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27th Mag2019

Playhard@Mr. Fantasy (MI)

by Marcello Zinno
Al Mr. Fantasy di Buccinasco (MI) abbiamo assistito ad una serata interessante, un omaggio all’hard’n’heavy internazionale tramite una band assolutamente valida e che prima di tutto si è divertita nel ripercorrere le gesta delle stesse band che probabilmente affollano le loro (e le nostre) collezioni personali di CD. Solitamente non diamo molto spazio alle cover band, lo ammettiamo, perché pensiamo che chi compone e propone brani inediti meriti maggiore spazio e voce per farsi conoscere rispetto a chi ripropone i successi di altre band del passato, ma con i Planethard l’eccezione è stata fatta volentieri per una serie di motivi. Innanzitutto perché la band ha assolutamente capacità di scrivere brani inediti senza “fossilizzarsi” solo sul coverizzare hit degli anni 80: è stato dimostrato tramite due brani inediti che, anche se forse un po’ troppo legati allo stile delle band omaggiate, hanno evidenziato un ottimo tiro, un’interessante tecnica e un certo potenziale musicale. Inoltre si tratta di musicisti non alle prime armi, sia da un punto di vista anagrafico che tecnico, musicisti attivi anni addietro, anche accompagnando nomi importanti della scena musicale italiana (Wild Age, Pino Scotto, Love Machine, Scomunica, Myland, Bloody Skizz). Un quartetto che si è collocato su di un livello assolutamente di impatto e che, soprattutto, ha dimostrato di divertirsi nel proporre brani hard’n’heavy, livello di divertimento possibile solo quando si ama questo genere musicale e i Playhard lo amano sul serio. Questo il pubblico lo ha captato.

E così sono stati pescati dal cilindro tutti i nomi importanti che hanno fatto questo genere come Ronnie James Dio, tramite il suo progetto Dio, Rainbow, Whitesnake, ma quello che ci ha colpiti è l’intenzione dimostrata dalla band di “uscire” da questa cornice e proporre anche qualche brano di stampo heavy metal classico, brani targati Saxon (Princess Of The Night) e Judas Priest (Electric Eye). E se le band erano super-conosciute le tracce non lo erano per tutti, nel senso che i Playhard non hanno voluto “giocare facile”, così accanto a pezzi molto noti hanno voluto piazzare brani più ricercati come per il gruppo di David Coverdale per il quale si è scelto sì Here I Go Again ma anche Fool For Your Loving, o per Ronnie James Dio per cui la scelta di Stand Up And Shout era comoda (ma anche eccitante) ma meno lo era la meno popolare Black Masquerade targata Rainbow (periodo White, non Ronnie) o Still Got The Blues di Gary Moore.

Abbiamo sentito la mancanza di qualche pezzo targato Kiss, che sicuramente avrebbe dato ancora più lustro alla setlist, ma in generale siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla resa di questi quattro musicisti che, puntando anche su qualche inedito in più, posso a nostro parere rendere il moniker Playhard ancora più sostanzioso.

Live del 25 maggio 2019

Si ringrazia Katia Paravati per la foto

Category : Live Report
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11th Mag2019

Mondo Generator+Rama+Space Paranoids+Slantop Machines@Caramagna Piemonte (CN)

by Igor Cuvertino
Poche settimane dopo aver offerto una succosa anteprima a pochi chilometri di distanza (Nick Oliveri in tour acustico), il collettivo Last One To Die Crew porta in provincia di Cuneo i Mondo Generator per l’unica data italiana del tour. La pioggia quasi autunnale non scoraggia gli appassionati del trio stoner, che accorrono numerosi come in poche altre occasioni da queste parti. In apertura della serata, in orario proibitivo per un martedi sera, troviamo gli Slantop Machines. Si presentano con tanto di gigantesco banner, divisa di gruppo e pedane dotate di led che riprendono il logo del gruppo. Tutto sembrano tranne che il gruppo di apertura. Ed infatti ci sanno fare parecchio i ragazzi, presentando un alternative rock frizzante e ben fatto, tecnico e di impatto. Consigliati a chiunque abbia occasione di incrociarli in giro.

Seguono gli Space Paranoids, band quasi di casa che propone uno stoner davvero valido che intreccia suoni di oltre oceano con temi legati al territorio, dedicando brani di stampo statunitense al Monviso o alle locali Valli di Lanzo. Visti per la seconda volta e piacciono sempre di più! Poco prima del main event, salgono sul palco i Rama, scafati e chiaramente esperti. Propongono un set quasi continuo e senza interruzioni, mischiando stoner, rock e anche un tocco di psichedelia. Forse meno incisivi e diretti dei precedenti open act, ma molto più ragionati ed articolati. Pagano anche il surriscaldamento del teatro che fa scappare i meno coraggiosi all’esterno a prendere una boccata d’aria, e quindi il pubblico è leggermente più rado.

Salgono senza troppi preamboli i Mondo Generator, si accordano e fanno un rapido check in un clima molto disteso. “We are The Mondo Generator… Nick, Mike, and Jeff”. Ed iniziano con energia travolgente, macinando riff granitici ed incendiando la provincia. La scaletta è serrata e senza troppe pause, parte dai pezzi storici del primo fortunato Cocaine Rodeo fino ad arrivare alle ultime produzioni, percorrendo il passato musicale personale di Nick Oliveri (numerose sono le cover dei Kyuss e dei Queen Of The Stone Age) e presentando anche qualche nuovo pezzo (di stampo decisamente più veloce, quasi HC rispetto ai vecchi). Nick Oliveri è il vero protagonista dello show, un’autentica rock star trapiantata in un ambiente più informale. “Zappa” letteralmente sul suo Fender Precision, urlando instancabile con un’attitudine rock’n’roll che appartiene ad altre generazioni, cresciute negli anni ’80, sbocciate negli anni ’90, e che oggi ancora non si arrendono e non mollano un centimetro.

Il riassunto del concerto sta tutto negli ultimi attimi dove Mike e Jeff si ritirano dal palco dopo una performance instancabile e muscolosa, lasciando Nick matido di sudore ad urlare a cappella il testo di Six Shooter, fino a scendere tra il pubblico ed accasciarsi al suolo lasciando finalmente il microfono al suo fischio. L’ultima immagine è quella di un rocker di altri tempi, sudato, incazzato ed esausto, che fuma una sigaretta guardando la pioggia piemontese, sorridendo però a chi gli chiede timido una foto. Immenso.

Set List:
Molten Universe (Kyuss Cover)
13th Floor
The Last Train
F.Y. I’m Free
Gonna Leave You (QOTSA Cover)
Green Machine (Kyuss Cover)
Love Has Passed Me By (Kyuss Cover)
Listening To The Daze
It’s You I Don’t Believe
Lie Detector
I Never Sleep
Invisible Like The Sky
Up Against The Void
Kyuss Die!
Allen’s Wrench ( Kyuss Cover)
Encore:
Ode To Clarissa ( QOTSA Cover)
You Think I Ain’t Worth A Dollar, But I Feel Like A Millionaire ( QOTSA Cover)
Six Shooter ( QOTSA Cover)

Live dell’8 maggio 2019

Category : Live Report
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08th Apr2019

I 50 dei King Crimson@October Gallery – Londra

by Raffaele Astore
C’era il gotha del progressive rock sabato scorso a Londra, per quelli che cinquant’anni fa cambiarono il mondo della musica, ed eravamo presenti anche noi che abbiamo resistito alle lectiones magistralis di Robert Fripp, David Singleton e Toby Amies. Ma iniziamo dal principio: Robert Fripp, leggiamo dal programma, si riserva due sessioni in apertura, una in mattinata ed una in serata, in chiusura. A lui, chiaramente, il posto principale per presentare l`iniziativa, per introdurre la “lezione” che ci avrebbe sfiancato, neanche fossimo venuti qui come cavie da spolpare ed essere sottoposti ad un tour de force estenuante. E così invece è stato. Mentre Robert parlava del sound dei King Crimson ed in particolare, nella sua introduzione iniziale, di Red, ha iniziato a riferirsi a quelle che sono state le sue ispirazioni, del grande Elvis e di tanti altri. Poi io gli ho ricordato Jimi Hendrix ed ha sorriso spiegandone il perché come si conviene ad un cattedratico. Ma nonostante la grande disposizione ad insegnare, Fripp oltre alla serietà ed all’impegno professionale che lo ha sempre contraddistinto, non ha mai perso il suo humour tipicamente inglese, anzi, ha continuato imperterrito fino a quando dal suo cappello ha iniziato ad estrarre i nomi di alcuni di noi affinché gli ponessimo delle domande.

Un controllo mediatico di tutto e di tutti, anche quando ha concesso il permesso di fotografarlo prendendo tutti in controtempo…infatti, noi fotografavamo lui e lui fotografava noi. Ispirazione frippiana solita di una delle menti più fervide del rock progressive dove i movimenti son oil sal de mar. Un evento stampa a cui hanno preso parte i “grandi” di mezzo mondo, dal The Guardian a Metaltalk, da Rolling Stones alla BBC e così via, e c’eravamo anche noi di RockGarage. Ma non finisce qui ed è giusto che sia stato così perché, da un evento mediatico come questo ci si aspetta anche delle novità che nemmeno a farlo apposta non sono mancate. E vediamole un po’ queste grandi ed importanti novità per il mondo musicale da parte dei King Crimson. David Singleton, manager della band, ha dato l’annuncio ufficiale che il catalogo degli album realizzati in studio dai King Crimson sarà presto lanciato su Spotify e ciò è stato detto proprio in presenza di un’inviata alla conferenza stampa da parte di Spotify. La mossa è stata descritta come parte di un anno di sensibilizzazione per la band. Singleton ha anche affermato che gli album sono pronti per avviare lo streaming in tempo per l’imminente 50° annivanersario di avant-rock. Altra grossa novità, che ormai non ci stupisce perché i King Crimson sono da sempre abituati a mosse “ponderate” dal grande guru Fripp, è quella dell’imminente uscita, prevista per la fine di maggio di un box che comprenderà ventiquattro dischi dal titolo Heaven And Heart, dalla pubblicazione di CD-DVD/A di The ReconstruKtion Of Light e The Power To Believe che conclude, tra l’altro, la serie di eccellenti album della celebre band e proprio nel pieno delle celebrazioni di questi cinquant’anni di attività.

Altra grossa novità riguarda invece i live imminenti che i King Crimson avvieranno e per i quali è stato annunciato il nome Theo Travis noto compositore britannico di musica jazz che si unirà alle tastiere, al flauto, al sassofono ed al clarinetto, e che in passato ha già lavorato con gli Hatfield And The North, Porcupine Tree, John Foxx, Richard Sinclair e tanti altri. Insomma, dal cappello di Robert Fripp, simbolo incontrastato dell’intellettuale e del grande musicista, esempio vivente ed immortale della musica, tante sorprese per gli amanti non solo del Re Cremisi.

Sabato 6 aprile 2019

Category : Live Report
Tags : King Crimson
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04th Apr2019

James Senese – Napoli Centrale@Teatro Dal Verme (MI)

by Cristian Danzo
Ieri al Teatro Dal Verme di Milano si è manifestata la storia. E la leggenda. Proprio così. Non è esagerato definire in questi termini James Senese, uno dei più grandi sassofonisti del mondo ed il più grande(o comunque sul podio di sicuro) d’Italia. Alle 21.11 lui ed i suoi musicisti salgono sul palco di un teatro stipato in praticamente ogni ordine di posto, attaccando subito con un grande groove e quel sound che ha reso James ed i suoi Napoli Centrale così famosi e particolari, proiettandoli nell’olimpo del prog,della fusion e del jazz. Poco dialogo col pubblico e solamente musica che ammalia subito i presenti che si prodigano in grandi ovazioni davanti al suo ipnotico sax, la sua voce profonda e caratteristica ed il resto della band composta da Ernesto Vitolo alle tastiere, Gigi Di Rienzo al basso ed Agostino Marangolo alla batteria. Virtuosismi à gogo, una coesione tra i quattro veramente incredibile ed esecuzioni impeccabili rendono il tutto davvero ottimo e ad altissimi livelli. Incredibile poi l’esecuzione di Viecchie, Mugliere, Muorte e Criaturi, in una versione di una potenza e di una cupezza che scuotono gli astanti e li lasciano a bocca aperta. Non poteva mancare un omaggio all’amico e fratello, come lui stesso lo definisce, Pino Daniele a cui viene dedicata una struggente Chi Teme O’Mare.

Tra classici intramontabili e canzoni soliste, il concerto va avanti per due ore filate perché, come all’entrata sul palco, c’è poco spazio per le parole. Semplicemente qui a parlare è solamente la musica. A 74 anni James è frontman, cantante, sassofonista e trascinatore di una band che non gli fa da mero accompagnamento ma che tesse trame complesse di jazz, fusion, progressive e tradizione partenopea dimostrando a moltissimi giovani che l’età non conta per niente quando ci sono qualità artistiche e professionali di altissimo livello. Si chiude col grande classico Simme Iute e Simme Venute ed Acquaiuò L’Acqua è Fresca in una standing ovation meritata in toto da tutti i musicisti. Unica nota dolente la piaga degli smartphone che ha contagiato tutti e non solo i più giovani. Tra video, dirette Facebook (è così, purtroppo), foto ed altre bizzarrie, si è perso il gusto di apprezzare l’evento e cogliere il momento. La smania di apparire sui social a tutti i costi o di possedere questi maledetti video ieri era ben presente anche in persone di mezza età.

Noi, che siamo old style, siamo tornati a casa con il biglietto nel portafoglio, i ricordi, tanta emozione ed un bel doppio vinile sotto braccio. Aspettando O’ Tiempo, ultima uscita live del buon James Napoli Centrale.

Live del 3 aprile 2019

Category : Live Report
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27th Mar2019

John Mayall+Francesco Piu@Auditorium Parco della Musica – Roma

by Giuseppe Celano
John Mayall, The Godfather of British Blues, festeggia i suoi 85 anni con un tour di supporto al nuovo disco intitolato Nobody Told Me. Stasera tocca anche alla capitale, nella sala dell’Auditorium Parco della Musica. In apertura una piacevole rivelazione che porta il nome di Francesco Piu, il one man band e chitarrista sardo porta sul palco un amalgama esplosiva di blues e rock in chiave acustica. Alle 21.25 John è già sul palco, sorridente, in forma e con la sua solita camicia sbottonata. Sono in quattro, sezione ritmica elastica e propulsiva capace di aprire feritoie in cui s’infila, con prontezza, la fuoriclasse dell’elettrica dai lunghi capelli rossi, impegnata più volte in call and response con lo stesso Mayall che sfoggia una piccola e strana chitarra, dal suono simile a una lap steel suonata da Ry Cooder. La chitarrista è di una bravura imbarazzante, i suoi ingressi sono folgoranti, entra imperiosa sganciando assoli di fine grana scelti con molto gusto, esplosi attraverso un fingerpicking che ricorda il modo energico di strappare le note di Albert King.


Pescano a piene mani dal proprio passato eseguendo anche cover fra cui Early In The Mornin’ (Louis Jordan And His Tympany Five), Nobody’s Fault But Mine (Blind Willie Johnson) e un simpatico siparietto in cui il bassista, partendo da molto lontano, improvvisa sul tema della Pantera Rosa (Henry Mancini) con tanto di supporto teatrale dello stesso John. Segue Gimme One More Day, John passa all’armonica con una mano e con l’altra alla tastiera ma senza tralasciare il canto in cui infila anche una sorta di rappato. A 85 suonati non si capisce dove trovi l’energia per eseguire otto concerti in nove giorni senza un day off, motivo per cui stasera il suo tour manager lo farà suonare quei venti minuti in meno. È innegabile però che il Nostro conservi ancora una voce, senza grossi cedimenti, che si fa ancora sentire e una buona scioltezza nelle dita I Want My Money Back.

Dopo Congo Square arriva l’immancabile uscita di scena prima del doveroso e prevedibile rientro che concede l’unico encore, sigillo di questa piacevole serata all’insegna della pentatonica d’annata.

Live del 26 marzo 2019

Category : Live Report
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03rd Mar2019

Svetlanas+Radio Vudù@Leoncavallo (MI)

by Marcello Zinno
Serata completamente dedicata al punk hardcore quella del 1° marzo scorso, in una location storica di Milano e nota per aver dato spazio a tantissime realtà di genere, il Leoncavallo. Gli Svetlanas, forti della grinta della loro frontwoman, Olga Svetlanas, facevano già bella mostra nella locandina della serata, una grafica che lasciava pochi dubbi sui watt che si sarebbero assorbiti qualora si fosse deciso di partecipare; in apertura i Radio Vudù, band storica della scena punk rock italiana che ha ricevuto in eredità lo scettro dai The Ride, altra formazione molto attiva negli anni 80 e con cui condivide 3/5 della formazione

Il live è iniziato abbastanza tardi, chi frequenta il Leoncavallo sa che è la notte il momento perfetto per viverlo. I Radio Vudù sono saliti sul palco alle 23:15 e sono partiti a raffica con Tatuami, Charlotte, Morto Che Cammina e Ipnotica: punk rock diretto come è nel loro stile, poche chiacchiere con il pubblico e chitarre graffianti che hanno subito coinvolto i presenti pronti ad applaudire durante le brevissime pause tra una traccia e l’altra. A questo punto la band è tornata ai giorni nostri con Si Fa Presto A Dire Rock, singolo che è una vera hit arricchito da un video che è davvero uno spasso vederlo, e Non Sono Vegano, brano che fece discutere ma che contiene un messaggio concreto che non tutti hanno compreso. Data la location che ospitava il concerto ci saremo aspettati un boato mentre il cantante recitata “Mi hai fregato poliziotto, marcio furbo e corrotto” ma si sa che nei concerti punk rock spesso le chitarre prendono il sopravvento rispetto ai testi. Gli apici dello show sono stati sicuramente Disagio Sociale che, come il cantante Rob Sironi aveva voluto sottolineare durante una nostra intervista “è un brano ancora attualissimo“, e Masturbazione Mentale.

Alle 00.00 ormai passate gli Svetlanas prendono possesso del palco e il loro concerto si dimostra subito incendiario. Già giunti al secondo brano, Negative Approach, chi si immaginava una band in linea con l’opening act è rimasto con gli occhi sgranati: il loro hardcore di stampo metal, e con una sola chitarra, è arrivato come un calcio nel culo. L’elemento particolare del loro show è senza ombra di dubbio l’impatto scenico di Olga, non solo una frontwoman ma una vera iconoclasta dell’hardcore, per come gestisce il palco e per come ha smosso il pubblico che nella penombra di un Leoncavallo relativamente affollato sembrava assuefatto ad un live con livelli sonori per pochi. I brani sono scivolati velocissimi, con spesso incursioni a nostro parere nella scena grind, giusto per capire l’irruenza del sound della band, un quartetto che riesce ad oggi a portare il loro hardcore in tantissimi paesi tra cui gli States, dove di sicuro la scena è molto più seguita che da noi.

Nel complesso un connubio tra due formazioni sostanzialmente diverse ma che hanno regalato insieme uno show ottimo in una venue adeguata per pubblico e sound alla loro proposta musicale.

Live del 1° marzo 2019

Category : Live Report
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05th Feb2019

Good Charlotte@Alcatraz (MI)

by Massimo Canorro
Se è vero che con Scerbanenco prima e gli Afterhours poi, “i milanesi ammazzano il sabato”, è altrettanto pacifico che i Good Charlotte, approdati nel capoluogo lombardo per l’unica data italiana (a diversi anni di distanza dall’ultima apparizione nel nostro paese) del loro Generation Rx Tour, hanno “ammazzato” la domenica, dando parecchia carica ai fan in vista di una nuova settimana di studio o lavoro. Pur non avendo riempito l’Alcatraz, la band pop punk con sfumature emo guidata dai gemelli Joel (prima voce) e Benji Madden (prima chitarra, seconda voce) ha dato vita a uno show intenso, spaziando nella scelta della setlist dalle tracce dell’ultimo album in studio Generation Rx – dove “Rx” indica l’abbreviazione che rimanda alla prescrizione di medicinali negli Stati Uniti, soprattutto antidolorifici – ai brani che li hanno fatti conoscere al grande pubblico (anche grazie a video di canzoni come Predictable, I Just Wanna Live, The River). Ma procediamo con ordine.

La serata è stata aperta da Boston Manor, The Dose e Sleeping With Sirens – da questi ultimi in particolare, guidati dal frontman Kellin Quinn, ci si aspettava qualcosina di più – che hanno riscaldato i presenti. Quindi, su un palco dalla scenografia essenziale, sono saliti i gemelli Madden (che nel 2014, come The Madden Brothers, hanno pubblicato il più che dimenticabile Greetings From California). Con loro, gli inseparabili Billy Martin (seconda chitarra), Paul Thomas (basso) e Dean Butterworth (batteria), per dare fuoco alle polveri con una scaletta che ha fatto scatenare i fan. Brani come Keep Your Hands Off My Girl, Life Changes, Predictable, Girls & Boys, The River, Lifestyles Of The Rich & Famous, The Anthem, Generation Rx sono stati cantati a squarciagola. Tra “ciao Milano”, “Italia ti amo” e l’invito a “credere in se stessi per poter realizzare i propri sogni”, i Good Charlotte non si sono risparmiati. Ed ecco ben lontano – non soltanto in termini temporali – l’anno del loro album d’esordio (era il 2000), seguito nell’arco di quattro anni da due dischi molto apprezzati: The Young And The Hopeless e The Chronicles Of Life And Death, rispettivamente del 2002 e del 2004.

Oggi i ragazzi non sono solo in giro, come canterebbe il Liga nazionale, ma sono maturati. Nonostante qualche passo incerto come quello di Youth Authority (2016), l’album della reunion se si può definire tale (“siamo cresciuti facendo parte dei Good Charlotte fin da ragazzini e dunque, per tutta la nostra vita, abbiamo suonato e basta. Avevamo tutti la necessità di una pausa per comprendere che persone fossimo al di fuori del gruppo e per crescere e maturare singolarmente”, ha ammesso la band), i cinque dimostrano di saperci ancora fare. In studio e sul palco. Tormenti esistenziali, tematiche legate alla speranze ingannate e alle false illusioni, ma anche all’immigrazione (Trump docet). Approdati alla soglia dei 40 anni, i Good Charlotte sono un gruppo solido, coeso, meno “gigione” rispetto al passato (dimenticatevi video come quello di I Just Wanna Live, con il “cazzeggio” alla Blink 182 per intenderci). Ma la voglia di proporre un sound accattivante e hit più che orecchiabili non è andata smarrita. Per fortuna.

Live del 3 febbraio 2018

Category : Live Report
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25th Ott2018

The Black Queen+Tennis System+Kanga Guests@Legend Club (MI)

by Antonluigi Pecchia

The Black Queen+Tennis System+Kanga Guests Legend Club (MI)Tra le band che hanno maggiormente influito sullo sviluppo di nuovi sottogeneri del metal degli ultimi anni sarebbe impossibile non citare gli americani The Dillinger Escape Plan con l’introduzione del loro mathcore che, mescolato ad una presenza scenica a dir poco folle nei loro liveset nel corso di vent’anni di carriera, sono riusciti a farsi apprezzare anche dagli amanti di sonorità più classiche del metal estremo. Deciso ormai di concludere il capitolo Dillinger, il frontman Greg Puciato ha subito pubblicato un disco sotto una nuova creatura dedita all’elettronica accompagnato da Joshua Eustis (noto per aver militato nei Nine Inch Nails) e Steven Alexander, sotto il moniker di The Black Queen. La formazione, giunta alla pubblicazione del secondo disco Infinite Games il 28 settembre scorso, ha deciso di intraprendere il suo primo tour europeo visitando le principali città per promuovere il disco, tra cui è spiccata una data italiana al Legend Club di Milano e la curiosità ci ha spinto ad assistere alla serata. Questo è il nostro resoconto.

Interessante inizio di serata con l’esibizione dell’americana Kanga che totalmente a proprio agio, sola sul palco con i suoi suoni sintetizzati regala una buona performance a metà tra techno e industrial ben calibrato tra potenza e melodia davanti a un club ancora mezzo vuoto. Il sound è in tema a quello della band principale e qualcuno nel pubblico accenna anche ad attimi di danza trascinati dal potente sound della giovane, noi che eravamo completamente ignari di cosa ci saremmo potuti imbattere ci lasciamo trasportare dal sound elettronico e ci divertiamo parecchio. Diversamente accade invece nel corso dello show dei successivi ospiti del palco che sono i Tennis System, bravi anche loro, ripropongono bene il loro alternative rock che alle volte richiama, tra voce e melodia, al pop punk degli ultimi anni ’90 e inizio 2000 (insomma Blink 182 e compagnia bella). La scarsa originalità della proposta musicale risulta un po’ fuori luogo e non viene presa bene dal pubblico della serata che dopo aver ascoltato un paio di brani preferisce godersi una bella birra fuori dal club; fortunatamente lo show è stato breve, quindi la band ha avuto modo di terminare la performance in presenza di qualcuno in sala.

Giunge il momento della band principale di serata, il club è mezzo pieno ed è un buon risultato rispetto alle premesse, il palco si tinge di rosso e una lunga intro accompagna i The Black Queen al proprio posto con le note del nuovo singolo Thrown Into The Dark durante il quale il pubblico fa intendere alla band di conoscere bene la sua musica. Così accade, se non meglio, per i successivi No Accusation, Ice To Never, Maybe We Should e Distanced che tutti conoscono molto bene, Greg si lascia andare e mostra disinvoltura e scioltezza anche se in una forma diversa rispetto a quello a cui i fan dei Dillinger sono stati abituati a vedere, più contenuto quindi ma l’animale da palcoscenico è rimasto tale. Con Your Move tratto dal nuovo Infinite Games si placano gli spiriti, seppur strana come scelta da parte della band ma il brano molto lento (non mi aspettavo venisse riproposto in sede live) risulta godibile soprattutto per le doti canore di Joshua ai cori in supporto a Greg dotato comunque di un’ugola capace di destreggiarsi camaleonticamente su ogni campo. Il pubblico ha avuto il tempo di riprendere fiato e ritorna a muoversi e cantare con Taman Shud seguita a ruota da That Death Cannot Touch e da una versione lunga dell’amatissima Secret Scream con i suoi bei cori che a noi italiani piacciono tanto.

The End Where We Start preannuncia l’inizio della fine (come d’altronde suggerisce il titolo stesso) seguita dall’alfa dell’amatissimo debut Now, When I’m Thisì. Quindi la conclusione viene affidata alle chitarrate cariche di Steven e Greg su Apocalypse Morning proprio come da primo album, omega di una serata energica, diversa forse per i vari metalhead in sala ma ugualmente soddisfacente, a cura di un trio che si meriterebbe maggiore visibilità e che presto potrebbe diventare un nome non più associato ad altre band del passato. Vediamo un buon futuro per questo progetto, speriamo di non sbagliarci perché meriterebbe il meglio!

Setlist The Black Queen:
Thrown Into the Dark
No Accusations
Ice to Never
Maybe We Should
Distanced
Your Move
Taman Shud
That Death Cannot Touch
Secret Scream
The End Where We Start
Now, When I’m This
Apocalypse Morning

 

Live il 20 ottobre 2018

Category : Live Report
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26th Set2018

Batushka + Darkend@Dagda Club (PV)

by Antonluigi Pecchia

Batushka-tour-2018-end-of-liturgiaIn un periodo in cui si iniziava a dare per spacciato il black metal, in quanto ad innovazione e nuove promesse, le risposte date da alcune nazioni come la lontana e fredda Islanda o la più vicina Polonia sono riuscite a spiazzare la scena mondiale. In Polonia sono state due le release che nel 2015 hanno fatto risplendere il genere più oscuro del metal: Litourgiya, opera prima dei Batushka ed Exercises In Futility dei MGLA. La proposta dei Batushka si è presentata nella formula che pare venga tanto amata da tutti ultimamente: proposta particolare, costumi di scena che nascondono la reale identità dei membri della band ma soprattutto un disco ben composto e mai banale, lontano dalle formule che già si conoscevano. La release del disco ha portato immediatamente la band ha suonare nei maggiori festival europei, così dopo tre anni dall’uscita dell’esordio, la band ha deciso di ultimare i tour di promozione ad esso legati con End of Litourgiya European Pilgrimage annunciando ben tre date italiane con i nostrani Darkend di supporto. Non potevamo farci sfuggire l’occasione di ascoltare per l’ultima volta live il capolavoro della band, così abbiamo assistito alla data tenutasi al Dagda di Retorbido (PV) e questo è il nostro resoconto della serata.

Varchiamo le porte del Dagda qualche minuto dopo le 21:00 e ritroviamo già un buon numero di metalheads che popolano il club in attesa che i Darkend prendano posto on stage. E’ con Il Velo Delle Ombre che la band apre le danze, il frontman Animæ nascosto sotto un velo viene fuori lentamente e inizia lo show. Il loro black metal riesce ad acquistare maggiore spessore dal vivo grazie alla figura del carismatico frontman che ammalia il pubblico con le sue movenze da rituale, a tratti quasi ipnotiche, anche se notiamo che lo spazio a disposizione della band è esiguo, essendo lo stage già delimitato dalla scenografia pronta per gli headliner. Performance un po’ penalizzata dai suoni che non hanno lasciato scorgere in maniera cristallina tutte le sfaccettature della complessa musica proposta dalla band che di strada ne ha fatta dall’esordio Damned Woman And A Carcass” del 2007, un gran peccato data la bravura della sezione strumentale. Pecca comunque non grave visto che comunque abbiamo assistito ad un ottimo show, mai noioso e soprattutto coinvolgente. Pensando alle band nostrane non credo avremmo potuto sperare in un guest migliore per l’apertura di questa serata particolare!

Prendiamo una boccata d’aria e rientriamo quando il palco ormai è tinto di rosso, dalle casse echeggia una lunga intro che permette ad un chierichetto di sistemare l’effigie della Madonna sull’altare e accendere tutte le candele poste sul palco affinché la liturgia possa avere inizio. I membri prendono con calma il proprio posto: dal coro alla sezione strumentale, mentre ultimo ad arrivare è il frontman che chiama a raccolta i fedeli in silenzio con il suono del campanellino che implica l’inizio della funzione. L’opera della band viene riproposta nell’ordine che ritroviamo sul disco ed è un piacere multisensoriale assistere alla sua esecuzione: l’odore di incenso ammalia l’olfatto, la vista viene rapita dalla visione delle tuniche e dai giochi di luce sul palco provando a scorgere ma inutilmente qualche tratto somatico del volto degli uomini incappucciati, mentre l’udito viene rapito da momenti corali alternati alla ferocia degli attimi violenti di black metal. Tutto è preciso, privo di imprecisioni a livello strumentale, peccato solo per un calo di tensione elettrica che ha sospeso l’esecuzione del terzo brano, problema fortunatamente risolto in pochissimo tempo. I brani sono stati riproposti senza sosta, dando un senso di insieme come una vera e propria funzione, senza attimo di respiro, aspetto che ha reso ancora più suggestiva e convincente la prova della band fino a giungere alla vera e propria benedizione dei presenti.

Anche questa volta la Madonna è stata venerata a regola d’arte, ci inchiniamo tutti davanti alla sua figura e alla forza di questa band capace di scrivere grande musica e di renderla ancora più interessante in sede live con precisione e cura di tutti i dettagli. Aspettiamo quindi un suo ritorno con una nuova figura da glorificare.

 

Setlist Darkend:
Il Velo Delle Ombre
Clavicula Salomonis
A Precipice Towards Abyssal Caves (Inmost Chasm I)
The Seven Spectres Haunting Gethsemane
A Passage Through Abyssal Caverns (Inmost Chasm II)
Congressus Cum Dæmone

 

Live del 20 settembre 2018

Category : Live Report
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15th Set2018

David Crosby & Friends@Auditorium Parco della Musica – Roma

by Sara Fabrizi

David Crosby & Friends Auditorium RomaQuando hai fondato The Byrds, hai creato il trio rock più forte della west coast, hai continuato nei decenni a scrivere, suonare, cantare, come solista, in doverose reunion, ora pure con una band giovane e promettente. Ed hai 77 anni, e porti sempre i baffi e i capelli lunghi, e la tua aria da hippie convinto non ti abbandona. Ed hai scritto pezzi fra i più storici e belli della musica moderna. E la tua impronta libera, dolcemente psichedelica, a tratti schizofrenica, è presente in ogni progetto musicale tu abbia preso parte. Tu sei David Crosby, o Croz per i fan più affezionati. E giovedì 13 settembre hai riempito di calore e meravigliose melodie l’Auditorium di Roma esibendoti con la tua nuova band, che chiami semplicemente “friends”, in uno scenario scarno ed essenziale. Pochi strumenti sul palco, un set intimo, un’aria di familiarità tra Crosby e i suoi eccellenti musicisti, tra cui spicca la talentuosa bassista estone Mai Leisz che arricchisce il sound di ogni pezzo con fraseggi di una grazia infinita. Su Guinnevere mi è sembrato di svenire, tanto era “perfetta”.

Tutto il live show è stato giocato sull’alternanza dei pezzi nuovi, tratti dagli ultimi 2 album, da Sky Trails in particolare, e delle vecchie inossidabili glorie. Brani come Long Time Gone, Deja vù, Thousand Roads, eseguiti come ai tempi del trio, ora impreziositi dall’aria fresca dei nuovi musicisti. E la voce di Croz, impeccabile. Sembra avere trovato e ritrovato una timbrica inossidabile, sempre la stessa, da più di 50 anni. E’ potente e dolce, profonda e nitida, rassicurante pure quando diventa arrabbiata. E poi il suono della sua Martin, che imbraccia appena entra in scena. E la presenza alle tastiere di James Raymond, il figlio naturale ritrovato nel 1992. Quanto amore c’era sul palco? E quanta grinta e quanta rabbia, pure. Il discorso musicale di Croz si è intrecciato al suo discorso umano e politico. E non poteva essere altrimenti, quando hai vissuto la storia degli ultimi 60 anni in prima persona come musicista militante. Militante come lo scenario americano fine anni ‘60, e non solo, richiedeva. Non ha risparmiato sferzate alla politica attuale scusandosi con il mondo intero per il vergognoso presidente americano. “I wanna apologize…” ha scherzato sulla legalizzazione delle droghe leggere precisando che durante l’intervallo si sarebbe rilassato come in California è legale e usuale fare.

Poi ha ripreso con ancora più verve, dirigendosi dritto verso il gran finale. Dando spazio nell’esecuzione dei brani al virtuosismo dei suoi musicisti, lasciandoli ai loro assoli. Duettando la dolcissima Sky Trails con la tastierista/ cantautrice canadese Michelle Willis. Propendo addirittura un pezzo dei Byrds, Eight High Miles. Non dimentica le sue origini e noi del pubblico esultiamo per questo immenso regalo. Nelle battute finali il revival del passato ha preso decisamente piede ed ecco le monumentali Wooden Ships ed Almost Cut My Hair. Suonate e cantate da dio, dilatate in fraseggi da capogiro. Siamo ormai in un’altra, timeless, dimensione. Ed il tutto viene suggellato dal finale che proprio non ti aspetti, che arriva come un dono, che ti investe con la sua potenza. Ebbene sì, Ohio. Una delle più grandiose ed amare protest song della storia. Brano che narra una pagina vergognosa della storia americana recente. Il 4 maggio 1970 la guardia nazionale aprì il fuoco contro un corteo di studenti che sfilava pacificamente contro la guerra in Vietnam nella università del Kent uccidendo 4 ragazzi. Un Crosby sconvolto scrisse di getto il pezzo, coadiuvato da un Neil Young che aggiunse la sua vena acid folk. Ne uscì un brano di impatto pazzesco. E giovedì sera questa riproposizione ci ha investiti di voglia di combattere e di reagire contro le ingiustizie e le brutture del mondo. Ci siamo alzati tutti in piedi, accompagnando Crosby nel suo grido commosso “I wanna know why!”. Un concerto, una lezione di storia, il ruggito e il dolce lamento dell’ultimo degli Hippies.

 

David Crosby & Friends setlist:
In My Dreams
Morrison
Naked In The Rain
Thousand Roads
At The Edge
Guinnevere
What Are Their Names
Long Time Gone
Déjà Vu
The Lee Shore
Homeward Through The Haze
Sky Trails
Delta
Janet
Eight Miles High
Wooden Ships
BIS
Almost Cut My Hair
Ohio

 

Live del 13 settembre 2018

Category : Live Report
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