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18th Gen2019

Sun’s Spectrum – Sun’s Spectrum

by Marcello Zinno
Uno dei territori musicali in cui i duo project si muovono più a loro agio è quello della musica elettronica o comunque dell’electro rock. Due soli musicisti possono davvero mettere in gioco tanti ingredienti se aiutati dall’elettronica, cosa non così facile invece per una band con strumenti elettrici e questo i Sun’s Spectrum lo sanno bene. Ma ascoltando il loro EP d’esordio ci sembra che questa scelta non sia stata una condizione in cui il duo si è trovato a comporre, ma una decisione consapevole in quanto il suono non è figlio della musica elettronica in senso stretto bensì un’interpretazione di certo industrial portato all’esasperazione, contaminato dai suoni ed effetti digitali che offrono una veste più moderna alla “semplice” anima elettronica. Certo, alcuni passaggi ricadono più in territori da dance floor, come Elevate che starebbe benissimo in una scena cinematografica di una discoteca del futuro con cyber-punk “venduti” al mondo della notte, e anche Just A Destiny ci conferma che il duo è molto influenzato da questi contesti.

Noi cerchiamo però di andare oltre le righe, ascoltare oltre la sezione ritmica martellante e ci vediamo tante incursioni nel dark, nella new wave, nel gothic (ascoltare l’opener ad esempio)…incursioni che potrebbero essere valorizzate se contestualizzate in altro modo e potrebbero rendere il progetto Sun’s Spectrum proponibile ad ascoltatori diversi e più attenti alla componente suonata, qui il senso stretto è d’obbligo.

Autore: Sun’s Spectrum Titolo Album: Sun’s Spectrum
Anno: 2019 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Ambient, Industrial, Dark, Electro Rock Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://soundcloud.com/suns-spectrum
Membri band:
Caenazzo – chitarra, voce
Daniele Iannacone – tastiere, programming
Tracklist:
1. Redemption
2. It Was Like Autumn
3. Elevate
4. Just A Destiny
5. Every Word Is A Lie
6. 1000 Silent Ways
Category : Recensioni
Tags : Electro Rock, Nuove uscite
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17th Gen2019

Chiazzetta – L’imbarazzo Della Scelta

by Paolo Tocco
Ci sono dischi che nel mio DNA sono rifiutati a priori. Ma il mestiere e la passione mi spingono ad andar contro la mia biologia, mi forzo e mi sforzo e talune volte lo sforzo celebra lo sfarzo con fare sferzante. Bene, dopo aver giocato con le parole traduco. Dischi come questi di Chiazzetta che fanno una jonglerie con parole e stili e ritmi e colori non mi hanno mai preso particolarmente. Si parte ovviamente da una radice punk, da un carattere “maleducato” che non vuole avere peli sulla lingua…e si finisce per mescolare il tutto con una vena pop che non manca mai, neanche ai più trasgressori della forma canzone. Neanche nei nuovi dischi di Carmine Tundo manca del sano pop. Quindi sulle prime, chi non ama il genere come me, è portato ad archiviare l’ascolto e non va oltre. E in certi casi, come questo, un sonoro “idiota che non sei altro” ci sta benissimo. Dunque aveva ragione il saggio Chiazzetta che dirà: “Se vuoi togliermi la libertà devi darmi la libertà”. In effetti, se avessi la libertà di scegliere cosa ascoltare e se avessi libertà di censurare subito cosa sembra non piacermi, non avrei avuto la libertà, quella vera, quella di essere e di contaminarmi. Un concetto prezioso che rende questo disco ricco di verità. Dunque: meno male che mi è stata tolta la libertà di passare oltre così ho avuto la possibilità di conoscere il nuovo disco di Chiazzetta.

Si intitola L’imbarazzo Della Scelta, anche titolo di una delle principali traccia di queste 16 nuove scritture. Nello specifico c’è il bellissimo duetto con Mèsa per questa canzone che mette in chiaro tutto il disco, metaforicamente e non: scelta e libertà sono le parole chiavi della scrittura di questo disco che punta il dito contro questa società ma anche contro l’individuo libero di scegliere e di costruire la sua libertà. Bellissimo e anzi significativo Mare O Scuola di cui troviamo il video ufficiale in rete: in altre parole non stupiamoci se questo Paese va a rotoli se tutti preferiamo andare al mare invece che a scuola. E in fondo, encomio per l’onestà intellettuale, ognuno di noi faccia ammenda e un sonoro mea culpa perché tutti, io per primo voglio andare al mare invece che costruirmi una cultura. Una nota stonata per la mia pignoleria di gusto guardando questo video: ma che bello sarebbe stato se fosse stato solo un unico piano sequenza? Che peccato aver fatto un montaggio delle parti…davvero un enorme peccato. E poi il “punk” da prendere con molte pinze che esce sfacciato in Ciniglia, piuttosto che nella successiva Scrivimi, Scrivimi o ancora più incisivo nelle intenzioni nella chiarificante “Il vero sballo è dire NO”.

Di questo disco che, ripeto non mi fa impazzire nella forma canzone che sposa, io sottolineo i testi. Certamente avrei preferito un peso poetico maggiore che però si lascia gustare con attenzione ed efficacia senza arrivare agli eccessi impropri dalle tinte francesi di cui è solita Marat per esempio (altra bella featuring che troviamo in Senza Paura – altro brano chiarificatore – ma neanche senza svendersi nella banalità di rito di questo mondo pop indie elettronico futuristico assolutamente di moda e banale. Chiazzetta sta in quel limbo, forse precario, forse in tanti momenti come Nemmeno Un Like cede il passo dalla parte delle mode facili, ma devo dire che questi testi sono stati i veri protagonisti della mia rinuncia alla biologica attitudine di passare oltre di fronte a dischi di questo genere. E in canzoni come Libertà ritrovo anche quella sensibilità di cantare in modo per niente banale concetti indispensabili per la consapevolezza e la maturità di ognuno di noi. Brani che potremmo maneggiare e ruotare in mille modi per trovarci dentro verità assolute. Trovo che L’imbarazzo Della Scelta sia davvero un disco “punk” d’autore, collocabile in qualsiasi punto della linea retta che lega i Nobraino ai Vallanzaska (tanto per usare nomi di facciata), ricco di spunti sociali davvero importanti.

Curiosità caro Chiazzatta: ma in Nemmeno Un Like ad un certo punto stai citando con la voce Carletto il principe dei mostri? Scusa ma se non te la chiedevo non ci dormivo la notte…Bella prova.

Autore: Chiazzetta Titolo Album: L’imbarazzo Della Scelta
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Punk Pop Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/chiazzettashow
Membri band:
Chiazzetta – chitarra
Marco Fanella – chitarra ne I Dottori
Gabriele Gallo – chitarra ne Cathartic Method
Roberto Cola – basso
Licia Missori – piano
Simone Arcangeli – tromba in Dada Circus
Flavia Pasqui – violoncello
Pietro Lanza – batteria in Cathartic Method
Tracklist:
1. Ciniglia
2. Scrivimi, Scrivimi
3. Un Bacio Sbagliato
4. L’imbarazzo Della Scelta (feat. Mesa)
5. Il Vero Sballo È Dire No
6. Un Bullo In Un Film Dell’orrore
7. Mare O Scuola
8. Governo Tecnico
9. Mi Accordo
10. Senza Paura (feat. Marat)
11. Nemmeno Un Like
12. Scontro Di Sguardi
13. La Libertà
14. Un’amica Sessuata
15. Fai
16. Provo Cose
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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17th Gen2019

Ex – Bumaye

by Marcello Zinno
Gli Ex ci ricordano quegli animali mitologici che la nostra immaginazione creava durante le lezioni barbose della prof a scuola. Animali costituiti da vari “pezzi”, da varie umanità, da diverse realtà viventi, affascinanti e astratti, capaci di essere protagonisti di sogni ed incubi allo stesso tempo. E loro lo sono, non per aver cambiato la loro natura di duo in una band a tutti gli effetti, ma da un punto di vista strettamente musicale. Perché il loro Bumaye ha dentro di sé diverse anime, non animalesche ma strutturalmente diverse: sicuramente un’anima musicale elettrica, incisiva, un’anima che senza fretta e con tante influenze (dal blues di Alta Velocità al post-rock della bellissima Muta) lascia la propria orma; un’impronta incisiva e molto ben curata, senza alcun desiderio di strafare ma al contrario che sa collocare i fattori al momento giusto e sa piazzare anche delle pause laddove servono (capacità che pochi musicisti possiedono). Segnaliamo volentieri QCNHNS, una breve strumentale che fonde lo spirito blues con il pop rock pacato insito nella mente degli Ex, da ascoltare e lasciarsi andare; e come non citare Non È L’uscita, il brano più rock del lotto che dà nuova energia ad ogni ascolto.

Poi c’è un’anima trendy, se vogliamo definirla così, uno spirito orecchiabile che le linee vocali adottano con sapienza e anche con gli effetti giusti; noi avremo preferito una voce più incisiva, magari tecnica o graffiante rispetto ad un’interpretazione più da musica leggera e che sfugge via come acqua tra le dita. Nota negativa per l’artwork, un lavoro grafico che ispira un’uscita di tutt’altro genere ma soprattutto una presentazione in cui non è chiaro il nome della band, e questo per una realtà che si vuole far conoscere è di certo un handicap. Il consiglio? Lasciate che la loro musica faccia il resto.

Autore: Ex Titolo Album: Bumaye
Anno: 2018 Casa Discografica: Smav Factory
Genere musicale: Blues Rock, Pop Rock Voto: 6,5
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/EXduomusic
Membri band:
Gabriele Troisi – voce, piano, chitarra
Daniele Carullo – batteria, voce
Giuseppe De Vito – batteria, voce Marco
Emilio Aversano – chitarra, tastiera
Salvatore Gaudino – basso
Tracklist:
1. Alta Velocità
2. Soffocare
3. Muta
4. Gatto
5. QCNHNS
6. Endovenosa Iris
7. Non È L’uscita
8. Muhammad Alì
9. Senilità
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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16th Gen2019

The Cure – Seventeen Seconds

by Raffaele Astore
Seventeen Seconds venne pubblicato ad aprile del 1980 con una grossa novità rispetto ai precedenti lavori. Infatti fu in questo disco che vennero inserite per la prima volta le tastiere che modificarono un po’ il sound della band. Le sonorità sono sempre più rivolte ad un post-punk elaborato tanto da sembrare, a volte, una sorta di marcia funebre che fa da sfondo ai testi. Infatti, rispetto all’esordio qui, il sound diventa più oscuro e tetro, quasi ad anticipare alcuni momenti anche sociali che verranno in seguito. L’apertura di Seventeen Seconds affidata al brano A Reflection è già un’anticipazione della nuova linea musicale e compositiva dei The Cure grazie all’uniformità della linea chitarristica ed alle melodie che sono calde, sostenute da un sintetizzatore d’alto rango oltre che da un basso che sa il fatto suo in termini di cucitura. Dal punto di vista lirico, invece, questo brano si avvicina molto di più ai temi trattati in Three Imaginary Boys e molto più romantici rispetto agli altri presenti in questo Seventeen Seconds. Qui i flussi strumentali che si sviluppano sono molto diversi in rapporto ai testi che risultano piccoli e non influiscono, comunque, sulla profondità delle liriche e della composizione dell’album in generale.

Play For Today, con la sua linea musicale, ci introduce invece in questo nuovo sound che i Cure incarnano, grazie al vertiginoso taglio post e ad un punk oscuro che viene ancora accentuato dalla voce tetra e teatrale di Robert Smith. Con il successivo Secrets, invece, si ha un rallentamento nel ritmo dell’album con una costruzione del pezzo che contiene una bellissima traccia di basso ed irresistibili manipolazioni di chitarra. A tutto ciò si aggiunge poi un pianoforte mantenuto su sonorità drammatiche, quasi un biglietto da visita della band. Ma le sorprese non sono destinate a finire perché questo, a dispetto di quanto scrivono in tanti, per noi è il vero album dei The Cure. A questo punto del CD giunge la fantastica In Your House che porta ad accomunare questo pezzo ad uno dei tanti a firma Cobain mentre con Three si viene catapultati su uno stile più elettronico, quasi sperimentale, e comunque d’atmosfera grazie al campionamento dei suoni in studio. Con The Final Sound, anche questa traccia dalla marcata oscurità, si tocca uno degli apici del sound dei The Cure, una sorta di introduzione a quello che è il brano successivo, A Forest, il vero apice di Seventeen Seconds che mette in mostra quello che sarà il futuro della band con una chitarra che è ancora una volta il centro di tutto il suono.

Ma ci sono anche esperimenti sonori oltre ad un post-punk costruito alla perfezione e che completano la bellezza di quest’album. Seventeen Seconds ha un approccio che si avvicina molto ai successivi Faith del 1981 e Pornography del 1982, ma sinceramente qui ci sono pezzi più alla portata di tutti, anche di coloro che non sono mai stati e mai saranno estimatori dei The Cure o di quel gothic rock di cui i la band di Smith ne sono una parte importante. Seventeen Seconds apre ipoteticamente quella che è considerata la trilogia di ghiaccio dei The Cure che comprende gli album pubblicati in successione quali Seventeen Seconds, Faith e Pornography, un po’ come quella trilogia berlinese, forse più famosa, composta da David Bowie. Di sicuro, di questa trilogia oscura, Seventeen Seconds, è l’album più accattivante per gli estimatori della band inglese, quello con sonorità che influenzeranno il sound definitivo dei The Cure, una formazione che sta al centro di altri gruppi del periodo come i Siouxsie And The Banshees, Joy Division, Echo And The Bunnymen. Ora ai posteri l’ardua sentenza.

Autore: The Cure Titolo Album: Seventeen Seconds
Anno: 1980 Casa Discografica: Fiction Records
Genere musicale: Post-Punk, Gothic Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.thecure.com
Membri band:
Robert Smith – chitarra, voce
Matthieu Hartley – tastiere
Laurence Tolhurst – batteria
Simon Gallup – basso
Tracklist:
1. A Reflection
2. Play For Today
3. Secrets
4. In Your House
5. Three
6. The Final Sound
7. A Forest
8. M
9. At Night
10. Seventeen Seconds
Category : Recensioni
Tags : The Cure
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16th Gen2019

Ghostheart Nebula – Reveries

by Marcello Zinno
Potente e affascinante è la musica dei Ghostheart Nebula, una band che si presenta come una doom metal band ma a cui questa etichetta sta sicuramente stretta. Avant-garde, ambient, musica orchestrale…ci sono tantissimi strati sotto la pelle di questo trio che ci appare al contrario come un combo numeroso di validi condottieri, un esercito dalle tante armi, pronto a sferzare l’attacco. Elegy Of The Fall ad esempio sembra influenzato dal post-metal seppur con quel growling che caratterizza il sound Ghostheart Nebula, molti ingredienti sono pescati dalla scena depressive metal di decenni fa ma portati ad uno status attuale grazie ad una produzione davvero all’altezza; l’opener invece è un pezzo che ti avvolge e ti porta in un’altra dimensione, con dei suoni freddi come il ghiaccio. Forse in alcuni passaggi le trame sono un po’ troppo diluite ma gli spazi strumentali sono utili a creare pathos fino all’esplosione elettrica; un’alternatsi di costruzioni potremo dire celtiche seppur vestite in maniera orchestrale (ascoltare A.R.T.E.) e metal incisivo ma mai veloce che marchia a fuoco lo stile della band.

Un’arma dei GN è sicuramente la mutevolezza compositiva, si distanziano dai riff doom che si ripetono senza interruzioni, e anzi arricchiscono il profilo compositivo e lo rendono una sorpresa costante anche nei brani che superano gli 8 minuti. Inoltre spesso le loro composizioni sembrano delle piccole colonne sonore per film fantascentifici, habitat in cui a nostro parere i ragazzi si muovono davvero molto bene. Reveries è un EP da ascoltare di notte, a luci spente.

Autore: Ghostheart Nebula Titolo Album: Reveries
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Doom, Avant-garde Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://ghostheartnebula.bandcamp.com/
Membri band:
Maurizio Caverzan – voce
Nick Magister – chitarra, synth, programmazione
Bolthorn – basso
Tracklist:
1. Dissolved
2. Elegy Of The Fall
3. A.R.T.E. (Always Remember Those Eyes)
4. Denialist (feat. Therese Tofting)
Category : Recensioni
Tags : Avant-garde, Nuove uscite
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15th Gen2019

Overmass – Humanalien

by Cristian Danzo
Il ponte di congiunzione ideale tra l’hard rock più spinto dei ’70 ed i primi Iron Maiden si trova proprio in questo disco d’esordio degli Overmass, band proveniente da Chianciano Terme, intitolato Humanalien. Lavoro diretto, senza troppi fronzoli e di una potenza sonora davvero notevole. Ci troviamo di fronte a suoni grezzi, riff possenti ed assoli al fulmicotone, il tutto completato da un uso delle linee vocali particolare. Per due motivi: il primo è che la voce è sempre eterea e come sospesa, il che fa pensare che sia più qualcuno super partes a declamare i testi delle canzoni; il secondo è che le linee vocali non seguono pedissequamente i riff sottostanti, rafforzando il concetto sopra espresso, come se più che un cantato ci si trovi di fronte ad una sorta di narrazione e di messaggio proveniente da dimensioni che non sono quella terrestre. E qui, l’effetto straniante della psichedelia entra subito in gioco, commistionandosi perfettamente alla durezza dell’heavy proposta dalla sezione strumentale. Siamo di fronte ad un nuovo genere? Sicuramente no, ma ci troviamo al cospetto di una band che sembra avere le idee chiare e decise sulla strada da percorrere, in una produzione del tutto personale di vari generi old school riproposti con grande competenza e saggia consapevolezza.

L’unico consiglio che ci sentiamo di dare agli Overmass per il futuro è di limare al meglio i suoni in fase di mix, per avere un impatto sempre tonitruante, heavy e vintage ma ancora più possente che in Humanalien dove i suoni, nonostante la riuscita del lavoro, a volte peccano di una produzione un po’ troppo casereccia che ottunde l’impatto generale. Ottimo disco d’esordio per questi ragazzi. Segnaliamo la presenza di Morby, mitico singer del metallo italiano (Sabotage, Domine) in due pezzi: Graveyard Orbit e The Echo Of Your Last Goodbye.

Autore: Overmass Titolo Album: Humanalien
Anno: 2018 Casa Discografica: B Side Recording
Genere musicale: Heavy Metal, Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://overmass1.bandcamp.com
Membri band:
Giacomo Solla – voce
Alessandro Ceccarelli – chitarra
Federico Mangiavacchi – chitarra
Francesco Rossi – basso
Emanuele Neri – batteria Morby – voce in Graveyard Orbit e The Echo Of Your Last Goodbye
Tracklist:
1. Links To The Past
2. Two Moons
3. Starburst
4. Abduction
5. Graveyard Orbit
6. Elephantisis
7. Smell Of Life
8. The Echo Of Your Last Goodbye
9. Lost On Eris
10. A Little Bit Masochist
11. Evolution Suicide
Category : Recensioni
Tags : Heavy Metal, Nuove uscite
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15th Gen2019

Dirty Sound Magnet – Western Lies

by Marcello Zinno
Spettrale la musica dei Dirty Sound Magnet, un power trio con un sound possente, intricato, caleidoscopico. In Western Lies i ragazzi danno il meglio, sia in fatto di suono che in fatto di creatività: le tracce sono molto variegate, si sente un alone vintage dietro il concepimento dei pattern, sapore che sapientemente resta impresso anche nella parte esecutiva. Momenti ipnotici che si collocherebbero al meglio durante un rave party (Homo Economicus) fanno il pari egregiamente con passaggio da rock settantiano (Cash Cow Superstar) e psichedelico (Eastern Food) in un’escursione musicale che conquista. Ma sotto la pelle dei Dirty Sound Magnet pulsa un sangue profondamente rock, lo dimostra un pezzo come The Poet And His Prophet che salta da Led Zeppelin a The Black Keys (quest’ultimo sicuramente un riferimento importante per il combo) con grande agiatezza. La capacità della band sta proprio nel creare mo(vi)menti contorti, avvolgere le note, distribuirle in maniera non ordinata e come fumo lasciare che tutto inebri i passanti: provate ad ascoltare gli arpeggi continui di A Gutted Dive oppure l’assolo in wah wah della titletrack e capirete a cosa facciamo riferimento e a quale forma (astratta) i ragazzi puntano.

La lunga Ecstasy Of Gold sembra uscita da un album dei The Mars Volta, un viaggio onirico che non lascia intravedere il proprio corso ma, con la grande calma di chi osa comporre brani da 10 minuti, approda alla sperimentazione e stupisce nei diversi passaggi. Merry People al contrario è un passaggio ostile, una melodia procrastinata e confezionata non al meglio per un brano che, pur riempito da arrangiamenti ricchi, non lascia traccia dopo il suo passaggio e suona fuori dal coro. Lo stile dei Dirty Sound Magnet può quindi catalizzare tutte le energie oscure che si muovono nel nostro corpo e dar loro una direzione ma nel caso in cui siate attenti al pentagramma, agli aspetti tecnico-esecutivi del rock o ad una musica più cervellotica e meno emotiva potrete trovare molto poco dietro questo trio.

Autore: Dirty Sound Magnet Titolo Album: Western Lies
Anno: 2017 Casa Discografica: Noisolution
Genere musicale: Psychedelic Rock Voto: 7,25
Tipo: CD Sito web: http://www.dirtysoundmagnet.com/
Membri band:
Maxime Cosandey – batteria
Stavros Dzodzos – chitarra
Marco Mottolini – basso
Tracklist:
1. The Sophisticated Dark Ages (2007-present)
2. Cash Cow Superstar
3. A Gutted Dive
4. Homo Economicus
5. Ecstasy Of God
6. Merry People
7. The Poet And His Prophet
8. Western Lie
9. Eastern Flood
10. My Dolly Bird
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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14th Gen2019

The Byrds – The Notorious Byrd Brothers

by Sara Fabrizi
Il quinto album di The Byrds è così diverso rispetto ai precedenti. Un nuovo sound, l’elettronica, i fiati, il sintetizzatore. Quanto alla sperimentazione di vie inedite avevano già dato in Fifth Dimension, ma rimanendo comunque nell’alveo del folk rock, quello classico. Ora c’è qualcosa più della sperimentazione, c’è un viaggio mentale a tratti allucinato che Mr Crosby intraprende, sostenuto dal virtuosismo chitarristico del solito McGuinn. Orizzonti che si aprono, rilassate visionarie atmosfere lisergiche. Riff di chitarra ed effetti sonori spaziali. Ho l’impressione che il vero Crosby, quello giovane, verace, non si sia mai espresso così a pieno come in The Byrds. In CSN era già adulto, e segnato, e disincantato. Geniale sempre, ma con il carico delle disillusioni della vita. Nei Byrds invece è così puro, così selvaggio, così primordiale. E’ qui che la sua anima ci appare così chiaramente e la sua arte così prepotente. The Notorious Byrd Brothers è certamente l’album dove si dipana appieno il suo estro. Ed è il suo ultimo album con The Byrds. Finito di registrarlo andò via, per diverbi, per lotte di potere con McGuinn. Quest’ultimo così attento alle sperimentazioni e all’elettronica. Crosby pure voleva sperimentare, ma a modo suo, libero di andare e venire dalla sua prima casa, quella del cantautorato folk. Fu l’esclusione di un suo pezzo, Triad, a costargli la dipartenza dai Byrds. Questo outtake costò alla band la perdita di una colonna portante. Roger McGuinn acquista in questo disco un potere sempre maggiore. Partecipa alla scrittura di quasi tutti i brani, con le sue invenzioni regala una freschezza nuova ad un sound che rischiava altrimenti di girare su stesso. E Hillman gli resta fedele, contribuendo alla fase creativa come mai prima. Già pronto ad accompagnarlo nell’avventura country del disco successivo.

The Notorious Byrd Brothers pullula di ballate incantate, ampie, distorte. Il brano di apertura è Artificial Energy, un bel ritmo sostenuto e spazio ai fiati e all’elettronica. A seguire Goin’ Back, con la quale torniamo nell’alveo del rassicurante marchio Byrds. Armonie vocali decise e delicate, 12 corde di un McGuinn particolarmente in forma, un tocco di sonorità orientali. Natural Harmony è un vero capolavoro di sonorità orientali, sintetizzatore e tempi jazz. Draft Morning è di una dolcezza devastante, l’ormai classico jingle jangle di Mc Guinn è innestato su una ballata dal respiro ampio vivacizzata appena da effetti sonori spaziali e da un basso funzionale a riportarci alla calma. Roba da chiudere gli occhi e ritrovare la pace. Subito a seguire la straordinaria Wasn’t Born To Follow, incantevole canzone folk che sa di praterie, di fiumi che scorrono, di immensità, di libertà. Jingle jangle soave, voci sussurrate, armonie vocali perfette, un pizzico di psichedelia orientaleggiante. Per quanto potesse sembrare una formula abusata, qui raggiunge la sua perfezione formale e sostanziale. Inclusa nella soundtrack del film Easy Rider. Semplicemente fa sognare. Get To You è una ballad very delicate, beatlesiana direi, anche dylaniana (Forth Time Around?). Deliziosa.

Change Is Now e Old John Robertson sembrano 2 brani canonici di casa Byrds, belli, impeccabili, curati. In realtà sono distorti e “malati” per gli assoli improvvisati di McGuinn, per una batteria e un basso che cambiano repentinamente tempo e stili. Dal folk, al country, al jazz, all’elettronica. Con naturalezza ed è qui il loro carattere ardito e spregiudicato. Peculiarità che, in misura variabile, ritroviamo in ogni traccia dell’album. Tribal Gathering è proprio crosbyana nel midollo. Scritta con Mc Guinn le cui dodici corde ne strutturano il sound, ma l’anima è di Crosby, se ne avverte l’anarchia. Anticipa, a mio parere, Deja Vu. Dolphine Smile è un po’ la summa delle tre diverse anime della band (Mc Guinn, Crosby, Hillman). Belle percussioni e armonizzazioni vocali che creano atmosfere surreali. Il brano di chiusura è Space Odyssey. Titolo programmatico. Una sorta di requiem intrisa di effetti spaziali. Come a dire che si chiude un’era, ne inizierà una nuova e probabilmente futuristica. Del resto che The Byrds hanno innovato, ponendosi come antesignani di molti generi e sottogeneri a venire, lo sosteniamo fin dall’inizio di questo nostro viaggio nella loro discografia.

Autore: The Byrds Titolo Album: The Notorious Byrd Brothers
Anno: 1968 Casa Discografica: Columbia Records
Genere musicale: Rock, Rock Psichedelico, Country Rock Voto: 9
Tipo: CD Sito web: http://www.thebyrds.com/
Membri band:
Roger McGuinn – chitarra, Moog, voce
David Crosby – chitarra, basso, voce
Chris Hillman – basso, voce, mandolino in Draft Morning
Michael Clarke – batteria sulle tracce 1, 4, 8, 9, 10
Tracklist:
1. Artificial Energy
2. Goin’ Back
3. Natural Harmony
4. Draft Morning
5. Wasn’t Born To Follow
6. Get To You
7. Change Is Now
8. Old John Robertson
9. Tribal Gathering
10. Dolphin’s Smile
11. Space Odissey
Category : Recensioni
Tags : The Byrds
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14th Gen2019

Richard Von Sabeth – The King Of Nothing

by Cristian Danzo
Richard Von Sabeth, all’anagrafe Riccardo Sabetti, leader degli Spiral 69, esordisce in una carriera solista con questa release intitolata The King Of Nothing. Un album che affronta il genere gothic in maniera fresca ed alquanto nuova, non arroccandosi su atmosfere tetre, depresse ed “in minore”, caratteristiche che da sempre contraddistinguono questa corrente musicale sin dalla sua nascita. Certo, non mancano assolutamente i rimandi a suddette caratteristiche sia di stile che di composizione, arricchiti con rimandi anche a mostri sacri di altre correnti (Radiohead, Bowie, Iggy Pop solista). La caratteristica che però salta più vivida e caratterizzante, soprattutto nei pezzi più lenti ed intimi proposti, è questa atmosfera di malinconia “aperta”, nel senso che nella profondità dei testi e dell’interpretazione del Nostro le liriche oscure fanno da contraltare ad arrangiamenti ariosi ed “in maggiore”, che lasciano nell’ascoltatore un senso di speranza sempre dietro l’angolo, come se si guardasse in completa solitudine il mare da una scogliera, in inverno, ricordando eventi brutti del passato con la consapevolezza che, appunto, siano passati e la certezza di potere andare avanti con una rinnovata forza (scusateci la licenza poetica, ma l’unico modo per rendere palpabili le sensazioni suscitate all’ascolto di Kiss Your Darkness o della chiosa di Fall era questo).

Al buon Richard possiamo solo fare l’appunto di avere realizzato un lavoro troppo breve. Quando The King Of Nothing finisce si rimane ad aspettare un altro pezzo e risulta sospeso nel vuoto, come se non ci bastasse quanto assorbito fino a quel momento. Se comunque volete dare una rinfrescata ai vostri timpani con un prodotto nostrano e di altissimo livello, questo album è quello che fa per voi. Ve lo assicuriamo. E ci auguriamo che Richard continui su questa strada sfornando altri nuovi lavori, anche al più presto. Non disdegneremo assolutamente.

Autore: Ricahrd Von Sabeth Titolo Album: The King Of Nothing
Anno: 2018 Casa Discografica: Rehab Records
Genere musicale: Gothic, Dark Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.richardvonsabeth.com
Membri band:
Richard Von Sabeth – voce, chitarra, basso
Enzo Russo – chitarra
Andrea Cannata – batteria
Arcangelo Michele Caso – archi
Tracklist:
1. The King Of Nothing
2. Funeral Party
3. Dance With Ghosts
4. Petrichor
5. Kiss Your Darkness
6. Agony
7. The Taste
8. Death Motel
9. Fall
Category : Recensioni
Tags : Gothic, Nuove uscite
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13th Gen2019

Alibi – Alibi

by Raffaele Astore
Ci troviamo qui di fronte ad un esordio davvero particolare per il sound che gli Alibi sono in grado di scatenare, grazie a quel italico rock che va soltanto apprezzato. E per quanto il suono di questa band possa davvero stravolgere le vostre orecchie, ci sembra che i ragazzi di San Marino abbiano a riferimento sonoro band come Le Vibrazioni ed i Subsonica. Ma ciò è solo apparenza: infatti la loro è una musica dove il rock si esalta in tutta la sua potenza espressiva, oserei dire molto più vicina a band come i mai dimenticati Litfiba, o gli stessi Marlene Kuntz, che nel rock tricolore hanno davvero lasciato una grande impronta. Ritornando a questo esordio, con l’apertura affidata ad un pezzo come Prologo, sembra che da lì a breve ci troveremo in mondi progressive o da space rock mentre, in realtà, si viene catapultati in un rock a tutto spiano dove l’effettistica strumentale e la grande apertura di chitarra ricorda più da vicino l’avvento del grunge. Chi Sono Io è invece un pezzo di rock italico permeato da influenze quasi funk ma che mai si allontana dal pentagramma rock tricolore. Insomma due pezzi che vanno messi a tutto volume se si vuole apprezzare sia la qualità compositiva che il risultato finale affidato per lo più a schitarrate stratosferiche che hanno una sola definizione…potenza.

Atmosfere più calme sono quelle che ci giungono dalla voce di Enrico Evangelisti che si inserisce, con una timbrica ben amalgamata tra percussioni e basso, tanto da far sembrare il tutto un unicum dove anche la chitarra di Zonzini dice la sua senza nessuna invasione di campo, ma sempre in perfetto equilibrio per un sound che riporta a battiti rock ben più conosciuti. Con Lo Straniero l’influenza dei Marlene Kuntz si sente solo all’inizio, poi tutto il resto è una composizione personale della band sammarinese che, con questo album d’esordio, fa già capire di che pasta è fatta. E se Come Me si mantiene sulle stesse linee sonore, l’arrivo in cuffia di Eterno ci porta in territori a noi più consoni, quelli prog, che qui richiamano alcuni momenti dell’ultimo stupendo lavoro dei Syndone che con quel Mysoginia hanno davvero sfornato un concept “unico”. Spirito è invece una cavalcata a tutto tondo dove metal, grunge e rock allo stato puro si incontrano in una miscela esplosiva che induce a saltare…anche se non ti va! Con Accanto A Te la dolcezza viene imbevuta da una chitarra che riporta ad atmosfere alla Negramaro (?!) ma con un certo che di quel Cornell che non guasta mai, mentre Visione è un vero e proprio intermezzo che gioca tra atmosfere progressive e classiche.

Quando si giunge alla decima traccia, Demoni, ci si accorge che questo è il sunto di tutto un percorso che ha fin qui caratterizzato questo disco, un percorso che fa ben capire come la scorrevolezza e l’eleganza rock di questa band è una vera e propria sorpresa che giunge qui in redazione. Alibi è un disco che spinge tra tanti generi che vanno dal rock, al blues, e a tanto crossover che non stanca mai. Ma ora la necessità di ascolti diversi ci pone nella condizione di dire che, comunque, quello appena ascoltato, è anche un disco che si lascerà riascoltare facilmente. E comunque sia gli Alibi arricchiscono ancor più un panorama musicale tricolore sempre in fermento, e se questo è l’esordio…

Autore: Alibi Titolo Album: Alibi
Anno: 2018 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.alibimusica.com/
Membri band:
Enrico Evangelisti – voce, tastiere
Leonardo Canghiari – batteria, percussioni, drum machine
Alessandro Zonzini – chitarra
Riccardo Gasperoni – basso, contrabbasso
Tracklist:
1. Prologo
2. Chi Sono Io
3. Ascoltarci
4. Lo Straniero
5. Come Me
6. Eterno
7. Spirito
8. Accanto A Te
9. Visione
10. Demoni
11. Ombre
12. Catastrofe
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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