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05th Ago2012

Queensryche – American Soldier

by Marcello Zinno

Si può tranquillamente affermare, senza rischio di smentita, che American Soldier è stata una delle uscite più attese del 2009: i Queensryche, ormai diretti dal rigido timone di Geoff Tate, dopo aver ultimato le proprie energie con il sequel del mai tanto premiato Operation Mindcrime e dopo un rapido passaggio nel mondo delle cover, sono tornati sulla scena con un nuovo concept album, stavolta ben lontano dal giallo di Sister Mary. American Soldier il titolo, il racconto della guerra vista direttamente dagli occhi di un soldato, scevra da condizionamenti mediatici e da commenti razionali fatti da giornalisti o figure istituzionali. Il concept si presenta sicuramente interessante e piacevole. Peraltro una sua valutazione non può prescindere dall’evoluzione continua che la band di Seattle ha vissuto: alla luce infatti delle mutevoli forme di heavy proposte dai Nostri, American Soldier non rappresenta alcun passo coraggioso verso sonorità innovative e questo è bene specificarlo per chiunque si aspetti un ennesimo cambiamento di rotta. A ben vedere l’album rappresenta una intelligente e fisiologica fusione tra la maturazione raggiunta dalla band (Operation Mindcrime Pt.II) e la sua capacità di creare musiche introspettive e complesse da lasciar senza fiato solo gli ascoltatori più attenti e profondi (Promise Land). L’ exemplum perfectum è dato da At 30,000 FT che nelle sue strofe iniziali accarezza la piacevolezza della musica d’atmosfera, intricata e suadente, (davvero toccante l’interpretazione di Tate) caratteristica emblematica della “Terra Promessa” osannata quindici anni or sono, mentre nel ritornello e nella seconda parte giunge inevitabile il nuovo approccio, quello le cui note ci hanno consegnato il cadavere di Dr.X.

Il songwriting non è per nulla banale anche se talvolta si soffre la mancanza di un chitarrista che faccia la differenza con dei riff che innalzino il valore dell’album (per l’occasione è stato ripescato Kelly Gray ma miracoli alla DeGarmo sono ormai una reminiscenza storica) e l’impostazione musicale è molto “Tate-centrica”: la voce è l’elemento principale e spesso si cerca di rimediare alla lacuna suddetta tramite l’inserimento di effetti, aspetto per altro non nuovo nella tradizione queensrychiana. Il tutto crea un effetto altalenante nelle sensazioni sprigionate da American Soldier: in alcuni tratti si perde mordente (Middle Of Hell, If I Were King), in altri invece è molto più piacevole apprezzare la proposta musicale (Sliver, Unafraid, Man Down!) nonostante non sia più la band a 360° a dedicarsi al lavoro di composizione ed ideazione ma il tutto sia partorito dalla mente di Geoff coadiuvato dal produttore Slater.

Un album che ha fatto discutere e che sicuramente non troverà pareri concordi. Consigliato per gli appassionati degli album su citati, meno per i sostenitori di sonorità legate agli esordi della band.

Autore: Queensryche Titolo Album: American Soldier
Anno: 2009 Casa Discografica: Rhino Entertainment
Genere musicale: Heavy Metal Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: http://www.queensryche.com
Membri band:

Geoff Tate – voce

Michael Wilton – chitarra, voce

Eddie Jackson – basso, voce

Scott Rockenfield – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Sliver
  2. Unafraid
  3. Hundred Mile Stare
  4. At 30,000 FT
  5. A Dead Man’s Words
  6. The Killer
  7. Middle Of Hell
  8. If I Were King
  9. Man Down!
  10. Remember Me
  11. Home Again
  12. The Voice
Category : Recensioni
Tags : Heavy Metal, Queensrÿche
0 Comm
04th Ago2012

Hell’s Island – Black Painted Circle

by Marcello Zinno

3 musicisti per 4 canzoni: ecco il presente degl Hell’s Island, un power trio che si presenta come un’alternative rock band ma che in realtà ha già virato da tempo verso sonorità decise. Post-grunge, post-metal…i bresciani sono consapevoli di essere capitati appunto “dopo” l’orda di sonorità proposta dai propri predecessori ma non per questo abbandonano il mordente, anzi la proposta risulta molto ben definita, mai banale ed elegante nella sua costruzione. Sfumature keenaniane toccano un approccio, prevalentemente nel cantato ma non solo, alla Soundgarden per un rock che nel complesso assume decisione e corpo per poi reinventarsi ad ognuno dei quattro brani: momenti intimi e claustrofobici fanno da contraltare a passaggi da pieno headbanging e riff intricati da rebus, il tutto con un piacere genuino all’ascolto. Il discorso è identico anche per la terza e la quarta traccia che sono state realizzate nel lontano 2008 ma che si difendono ottimamente alla prova del tempo: il gioco delle chitarre è imprescindibile in Opaque Solo mentre la scena diventa più convulsa nella conclusiva Down Again con delle partiture ritmiche che si ergono come montagne attraverso le quali la forza della musica non è data di fermarsi.

Una maturità stilistica che gronda da tutte le note di questo Black Painted Circle e che con soli 20 minuti disegna più aspetti di almeno altri 100 album in commercio in questo periodo.

Autore: Hell’s Island Titolo Album: Black Painted Circle
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Post Grunge, Post Metal Voto: 6,5
Tipo: EP Sito web: www.myspace.com/hellsisland
Membri band:

Roberto Negrini – voce, chitarra

Tania Vetere – basso

Michele Tonoli – batteria

Tracklist:

  1. G.O.D. (Guilty Of Dying)
  2. Black Painted Circle
  3. Opaque Solo
  4. Down Again
Category : Recensioni
Tags : Post-metal
1 Comm
03rd Ago2012

Black Sabbath – Dehumanizer

by Giancarlo Amitrano

A volte ritornano: con scopi e mire diverse, ma può accadere. L’importante è non farsi mai trovare impreparati, nella vita come in ogni altro aspetto di essa. Così avviene anche in campo musicale, per il sedicesimo episodio della sua saga, il Sabba Nero ci riserva una degnissima e gradevolissima sorpresa. Il ritorno del figliol prodigo, il menestrello per eccellenza, Ronnie James Dio, unito a quello del fido Appice dietro le pelli, consente a Iommi di riassemblare il fortunato combo di Mob Rules. Il risultato è uno degli album più duri e violenti dell’intera discografia della band. Le tematiche trattate spaziano su argomenti più vasti, grazie al rinnovato contributo del singer nella stesura dei testi dei brani. Computer God ne è esempio classico: un mid-tempo di batteria ed un riff accennato ma sostenutissimo incalzano lo scorrere del brano, su cui si erge subito statuaria la voce di Dio, qui ancora e sempre al massimo delle sue capacità tecniche: memorabile il solo di metà brano, con una “slide” che già tocca livelli di eccellenza. After All ci precipita all’Inferno: la voce funerea quanto basta fa da battistrada alla sezione rtimica che qui davvero si unisce in una disfida a base di percussioni forsennate e bassi poderosi. Se Iommi pensava di essere sempre l’accentratore del gruppo, si sbagliava di grosso: i nuovi/vecchi arrivati sanno bene il fatto loro. Il brano scorre via veloce in una progressione notevole, su cui resta degna di memoria la titanica interpretazione del refrain, nel contesto di un altro grande momento artistico.

Concediamoci anche una parentesi quasi speed: con TV Crimes non si fanno prigionieri. Percussioni sparate al massimo, basso rutilante e di spessore, cantato roco e pulito al tempo stesso: solo la sei corde…non si fa attendere per sprigionare a piene note un arcobaleno sonoro senza precedenti, grazie anche ai testi di impatto che qui prendono in giro gli allora imperanti telepredicatori, a base di riff potentissimi e distorsioni di devastazione unica. La struttura di Letters From Earth è complessa, davvero complessa: Dio a squarciagola ci preannuncia messaggi dalla Terra a mezzo della sua voce potente e modulata, al cui servizio ben si dispongono gli strumenti, in primis la sei corde di Iommi che qui pare davvero aver messo da parte i rancori passati con il singer per assecondarlo nel progressivo salire di tono del brano. Il riff centrale ricorda le migliori improvvisazioni blackmoriane, ma è quasi scontata la similitudine, stante la comune “schiatta” di provenienza: grande brano, multigenere davvero. Un grandioso Butler ci introduce alla conoscenza della follia pura: Master Of Insanity si incammina così, con un giro ossessivo di basso che stavolta è propedeutico alla stessa chitarra, anche se interviene come sempre il folletto magico a mettere tutti d’ accordo con il suo inimitato ed indimenticabile screaming. L’interpretazione stentorea del brano ci induce al rimpianto per cosa avrebbe e sarebbe potuto essere ancora per noi amanti del genere. Ancora, sino alla fine, non manchiamo ricordare chi siano davvero i Signori della Pazzia, che, stavolta, sono pienamente presenti a sé stessi per offrirci ancora un intermezzo centrale di pura melodia medievale, sempre tanto cara al singer.

Potenza, ancora potenza: con Time Machine il quintetto si lancia a rotta di collo nell’esecuzione del brano, senza soluzione di continuità. Il livello di eccellenza e la coesione del quintetto rendono il brano un’altra gemma all’interno del disco, grazie ai testi ancora di attualità ed alle musiche ancora d’impatto, su cui i cinque fanno a gara nell’esibire la loro migliore prestazione strumentale o vocale. La jam centrale di Butler/Iommi è davvero da urlo: quattro e sei corde all’unisono ci conducono dritti al cuore del brano, che si avvia alla conclusione in un inferno sonoro di potenza squassante. Sins Of The Father è il brano “mistico” del disco: atmosphere suffuse di interiorità causate dal suono cupo e volutamente rallentato degli strumenti, che tuttavia si aprono all’improvviso alla pienezza dell’assolo centrale. Il lavoro del canto prosegue senza intoppi, la sezione ritmica dura quanto basta e la sei corde “svisata” al massimo consente al pezzo di superare il breve momento di impasse della fase finale, che si chiude comunque in un crescendo grazie al recupero del tappeto sonoro generale.

Too Late è un epitaffio per una qualunque brano di Edgar Allan Poe, una pietra tombale sulla desolazione umana, la parola fine alla parodia del genere umano. In questo brano ritroviamo il Dio di venti anni prima, con le sue atmosfere medievali e le sue visioni oniriche della vita, che in questo brano si riscontrano nei tocchi magici di Nicholls, nelle percussioni sincopate, nel basso ritmico a guisa di chitarra, oltre che naturalmente nella sei corde che qui disegna ancora un ideale arcobaleno rubato a qualche collega di cui tacciamo il nome per carità di patria, ma senza che per questo egli debba adombrarsene. Risultando, infatti, il brano è un sapiente e superbo mix di stili, mai più nemmeno lontanamente raggiunti e naturalmente eguagliati. Davvero troppo tardi per gli altri gruppi che volessero avventurarsi in un pallido tentativo di imitare l’inosabile. I come N.I.B? Possibile, ascoltando i primi minuti di intro del brano. L’elfo incantato ci proietta nella sua dimensione più intimista, coinvolgendo alla grande il resto del del gruppo, che di buon grado si presta a seguire il suo eclettico condottiero. Esattamente al centro del brano, arriviamo al momento catartico di tutto il disco: un’esplosione sonora, un’eruzione strumentale, una prestazione vocale da sballo, in un contesto di cilindrata hard/metal senza fine, senza tempo e soprattutto senza confini. Condotti dritti verso l’infinito musicale, dobbiamo inchinarci con il cuore e l’animo all’ascolto delle sonorità provenienti da una fantomatica astronave proveniente da galassie lontane ed inesplorate.

Giunge il momento, con animo triste, di congedarci da questo lavoro: per fare in modo che esso ci resti ben stampato in mente, il gruppo ci propone come ultimo brano una visione claustrofobica delle cose. Buried Alive è il testamento spirituale di Ronnie James Dio, la sua visione personale della musica, il mondo che avrebbe voluto e per cui si batterà sino alla fine dei suoi giorni. La performance vocale è letteralmente da brividi, la sensazione di oppressione è sempre più latente, Iommi resta ipnotizzato dalle note emesse dal suo compagno di ventura, tanto che la sua trance artistica pare voglia esprimersi anche dopo la conclusione del brano. Il rallentamento della strumentazione negli ultimi 50 secondi del pezzo ci fa davvero credere di essere ormai sepolti vivi e rassegnati ad essere sommersi dal male incombente su di noi. Salvo poi prevalere la parte razionale, che ci ricorda con forza che il capitolo finale del Sabba Nero è lungi dall’essere scritto: per, anzi, continuare a sorprenderci ed atterrirci ancora a lungo e sempre con argomenti concreti e diversi, a cominciare proprio da chi sarà dietro al microfono.

Autore: Black Sabbath Titolo Album: Dehumanizer
Anno: 1992 Casa Discografica: I.R.S. Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 8
Tipo: CD Sito web: www.black-sabbath.com
Membri band:

Ronnie James Dio – voce

Tony Iommi – chitarra

Terrence “Geezer” Butler– basso

Vinnie Appice – batteria

Geoff Nicholls – tastiere

Tracklist:

  1. Computer God
  2. After All (The Dead)
  3. TV Crimes
  4. Letters From Earth
  5. Master Of Insanity
  6. Time Machine
  7. Sins Of The Father
  8. Too Late
  9. I
  10. Buried Alive
Category : Recensioni
Tags : Black Sabbath
0 Comm
03rd Ago2012

Bad Memories – Forced To Be A Stranger

by Marcello Zinno

Un progetto giovane quello dei Bad Memories ma che ha già raggiunto una cerca maturazione, risultato impossibile se si pensa agli innumerevoli anni di gavetta che servivano un tempo per costruire un sound compatto e autoesplicativo. I toscani infatti hanno sterzato per sonorità più complete puntando su un hard’n’heavy di stampo classico, almeno sulla carta, un approccio che però risulta penalizzato dai vari tentativi di creare delle hit, (come la pacata e troppo attendibile Never Too Hard) mentre solo in pochi momenti mette in mostra un heavy affilato e soprattutto sapiente. La chitarra di Enrico Dal Canto sa infatti dove osare e quando invece puntare ad un refrain accattivante ma il vero elemento che condiziona la formazione del sound della band è il contributo di Cristiano Bertocchi e di Olaf Thorsen (entrambi noti per le loro esperienze nei Vision Divine e Labyrinth) dietro i ruoli di produttori e manager della band, artisti che da sempre hanno abbracciato l’heavy (power) metal ma che già da un bel pò di anni si sono avvicinati a sonorità più semplici. La musica infatti cerca di puntare, già nelle loro esperienze, ad una vista a tutto tondo e non solo rock-oriented: grand parte del gioco lo fanno gli arrangiamenti, le atmosfere (spesso di tastiera) e le parti vocali che scandiscono il mood di quasi tutti i brani.

Così si sfiorano i passaggi pop nella smielata Memories o nella radiofonica Crossroads, mentre si apprezza maggiormente la proposta dei Bad Memories in brani come Reach The High che riesce ad alternare parti più lente a riffing compatti pur restando ancorati a refrain semplici, o in Tears Of Anger che tocca gli apici di durezza con una sezione ritmica decisa ed una sei corde prevaricatrice. Molto più pacati gli altri brani con la parte melodica che prende sempre di più il sopravvento sull’ambito elettrico, aggiungendo poco di interessante a quanto possiamo dire circa questo Forced To Be A Stranger. Nella scialuppa di salvataggio salta su anche Shadow In This Life, ben costruita e piena di variazioni che fanno apprezzare non solo la tecnica del quintetto ma anche lo stile.

Noi preferiamo più i cinque ragazzi imbarcati in un viaggo heavy, ambientazione nella quale i Nostri riescono sicuramente ad offrire il meglio, mentre perdono mordente nei passaggi pià blandi. È il caso di dire che la maturazione c’è ma non è detto che essa porti a qualcosa di esclusivamente positivo. Se questo è il sound della band sarebbe meglio scegliere per una via più decisa: il rock è fatto di scelte ed è assolutamente normale essere obbligati a scegliere se stare al di qua o al di là della barricata.

Autore: Bad Memories Titolo Album: Forced To Be A Stranger
Anno: 2012 Casa Discografica: Perris Records
Genere musicale: Hard’n’Heavy Voto: 4,5
Tipo: CD Sito web: http://www.myspace.com/badmemoriesofficial
Membri band:

Francesco Cavalieri – voce

Enrico Dal Canto – chitarra

Angelo Carmignani – batteria

Andrea Rivello – basso

Federico Meranda – tastiera

Tracklist:

  1. Intro
  2. Tears Of Anger
  3. Never Too Hard
  4. Memories
  5. Reach The High
  6. Crossroads
  7. Our Love Is Dead
  8. Foced To Be A Stranger
  9. Shadow In This Life
  10. Signs Of Time
  11. Shooting Star

 

Category : Recensioni
Tags : Hard N' Heavy
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02nd Ago2012

Opeth – Morningrise

by Martino Pederzolli

Giugno 1995, è appena trascorso un anno dalla pubblicazione di Orchid ma i nostri Opeth prendono tutti in contropiede dando alla luce il loro nuovo lavoro: Morningrise. Cinque tracce, oltre un’ora di durata e già si può capire che il quartetto svedese non ha abbandonato il modus operandi adottato finora e se prima avevano gettato le basi per nuovi orizzonti nel metal, in questo album ampliano i concetti espressi l’anno prima per elevarli ulteriormente producendo quello che è universalmente riconosciuto come il loro capolavoro. Nulla è lasciato al caso in Morningrise, in particolare gli intrecci delle due chitarre che giocano fra di loro creando stupende doppie voci sia nel distorto che nel pulito ed in modo efficace accompagnano l’ascoltatore attraverso i vari momenti di ogni brano; la linea del basso è più significativa rispetto al passato ed offre degno contrappunto alle cugine a sei corde contribuendo a formare le epiche melodie, prerogativa di questo lavoro. Frequenti gli inserti folk e progressive in maggior misura nelle parti melodiche, che in questo album sono di più rispetto al predecessore, ma anche jazz e soprattutto black metal al quale Mikael Åkerfeldt si ispira per la registrazione della traccia vocale distorta, lontana ed imprecisa.

In apertura troviamo Advent che immediatamente ci catapulta nell’atmosfera noir, oscura ma non maligna, che permea il lavoro degli Opeth e che non lascia speranze nemmeno negli improvvisi cambi. I testi, incentrati su visioni oniriche e ricordi lontani, hanno la struttura di poesie ed hanno molto peso nel dare il giusto umore lungo tutte le tracce. Particolarmente significativa, in questo senso, è The Night And The Silent Water, dedicata al nonno di Åkerfeldt deceduto poco tempo prima delle registrazioni dell’album. Le strofe si susseguono sciolte, in un torrente che travolge chi ascolta ma soprattutto il cantante (“Your face was, like the photograph, painted white, we did not speak very often about it, what does it matter now?”) che riesce a far percepire immediatamente il brano che, a tutti gli effetti, è il miglior pezzo dell’album.

All’interno di Morningrise troviamo anche la lunga suite Black Rose Immortal, il brano più lungo della carriera degli Opeth, oltre venti minuti, che però perde colpi rispetto al resto del disco risultando più come un’accozzaglia di idee che come un progetto con un capo ed una coda. Forse questo è il punto debole del lavoro dei Nostri; nasce spontaneo chiedersi se non ci sia troppa carne al fuoco e se i ragazzi avrebbero dovuto diluire la creatività in meno tempo o in più tracce o più album perchè risulta difficile arrivare in fondo e To Bid You Farewell, l’ultima song, sembra quasi un surplus. Ma riflettendo, questo non è esattamente il tipo di lavoro fatto per essere assunto tutto in una volta, merita anzi più e più ascolti per essere interiorizzato ed ogni volta riuscire a scoprire una sfumatura, una sensazione, un angolino di Opeth che era sfuggito.

Il masterpiece che abbiamo di fronte dovrebbe essere provato in situazioni diverse, in stagioni diverse, in umori diversi e così esprimerà il suo vero potenziale: l’avere mille sfaccettature che lo rendono sempre fruibile.

Autore: Opeth Titolo Album: Morningrise
Anno: 1996 Casa Discografica: Candlelight Records
Genere musicale: Death Metal Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.opeth.com
Membri band:

Mikael Åkerfeldt – voce, chitarra

Fredrik Åkesson – chitarra

Martin Mendez – basso

Martin Axenrot – batteria

Joakim Svalberg – tastiera

Tracklist:

  1. Advent
  2. The Night And The Silent Water
  3. Nectar
  4. Black Rose Immortal
  5. To Bid You Farewell
Category : Recensioni
Tags : Opeth
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02nd Ago2012

Latte+ – Asociale

by Marco Esposito

Cari lettori e rocker italiani, oggi vi parliamo dell’ultimo cd della band punk rock toscana Latte+, il titolo è Asociale proprio come si definisce la band in una delle canzoni più significative del cd. Un disco composto da 12 canzoni veloci, suonate alla perfezione, con influenze prese dai Ramones e da gruppi italiani come Derozer, con quel tocco di melodia inimitabile che contraddistingue questa band da anni ormai. I testi sono per lo più impegnati in quanto raccontano dell’Italia, dei suoi punti deboli e delle difficoltà che prova la band vivendo nel bel paese, ma lasciano spazio anche a pezzi più personali come Verso Il Paradiso e Asociale, parlano di ricordi e amicizie perdute come nel pezzo Ciao Beppe, di amori non andati a buon fine come nella canzone Parlo Male Di Te e di situazioni decisamente comiche come racconta il testo di Diarrea!. Musicalmente parlando non si sono smentiti nemmeno questa volta, e si sente molto questo loro desiderio di far muovere i culi con i ritmi in puro stile punk, di rendere il più orecchiabile possibile ogni singolo brano inserendo pezzi melodici e assoli che diventano digeribili già dal primo ascolto, ma soprattutto di far riflettere i ragazzi che li ascoltano con i loro testi mai scontati e spesso critici.

In questo disco si sente un netto miglioramento nella scrittura del disco, dovuta per lo più alla crescita della band dopo i molti live in giro per l’Italia e l’Europa…i Latte+ sono un po’ come il buon vino “invecchiando” migliorano. Per concludere un ascolto a questo cd è opportuno, mentre comprarlo e supportare la band è d’obbligo.

Autore: Latte+ Titolo Album: Asociale
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Punk Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.lattepiu.it
Membri band:

Puccio – batteria

Seve – chitarra, voce

Darii – chitarra, voce

Chicco – basso, voce

Tracklist:

  1. Cane Mangia Cane
  2. Come Piace A Voi
  3. Parlo Male Di Te
  4. L’Italia Sta Bruciando
  5. Verso Il Paradiso
  6. L’invasione Degli Omini Gialli
  7. Un Altra Possibilità
  8. Il Problema Sono Io
  9. Stati Ansiogeni
  10. 35 Anni E Non Capire Un Cazzo
  11. Diarrea
  12. Asociale
Category : Recensioni
Tags : Punk Rock
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02nd Ago2012

Sergio Sgrilli – Dieci Venti D’Amore

by Marcello Zinno

Cosa ci fa Sergio Sgrilli su una testata rock?! È una domanda scontata e totalmente plausibile se per rock si considera solo l’ambito musicale. Noi sappiamo però che il rock trascende le note, è uno stato di essere, di pensare, di agire (i più curiosi o diffidenti possono leggere un nostro articolo in merito al seguente link): a tal proposito Sergio Sgrilli può essere assorbito a pieno da questa scena. 20 anni di professione, 30 di palco che insieme lo hanno portato al vero successo di Zelig come comico, regista/presentatore per la festa di compleanno (e di saluto) per Marco Simoncelli, Sergio è prima di tutto cantautore perchè è proprio dalla chitarra che è partito tutto e dal suo desiderio di esprimersi. È questo il punto di partenza del suo album dal titolo Dieci Venti D’Amore il sui singolo Come Va è stato composto proprio due decenni fa, a segno dell’impronta storica da cui l’album attinge. Un singolo i cui ricavati sono stati completamente devoluti alla Marco Simoncelli Fondazione Onlus perchè dietro l’artista c’è sempre l’uomo indipendentemente dalla notorietà acquisita negli anni.

Un lavoro ottimamente pensato e confezionato: 10 tracce e due booklet pieni di informazioni e foto dei vari musicisti coinvolti da Sergio, come un viaggio nell’amicizia, un gioco che solo come fine non voluto dà vita a delle tracce piacevoli, una scommessa in un periodo in cui sempre più persone parlano di digitale e sempre meno di formato fisico (come lui stesso ammette). Ma attenzione a non banalizzare la figura di Sergio perchè in questo lavoro compaiono grandi musicisti e strumenti musicali molto particolari: violino, pianoforte, fisarmonica, strumenti a fiato e chitarra elettrica per circa 45 minuti di musica che mescolano con saggezza i diversi contributi perchè ogni elemento ha un valore, un motivo d’essere. Davvero elegante è Sposami, seconda traccia che bilancia degli arrangiamenti ad arte a un basso profondo e ineccepibile, un basso che diventa ancora più prestigioso (quasi un contrabasso) nella lunga ed eterogenea Facci Caso in cui la chitarra elettrica entra timida per non sfigurare la voce che fa melodia, ritmo e armonia, pareggiata solo dal violino in finale.

Ci sono momenti anche più semplificati come l’ “easy funk” di Nostalgia e la grande personalità di Alessandro Gallo alla chitarra, o le parti quasi comiche di L’Amico che richiamano i discorsi di Aldo – di Aldo, Giovanni e Giacomo – in Mio Cuggino di Elio E Le Storie Tese, o ancora l’estiva e anche un pò mediterranea Mon Amour. Tra i momenti più intensi c’è sicuramente Bacio Di Giuda dove Sergio veste i panni di un Fred Buscaglione ancora più triste restando in secondo piano pur assumendo un ruolo da protagonista nel brano, e la conclusiva Poesie il cui titolo dice già tutto (tralasciando l’ultima parte dance). Il vero errore che si potrebbe commettere è riconoscere in Sergio l’unico ruolo per cui è conosciuto dai più, cioè quello del comico. Lo ammettiamo, anche noi lo vedevamo con questa “maschera”, ma dopo aver ascoltato Dieci Venti D’Amore capiamo qual è la luce tramite la quale si riflette meglio la sua immagine, quella del cantautore.

Autore: Sergio Sgrilli Titolo Album: Dieci Venti D’Amore
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Cantautorale Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://wwwsergiosgrilli.it
Membri band:

Sergio Sgrilli – voce, chitarra

Fabrizio Morganti – batteria

Stefano Allegra – basso

Alessandro Gallo – chitarra, mandolino

Tracklist:

  1. Come Va
  2. Sposami
  3. Se Tu
  4. Facci Caso
  5. Nostalgia
  6. L’amico
  7. Mon Amour
  8. Bacio Di Giuda
  9. Plagio Totale
  10. Poesie
Category : Recensioni
Tags : Cantautorale
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01st Ago2012

Kaosmos – Kaosmos

by Gianluca Scala

I Kaosmos sono una di quelle band da tenere d’occhio. Abbiamo la fortuna di avere sotto mano il loro primo EP e si è rivelato essere un prodotto valido sotto diversi aspetti prettamente musicali. Questi cinque ragazzi milanesi stanno dimostrando anche in sede live, suonando tantissimo in giro per locali, che il thrash metal è un genere che non è mai giunto al tramonto, anzi. I cinque brani che compongono questo loro EP dimostrano proprio l’esatto contrario, delle vere frustate metal ben assestate e soprattutto ben suonate che ti entrano nelle membra e che non mollano; tutti i brani sono anche ben caratterizzati dalla voce del singer Gabriele Vianello che con quel timbro vocale molto pulito si avvicina molto allo stile di Joey Belladonna degli Anthrax. Potenti e precisi in ogni passaggio, i Kaosmos prendono in mano gli insegnamenti dei grandi maestri del genere e sciorinano dei cambi di tempo sincopatici conditi da ritmiche ed assoli di chitarra magistrale, Andrea Rasi e Daniele Nobile ci regalano delle performance alle chitarre incredibili, basti ascoltare l’intro di My Angel per rendersi conto delle capacità tecniche che possiedono questi due chitarristi che durante il brano si scambiano arpeggi e fraseggi che sconfinano nel più classico heavy metal grondante Iron Maiden o Queensryche…brano grandioso.

Le prime due tracce contengono nei chorus un effetto vocale in growling che poco si accosta al resto del contesto musicale suonato, almeno noi lo abbiamo trovato lievemente fuori luogo, vista la cattiveria già presente nell’esecuzione dei brani stessi. L’ultimo brano Rage è il migliore dell’intero lotto, ben suonato, che spinge in un pogo spontaneo, e che sotto il palco farà sicuramente smuovere la testa ad un sacco di gente durante i loro concerti. Anche qui si sente il fantasma degli Anthrax negli arrangiamenti, un brano che non preme sull’acceleratore ma che gioca molto con le ritmiche e che ci ha fatto fin dal primo ascolto un ottima impressione. Non c’è che dire, i  Kaosmos stanno percorrendo la strada giusta e speriamo che concerto dopo concerto riescano a raggiungere un numero di persone sempre più numeroso per fare conoscere la propria musica. Niente male davvero.

Autore: Kaosmos Titolo Album: Kaosmos
Anno: 2012 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Thrash Metal Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: www.myspace.com/kaosmos
Membri band:

Gabriele Vianello – voce

Andrea Rasi – chitarra

Daniele Nobile – chitarra

Michele Rao – basso

Paolo Guarda – batteria

Tracklist:

  1. Believe In Your Feelings
  2. Walking In The Rain
  3. Once Were Warriors
  4. My Angel
  5. Rage
Category : Recensioni
Tags : Thrash metal
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01st Ago2012

Axel Rudi Pell – Circle Of The Oath

by Marcello Zinno

Accantonata l’esperienza alle prese con le rivisitazioni dei pezzi storici in chiave lenta, con l’ultima pubblicazione The Ballad IV che racchiudeva alcuni brani dei più recenti quattro lavori (Mystica, Diamonds Unlocked, Tales Of The Crown, The Crest), il nostro chitarrista tedesco Axel Rudi Pell dà alla luce un nuovo album, Circle Of The Oath. Il passaggio per delle melodie lente e piene di arpeggi sembra aver dato nuova linfa al guitar-man che fin dal primo vero pezzo dell’album, Ghost In The Black, riesce a sprigionare tutta l’elettricità che pulsa nelle proprie vene regalando un hard’n’heavy potente oltre che un assolo graffiante. La formazione è quella canonica, con Johnny Gioeli al microfono e la sua voce che accarezza il glam delle origini pur conferendo un grande amalgama con il sound heavy. Niente di nuovo insomma dietro il sipario di The German Guitar Wizard ma in fondo dopo quindici album studio ed oltre un ventennio di grande musica sui palchi di tutto il mondo non ci aspettavamo un cambio di rotta, anzi guai solo a pensarlo. E possiamo parlare al singolare visto che tutte le tracce sono composte esclusivamente da lui, musica e testi.

Il riff di Run With The Wind è energia pura, amplificata dalla batteria veloce del grande Mike Terrana e resa ancora più pregevole da variazioni istantanee durante le strofe che conferiscono esclusività al pezzo; forse il ritornello avvicina troppo lo stampo a quello di un brano radiofonico ma la restante parte, outro inclusa, è davvero roba che scotta. Non si avverte un vero e proprio stacco tra un brano e l’altro: sembra che tutti i riff siano stati composti di un sol fiato, con il sound imprinto nella mente di Axel e i refrain precisi e decisi. Differente il discorso per la title track che già nella durata presenta le sue differenze: quasi dieci minuti che partono sottoforma di ballad sofisticata in grado di giocare con gli umori dell’ascoltatore per poi esplodere in un hard’n’heavy ruggente con una dose epica che sembra chiamare in causa i Dio più ispirati, anche se tutta la maestosità appare lucente solo durante l’assolo.

La marcia in più di questo album sta proprio nell’esperienza dei Nostri: Circle Of The Oath è un lavoro semplice da assorbire ma non banale nella sua fase di songwriting, elargisce tutto il suo piacere fin dal primo ascolto ma non stanca nemmeno ad un secondo o terzo passaggio il che dimostra la buona fattura dei pezzi. I riff non perdono mai mordente e risultano ben costruiti e con una giuta dose di personalità, fattore questo che misura imprescindibilmente la qualità dell’opera. Così la trascinante Fortunes Of War farà la gioia degli headbanger più incalliti con la sua intro travolgente (al contrario del brano omonimo suonato dagli Iron Maiden nel lontano 1995), l’assolo superbo in Bridges To Nowhere, la compostezza di un brano come Hold On To Your Dreams…tutti momenti di assoluto piacere. La bellissima World Of Confusion segue i tratti compositivi non solo di questo album ma anche di Oceans Of Time del 2000 essendo questa traccia la seconda parte di The Masquerade Ball composta proprio per quel lavoro.

Quello che manca a questo lavoro è un passaggio sottotono: è questo l’Axel Rudi Pell a cui siamo legati e al quale auguriamo lunga vita.

Autore: Axel Rudi Pell Titolo Album: Circle Of The Oath
Anno: 2012 Casa Discografica: SPV/Steamhammer
Genere musicale: Hard’n’Heavy, Heavy Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito web: http://www.axel-rudi-pell.de
Membri band:

Axel Rudi Pell – chitarra

Johnny Gioeli – voce

Mike Terrana – batteria

Ferdy Doernberg – tastiera

Volker Krawczak – basso

Tracklist:

  1. The Guillotine Suite
  2. Ghost In The Black
  3. Run With The Wind
  4. Before I Die
  5. Circle Of The Oath
  6. Fortunes Of War
  7. Bridges To Nowhere
  8. Lived Our Lives Before
  9. Hold On To Your Dreams
  10. World Of Confusion (The Masquerade Ball Pt. II)
Category : Recensioni
Tags : Hard N' Heavy
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31st Lug2012

AC/DC – Black Ice

by Gianluca Scala

Black Ice è il nome del quindicesimo album studio, dopo tanti anni passati a calcare i palchi di tutto il mondo suonando davanti a milioni di persone che altro non sono che i loro devoti estimatori. Black Ice esce sul mercato nell’ottobre del 2008 quando l’industria musicale sta cominciando a traballare e sono solo i grandi nomi del rock che riescono ancora a stare a galla in questo oceano musicale. Il disco vende 5 milioni di copie in tutto il mondo solo fino alla fine di quell’anno e va oltre ogni aspettativa economica che la band si potesse immaginare, in un era dove ormai qualsiasi ragazzino che se ne intende di informatica è in grado di scaricare un intero album comodamente seduto nella sua camera. Vennero estratti addirittura cinque singoli per far sì che l’album venisse spinto per bene nelle classifiche e la scelta non fu per niente azzardata, infatti gli AC/DC si ritrovarono in testa alle classifiche di molti paesi ( U.S.A., Spagna, Gran Bretagna, Germania, Francia, Australia e per la prima volta nella loro carriera anche in Italia). Black Ice si rivelò essere un disco di enorme successo, cosa che non accadeva dai tempi di The Razors Edge e quando partì il tour mondiale a supporto dell’album la band girò in lungo ed in largo tutti i continenti del pianeta facendo praticamente ovunque sold out.

Il disco composto da ben 15 tracce è anche uno dei più lunghi di durata di tutto il loro catalogo, il primo singolo estratto accompagnato da un grandioso video clip è Rock’N’ Roll Train, brano capace fin dal suo inizio di darci delle vibrazioni incredibili: il riff principale del brano ti entra nelle orecchie attraversando la spina dorsale per arrivare alle gambe praticamente impossibile da tenere ferme…chi vuole fare un viaggio sul treno del rock’n’roll? Un treno che non fa fermate e che ci porta dritti dritti per la nostra destinazione. Quasi tutto il disco è incentrato su questo unico concetto musicale, cioè viaggiare sopra i binari della nostra vita accompagnati dalla musica di questa immensa band, noi come loro che davanti alle avversità della vita non ci fermiamo e proseguiamo diritti per la nostra strada. Sono davvero tanti i brani che meriterebbero di essere menzionati, tutti composti con grande passione e che non si allontanano di un centimetro da quanto fatto in tutti questi anni da questa band.

Ascoltate canzoni come Skies On Fire, Big Jack, War Machine oppure She Likes Rock’N’Roll, inutile definirli degli inni perchè questo termine non è più appropriato, queste sono lodi degli dei che giungono fino a noi tramite il nostro stereo. Contentissimi di farci avvolgere da queste grandi vibrazioni che solo loro o pochi altri sono stati in grado di darci nella storia della musica contemporanea, perché gli AC/DC sono sempre stati uno dei gruppi hard rock dei più onesti e privi di compromessi. Hanno avuto molte disavventure, le hanno superate e hanno raggiunto tantissima gente con il loro verbo rock blues, vendendo milioni e ancora milioni di copie con i loro album di sfrontato e grezzo rock’n’roll.

Autore: AC/DC Titolo Album: Black Ice
Anno: 2008 Casa Discografica: Columbia Records
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7,5
Tipo: CD Sito web: http://www.acdc.com
Membri band:

Brian Johnson – voce

Malcolm Young – chitarra, voce

Angus Young – chitarra

Cliff Williams – basso

Phil Rudd – batteria

Tracklist:

  1. Rock’N’Roll Train
  2. Skies On Fire
  3. Big Jack
  4. Anything Goes
  5. War Machine
  6. Smash N Grab
  7. Spoilin’ For A Fight
  8. Wheels
  9. Decibel
  10. Stormy May Day
  11. She Likes Rock’N’Roll
  12. Money Made
  13. Rock’N’Roll dream
  14. Rocking All The Way
  15. Black Ice
Category : Recensioni
Tags : AC/DC
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