Seid – Magic Handshake
Direttamente dai recessi dei fiordi norvegesi, ecco i nuovi vichinghi: i Seid si presentano a noi con un dosato mix di energia psichedelico-cosmica, in stile Hawkwind. Con un azzeccato lavoro di gruppo, il quintetto produce un disco di sicuro interesse. Potremmo definirlo quasi un concept-album per la complessità delle tracce e per gli attenti arrangiamenti in sede di produzione, tuttavia, nello snodarsi del disco si ha la sensazione che il messaggio che il gruppo intende lanciare resti fra le righe di un discorso interrotto. Probabilmente, la stessa complessità dei brani induce il gruppo a dedicarsi principalmente alla loro esecuzione, piuttosto che alla fluidità dei testi stessi. Eppure l’inizio di Space Pirates Return meraviglia in positivo per la potenza sonora che emana: il basso di Rocket è notevole nella sua cadenza ed anche l’insolito cantato corale rende bene in fase propositiva, mentre il lavoro di Martin è potente e nitido assieme alle svariate chitarre che operano. Arriviamo subito alla migliore traccia del disco: Decode The Glow è un concentrato di stili diversi, che con il suo mid-tempo scorre fluida ed incatena l’ascoltatore al suo snodarsi. Eresia, forse, il ritornare con la memoria a brani storici, ascoltando il brano tuttavia, i continui e repentini cambi di tempo non stonano affatto nel loro legarsi, sfidando chi ascolta a prevedere quale sia lo sviluppo del brano. Come detto è di certo la gemma dell’intero disco, grazie anche alla voce superba di Stina Stjern, che qui collabora ai cori ed al cantato principale.
The Dark Star Is Waiting è la discesa agli Inferi: la voce dell’ospite Asgeir Engan ci trascina in un abisso infinito che incute terrore, grazie alla sapiente distorsione delle chitarre ed alla claustrofobica presenza delle tastiere, che nel refrain centrale si fondono con la sezione ritmica in una “jam” davvero notevole e di forte impatto sonoro che lascia storditi piacevolmente. Ascoltando The True Merry Poppers torniamo ai gloriosi anni ‘60, agli albori del rock: suoni in piena psichedelia, con atmosfere quasi spaziali che si snodano attraverso una lunga improvvisazione strumentale, su cui emerge la voce di un altro illustre ospite, Hans Jorgen Stop, che illumina il brano con la sua interpretazione quasi da “dietro le quinte”, con una opportuna microfonatura cupa e risonante al tempo stesso con il clarinetto di Oyvin Yri. Tron è un altro bel brano: una lunga cavalcata sonora del gruppo, che si cimenta in una sfida strumentale di rara intensità, in cui il cantato di Magnus Robot si inserisce delicatamente solo dalla fase centrale, senza appesantire il percorso iniziato dal gruppo. Le tastiere “spaziali” che inframezzano il refrain centrale collocano il ritornello in una dimensione quasi eterea che pare catapultata direttamente dai primissimi Pink Floyd, sia pur con il loro tocco di sana originalità strumentale.
L’esecuzione di Fire Up! è ancora resa eccellente da Jorgen Stop: in stile più hard, stavolta, il brano si snoda attraverso una lunga costruzione barocca che non dà adito a dubbi circa la matrice del gruppo. Un sano rock’n’roll si miscela a psichedelia a fiumi ed atmosfere cosmiche che d’incanto cessano con uno stacco semplice e d’impatto. Olyok Kok Friebib rende onore al titolo impronunziabile: il coacervo delle voci di tutti i singer ospiti nel brano lo rendono quasi come un muro di suono innanzi al quale l’uditorio deve durare fatica per non restarne sopraffatto. Anche la batteria stavolta è clamorosamente squassante: rendendo il brano quasi una trascinante sinfonia, la coralità delle voci non riesce a contrastare la potenza sprigionata dalla strumentazione, qui davvero a pieno regime anche grazie alla ancor presentissima dose di cosmicità. La concezione di Birds pone l’ascoltatore di fronte al dilemma se considerarlo un “ibrido” di generi oppure un episodio a sé stante: a noi piace propendere per la seconda ipotesi. I samples ed i sintetizzatori di Hemmelig Tempo rendono il brano una gemma che deve restare tuttavia avulsa dal contesto generale del disco: conservando il livello di qualità, il refrain centrale ed il ritornello delicatamente proposto appaiono come una cavalcata quasi “epica” nel suo svolgimento, accompagnati dai bird-samples che rendono il brano davvero particolare, brano che si chiude con un insolito orologio a cucù di allegra estrazione.
Space Rock Dogma è l’unico brano in cui il gruppo torna ad agire da solo: l’originalità della composizione non ne risente, mettendo in evidenza l’arrangiamento ancora valido del cantato. L’interpretazione del quintetto mantiene ancora livelli di qualità, rendendo il brano quasi “facile” nel suo ritornello centrale, su cui dominano senza dubbio le tastiere che indugiano su partiture di classicismo davvero inatteso in questo contesto. Siamo giunti alla title-track: con la sola partecipazione di Martin Skei al sax, Magic Handshake si rivela un caleidoscopio di generi; tutta la strumentazione è impazzita, nello scatenarsi quasi in un singolo assolo all’interno del brano, come a ricordare che comunque il bagaglio tecnico del quintetto non è certo trascurabile. Il tutto, nello svolgersi dei relativamente pochi minuti del brano: che scorre via con disappunto per il vederlo finire in fretta. Sister Sinsemilia chiude degnamente il disco: una lenta introduzione sonora fa da preludio alla seguente intensa drammatizzazione del brano. Le tastiere sono davvero notevoli nel disegnare un’atmosfera di dannazione dell’umana specie, su cui grava il cantato davvero nostalgico che funge da esecutore testamentario delle ultime volontà del gruppo che sono quelle di comunicarci che anche in generi apparentemente ostici all’ascolto come quello di loro competenza, esistono entità musicali come i Seid che saldamente ne tengono alto il vessillo.
Autore: Seid | Titolo Album: Magic Handshake |
Anno: 2012 | Casa Discografica: Black Widow Records |
Genere musicale: Psychedelic Rock | Voto: 7 |
Tipo: CD | Sito web: http://www.myspace.com/seidrock |
Membri band:
Jurgen Kosmos – voce, chitarra, organo Burt Rocket – chitarra, tastiere, basso Organ Morgan – tastiere Viktor Martin – batteria, voce Janis Lazzaroni – chitarra, percussioni |
Tracklist:
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