto il disco, non è solo narratore ma anche protagonista della narrazione. Paradossale come gli esordi oggi siano così maturi ed eccentricamente capaci di scena. Bella anche lei, Maila Masci nel tenere la scena in un video per niente ambizioso, anzi a tratti “monotono” in senso letterale. Dunque tener la scena senza svendersi in facili trovate estetiche e sessuali ma solo affidandosi all’espressione, ai colori e a pochi oggetti narranti, è cosa assai lodevole. Debole in alcuni punti, ma caspita: l’impresa era titanica. Soprattutto oggi che se non scappa fuori il quid di fascino, l’attenzione si polverizza dopo due secondi. Forse un filo scontata la chiusa di questo disco con la delicatezza di 10 Secondi, che chiude con armonia e dolcezza un mood fino a poco prima arrogante, eclettico, vivace e generoso di dettagli mai scontati. Un brano che forse con il disco avrebbe poco da spartire e che mi sarei bellamente evitato visto lo storico dei precedenti.

Eppure amici miei, rivolgo un commento che suona più come domanda…e la rivolgo a me come a tutti i dischi che sento oggi. Ma il vero senso dove sta? Ci sarà sicuramente visto l’impegno e la dedizione. Eppure prima i dischi arrivavano con il loro senso a spettinare le giornate composte. Oggi invece mi sembrano solo belle fotografie per la scena estetica e non altro. Un disco questo molto ben fatto, ma mi manca quella forza di senso, quel quid che io non solo trattengo dentro ma che mi si impone all’ascolto e alla memoria. Sono distese ben pettinate, sorrisi ben laccati, sono chitarre ben suonate e sintetizzatori composti e assai funzionali. Ok, metto il mio like. Ma finito il disco, cosa mi rimane? A questa domanda non so rispondere e forse dovrebbe essere un disco a rispondere. Ma non ne trovo, da tempo non ne trovo, e di sicuro dall’ormai violentato e abusato indie pop non arriva mai nulla del genere da anni… sempre secondo me. Che non sia tutta questa musica estremamente ben fatta il “tanto rumore per nulla”? P.s. Un’altra cosa che mi manca? L’errore. L’uomo, la sua pelle, le sue mani sugli strumenti. Questi dischi così perfettamente a tempo, belli, precisi, laccati…mi nascondono l’uomo e la sua vita, quello che davvero dovrebbe esserci dietro. Sempre secondo me, sia chiaro.

Autore: Tanto Rumore Per Nulla Titolo Album: #Cambioprofilo
Anno: 2020 Casa Discografica: Beta Produzioni
Genere musicale: Alternative Rock, Alternative Pop Voto: 5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/tantorumorepernulla2018/
Membri band:
Maila Masci – voce
Marco Mengoni – batteria
Marco Draconte – chitarra
Silvio Scarpazzi – tastiere, synth
Luca Degl’Innocenti – basso
Tracklist:
1. Lo Sai Che È Tutto Vero
2. Giù Nel Messico
3. Fuori Dal Normale
4. A Destinazione
5. Perversa
6. Giuro Ho Finito
7. Tutto Cambierà
8. Dieci Secondi
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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25th Feb2021

Tom Dilein – Alter Ego

by Marcello Zinno
Per alcuni artisti la musica è veicolo di messaggi importanti, per altri la musica è psicoterapia. In questa seconda visione si colloca Tom Dilein, musicista che usa la propria musica per scavare nella propria anima, nella propria coscienza e far uscire, in maniera se vogliamo fumosa e chiaramente artistica, i suoi drammi interiori. È riportato nella sua biografia che Alter Ego, il suo nuovo EP, è frutto de “la depressione scaturita da un grave incidente, con il conseguente isolamento nei boschi della sua Versilia prima del ritorno in una città, Firenze, in cui non si riconoscerà più fino in fondo”. E così probabilmente, se ipotizziamo il valore terapeutico di questo lavoro, Alter Ego è proprio come mettere un punto e partire da una nuova fase. Se questa interpretazione è corretta queste 6 tracce sono decisamente e volutamente oscure, lisergiche sì ma anche di complessa espressività, come le emozioni ed i pensieri di chi le ha composte. Mancano linee vocali, lasciate a poche spoken word tagliate e cucite da film del passato, piuttosto musica ambient che tenta di inserirci in quell’intricata trama tenebrosa e malefica che si inspessisce nella mente di Tom Dilein.

Altrove e Lost i passaggi più scuri anche se le parole di Fato e di Dolo colpiscono come pugnalate e fanno giungere in maniera più chiara il dolore provato dal protagonista. Nel brano L’Altro una sezione ritmica prende il sopravvento dando un sapore industrial al tutto, cornice sicuramente perfetta per gli obiettivi del lavoro. Un lavoro di difficile catalogazione, per chi ama l’avantgarde.

Autore: Tom Dilein Titolo Album: Alter Ego
Anno: 2020 Casa Discografica: Beta Produzioni
Genere musicale: Ambient, Avantgarde Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: www.tomdilein.com
Membri band:
Tom Dilein
Tracklist:
1. Fato
2. Altrove
3. Lost
4. Dolo
5. L’Altro
6. Specchio
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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23rd Feb2021

Liquid Therapy – Breathe

by Fabio Loffredo
Arrivano dal Belgio i Liquid Therapy e Breathe è il loro album d’esordio. Il loro sound sa essere ruvido ma anche melodico quando serve e i loro brani sono semplici e diretti, ma sempre attenti ad una ricerca musicale che anche se a volte sembra non esserci, riesce a rendere ogni song di alto spessore musicale. Un basso distorto introduce When Loves Fools You, brano dalla struttura semplice e creato per raggiungere un pubblico più variegato, anche se le chitarra graffiano ugualmente e spesso i Nirvana sono tra le influenze; Keeper On Going ha un arpeggio iniziale più melodico, arrivano poi fraseggi melodici per un brano che rallenta subito il ritmo, cadenzato e con riff profondi e anche il ritornello sa essere orecchiabile. Segue Payback, song più sfrontata e “ribelle”. Ci sono altri brani che continuano a solcare strade semplici e dirette come Scars Of Life, più sul versante hard’n’heavy (Metallica e Green Day), come Fly Away dalle tentazioni punk e come Sobler che torna ad un sound con riff più heavy e ancora una volta i Metallica più melodici vengono presi in considerazione.

In chiusura Rat Race e le sue vibranti atmosfere e Breathe, la title track, un brano lungo, quasi dieci minuti, una song molto affascinante e avvolgente, melodie più cristalline che si contrappongo a duri riff, la band usa più fantasia nel songwriting. I Liquid Therapy sembrano avere le idee molto chiare e sicuramente il prossimo passo sarà ancora più apprezzabile.

Autore: Liquid Therapy Titolo Album: Breathe
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Heavy Metal, Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.liquidtherapy.be
Membri band:
Bart Costenoble – voce
Davy Gheerardyn – chitarra, voce
Gino Lippens – chitarra
Hans Van Den Hende – basso
Luc Van Dyck – batteria
Tracklist:
1. When Loves Fools You
2. Keep On Going
3. Payback
4. Scars Of Life
5. Fly Away
6. Sobler
7. Control
8. I Don’t Care
9. Rat Race
10. Breathe
Category : Recensioni
Tags : Heavy Metal, Nuove uscite
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23rd Feb2021

Masua – Rumore Di Sogni

by Marcello Zinno
Si sa pochissimo dei Masua in rete, loro stessi non hanno una biografia sulla loro pagina Facebook. Parla la loro musica che per il momento consiste in un EP di 4 tracce che raggiunge i 13 minuti di durata totale. Un po’ pochino per dare un giudizio complessivo, ma un’idea i Masua la danno del loro sound. Siamo nel territorio del punk rock melodico che strizza l’occhio a certo pop rock radiofonico, quello che al momento del ritornello si apre verso chorus dal grande ascolto ma che lascia più libertà alla sei corde durante la strofa. E la sei corde se lo prende questo spazio, una sei corde che a noi sembra molto influenzata dal mondo del heavy metal, tanto da sconfinarvi (seppur restando fedele ai propri canoni) in diversi passaggi. La titletrack è il momento più emblematico in questo, ma non l’unico, però tutta la rabbia del buon sound alla chitarra viene ammorbidito da una sezione ritmica poco incisiva e da linee vocali fin troppo inquadrate.

Bisogna riconoscere alla band la capacità di saper unire tutti gli strumenti nel modo corretto, i brani sembrano suonati da una band matura che sa bene come comporre e registrare; al tempo stesso pecca parzialmente di personalità, probabilmente meriterebbe più coraggio e un’identità più rock, più decisa che esca fuori con maggiore verve.

Autore: Masua Titolo Album: Rumore Di Sogni
Anno: 2021 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Pop Rock, Punk Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/masuaband/
Membri band:
Claudio Passiu – voce, batteria
Davide Gangemi – chitarre
Alberto Zucchelli – basso
Tracklist:
1. Rabbia
2. Cado
3. Rumore Dei Sogni
4. Tutto Cambia
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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22nd Feb2021

Four Vegas – Gli Originali

by Gabriele Rusty Rustichelli
Un tuffo negli anni 50/60 con Four Vegas, band attiva dal 1999 e con alle spalle apparizioni in TV su Rai, Canale 5, Italia 1, eccetera. La band ha davvero un background di alto livello con presentazioni e apparizioni un po’ ovunque. Nel 2011 hanno pubblicato una raccolta di 18 grandi successi di rock’n’roll. Oggi presentano Gli Originali, disco di 12 brani cantati in italiano. Le influenze anni 50/60 sono ben presenti e i brani rotolano via molto bene. Abbiamo davanti un genere difficile da collocare nella scena rock/metal, di certo più facile da piazzare nella scena “mainstream”. Il disco suona bene, ben prodotto e ben mixato e riesce a rievocare un genere che nel suo splendore massimo ha regalato molto alle nostre radio e locali. I testi sono tipici del periodo e il progetto è perfetto per feste e locali dove la parola d’ordine è divertirsi. I musicisti sono molto brani, nulla di “nuovo” o di tecnico ma il tutto fatto con stile e professionalità. La quarta traccia Dov’è La Mia Brillantina ad esempio è un inno agli anni 50 (non sentivo il termine “brillantina” da una vita). Basso e batteria prettamente rock’n’roll, chitarre a volte pulp e rockabilly, qualche piano forte e qualche hammond qua e là condiscono un disco davvero divertente. Il cantante racconta di storie e immaginari tipici del genere in modo simpatico e naturale.

Di certo un disco che piacerà agli amanti del genere, in bilico tra il classico e l’ironico, un tipico progetto italiano che racconta di quanto la musica una volta facesse divertire nei locali e nelle piazze. Anche se in questo periodo sembra un miraggio, speriamo di poterli vedere in qualche festa con un boccale di birra in mano.

Autore: Four Vegas Titolo Album: Gli Originali
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.fourvegas.it
Membri band:
Al Bianchi – voce
Fabio “The Fabulous” Taddeo – chitarra
Manuel Mele – basso, voce
Gino Ferrara – batteria, voce
Valerio “Bull” Bulzoni – pianoforte, voce
Tracklist:
1. La Felicità
2. Qualcosa C’è
3. Lascia Lì
4. Dov’è La Mia Brillantina
5. Mi Ricordo
6. Non Ci Sei
7. Già
8. Dai Dimmi
9. Cuore In Controtempo
10. Drag On Bar
11. Soltanto Te
12. Tu
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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22nd Feb2021

Colonel V. – The Millenary Preacher

by Marcello Zinno
Paul Venturi veste i panni di Colonel V. per dare la giusta forma al suo progetto solista e decide di optare per il formato vinile per il suo nuovo lavoro. Scelta assolutamente approvata a nostro parere per il genere proposto, la resa infatti del blues su giradischi è impagabile anche se il blues di Venturi non è propriamente il canonico blues che tutti conoscono. C’è un grande uso dei cori e un concetto di melodia che sembra a tratti scorporato dalla ritmica, a differenza invece del blues noto ai più nei quali questi due ingredienti sono strettamente legati e dipendenti l’un l’altro. Certo, facile premiare i momenti in cui l’energia sembra uscir fuori dagli amplificatori: I Ain’t Gonna Be Your Dog è l’esempio del brano essenziale quanto ballabile, capace di spingere le pulsazioni ad una crescita costante. In questa direzione va citato l’interessante American Stew che a metà corsa vede inserirsi dei passaggi tra lo sperimentale e lo psichedelico, dimostrazione della visione aperta di blues dell’artista.

Ma The Millenary Preacher è qualcosa di più: Polinice Island è una traccia che va oltre le note e che con la sua slide porta il blues ad un livello crudo, viscerale. La conclusiva Mary è una lunga litania blues che ricorda le radici del genere, in alcuni momenti apparentemente contaminato alla gospel. Nel complesso quello di Paul Venturi è un bel lavoro, ma se proprio si vogliono scardinare i confini del blues si potrebbe osare ancora di più. Go Venturi, go!

Autore: Colonel V. Titolo Album: The Millenary Preacher
Anno: 2020 Casa Discografica: L’Amor Mio Non Muore Dischi
Genere musicale: Blues Rock Voto: 6
Tipo: LP Sito web: https://www.facebook.com/colonelv
Membri band:
Paul Venturi – voce, banjo, chitarra
Piero Perelli – batteria, percussioni
Tiziano Popoli – synth

Don Antonio – piano su Rosy e American Stew, chitarra su Kind O’ Livin’
Mary Eloisa Atti – cori
Sara Zannoni – cori
Tracklist:
1. Rosy
2. Rock Is The Rock
3. Kind O’ Livin’
4. American Stew
5. The Millenary Preacher
6. Polinice Island
7. I Ain’t Gonna Be Your Dog
8. Mary
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Rock Blues
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