Pearl Jam – Riot Act
Sette è un numero importante, soprattutto quando hai un onore da difendere e una carriera da portare avanti, ma non è sempre semplice risucire a superare questa prova. Riot Act è il settimo album dei Pearl Jam che stavolta, per la registrazione, si affidano alle sapienti mani di Adam Kasper ed esce nel 2002. Registrato in due tronconi e missato da Brendan O’Brien, il nuovo lavoro della band è un art rock particolare e ricco di accordature diverse. I nuovi pezzi sono un continuo richiamo al loro passato ma proprio per questo nascondono una serie di insidie da cui è praticamente impossibile fuggire. Sebbene si regga sulle proprie gambe emerge chiaramente un senso di conservazione misto alla polvere che lentamente si deposita fra i solchi di questo lavoro. Le liriche sono pienamente influenzate dall’attacco alle torri gemelle e parlano apertamente di dolore, perdita, disagio e paura. Molti dei brani presenti in questo lavoro sono stati scritti a più mani da Eddie e soci, ma è nel canto che il disco sembra diverso. Vedder lo affronta con meno impostazione tecnica, sembra orientarsi verso un aproccio istintivo e senza fronzoli. La musica è molto meno cerebrale e più diretta, punk se preferite. La risposta alla violenza sul territorio americano prevede una forma di ottimismo disilluso, mascherato da un invito all’azione anarchica. Eddie s’interroga sugli effetti di quel patriottismo tipico della società americana, spazzato via in pochi minuti da una furia cieca e brutale.
Riot Act è l’album in cui il leader della band sfoggia le sue opinioni politiche diventando un Bono più credibile e meno spocchioso ma nel complesso, e sulla lunga distanza, è la musica a soffrire seriamente di nuove formule vincenti. Mancano quelle grandi canzoni che hanno reso immortali i Pearl Jam. Latitano le grandi cavalcate, le ballate sofferenti e soprattutto non c’è il benchè minimo spunto per un rinnovamento necessario e dovuto dopo oltre dieci anni di carriera. I Pearl Jam insistono nel ripetersi, come degli ottimi falsari alle prese con le loro stesse opere. Musicalmente parlando tutto questo si traduce nella furba apertura di Can’t Keep, potente ed energica come ogni opener della band, e nella ballatona triste Love Boat Captain (dedicata ai morti di Roskilde). Neanche l’immancabile singolo I Am Mine, la buona Get Right e l’invettiva contro Bush (Bu$hleaguer) bastano a rialzare le sorti di un disco condannato ad un palese anonimato.
Bisogna coraggiosamente affermare che i Pearl Jam hanno perso i punti di riferimento che caratterizzarono il loro esordio, optando per facili scorciatoie. Non basta sfornare triti riff poderosi con chitarre distorte e sparare a zero sulla politica per guadagnarsi una forma di credibilità e lo status di duri e puri del rock. Insomma Rioct Act tradisce il proprio scopo, sin dal titolo, rimanendo imprigionato nel passato, lo stesso passato che la band vorrebbe teoricamente distruggere con un messaggio di cambiamento (interno) non ancora avvenuto. I Pearl Jam di oggi sono i peggiori nemici che possano incontrare sulla loro strada, la cristallizazzione di una formula funzionante, ma prevedibile come una somma algebrica, li fa sembrare come un transatlantico splendente incapace di prendere il largo perchè ancora saldamente ancorato al proprio passato.
Autore: Pearl Jam | Titolo Album: Riot Act |
Anno: 2002 | Casa Discografica: Epic Records |
Genere musicale: Rock | Voto: 6 |
Tipo: CD | Sito web: http://www.pearljam.com |
Membri band:
Eddie Vedder – voce Stone Gossard – chitarra Mick McCready – chitarra Jeff Ament – basso Matt Cameron – batteria, percussioni |
Tracklist:
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