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13th Gen2021

Starbynary – Divina Commedia Paradiso

by Raffaele Astore
Apertura di album quasi alla Ted Nugent per un ritorno alle dimenticate origini quando l’hard rock ci copriva, anzi, proiettava i nostri sogni davanti ad uno specchio per suonare una chitarra fantasma. Poi la prima chitarra arrivò davvero, lo studio ed i primi pezzi che erano quelli dei Grand Funk Railroad e degli Humple Pie insieme a qualcuno della P.F.M. fino a quando il crescere non ci portò su altri orizzonti musicali un po’ meno ruvidi. Direte voi, ma che ce ne frega delle tue sensazioni, giusto, ma io sono convinto che molti di voi concorderanno con me che l’apertura di Divina Commedia Paradiso degli Starbynary, ha ereditato molto da quel rock che ascoltavamo in passato. Lo dimostrano i cinque minuti e qualcosa di quell’intro inaspettato dal titolo The Moon che, se in apparenza uno si attendeva di trovarsi nel mare della tranquillità, in realtà è tutto l’opposto per come si è bombardati con quel rock a tutto tondo che questa nostrana band sputa addosso (a me). Ma, al di là di queste iniziali considerazioni, in fase conclusiva bisogna affermare che il viaggio in questo lavoro, pur mantenendosi ben ancorato nel solco di un tosto rock, si rivela anche fantastico e progressivamente equilibrato perché tra fughe, fraseggi strumentali e non, il condensato generale è proprio quello di saper raccontare in “rock” quel Paradiso che Dante seppe descrivere così sapientemente. Se qualcuno poi dovesse dire che la componente progressive in questo disco appare proprio come un granello di grano, beh allora sappia che invece è proprio quella base progressiva a permettere agli Starbynary di calibrare quel giusto rock che non manca di colpire e, colpisce eccome!

Lo stesso discorso di The Moon e di tutti i brani a seguire sono strutturati proprio a mo’ di concept che ci permette di viaggiare con la mente in quell’universo dove i pianeti, le stelle e le galassie sono l’essenza del nostro essere infinitamente piccoli all’interno di un universo che, il paragone ci sta eccome, qui è rappresentato da una musicalità forte, convinta, tosta ma morbida allo stesso tempo. Non conosco però i precedenti album della band per poter dare un complessivo giudizio sulla loro crescita musicale (e per questo me ne faccio una colpa ma mi darò da fare a recuperarli), ma da quello che ho ascoltato devo affermare che se sono in molti a dichiarare la Divina Commedia un capolavoro, anche qui gli undici brani in cui è strutturato il disco degli Starbynary danno sia al testo dantesco che alle composizioni musicali quel connubio perfetto di congiunzione tra letteratura e musica, rock. Qui, nel disco, tra passaggi tosti di power, di rock e prog, ma sempre limpidi e passaggi puliti tutto scivola senza intoppi anzi, tutto è al di sopra di quello che si può aspettare da un genere che pur non essendoci molto affine ci ha davvero entusiasmato. Divina Commedia Paradiso è un album molto concreto e per certi versi anche molto solido, capace di coinvolgere sia chi si avvicina a questo genere per la prima volta che per quelli ormai provati come me da tanti ascolti di tutti i generi; un album che tra semplici melodie, riff chitarristici potenti ed un hard rock avvincente, pone gli Starbynary tra quelle band che fanno rock, anzi power rock e lo costruiscono a mo’ di concept come la migliore tradizione progressive. E mi accorgo solo ora, dopo rilettura di aver dato un voto così tosto a questa band. Sbaglio o mi capita di rado?

Autore: Starbynary Titolo Album: Divina Commedia Paradiso
Anno: 2020 Casa Discografica: Art Gates Records
Genere musicale: Progressive Metal Voto: 8
Tipo: CD Sito: http://www.starbynary.com/
Membri band:
Joe Caggianelli – voce
Luigi Accardo – tastiere
Ralph Salati – chitarra
Sebastiano Zanotto – basso
Alfonso Mocerino – batteria
Tracklist:
1. The Moon
2. Mercury
3. Venus
4. The Sun
5. Mars
6. Jupiter
7. Saturn
8. Stelle Fixae
9. Primum Mobile
10. The Empyrean
11. Stars
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Progressive
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13th Gen2021

Vailixi – A Trip To Venus

by Marcello Zinno
Nuova formazione quella dei Vailixi che giunge all’esordio direttamente con un concept album ispirato ai viaggi spaziali, non a caso i brani dell’album hanno tutti il titolo di un pianeta. Il loro è un heavy metal, a tratti futuristico per il sound scelto per le chitarre ma soprattutto è l’assenza del basso che rende più secca la proposta (seppur un basso avrebbe sicuramente giovato nella completezza del sound). Ma non si tratta di un metal a senso unico: ad ascoltarli più volte si sente nell’aria questo mood quasi stoner, la rotondità dei riff come il loro scorrere fanno pensare a lidi tipici delle lande desertiche americane, molto più del metal. Al tempo stesso la batteria segue in maniera fedele ciò che è costruito dalle due chitarre, come se fosse composto tutto dalla sei corde e la sezione ritmica (più povera, in quanto popolata dalla sola batteria) non può far altro che seguirne la musica (solo in Earth si accenna a qualche pizzico di esuberanza). Il pezzo più metal del lotto per noi è Uranus, brano che mostra i muscoli e un groovy parente a certo alternative metal di scuola statunitense; le linee vocali acquisiscono cattiveria e il tutto sembra più spigoloso di altri momenti (se lo si confronta alla rockettara Mars). Al contrario Saturn, con i suoi riff stoppati, piacerà a chi mastica stoner e post-grunge.

Originale l’artwork, coraggioso il concept, buona la resa complessiva, anche se noi avremo preferito ancora più coraggio nel sound, elementi più di rottura con una proposta più singolare, che magari avrebbe spaccato il pubblico anziché cercare di piacere ad un’audience variegata. E sulla scelta del basso noi pensiamo che vada inserito, anzi forse potrebbe essere proprio quello l’elemento di rottura.

Autore: Vailixi Titolo Album: A Trip To Venus
Anno: 2020 Casa Discografica: B District Music
Genere musicale: Heavy Metal Voto: 6,75
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/vailixiband
Membri band:
Cristiano Tommasini – chitarra
Gianluca Bianco – voce
Matteo Chiarini – batteria
Andrea Veronesi – chitarra
Tracklist:
1. Earth
2. Venus
3. Pluto
4. Uranus
5. Mars
6. Mercury
7. Saturn
8. Jupiter
Category : Recensioni
Tags : Heavy Metal, Nuove uscite
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12th Gen2021

Vic Petrella – Sperimentalist

by Raffaele Astore
Ascoltare il prodotto di questo artista foggiano è un vero e proprio tuffo in quella musica che viaggia tra post-rock, elettronica, ambient ed un certo sperimentalismo sinfonico che a volte ci sembra di accarezzare le note appena uscite da questo CD che ci è giunto e che già dalla copertina si presenta affascinante. Un mini lavoro questo Sperimentalist di soli quattro brani, ma che contiene tanta di quella vitalità sonora da far paura per quanto la stessa è coinvolgente. C’è poi, giusto per non farsi mancare nulla, una tematica attualissima da spingere gli ascoltatori ad una riflessione profonda sui temi che Vittorio ci propone con questo esordio che non è solo musicale, un esordio che a differenza di tanti altri lo si potrebbe definire addirittura “politico”, di quella politica vera dove, il pensiero che vede l’uomo al centro delle riflessioni, è l’uno vero atto politico che ci si possa permettere. Da Red Zone, brano scritto durante la quarantena a cui tutti siamo stati costretti durante il lockdown, a Under The Stars che tratta del nostro essere minuscoli in confronto all’universo con una sonorità unica, ricercata, raffinata, a quella ricerca e realizzazione sonora che giunge con Historia Magistra Vitae che spinge ad una ulteriore riflessione, validissima in questo periodo, e cioè imparare dal passato, dagli errori commessi per salvarsi, una riflessione che di questi tempi tiene banco così come tengono banco le riflessioni su quello che siamo e su dove andremo.

Chiude Nature che vuole essere quella conclusione perfetta di un viaggio in cui tutti gli esseri umani dovrebbero aspirare perché, salvare la natura vuol dire salvare noi stessi, vuol dire salvare l’intera umanità. Vic Petrella stupisce davvero con questo suo esordio fatto di una musicalità che, anche se sembra essere una space suite è invece una musica che prende in testa e nel cuore.

Autore: Vic Petrella Titolo Album: Sperimentalist
Anno: 2020 Casa Discografica: (R)esisto Distribuzione
Genere musicale: Avantgarde, Elettronica Voto: s.v.
Tipo: EP Sito: www.facebook.com/VicPetrella
Membri band:
Vic Petrella
Tracklist:
1. Red Zone
2. Under The Stars
3. Historia Magista Vitae
4. Nature
Category : Recensioni
Tags : Avant-garde, Nuove uscite
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12th Gen2021

Bag Of Snacks – Paper Girls

by Marcello Zinno
Esordio per i Bad Of Snacks, formazione nata da membri di altre line-up punk rock e che esce qui esclusivamente in vinile. 12 brani per 15 minuti di punk rock più o meno accelerato (brani compatti ma soprattutto pezzi molto veloci come la convulsiva I Do, I Can, I Wonder o come Kerry Kross) che però spazia in quanto ad influenze: Sing-A-Long Miho ci riporta a certo proto punk delle origini (le lezioni di Iggy arrivano fino ad oggi), mentre Blondie Sprint richiama certo punk rock novantiano con gli spigoli arrotondati. Paper Girls è un album che ascoltato in cuffia fa godere solo a metà, in realtà è l’ambito live che può trasmettere il vero valore di questo lavoro, il quale, forse per compensare questo “punto debole”, viene dato alle stampe in vinile con un lato B serigrafato dal fumettista Delicatessen (anche perché l’album stesso è ispirato alle eroine del fumetto erotico).

Bella prova, sicuramente rispecchia i canoni del punk rock più incline ad omaggiare le radici punk, così come dovrebbe essere.

Autore: Bag Of Snacks Titolo Album: Paper Girls
Anno: 2020 Casa Discografica: TAC Records, Flamingo Records, ROF Distro Records, Little Mafia Records, SFA Records
Genere musicale: Punk’N’Roll, Punk Rock Voto: 7
Tipo: Vinile Sito web: n.d.
Membri band:
Paolo Merenda
Denny
Rudelph
Tracklist:
1. Bionika
2. Paper Girls
3. Gesebel
4. I Do, I Can, I Wonder
5. Sing-A-Long Miho
6. Come On!
7. Marny Bannister
8. Blondie Sprint
9. Tippy Conte
10. Kerry Kross
11. Kitty Luger
12. Love Song
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite, Punk
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11th Gen2021

Io (Bestia) – Antropocene

by Marcello Zinno
Danno un seguito all’EP di debutto gli Io (Bestia), band dedita ad un hardcore senza remore né timidezze. Eppure la band, ed è questo ciò che piace di più, non propone un genere univoco e unidirezionale, piuttosto inserisce diverse sfumature e cambi di rotta per arricchire il proprio sound, perché per il quartetto importante è il messaggio prima che l’aderenza ad una scena (intesa come suoni e genere musicale). Così si va dalla stoppata e cadenzata Alibi al post-hardcore di Limite, passando per l’anthem Italia quasi da comizio politico, il crossover quasi RATM di Notte Nera e il metal di Disimpegno Distruttivo e di Cambia Faccia. Il cuore dell’album però è l’hardcore, quello grezzo e spinto: è su quel territorio che la band si gioca le proprie carte, lì sa come muoversi e colloca la maggior parte dei brani di questo Antropocene (nessuna traccia raggiunge i 3 minuti) che punta dritto in pieno volto (o fianco se siamo in sede live). Su questo fronte citiamo Terza Realtà che ci ha riportato alla memoria i Cripple Bastards e Rabbia in cui coerentemente le parti vocali svettano per la loro irruenza.

Gli amanti del genere apprezzeranno molto questo album, soprattutto chi tra loro apprezza band che si muovono liberamente all’interno di schemi noti senza timore di scostarsi da questi.

Autore: Io (Bestia) Titolo Album: Antropocene
Anno: 2020 Casa Discografica: Epidemic Records
Genere musicale: Hardcore Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/iobestiahc/
Membri band:
Eddy – voce
Umbe – chitarra
Fausto – basso
Emy – batteria
Tracklist:
1. Antropocene
2. Alibi
3. Limite
4. Rabbia
5. Italia
6. Disordine
7. Acque Amare
8. Notte Nera
9. Non C’é Più
10. Terza Realtà
11. Disimpegno Distruttivo
12. Cambia Faccia
13. Lurido
Category : Recensioni
Tags : Hardcore, Nuove uscite
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10th Gen2021

Fu Manchu – The Action Is Go

by Marco Pisano
Il quarto capitolo della saga stoner targata Fu Manchu, The Action Is Go, può essere considerato a pieno titolo uno dei capolavori della discografia della band californiana, una delle vette più alte mai raggiunte nella produzione artistica e musicale dalla compagine americana. A mio modesto parere, quest’album può tranquillamente entrare a far parte di un’ipotetica top 50 dei migliori album metal degli anni 90 ed essere elevato a pietra miliare della fase di maturazione e di definitiva consacrazione dello stoner. I Nostri, capitanati dal buon Scott Hill, in questo lavoro riescono ad esprimersi ad altissimi livelli, portando lo stoner ad un livello di maturazione e di qualità stilistica decisamente elevati. Da segnalare la presenza dietro le pelli, di un autentico mostro sacro del genere, Mr. Brant Bjork, che era fuoriuscito dai Kyuss appena qualche anno prima. La sua presenza si percepisce eccome, donando al sound già tirato e potente dei Fu Manchu, una spinta extra, un boost degno di un jet in fase di decollo.

Le trame chitarristiche alternano sapientemente momenti lisergici e psichedelici, a momenti decisamente tirati e indiavolati, quasi di stampo hc, fungendo da perfetto contraltare alla voce stridula di Hill e alla sezione ritmica compatta, potente e inarrestabile di Bjork e Davis. Consigliatissimo per gli amanti dello stoner, dei Fu Manchu, ma anche per coloro che vogliono avvicinarsi per la prima volta a questo genere o alla produzione della band californiana. Immancabile nella collezione dei patiti del genere. Classico.

Autore: Fu Manchu Titolo Album: The Action Is Go
Anno: 1997 Casa Discografica: Mammoth Records
Genere musicale: Stoner Voto: 8,5
Tipo: CD Sito web: https://fu-manchu.com
Membri band:
Scott Hill – voce, chitarra
Bob Balch– chitarra
Brad Davis – basso, theremin
Brant Bjork – batteria
Jay Noel Yuenger – organo, minimoog
Tracklist:
1. Evil Eye
2. Urethane
3. Action Is Go
4. Burning Road
5. Guardrail
6. Anodizer
7. Trackside Hoax
8. Unknown World
9. Laserbl’ast!
10. Hogwash
11. Grendel Snowman
12. Strolling Astronomer
13. Saturn III
14. Nothing Done
Category : Recensioni
Tags : Stoner
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09th Gen2021

Camel – The Single Factor

by Fabio Loffredo
Nude è un ottimo album, certo un po’ lontano dai Camel degli anni 70 ma ricco di momenti strumentali e melodici notevoli. Non è accolto molto bene da pubblico e critica, Andrew Latimer rimane solo e insieme alla label decide di continuare ugualmente contornandosi di vari musicisti e turnisti tra cui Anthony Phillips, il primo chitarrista dei Genesis. Esce così The Single Factor con brani che vogliono arrivare ad un pubblico più di massa, brani più commerciali. Ma il grande songwriting di Latimer non permette nemmeno questo, perché i brani sono più dal gusto pop, ma di quel pop colto e sempre con influenze progressive, con il forte sound marcato Camel. Il risultato è che The Single Factor è sicuramente l’album meno interessante dei Camel, ma sempre un album di alto livello. No Easy Answer è un brano molto commerciale e radiofonico ma ci sono sempre quelle linee melodiche che appartengono ormai al sound dei Camel, ma il progressive arriva con You Are The One e ancora di più con Heroes, brano quest’ultimo dalle sonorità molto atmosferiche e tastieristiche; in Selva la chitarra di Latimer si sintonizza con un sound molto vicino a David Gilmour e ai Pink Floyd per uno strumentale che affascina.

Lullabye è una breve song con delicate armonie create dal suono di un pianoforte dai toni molto romantici e il sound dei Camel ritorna nell’ottima Sasquatch, strumentale più vivace e ritmato con la chitarra di Latimer in primo piano e creatrice di fraseggi avvolgenti; Manic, altra song molto trascinante, dai toni barocchi e progressive rock più fruibile, commerciale ma di alti livelli. Gli ultimi quattro brani sono Camelogue, con le sue atmosfere fluide e commerciali ma con un fascinoso guitar work, Today’s Goodbye, dalle avvolgenti armonie vocali e infine A Heart’s Desire e End Peace, due brani uniti fra loro e che delineano melodie nostalgiche e malinconiche e con la chitarra di Latimer che sa come incantare chi ascolta.

I Camel, oramai la band del solo Andrew Latimer, continueranno il loro cammino fatto di alti e bassi ma continueranno a contribuire nello scrivere altre belle pagine del progressive rock.

Autore: Camel Titolo Album: The Single Factor
Anno: 1982 Casa Discografica: Gama, Decca Records
Genere musicale: Progressive Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.camelproductions.com
Membri band:
Andrew Latimer – chitarra, pianoforte, tastiere, mellotron, organo, basso, voce
David Paton – basso, cori, voce
Chris Rainbow – voce
Anthony Phillips – organo, pianoforte, polymoog, ARP 2600, marimba, chitarra
Graham Jarvis – batteria
Peter Bardens – organo, minimoog
Haydn Bendall – synth
Duncan Mackay – synth
Francis Monkman – synclavier
Dave Mattacks – batteria
Simon Phillips – batteria
Tristan Fry – glockenspiel
Jack Emblow – fisarmonica
Tracklist:
1. No Easy Answer
2. You Are The One
3. Heroes
4. Selva
5. Lullabye
6. Sasquatch
7. Manic
8. Camelogue
9. Today’s Goodbye
10. A Heart’s Desire
11. End Peace
Category : Recensioni
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09th Gen2021

Hola La Poyana – A Long Cold Summer

by Marcello Zinno
Sono trascorsi diversi anni dall’album Tiny Collection Of Songs About Problems Relating To The Opposite Sex (di cui avevamo parlato qui) e si sentono tutti. È sparito il punto esclamativo nel moniker di questa band? Quello è il meno, perché il progetto Hola La Poyana si è arricchito, stratificato, ha deciso di vestire abiti diversi ed uscire dall’angusta stanza del rock acustico (si legga la recensione prima citata) pur facendolo con delle idee di base coerenti rispetto al progetto iniziale (il blues reiterativo di Like A Modern Jesus Christ). Dicevamo arricchito, perché qui le idee sono indubbiamente più numerose, Grab Those Monsters And Kill’em All inserisce effetti e un mood groovy che esce piacevolmente fuori dal seminato, sensazione che si prolunga nella estiva Being The Odd One Out, piacevole come un bicchiere ghiacciato nel pieno di agosto.

Più che gli strumenti elettrici (elemento inequivocabile) è la sperimentazione che si aggiunge alla ricetta, la voglia di esplorare; proprio l’EP si chiude con una Before You Leave che sa di psichedelia e annuncia (forse) la direzione ben più intricata del progetto nel prossimo futuro. Una direzione che potrebbe essere molto interessante (sax impazzito docet).

Autore: Hola La Poyana Titolo Album: A Long Cold Summer
Anno: 2020 Casa Discografica: Hopetone Records, Le Officine
Genere musicale: Sperimentale Voto: s.v.
Tipo: EP Sito web: https://www.facebook.com/HolalaPoyana
Membri band:
Raffaele Badas – voce, chitarra, basso, batteria, xilofono
Andrea Cherchi – synth, chitarra
Simone Sedda – synth, percussioni
Marina Cristofalo – basso
Matteo Leone – percussioni, banjo
Gianmarco Cireddu – violino
Rigolò – sax, batteria, cello
Tracklist:
1. Your Past Doesn’t Mean A Thing
2. Like A Modern Jesus Christ
3. Grab Those Monsters And Kill’em All
4. Being The Odd One Out
5. Before You Leave (featuring Rigolò)
Category : Recensioni
Tags : Nuove uscite
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08th Gen2021

Vanadium – Corruption Of Innocence

by Giancarlo Amitrano
Qualunque gruppo musicale, di ogni levatura o portata, ad un certo punto della sua carriera giunge alla fatidica decisione: proseguire sulla falsariga di quanto fatto in precedenza, gratificato dal successo e dalla notorietà, o tentare invece di modificare il proprio stile per dimostrare a sé stesso di poter percorrere altre strade con il medesimo impatto? Nel caso dei Nostri, il momento clou arriva proprio con questo lenght: pur non tralasciando del tutto gli stilemi sinora tanto cari ed amati da fan e critica, il quintetto meneghino tenta la grande svolta strizzando l’occhiolino verso sonoritaà addirittura simil-pop! Gioca molto anche la scelta di affidarsi a Jim Faraci dietro la consolle: già reduce dai successi con band quali ad esempio Lizzy Borden e specialmente Poison, l’affermato producer importa il suo sound molto vicino all’hair-metal all’epoca imperante, snaturando forse la natura belluina e selvaggia della band nostrana, pur tenendo di base gli affermati canoni hard e metal. Si inizia dunque con Backbone Of Society e si nota subito l’appiattimento delle sonorità che la produzione ha apportato: anzitutto, il drumming del buon Mascheroni pare molto ritoccato verso il basso, con le battute che parrebbero addirittura “campionate” in alcuni passaggi, mentre ancora l’ottimo Scotto non si lascia contaminare da quanto detto e procede spedito verso le sue enunciazioni a tutto tondo, laddove le incantate tastiere di Zanolini creano un sottofondo molto yankee e l’ascia di Tessarin si tiene stranamente in sordina, salvo poi esibire il consueto buon solo, rafforzato da inattesi e corposi background vocali.

Down And Out riprende la barra della compattezza sonora, pur con la produzione patinata di cui sopra, stavolta il brano scorre più deciso e veloce, grazie al buon cantato che il perfetto inglese rende ancora più fruibile: la buona sezione ritmica non perde un colpo e consente alla sei corde di sferrare, stavolta, il rude assalto che un’ascia di spessore deve rilasciare, con ancora i tasti incantati a fornire una valida eco ad un brano rilevante. Con Gimme So Much esordisce una notevole linea di basso che fornisce il destro alla voce potente del sapiente singer campano, qui accompagnata con solerzia dalle ovvie ed immancabili tastiere, nonché da battute potenti e precise del drummer e dalla sei corde di Tessarin, ancora pronta ed impeccabile nella sua esecuzione solista, qui molto “guitar-hero”, che certo non dispiace ascoltare. Corrupted Innocence intriga per la slide iniziale, che si tramuta in fretta in ascia rovente e mortifera: la velocità del brano è quella ideale e consona alla band, che consente al singer di estendere bene i propri vocalizzi senza inficiare la qualità della musica. Le continue svisate di Tessarin paiono voler erompere da un momento all’altro, cosa che puntualmente si verifica dopo il secondo refrain ed una preparazione magica di Zanolini, il risultato è una traccia solida e decisa.

Winds Of Destruction vede ancora il duo Tessarin/Zanolini alla cloche di comando: tasti e chitarra fanno da validissimi paggetti (nel senso nobile e storico del termine) all’ugola magica di Pino Scotto che non si lascia pregare nel consegnarsi con la medesima potenza alla esibizione di forza del suddetto duo, mentre gli altri non stano certo a guardare, fornendo anzi con maestria il loro contributo anche di coro a supporto del ritornello molto intrigante. Ci godiamo, nel frattempo, un altro solo a cinque stelle di Steve “Yngwie” Tessarin che delizia il tutto. Talk Of The Town è un uragano sonoro sin dalla partenza: Zanolini che massacra piacevolmente la sua tastiera, un basso rutilante, il drumming inferocito e soprattutto una voce atomica che pare uscita dalle più prestigiose fucine metalliche dei migliori cantieri edili; si assiste quindi ad una cavalcata metallicissima, che l’ascia conduce per mano attraverso vari cambi di tempo che non influenzano il pregio complessivo della traccia. Ancora una pregiata semiacustica ad introdurre Images ed è subito una simil ballad con i controfiocchi: il rallentato ritmo consente al canto di essere sciolto e fluido, con chiarezza e nettezza di esecuzione, grazie anche al solido lavoro delle tastiere ben articolate, che accompagnano la pregiata ascia qui abile nella doppia funzione ritmico-solista. Ma d’altronde non possiamo certo meravigliarci della performance di una band che nello stesso anno avrà l’onore di partecipare alla storica metal-compilation italiana Metalmaniac, senza assolutamente sfigurare accanto a colossi quali Sabotage e Strana Officina.

Ancora ritmi serrati con Dangerous Game, con la batteria in primo piano e le tastiere di Zanolini a svolgere un ruolo di primissimo piano nell’esecuzione di tutta la parte ritmica a supporto del cantato: come detto in premessa, tuttavia, è sempre la produzione a non far risaltare completamente il pur valido e solido lavoro del quintetto, che da parte sua guadagna eccome la pagnotta; basti ascoltare ancora un solo da urlo di Tessarin per gradire il tutto, oltre ad un intrigante refrain che convince sino in fondo. Si chiude con Over The Limit che la band ha ampiamente superato nella esecuzione dell’album: Zanolini accompagna ancora da par suo il super vocione di Pino Scotto, mentre la sei corde non lesina arpeggi interessanti che sfociano nel meritato assolo: la traccia risulta interessante anche per il corposo coro che viene intromesso a rafforzare la già stentorea voce del singer che conduce la band a tana da par suo anche in questo frangente, pur penalizzato come detto da una produzione non proprio impeccabile, che non sminuisce tuttavia il valore dei Nostri.

Autore: Vanadium Titolo Album: Corruption Of Innocence
Anno: 1987 Casa Discografica:Durium
Genere musicale: Hard Rock Voto: 6
Tipo: CD Sito web: www.vanadium.it
Membri Band:
Pino Scotto – voce
Steve Tessarin – chitarra
Ruggero Zanolini – tastiere
Mimmo Prantera – basso
Lio Mascheroni – batteria
Tracklist:
1. Backbone Of Society
2. Down And Out
3. Gimme So Much
4. Corrupted Innocence
5. Winds Of Destructions
6. Talk Of The Town
7. Images
8. Dangerous Game
9. Over The Limit
Category : Recensioni
Tags : Vanadium
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08th Gen2021

Constraint – Tides Of Entropy

by Marcello Zinno
I Constraint sono una band tutta tricolore ma che propone un sound dal buon potenziale nei paesi del Nord Europa e negli States. Presentata come una symphonic metal band, il loro secondo album Tides Of Entropy pone due accenti fondamentali. Il primo è la personalità della vocalist Beatrice Bini che ci coinvolge nell’ascolto date le tonalità molto alte e la eccelsa pulizia, ma non ci stupisce visto che la presenza di un’ottima singer nella scena sinfonica è quasi un must; il secondo è la componente musicale che è capace di inglobare influenze progressive anziché puntare sui triti e ritriti riffoni metal a cui già troppe formazioni ci hanno abituato. Certo non mancano pezzi in cui voce e sei corde la fanno da padroni reggendo per intero la componente compositiva (Golden Threads), ma i ragazzi sanno esprimersi anche dal punto di vista strumentale e raggiungere un metal più variegato del solito copione ascoltato da band metal con voce femminile. Basta ascoltare Eerie Euphoria e Omniscient Oblivion (due dei più bei brani dell’album) per comprendere che questo sestetto musicalmente possiede diverse carte nel proprio manico capaci di giocare una partita a livello continentale più che nazionale. Lo stile andrebbe a nostro parere personalizzato ulteriormente ma le basi sono evidenti e gli amanti del prog metal sinfonico troveranno diversi momenti appaganti in questo Tides Of Entropy.

È qui secondo noi che i Constraint si giocano il loro futuro: se intendono perseguire lo stile di brani come Broken Threads, un metal sinfonico duro e puro, si scontreranno contro un’inflazione poderosa e sarà difficile per loro emergere; se al contrario valorizzeranno le componenti prog magari rendendo ancora più particolari le proprie idee, potranno guadagnare una marcia in più e uscire dai confini nazionali per estendere il proprio pubblico.

Autore: Constraint Titolo Album: Tides Of Entropy
Anno: 2020 Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Prog Symphonic Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: https://www.facebook.com/ConstraintOfficial/
Membri band:
Beatrice Bini – voce
Matteo Bonfatti – chitarra
Davide Borghi – violino
Gabriele Masini – basso
Enrico Bulgaro – tastiere
Alessandro Lodesani – batteria
Tracklist:
1. Remanent
2. Einmal Ist Keinmal
3. Golden Threads
4. Eerie Euphoria
5. The Big (B)End
6. Omniscient Oblivion
7. Broken Threads
8. Leben Ist Streben
9. Coercive
Category : Recensioni
Tags : Epic/Symphonic, Nuove uscite
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