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24th Gen2020

Negrita@Teatro Sociale (MN)

by Marco Braghini
A Mantova, in un Teatro Sociale gremito, il 21 gennaio, sono saliti sul palco i Negrita. Con La Teatrale + Reset Celebration continuano i festeggiamenti per i 25 anni di carriera e per il ventennale di Reset, album che rappresentò una svolta nel loro percorso con l’introduzione di una buona dose di elettronica. Questo prodotto discografico riscosse un enorme successo, permise alla band di farsi conoscere dal grande pubblico ed in parte andò a comporre la colonna sonora del film Così È La Vita di Aldo, Giovanni e Giacomo. Dopo il caloroso seguito registrato nel 2019, con l’anno nuovo, i Docs, sono ripartiti con tre date nella loro amata Arezzo, per poi riprendere il viaggio celebrativo. La prima tappa li ha visti approdare nella terra di Virgilio, dove con l’ennesimo sold out hanno trovato ad accoglierli, con entusiasmo, più di 800 fan pronti ad accompagnarli per le oltre due ore di esibizione. Al gruppo va riconosciuto il grosso merito di essere riuscito a spogliare il loro repertorio fino a farne uscire l’anima dalle sonorità più profonde. I brani, rivestiti per l’occasione con abiti semiacustici che calzano a pennello, fanno sfoggio di un’eleganza perfetta per l’intima atmosfera che solo la magia del teatro può donare. Pau coglie l’occasione per rivelare il significato e raccontare l’origine dei pezzi proposti, entra in sintonia con il pubblico ricreando una situazione da salotto dove è la condivisione della musica e dei suoi contenuti a farla da padrone, permettendo così ai presenti di poter assaporare la vera essenza dei Negrita.

Lo spettacolo si apre sulle note di Ho Imparato A Sognare e si sviluppa in una lunga ed azzeccata scaletta fino a concludersi sul ritmo di Gioia Infinita. I brani eseguiti danno vita ad un entusiasmante crossover, grazie alle svariate sonorità ed ai molteplici generi che hanno influenzato i Negrita caratterizzandone la storia e permettendogli di superare i confini convenzionali degli stili musicali. Gli spettatori hanno avuto il piacere di ascoltare grandi successi ma anche alcune chicche meno frequenti nei live. I brani estratti da Reset, come Provo A Difendermi, Mama Maé, Hollywood, Fragile e Transalcolico (concluso con tributo a Vasco inserendo una parte di Vita Spericolata) hanno fatto cantare il Sociale. Non sono state meno apprezzate Il Libro In Una Mano La Bomba Nell’altra, Radio Conga e Malavida In Buenos Aires (Helldorado), Il Giorno Della Verità (Dannato Vivere), Greta (L’uomo Sogna Di Volare) o Hemingway (Radio Zombie), come del resto tutti i pezzi suonati.

Pau, Drigo, Mac, Giacomo Rossetti, Guglielmo Ridolfo Gagliano e Cristiano Dalla Pellegrina si sono resi protagonisti di un ottimo show in una splendida cornice. Gli scettici che si chiedevano se questo tour, confezionato in versione unplugged, fosse all’altezza delle aspettative, possono stare tranquilli: i ragazzi stanno bene, anzi benissimo!

Live del 21 gennaio 2020

Category : Live Report
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13th Gen2020

Overdub Live Joints 02@Barrio’s (MI)

by Marcello Zinno
Secondo appuntamento per il format Overdub Live Joints, nato per idea dell’etichetta Overdub Recordings al fine di creare degli appuntamenti live che possano unire band del proprio roster con formazioni di altre realtà discografiche, in modo da offrire opportunità di promozione incrociata e far crescere la scena emergente tout court. Del primo appuntamento ne avevamo parlato a questa pagina, mentre venerdì scorso abbiamo partecipato (sempre in veste di media partner del format) al secondo appuntamento. Nuova location, Barrio’s di Milano, e altre due band che si sono avvicendate sul palco: Mat Cable (giovane realtà nel roster Alka Record Label) e Laika Nello Spazio, quest’ultimi usciti di recente con l’album Dalla Provincia proprio a firma Overdub.

Lo show si è aperto con l’esibizione dei Mat Cable, power trio nato nel 2013 ma con una formazione riassestata nel 2016 da Raffaele Ferri che tiene le redini del progetto. Una band giovane e molto giovanile che ha dimostrato tanta voglia di spaccare, un ottimo connubio dei due elementi ritmici ha creato una piacevolissima cornice live; dal punto di vista chitarristico la sensazione è stata positiva, un rock sporco ma diretto, non si è mai sentita la sensazione di vuoto (che spesso le formazioni con una sola chitarra hanno), la ricetta ha funzionato. Le linee vocali hanno celato qualche aspetto da migliorare per essere all’altezza del profilo musicale: Raffaele è indubbiamente un chitarrista prima che un cantante e talvolta alcune strofe hanno equiparato i Mat Cable più ad una band emergente che non ad una realtà pronta per spiccare il volo. Ma si tratta di un giudizio tecnico, in quanto il terzetto aveva energia e adrenalina a sufficienza per rendere il live incandescente. Particolare anche il loro stile musicale, non sempre incentrato su di un incedere ritmico veloce, piuttosto su momenti pensati e linee di basso che “uscivano” piacevolmente fuori dal seminato. Con il brano Under My Skin la band ha salutato il pubblico.

I Laika Nello Spazio hanno aperto lo show subito ingranando la quinta: titletrack del nuovo album e all’istante i due bassi (senza alcuna chitarra in line-up) hanno iniziato a ruggire: in particolare quello di Vittorio (Rickenbacker per i primi pezzi) che tendeva a sostituirsi ad una sei corde poggiando meno su strutture ritmiche e più su aspetti melodici (anche se con note perennemente distorte). Il suono, compatto, usciva ad ogni brano e via via che il live proseguiva si sentiva tutto l’odore dei passaggi dark che nell’album sono evidenti ma che non sempre è facile darne forma in sede live. Amaro e crudo, il sound della band ha colpito il pubblico grazie ad un impatto forte: La Scala Di Grigi, Laika Nello Spazio, Spazi Bianchi, Il Cielo Sopra Rho i brani che abbiamo riconosciuto dell’ultimo lavoro e che hanno dimostrato lo spessore artistico e tecnico di questo trio, musicisti che hanno regalato una performance all’altezza della resa su CD (non è cosa così scontata) e che, a parer nostro, si sono dimostrati il perfetto opening act per formazioni come Il Teatro Degli Orrori.

Risultato finale assolutamente positivo per il secondo appuntamento di questo format, l’Overdub Live Joints, che speriamo possa presto dare spazio ad altre formazioni con la medesima qualità artistica ed esecutiva.

Live del 10 gennaio 2020

Category : Live Report
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16th Ott2019

Volbeat+Baroness+Danko Jones@Fabrique (MI)

by Marcello Zinno
Una data segnata in agenda da tanto quella del ritorno in Italia dei Volbeat, stavolta per presentare il nuovo album dal titolo Rewind, Replay, Rebound, uscito lo scorso agosto. Una band che ha visto crescere il suo seguito album dopo album e che ha realmente creato uno zoccolo duro di fan che ad ogni uscita consuma CD (e file mp3) per prepararsi a cantare a squarciagola i brani dal vivo. La location era di tutto rispetto, il Fabrique di Milano, venue che è stata quasi completamente riempita dai fan fin dalla prima ora dell’evento, segno non solo di grande fedeltà ma anche di interesse verso le band di supporto che erano tutt’altro che band di piccola portata.

Ad aprire lo show è toccato ai Danko Jones, band di cui abbiamo potuto assaporare solo le ultime tracce visto che l’orario di inizio concerti indicato sull’evento facebook riportava solo le 21:00 (i Danko Jones si sono esibiti alle 19:00). Pochi brani che hanno dimostrato un grande coinvolgimento dei presenti grazie alla carica adrenalinica che i Danko riescono a trasmettere, al loro hard rock misto a rock’n’roll che acquisisce ancora più forza in sede live. My Little RNR ha chiuso l’esibizione che ci ha fatto rammaricare di non essere arrivati prima. Sigh…

Secondo act sono stati i Baroness, band di tutt’altro genere e con tutt’altro approccio live. Il loro heavy oscuro, a tratti veloce a tratti psichedelico, ha sicuramente segnato un punto di rottura rispetto all’energia dei Danko, questo è stato un punto a sfavore per il risultato finale dell’evento, a nostro parere avrebbero dovuto suonare per primi per poi lasciare il territorio a Danko Jones e Volbeat, formazioni che in fatto di calorie metal hanno pochi rivali. Molti hanno apprezzato il live dei Baroness, e noi tra questi: i musicisti erano molto coinvolti nell’esibizione, la sezione ritmica ha mostrato una compattezza e una caparbia musicale invidiabili grazie a sezioni di batteria molto ricercate e ad una padronanza dello strumento da parte del bassista assolutamente non comune. Le due chitarre di John Dyer Baizley e Gina Gleason hanno fatto il resto zigzagando tra accelerazioni e parti introspettive, alternanza che non è piaciuta a tutti, magari annoiando chi si aspettava un metal più facile da digerire. Momento più emotivo del lotto è stato Shock Me con le sue tastiere anni 80, un brano decisamente ipnotico.

Attesissimi i Volbeat sono saliti sul palco alle 21:30 accompagnati da un boato incredibile e da Born To Raise Hell dei Motörhead e Red Right Hand di Nick Cave & The Bad Seeds in sottofondo. Alle spalle di Micheal Poulsen capeggiava l’imponente batteria di Jon Larsen che ha saputo essere incisivo e preciso, ma chiaramente il protagonista era proprio Mr. Poulsen, con la sua timbrica molto caratteristica (e instancabile!) e il suo riffing d’impatto, aiutato da un Rob Caggiano che non è di certo un chitarrista qualunque (ex-Anthrax). Le prime tracce della setlist hanno visto più adrenalina per l’inizio show che coinvolgimento dei presenti, trattandosi anche di estratti dal nuovo album di recentissima uscita: The Everlasting, Pelvis On Fire hanno scaldato il pubblico, tutti erano chiaramente attentissimi all’esecuzione live ma è dopo che le emozioni hanno preso fuoco. L’attesissima Lola Montez (estratta da un loro album capolavoro, Outlaw Gentlemen & Shady Ladies), Sad Man’s Tongue partita sulle note di Rings Of Fire dell’indimenticato Johnny Cash e Black Rose con la partecipazione in veste di singer di Danko Jones (cantante originario anche del brano inciso nel 2016) hanno elevato a potenza il concerto.

A quel punto i Volbeat sono tornati sul nuovo album con la toccante When We Were Kids per poi proporre Slaytan, pezzo influenzato dagli Slayer per stessa ammissione di Michael e la potentissima Dead By Rising che ha infuocato i presenti cantandola all’unisono; prima della pausa abbiamo apprezza il rock’n’roll di Die To Live, altro brano estratto dalla nuova fatica discografica. Durante l’encore The Devil’s Bleeding Crown e Let It Burn hanno contribuito a tenere alta la carica emotiva, mentre Pool Of Booze, Booze, Booza è stato il vero salto nel passato fino al loro album d’esordio. Il live si è chiuso alle 23:15 dopo che la band ha davvero regalato tutto al suo pubblico e non si è risparmiata nulla. Sicuramente le influenze di Metallica e di parte della scena thrash miste alla tipica cadenza Cash sono enormi nei Volbeat (la voce di Poulsen è l’unica a poter essere paragonata al ruggito di Hetfield in quanto a potenza ed aggressività) ma va detto che i Volbeat hanno creato un movimento proprio e il loro successo è indubbiamente meritato. A parer nostro loro sono i veri eredi dei Metallica del nuovo millennio.

Volbeat setlist:
The Everlasting
Pelvis on Fire
Doc Holliday
Cloud 9
For Evigt
Lola Montez
Sad Man’s Tongue (con Ring of Fire intro)
Black Rose (con Danko Jones)
When We Were Kids
Slaytan
Dead but Rising
Fallen
Die to Live
Seal the Deal
Last Day Under the Sun

Encore:
The Devil’s Bleeding Crown
Leviathan
Let It Burn
Pool of Booze, Booze, Booza
Still Counting

Live del 14 ottobre 2019

Category : Live Report
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10th Ott2019

As I Lay Dying+Chelsea Grin+Unearth+Fit For A King@Magazzini Generali (MI)

by Marcello Zinno
A memoria del sottoscritto era davvero molto tempo che un festival (o anche mini festival) dedicato alle sonorità metalcore non avesse luogo ai Magazzini Generali, location cupa e sufficientemente spaziosa per ospitare i tantissimi (giovani) fan di queste sonorità. Ieri è stata l’occasione perfetta, non solo per festeggiare il ritorno in Italia degli As I Lay Dying (dalle nostre parti 11 mesi fa) ma anche per assistere ad esibizioni di band di primo livello nella scena e che stanno raccogliendo consensi anche nel “vecchio continente”.

Siamo giunti ai Magazzini Generali alle ore 20:00, orario riportato nelle informazioni sull’evento come ora di inizio concerti; purtroppo però non solo i Fit For A King erano già sul palco ma erano giunti già ai brani di chiusura e abbiamo potuto ascoltare solo Tower Of Pain che comunque ha regalato un vigoroso circle pit. Il pubblico, arrivato a fine serata all’incirca a 600-700 presenze, era già numeroso e in trepida attesa degli Unearth, seconda band americana a scaldare il pubblico. Il quintetto ha mostrato tutta la sua professionalità, comprovando i 20 anni di carriera alle spalle anche tramite un Trevor Phipps (cantante) che ha messo in luce la padronanza di palco, voce e pubblico. Uno show da vera band internazionale che ha colpito anche per l’impatto sonoro, ben ancorato al metalcore ma con delle incursioni in un territorio technical che ha ulteriormente rafforzato le loro quotazioni. Zombie Autopilot è stato uno dei momenti che ha acceso la miccia anche di là del palco, con pogo forsennato e sudore che si misurava con il termometro. Ad essere pignoli avrebbero meritato un posto diverso nel bill, ma ciò che importa è la resa finale.

Sui Chelsea Grin avevamo aspettative molto alte, l’ultimo Eternal Nightmare ci aveva positivamente impressionati anche grazie ad una ricetta più vicina al deathcore che non al metalcore internazionale. In sede live non hanno sicuramente deluso il pubblico, che ha dimostrato di essere in forma anche durante la loro esibizione, ma dobbiamo ammettere che la resa in cuffia paradossalmente ci è piaciuta di più. Molto forte l’impatto della sezione ritmica, il suono della chitarra al contrario restava in secondo piano non riuscendo a conferire quella giusta potenza (anche melodica) al sound complessivo; ottimo il contributo del drummer mentre ci aspettavamo qualcosa di più in termini di riff e muro del suono, cosa che ascoltando l’album fuoriesce con una certa evidenza. Lo show si è concluso con la decisa Hostage, brano estratto proprio dall’ultimo lavoro.

Infine hanno preso possesso del palco gli attesissimi As I Lay Dying con uno show assolutamente incendiario. Tim Lambesis, dall’alto del suo fisico possente e delle sue instancabili prestazioni vocali in growling, ha attirato l’attenzione dei presenti; inoltre la giusta alternanza tra parti in growl e le parti clean del bassista Josh Gilbert durante i chorus hanno sottolineato uno degli elementi portanti della proposta degli As I Lay Dying, il binomia che firma molti dei loro successi. Non a caso la maggior parte dei chorus sono stati cantati da gran parte del pubblico presente, il coinvolgimento è stato molto elevato, segno che anche al di qua dell’oceano ci sono molti fan della band americana. Anche i brani dell’ultimo lavoro, Shaped By Fire uscito meno di un mese fa, erano ben noti al pubblico e spesso cantati a squarciagola. Il momento più violento si è presentato senza dubbio con la titletrack che non è riuscita a tenere nessuno fermo. Un’esibizione potente anche nei suoni, un macigno la batteria di Jordan Mancino, coerente all’impatto stilistico della band. Così si è concluso il quadro delle quattro formazioni statunitensi che sono attualmente in tour in Europa e che stanno portando ciascuna nuova linfa alla ormai variegata (e iper popolata) scena metalcore mondiale.

Live del 9 ottobre 2019

Category : Live Report
Tags : Metalcore
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06th Ott2019

Overdub Live Joints 01@TNT Club (MI)

by Marcello Zinno
Venerdì scorso si sono aperti i sipari su questo nuovo format creato dalla Overdub Recordings e chiamato appunto Overdub Live Joints. Un format che per noi è stato un piacere presentare in veste di media partner, ma del quale abbiamo avuto inoltre anche l’onore di aprire in occasione della prima data, il 4 ottobre, presentandolo sul palco del TNT Club. Perché l’iniziativa ci è piaciuta fin da subito? Perché è stata creata da un’etichetta discografica ma non solo per artisti del proprio roster, piuttosto coinvolgendo anche formazioni non sotto contratto con la Overdub al fine di far crescere la scena dal basso. Questo, in un’epoca come quella attuale piena di campanilismo, è un segno che merita davvero tutto il rispetto e la promozione adeguata.

Sul palco del TNT abbiamo trovato innanzitutto i GarageVentiNove, che avevamo già incontrato in occasione del loro showcase per la presentazione di Il Male Banale, ultima loro opera di cui avevamo parlato a questa pagina. Il loro post-punk dalla visione dark ha preso di nuovo forma e, grazie a dei suoni meglio valorizzati dalla location, è arrivato maggiormente ai nostri palati. Lo stile di questo quintetto di musicisti tutt’altro che alle prime armi non è tecnico, piuttosto il loro rock tende a muovere alcune corde emotive, soprattutto per chi ha vissuto la transizione della scena post-punk in quella new wave. Ocean è stato un dei primi brani ad emozionare, con gli arpeggi di chitarra e la voce di Patty che si univano amabilmente, ma anche Kali Yuga è stato un momento di spessore. La fusione tra le linee vocali di Patty e quelle di Brain K sono arrivate con (Precipizio In) Clessidra, altro brano presente nell’ultimo album e momento dal grande pathos in sede live. Davvero valida la sezione ritmica che in brani come Labirinti Silenti ha espresso grandi emozioni ricordandoci formazioni del passato di pari genere; in particolare sul finale Ciccio Nicolamaria ha lasciato le pelli per avvicinarci alla tastiera e, aiutato da una base ritmica preregistrata, ha dato una linfa diversa al sound della band, sottolineando quel profilo new wave che usciva meno nelle altre tracce. In chiusura da segnalare il brano Hannah A..

Dopo i GarageVentiNove hanno preso possesso del palco i The Worst Horse, band molto differente da quella che l’ha preceduta e in grado di dare una sferzata decisamente più dirty rock alla serata. Il loro ultimo album, The Illusionist che avevamo recensito qui uscito per la Karma Conspiracy Records, aveva già dettato le regole del loro sound: un heavy rock che pesca dal grunge stoner pur non disprezzando talvolta tempi rock’n’roll. Così l’incedere è stato dettato anche in sede live, dove la sola chitarra presente ha mantenuto perfettamente salde le redini della band e non ha fatto sentire la mancanza di una componente ritmica durante gli assoli. Il rock è venuto fuori, il quartetto ha mostrato i propri artigli e il TNT si è incendiato a dovere, segno che gli amplificatori hanno avuto di che lavorare. Lo stile vocale di David è sicuramente uno dei fattori distintivi dell’offerta dei The Worst Horse, con la sua voce sporca, molto più prossima alla scena metal, e con un’andatura che tende, volutamente, a masticare alcune parole, in modo da risultare altrettanto rock rispetto al resto della formazione. Questo è il fattore sul quale probabilmente la band può sperimentare ulteriormente trovando una personalità che renda la ricetta più spendibile verso un pubblico ampio.

Ma al di là delle singole impressioni il format si è aperto al meglio e le prospettive per altre date sono delle migliori. Di sicuro ne vedremo delle belle.

Live del 4 ottobre 2019

Category : Live Report
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22nd Lug2019

The Darkness+Noise Pollution+Hangarvain@Carroponte (MI)

by Marcello Zinno
Si preannunciava una giornata incandescente quella di sabato scorso e così è stato, ma il (de)merito non è assolutamente da imputare al meteo, piuttosto all’incredibile live tenutosi al Carroponte di Milano, location tanto amata sia dai rocker che dalle zanzare. Un sistema di controlli all’accesso molto fitto ci ha accolti e, ancora con il sole che puntava sul parco attiguo, siamo entrati nell’area che vedeva già un nutrito gruppo di fan incollati alla transenna. Si sarebbe preannunciato un concerto folto di persone, nonostante il periodo che avrebbe fatto supporre tantissime persone lontano dalla capitale lombarda. Eppure, già davanti agli opener Hangarvain (che abbiamo avuto l’opportunità di intervistare, presto troverete l’intervista sul nostro sito) il pubblico era sotto il palco e attendo allo show che i carismatici 4 hanno messo in scena. La band campana ha infatti deciso di fissare una manciata di date live in questo mese dopo aver da poco ultimato le registrazioni del nuovo album (che uscirà il prossimo autunno) e in vista del prossimo tour che li vedrà impegnati a fine anno. La band ci è sembrata compatta e rodata, lo show si è aperto con un brano tratto dal nuovo album per poi proporre brani dei precedenti lavori: il loro è uno stile fortemente ancorato all’hard blues ma che riesce ad elargire chilate di watt e spaziare da formazioni come i Black Stone Cherry ai Pearl Jam senza far soffrire di labirintite l’ascoltatore. La loro capacità è proprio quella di fondere sonorità apparentemente diverse in un sound senza tempo che negli ultimi anni sta tornando molto in voga (vedi Rival Sons). L’opener dello show è stata un’anticipazione del nuovo album, interessante anche la lenta Father Shoes, live di breve durata ma intenso.

Subito dopo gli Hangarvain sono saliti sul palco gli emiliani Noise Pollution. Qui il sound si è indurito, la vena american rock, già presente nella band che li ha preceduti, si è rimarcata molto di più e il risultato finale è stato un heavy rock a stelle e strisce a cui il pubblico ha risposto bene. L’esibizione è seguita però con un po’ di stanchezza, lo stile della band ci è sembrato un po’ troppo “orizzontale” e si era sempre nell’attesa di un riff o di qualcosa che alzasse l’attenzione, anche le buone Mad e Kill Your Fate non hanno contribuito ad alzare di molto il tiro; rock indubbiamente di impatto ma nulla di diverso rispetto a tante altre formazioni rock (italiane e straniere) che cercano successo oltre i nostri confini. Davvero buono il contributo del bassista (anche seconda voce), congrua la resa scenica del singer che è sceso anche tra il pubblico per l’ultimo brano in scaletta, salvo risalire sul palco per problemi al microfono. L’esibizione si è chiusa con una cover, Whole Lotta Love dei Led Zeppelin, che forse avremo apprezzato di più a metà scaletta, per ravvivare gli animi rock dei presenti.

Alle 22:15 precise i protagonisti della giornata sono saliti sul palco e fin dai primi secondi l’estro, la follia e l’esuberanza scenica dei The Darkness, ma soprattutto di Justin Hawkins, è esplosa come dinamite sul pubblico eccitatissimo. Black Shuck in apertura è stata detonazione allo stato pure ma anche i grandi successi Love Is Only A Feeling e One Way Ticket cantato quest’ultimo da tutti i presenti. Justin è stato come sempre il vero mattatore dello show, con le sue mille esuberanze, le sue illimitate espressioni facciali; basti raccontare che ha chiesto al pubblico di lanciargli degli “shorts” perché aveva sbagliato ad indossare i pantaloni lunghi e accaldati. Dopo una serie di reggiseni piovuti sul palco gli sono arrivati dei pantaloncini zebrati che non ha esitato ad indossare. Qualche pezzo e poi nel silenzio di tutti gli strumenti ha intonato a cappella la strofa di Friday Night, anche questa cantata da tutto il pubblico presente, immancabile anche sul finire l’ingresso di Justin tra la folla sulle spalle di un uomo della security mentre si dilettava in assoli continui. L’impatto scenico del bassista Frankie Poullain, con un suo completo anni 70, e la presenza dietro le pelli di Rufus Taylor (figlio di Roger Taylor dei Queen) non ha distolto di un minimo gli occhi puntati tutti sul singer, non nascondendo egocentrismo ed estro, le due “e” dorate per ogni frontman che si rispetti (e lui ne aveva in quantità infinite). L’adrenalina ha avuto un’impennata nell’encore con Get Your Hands Off My Woman e Love On The Rocks With No Ice a suggellare uno show incandescente, come dicevamo all’inizio, e che ha elargito sorrisi e divertimento.

Setlist The Darkness:

Black Shuck
Growing On Me
Open Fire
Love Is Only A Feeling
One Way Ticket
Barbarian
Southern Trains
Friday Night
Roaring Waters
Givin’ Up
Japanese Prisoner Of Love
Stuck In A Rut
I Believe In A Thing Called Love
Get Your Hands Off My Woman (encore)
Love On The Rocks With No Ice (encore)

Live del 20 luglio 2019

Category : Live Report
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15th Lug2019

Ritmo Tribale+Wolf Theory+Presi Male+Matteo Magni+Thunder Brigade@Villa Tittoni (MB)

by Piero Di Battista
Le serate estive del Parco di Villa Tittoni di Desio sono ormai da anni un appuntamento fisso per chi ama la musica live. Oltre un’ottima organizzazione il programma come sempre è vario e guarda costantemente il panorama musicale a 360°. E come ogni anni, anche l’edizione del 2019 vede una serata dedicata a Carlo Miresse, musicista ma soprattutto ragazzo che a soli 16 anni perse tragicamente la vita. Il programma di quest’anno vede protagonisti diversi artisti suddivisi in due palchi: nello stage B, abbiamo i Thunder Brigade, trio lombardo nato da pochi anni, che da un paio di mesi fa ha pubblicato Spirit Of The Night, debut-album che sta  riscuotendo un discreto successo a livello di critica, da cui i tre Stefano (sì, gli elementi del gruppo hanno in comune di chiamarsi tutti Stefano) propongono alcuni brani, per un set acustico di circa mezz’oretta. Un mini-show per, peccato, pochi presenti, realizzato in una situazione intima e ristretta ma dove la band ha comunque dimostrato di sapersela giocare bene. Bravi. Da rivedere in elettrico. Sempre nello stesso palco secondario abbiamo assistito allo show di Matteo Magni, chitarrista dalle chiare influenze blues ma che non disdegna il supporto di sound più elettronici, e che circa sei mesi fa ha pubblicato il singolo d’esordio Save Yourself. Anche Magni dimostra di saper gestire il palco e di rapportarsi in maniera naturale con il pubblico, dimostrando notevoli capacità tecniche, creando un sound più che apprezzabile. Da seguire.

Ci spostiamo sul palco principale dove, con tutto il rispetto per gli ottimi nomi citati poc’anzi, l’asticella tende ad alzarsi. Ad aprire le danze abbiamo i Presi Male, band della zona che regala circa una mezz’oretta di punk rock molto fine 90’s-primi 2000. I quattro brianzoli realizzano uno show senza infamia e senza lodi. In bocca al lupo. Con buona pace degli ottimi Ritmo Tribale, di cui parleremo a breve, la curiosità della sera sono i Wolf Theory. Di loro abbiamo parlato in passato, in particolare del loro EP Hate & Love, che loro stessi ci hanno presentato anche durante un’intervista. Conosciamo anche il loro background, trattandosi di un gruppo che vede ex-elementi di Mellowtoy ed Exilia, band di rilievo del panorama underground italiano. Ma la vera novità sta nel loro matrimonio con l’elettronica, più precisamente con Ivano Tomba (ex-Php, Mellowtoy e Audrey), meglio conosciuto come Ozzo, che da pochi mesi è entrato nella line-up dei Lupi in qualità di dj-producer. Un set breve ma dove l’apporto di Ozzo è già evidente; sulle doti tecnico-artistiche non ci dilunghiamo, sono note a tutti, ma questo connubio con sonorità elettroniche, trattandosi anche della prima volta dal vivo in questa nuova veste, darà i suoi frutti. La resa live dei pezzi, rivisitati anche con l’apporto del dj è evidente e al limite dell’eccelso. Forse la location non era il contesto adatto, ma i risultati sono più che soddisfacenti. Da rivedere però in un contesto più da piccolo club. Peccato per la breve scaletta (solo cinque brani), ma come ci ha riportato Emi Camellini, cantante dei Wolf Theory, “meglio pochi pezzi ma fatti bene”.

Arriviamo ai Ritmo Tribale. La storia parla per loro quindi non staremo qui a ricordare né chi sono, né l’importanza che hanno avuto nei 90’s sul panorama undergroud italiano, anche perché di questo potrete leggere l’intervista che ci hanno rilasciato poche ore prima di questo concerto. Da 2 anni sono ritornati sulle scene, realizzando diversi concerti per tutta Italia, riscuotendo un notevole successo. Anche in questa occasione non hanno tradito; hanno proposto i singoli usciti recentemente come Le Cose Succedono e Resurrezione Show, ma anche i loro storici cavalli di battaglia come, tra gli altri, Dipendenza, Sogna, L’assoluto, Amara e Oceano, quest’ultima realizzata con la collaborazione sul palco del già citato Emi dei Wolf Theory. La serata volge quindi al suo termine, i presenti si avviano verso l’uscita consapevoli d’aver partecipato a un ottimo evento. Artisti più che validi, location di livello eccelso e, cosa non da poco, il fine benefico della serata. E noi ci rivedremo alla prossima edizione del “Musica Per Carlo”.

Live del 13 luglio 2019

Category : Live Report
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11th Lug2019

dEUS+Divenere@Villa Ada – Roma

by Giuseppe Celano
Alle 21:20 i Divenere sono già in azione per una mezzora di post-rock di buon livello, nulla per cui urlare Eureka sia chiaro, ma abbastanza dinamico da non destare noia. Arriviamo in tempo per le due ultime canzoni. Ne presentano una terza, che dovrebbe sigillare il tutto, ma subito dopo succede qualcosa per cui la band è costretta a scendere dal palco prima del dovuto. Alle 22:20 arrivano i dEUS, gruppo di Anversa che nel 1999 pubblicò The Ideal Crash (il loro disco più conosciuto) fondendo psichedelica con nuove sonorità, spesso stridenti, alternando atmosfere più intime e pacate. Eclettici quanto basta, e ricchi d’influenze dal blues al jazz passando per il (post) rock fino al punk, hanno fatto colpo sui musicofili con un sound del tutto personale e riconoscibile fra molti. Stasera sono in gran spolvero, coinvolgono i presenti incitandoli a interagire ritmicamente con la band mentre eseguono l’intero disco con una performance inattaccabile, fatta di chitarre dissonanti, altissime nell’impianto, e producendo un sound killer che mette d’accordo tutti, anche quelli nelle retrovie che ballando alzano le birre in omaggio allo stato di salute della band. Durante l’ora e mezza sul palco alternano ballad e sezioni più dure sfruttando un crescendo di chitarre intrecciate che si spinge sempre, senza mai oltrepassarlo, fino al limite del fastidio.

Presentano Magdalena supportata da 4 ballerini con delle coreografie così brutte da meritare l’arresto immediato, scivolando poi verso la titletrack seguita dalla traccia preferita (Everybody’s Weird) da Tom Barman che tiene benissimo il palco nonostante un paio di indecisioni vocali nella prima parte dello show. Quando è il momento di Let’s See Who Goes Down First, un attimo prima della conclusiva Dream Sequence #1, se ne escono con “Ladies an gentlemen we’re floating in the space”, citazione raffinata che tira in ballo gli Spiritualized. Quando tutto sembra finito, tornano sul palco chiamati a gran voce dal pubblico per quattro encore, Quatre Mains. Fell Off The Floor, Man, Hotellounge (Be the Death of Me), Roses. Sebbene le aspettative fossero alte, non avremmo mai immaginato di ritrovare i Nostri così a fuoco dopo tutti questi anni. Sono invecchiati molto bene ma quello che stupisce è la capacità di The Ideal Crash di resistere al logorio del tempo. “Find the beauty in the dissonance“…

Live del 9 luglio 2019

Category : Live Report
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03rd Lug2019

Kiss+David Garibaldi@Ippodromo Snai (MI)

by Marcello Zinno
Ultima data italiana. Ultimo tour. I Kiss sono arrivati al fatidico addio alle scene e non a caso hanno intitolato il tour “End Of The Road Tour”. Non ci sono equivoci e, nonostante quanto accaduto ad altre band (Judas Priest, Scorpions, Black Sabbath…) la sensazione è che questo sia davvero il saluto finale ad una band che ha fatto del rock (e del rock’n’roll) la sua bandiera fin dal 1973, anno della nascita del progetto. Dodicesima data dei Kiss in terra italica organizzata dalla Barley Arts che ancora una volta si è dimostrata all’altezza di gestire un evento così mastodontico, una nota negativa per quanto invece riguarda la parte bar visto che 7€ per una birra e 3€ per una bottiglia piccola di acqua (facendo consegnare prima dell’ingresso l’acqua che le persone avevano portato con sé) sono davvero eccessive. L’Ippodromo era gremito, già al nostro arrivo (alle ore 19:00) il pubblico era tantissimo ed è accresciuto molto nell’ora successiva; l’area era completamente piena, un pubblico eterogeneo, di tantissime età diverse, a partire dai 4 anni fino ai 60 (almeno per le persone che abbiamo intravisto noi).

L’opener del live è stato un artista un po’ anomalo: David Garibaldi. Molti si aspettavano un musicista, magari un cantautore, ma in realtà si sono trovati davanti un pittore che con bombolette e vernici dipingeva su tele nere  veri e propri ritratti dei protagonisti del rock e del metal internazionale, partendo da Steven Tyler, passando a Ozzy Osbourne e arrivando ovviamente ai 4 Kiss. Le sue capacità sono indiscusse ma la sua collocazione all’interno di un tour di addio della band più scenografica della Terra è sicuramente opinabile: diciamo che il posto più idoneo di Garibaldi sarebbe stato in un talent o in uno spettacolo di arte visiva…non certo ad un concerto rock! Ma, come ha detto il nostro Cristian Danzo, con tutta probabilità nel tour di addio tutta l’attenzione andava riposta sui Kiss e non era il caso di inserire una band che poteva distogliere il pubblico da loro.

Poche chiacchiere, ore 21:00 e come da copione i Kiss fanno breccia sul palco, un copione che loro conoscono benissimo e che mettono in pratica da anni. Non era il nostro primo concerto di questa fantastica band quindi molte delle loro esuberanze erano a noi già note ma come diciamo spesso “se non lo hai mai fatto, almeno una volta nella vita devi assistere ad un live dei Kiss”. Un peccato quindi per chi non potrà più farlo. Apertura con l’immancabile Detroit Rock City che ha infiammato il pubblico, proposta a parere del sottoscritto leggermente più lenta in termini di bpm ma comunque potente per il suo effetto sul pubblico. Subito dopo Shout It Out Loud e soprattutto Deuce che ci ha riportati ai fasti degli esordi. Fuochi di artificio fin da subito e pannelli al di sopra del palco con mini schermi e luci: effetti incandescenti da show sfarzoso, in classico stile made in USA, come da sempre ci hanno abituati. Say Yeah è stata cantata da tutto il pubblico, aiutata dal maxi schermo e dalla band che ha incitato tutti, i momenti più incandescenti della prima parte della setlist sono stati sicuramente War Machine e Lick It Up; Paul Stanley ha intrattenuto il pubblico con i classici intermezzi dedicati a Milano, a incoraggiare parti di pubblico ad urlare più forte e mettere in luca la sua voce, da sempre particolarissima. Immancabili Cold Gin e God Of Thunder con lo spettacolo horror di Gene Simmons che si è portato in cima alla struttura del palco, a circa 20 metri da terra, stavolta su uno degli schermi che i è tramutato in piattaforma (non con l’imbracatura usata qualche anno fa). Instancabili, i Kiss hanno eseguito tutta la set list senza grosse pause: con Love Gun, Paul come di consueto si è fatto trasportare dalla “liana” fino alla piattaforma centrale dell’arena, incitando il pubblico a cantare. Anche la storica I Was Made For Lovin’ You è stata eseguita lì, con in pratica tutto il pubblico che cantava strofa e ritornello. Sul finale spazio al batterista Eric Singer che ha cantato Black Diamond e Beth (intervallati da una brevissima pausa) e sul finire l’attesissima Rock And Roll All Nite con tanto di coriandoli e ambientazione da party. Un party che ci ha emozionato ancora una volta ma che per la prima volta nella nostra vita sentiamo di non poter vivere più, almeno non con loro dal vivo. Grazie Kiss, per tutto quello che avete regalato al rock.

Setlist Kiss:

Detroit Rock City

Shout It Out Loud

Deuce

Say Yeah

I Love It Loud

Heaven’s On Fire

War Machine

Lick It Up

Calling Dr. Love

100.000 Years

Cold Gin

God Of Thunder

Psycho Circus

Let Me Go, Rock’n’roll

Love Gun

I Was Made For Lovin’ You

Black Diamond

Beth

Crazy Crazy Night

Rock And Roll All Nite

Live del 2 luglio 2019

Category : Live Report
Tags : KISS
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12th Giu2019

Medimex 2019@Taranto

by Raffaele Astore
Con l’annuncio del governatore della Puglia, Michele Emiliano, il quale afferma che l’anno prossimo il MEDIMEX 2020 si svolgersi tra Taranto e Brindisi, si chiude uno dei festival più famosi d’Italia, e non solo, una manifestazione unica che a Taranto ha visto sul palco nomi illustri del panorama rock quali Patti Smith, Liam Gallagher, Cigarettes After Sex, Editors e tanto altro. Taranto, pausa lavori in corso, seduto a godermi il fresco in giornate già “africane” per il caldo, in attesa di visitare la mostra su Woodstock con le foto di Baron Wolman e Donald Silverstein a cura di Ono Arte Contemporanea, e quella sugli Oasis a cura di Puglia Rock, sgranocchiando qualcosa e cercando di dissetarmi per il caldo torrido che non dà pace, guardo online il programma del Medimex per capire, in attesa del concerto di Patti Smith, dove andare. In mattinata avevo assistito ad uno degli incontri d’autore, programmati all’interno della rassegna, con Riccardo Bertoncelli, uno degli scrittori più importanti del nostro panorama rock, che aveva presentato il suo ultimo lavoro in ordine di tempo 1969. Storia di un favoloso anno rock da Abbey Road a Woodstock. Bertoncelli disquisisce con il giornalista che gli pone domande sui suoi lavori, su Woodstock, sugli artisti che popolarono quell’evento unico, sugli anni d’oro della musica rock, sui Beatles e così via. Nel frattempo, essendo all’aperto, tutti cercano ristoro e frescura, ma nulla di tutto ciò appare all’orizzonte, per fortuna che quando si parla di musica tutti i malanni, anche quelli del torrido caldo scompaiono.

La mia mente corre a quello che è stato questo evento unico nel suo genere, nato in Puglia perché noi siamo terra di creativi non solo d’accoglienza. L’edizione Medimex di quest’anno ha ruotato tutto intorno a Woodstock, a quello che è stato, quello che ha rappresentato e quello che è ormai diventato nella memoria comune. Medimex 2019, già con l’edizione Spring Edition che si è svolta a Foggia ha avuto il suo bel successo con la presenza, insieme a tanti nomi di quel Brian Ferry che per il suo tour mondiale ha toccato Foggia quale unica data italiana, e nonostante lì piovesse in tanti non hanno mancato di esserci facendo registrare circa 25.000 presenza che la dice lunga sul forte impatto che il Medimex ha. Ed anche per il prossimo anno Taranto resterà il punto principale di questa manifestazione che ritornerà ancora più forte con la Spring Edition, prevista dal 19 al 26 aprile 2020 a Brindisi. Un Medimex a cui sembra davvero tanto piacere il mare…così come quel mare che è tanto piaciuto a Patti Smith, vista da tanti passeggiare in spiaggia durante la sua permanenza tarantina. La Puglia è ormai in fatto di musica una delle regioni più importanti non solo nel panorama italiano, ma ha già da tempo oltrepassato i confini con importanti manifestazioni che lasciano il segno. E l’impronta, Medimex, la lascia anno dopo anno, sempre in continuo crescendo, un segno che a volte sembra un sogno perché immaginare una Puglia solo come terra di frontiera è davvero sbagliato; qui la musica non ha confini: tutto è studiato nei minimi dettagli da parte dell’organizzazione, impeccabile, fatta di tanti giovani per i giovani, un cambio di passo anche quest’anno voluto dal Teatro Pubblico Pugliese che si attiva per il reperimento di quei fondi necessari ad organizzare questo mastodontico tir musicale.

Ed i risultati sono tutti lì a rimarcare il successo di questa manifestazione che è alla pari di una Notte Della Taranta, altra manifestazione che ci proietta in tutto il mondo, anzi proietta non solo la Puglia, ma la “salentinità” tutta. Per l’International Festival & Music Conference, il bilancio 2019 è da boom: 80.000 presenze, alberghi e ristoranti esauriti, più di due milioni di contatti su twitter e facebook ma anche instagram, un fermentare di musica che ha avuto il suo clou sul main stage della Rotonda del Lungomare con i Cigarettes After Sex, Editors, Liam Gallagher, Patti Smith e tanti altri nomi. E poi gli incontri d’autore con Frankie Hi-nrg, Franco126, Baron Wolman, Mezzosangue, Ernesto Assante, Piero Pelù, Motta, Beppe Vessicchio e così via. E noi ci siamo stati lì, e non possiamo non dimenticare il concerto finale della sacerdotessa Patti Smith, un pezzo di storia che a discapito della sua età, è ancora come una tigre sul palco della rotonda, un’esibizione che riporta indietro nel tempo e che fa rivivere a tanti ragazzi quell’affascinante periodo musicale che Smith ha percorso anche con la verve della poetessa quale è, della scrittrice a tutto tondo, con una band degna del suo nome che ha sfornato successi anche passati come Walk On The Wilde Side di Lou Reed quando la Smith doveva riposarsi un po’. E non è un caso perché Patti e Lou erano molto amici…ma si sa queste sono glorie del rock, e vedere tanti giovani, che sono anche un po’ nostri figli, che vogliono capire il passato per guardare in modo diverso al futuro è stato davvero bello.

Così come quelle parole che la Smith dal palco ha pronunciato, “I love Puglia, I love Taranto, no dead for cancer”. Insomma, la solita Patti Smith che insieme a tanti altri artisti ha dato lustro a questa edizione del Medimex 2019. E già sappiamo che il prossimo anno il Medimex, come già accaduto quest’anno con Foggia, toccherà Brindisi…… Sempre in pieno Salento! Long Live Rock’n’roll!

4-9 giugno 2019

Category : Live Report
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