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09th Ago2018

Rock in Liri 2018@Isola Del Liri (FR)

by Sara Fabrizi

Rock in Liri 2018La quinta edizione del Rock in Liri si è conclusa in maniera assolutamente positiva, a conferma del detto che sono le condizioni peggiori a rendere le cose straordinarie. Il rischio meteorologico incombeva come un incubo sull’alacre lavoro degli organizzatori, rischiando di guastare l’impegno di mesi e mesi. Ma con un po’ di audacia, voglia di non mollare e di crederci fino in fondo la due giorni musicale che dal 2014 colora di rock l’estate di Isola Del Liri (FR) si è tenuta eccome. E con una perfetta riuscita e successo di pubblico, in barba a tutti gli imprevisti di forza maggiore. I violenti acquazzoni pomeridiani sono terminati giusto in tempo per far rimboccare le maniche agli organizzatori e preparare in tempi record tutto quanto c’era da ultimare. Quindi le serate di venerdì 3 e sabato 4 hanno visto l’alternarsi sul main stage di band e artisti di anima e genere diversi ma tutti accomunati dal profilo qualitativo alto proveniente da un limbo sospeso fra l’underground e il già affermato. Band emergenti, o già emerse, o riemerse da un importante passato, di sicuro non i soliti nomi che cavalcano l’onda. E’ un piacere per me ormai, di anno in anno, scoprire chi ci sarà sul palco, lasciarmi stupire da artisti che non conoscevo o ascoltavo, apprezzare sonorità diverse fra loro che si danno il cambio conferendo comunque unitarietà all’evento, senza creare stacchi forti ma rivelando la matrice comune della qualità, dell’entusiasmo, del semplice ma imprescindibile amore per la musica.

La serata di venerdì 3 agosto ha visto alternarsi sul palco di Piazza Boncompagni (location storica del Liri Blues) i Deadline-Induced Panic, Black Snake Moan e Los Infartos. I primi, romani, hanno proposto il loro raffinato elettro pop/rock. Sonorità affatto scontate ma davvero d’impatto e in grado di catalizzare l’attenzione pure di chi non è un amante/habitué del genere. La voce femminile, con una timbrica fresca e suadente, conferisce verve a una band di formazione recente ma già lanciatissima. Black Snake Moan è il one man blues band che ti riporta agli insuperabili anni 70. Un mix di blues e rock psichedelico, intriso di richiami ad una spiritualità ancestrale e tribale, un ritorno a quei suoni essenziali ma profondi che ad un livello inconscio riconducono il suono e la musica tutta al ritmo primordiale della vita. Una performance raccolta ma incisiva, una situazione intima e magica che invita ad un ascolto attento e riflessivo. Insieme agli inediti trova spazio una cover di All Tomorrow’s Parties (Velvet Underground) che va dritta al cuore, senza nessuna intermediazione. A seguire Los Infartos. Un’allegra, scanzonata, performance che mescola garage punk, psych e soul. Molto carichi, a tratti sovraeccitati, ma piacevoli. Oltre a queste 3 band, nel preserale c’è stata l’esibizione, in postazioni collaterali, dei Nejo (eclettismo puro con rock, pop, blues, reggae) e della giovane cantautrice romana Valentina Polinori con uno stile minimal folk.  Un modo originale di disseminare i concerti in un maggior arco di tempo creando un vero continuum musicale che guida idealmente e fisicamente per i vicoli e le piazze della città della cascata.

Stessa formula verrà adottata anche per la serata di sabato 4. Quindi un preserale con 2 performance: i MahDoh da Roma che hanno portato il loro sound vivace, vintage e la loro aria ironica e Maria Pucci, una ragazza con la chitarra che scrive e canta le sue canzoni, una sorta di Joan Baez moderna e un po’ arrabbiata. Il main stage è stato dei The Zoids, dei Caltiki e degli storici Uzeda. I primi, ciociari, hanno proposto il loro indie rock in un concerto movimentato e vivace. I Caltiki hanno portato sul palco una miscela esplosiva di garage, surf, rock’n’roll, beat e psychedelic che ci ha fatto ballare. Performance spassosa e precisa. Ho apprezzato molto il virtuosismo nell’esecuzione dei pezzi surf. Il compito di chiudere la serata, ed il festival, è stato affidato agli Uzeda da Catania. Il pezzo forte che ti suggella la 2 giorni. Una band che negli anni ’80 ha fatto la storia dell’indie italiano esportando molto bene anche all’estero il proprio suono inconfondibile fatto di chitarre dissonanti. Punta di diamante dell’intero festival e audace azzardo degli organizzatori nel proporre un nome così grosso, così storico, così insolito.

Ed è vero che l’audacia premia. Il concerto degli Uzeda ha catalizzato l’attenzione di una piazza gremita e incantata da quel noise rock così caldo, così umano, e dalla voce intensa e magnetica della formidabile cantante. Era tutto un mormorare espressioni di fortissimo apprezzamento, misto anche a stupore per chi come me non li conosceva. L’effetto sorpresa del Rock in Liri quest’anno è stato esplosivo. Aspettiamo, già curiosi, cosa ci riserverà la prossima edizione.

Live del 3 e 4 agosto 2018
Foto di Riccardo Lancia

Category : Live Report
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28th Lug2018

The Adolescents+Mucopus+Eversione+Back From The Grave@Caramagna Piemonte (CN)

by Igor Cuvertino

The Adolescents+Mucopus+Eversione+Back From The Grave@Caramagna Piemonte (CN) 2018“Steve avrebbe voluto così”. Con questa frase gli Adolescents annunciano la conferma del loro tour europeo a meno di un mese dalla morte dello storico bassista-fondatore Steve Soto di cui avevamo parlato a questa pagina. Sarà probabilmente l’ultimo tour della band, per supportare il nuovo album Cropduster. Per portare a termine le oltre 40 date europee viene confermato al basso Brad Logan, storico fondatore di F-Minus e Leftover Crack e a cui i Rancid intitolarono addirittura una canzone. Organizzato dal collettivo Last One To Die Crew (ormai una certezza in fatto di eventi nella provincia di Cuneo), il live si svolge all’interno del salone polivalente, tanto grande e spazioso quanto incandescente. Le temperature toccate all’interno sono degne di concerti svolti sull’equatore, ma la gente sembra non temerle e fino alla fine urla ed incita i paladini dell’hardcore californiano. In apertura in rapida successione troviamo i Back From The Grave (energica neonata band hardcore torinese), gli Eversione (hardcore veloce e preciso da Imperia) e i Mucopus (storica realtà hardcore di Torino).

Scaldati a dovere pubblico e impianto, è il turno dei The Adolescents. Arrivano sul palco con la stessa naturalezza e semplicità con cui si sono aggirati tra il pubblico già dal pomeriggio e danno vita ad un live super-energico e con poco respiro. Tony Reflex sembra resuscitato dal torpore dimostrato nel pre-concerto. Di poche parole sul palco, ma le tonnellate di attitudine e la sua instancabile energia contagiano anche gli ascoltatori più scettici, ricordando a tutti che da più di 30 anni generazioni di hardcore boys pescano a piene mani dal suo repertorio e probabilmente continueranno a farlo. Martellano incuranti del caldo rovente, gli Adolescents, regalando sorrisi alle prime file e qualche duetto con gli impavidi crowd-surfer che instancabili lottano su ogni ritornello. Il salone è lontano dall’essere pieno, anche perché è davvero enorme e riempirlo sarebbe una vera e propria impresa, ma siamo in un comune di circa 3.000 abitanti, di giovedì sera, a fine luglio. Vedere una band del genere qui è già un miracolo compiuto da pochi sognatori e tutti sembrano soddisfatti. L’ambiente è rilassato (per quanto un concerto hardcore possa consentire) e anche i californiani si aggirano a stretto contatto con il pubblico nel post-concerto, concedendo foto e qualche chiacchierata a fan di nuova e vecchia data.

Non viene quasi fatto riferimento al loro compagno e amico scomparso il 28 giugno, ma per commemorarlo basta lo striscione posto dietro al palco, con la scritta “Soto” a sostituire il classico banner “The Adolescents”. La scaletta è lunga e serrata, composta da circa 20 brani per la maggior parte presi dal primo album Adolescents del 1981, che si alternano ad altri meno datati e a qualche new entry dell’ultimo album. I californiani sono sembrati in grande forma nonostante la batosta che li ha toccati a titolo musicale e soprattutto personale e hanno dimostrato che loro longevità (come band) se la sono guadagnati accordo dopo accordo, rullata dopo rullata, sul palco e sul campo.

 

Setlist The Adolescents:
1. No Way
2. Monolith
3. Queen Of Denial
4. Word Attack
5. Lockdown America
6. Escape From Planet Fuck
7. Who Is Who
8. Self Destruct
9. 30 Seconds To Malibù
10. Just Because
11. Flat Earth Stomp
12. Amoeba
13. 5150
14. L.A. Girl
15. Cropduster
16. Losing battle
17. American Dogs In Europe
18. Rip It Up
19. O.C. Confidential
20. Kids Of The Black Hole

Live del 26 luglio 2018

Category : Live Report
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16th Lug2018

Roger Waters@Circo Massimo – Roma

by Sara Fabrizi

Roger Waters Circo Massimo 2018 RomaUs + Them Tour di Roger Waters fa tappa al Circo Massimo di Roma la sera del 14 luglio per regalare al pubblico lo spettacolo musicale più prepotentemente efficace cui io abbia mai assistito. Come i vari mostri sacri che hanno calcato il suolo del grande simbolo della romanità negli ultimi anni, anche questo è stato un concerto per cui aggettivi come indimenticabile, grandioso, meraviglioso danno solo una pallida idea di ciò che può essere stato. Bisognerebbe lasciar parlare solo immagini e musica, il cui connubio è stato così maledettamente perfetto due sere fa tanto da aver invaso il nostro apparato sensoriale in modo indelebile. La musica dei mitici Pink Floyd, di cui Waters fu fondatore e ancora oggi effige, la sua anima solista che gli ha fatto sviluppare un discorso musicale proprio e il suo forte impegno sociale affidato a messaggi visivi forti. Prendi questi tre elementi e innestali su una location che profuma di eternità. Ottieni due e ore e mezzo di concerto strabiliante, al confine fra un live show e una pièce teatrale. Un percorso che si snoda attraverso l’esecuzione dei brani fondamentali della storia dei Pink Floyd corredati da messaggi diretti e incisivi che riassumono tutto il male, il marcio, la fragilità del mondo attuale. Resisti! Restiamo Umani! Trump è un maiale! I maiali dominano il mondo! Che si fottano i maiali! Non ha peli sulla lingua il mitico bassista, ed è giusto che sia così.

Ci sono molti musicisti che hanno effettivamente cambiato il mondo nel passato. E c’è Waters che, instancabile, continua a farlo riuscendo a scuotere le nostre coscienze. Partendo Da Breathe, passando per Time e Another Brick In The Wall, arrivando a Dogs, a Pigs, a Money fino a concludere con quell’inno al disincanto che è Comfortably Numb. E in mezzo altri brani della storica band di origine e i suoi pezzi solisti e una Mother acustica commovente che si ricollega all’immagine iniziale proiettata sullo schermo di una madre seduta sulla riva che fissa il mare, che tante vite toglie, aspettando la sua bambina. E a quella bambina poi si ricongiungerà alla fine. Svelando il filo rosso del susseguirsi incessante delle immagini e delle trovate scenografiche, dal maiale areostatico su cui figura la scritta Stay Human, alla Sfera gigante che aleggia sulle nostre teste intrappolata nel prisma di fasci di luce colorati (la copertina di The Dark Side Of The Moon), alle ciminiere fumanti che si materializzano sul palco. Un vero concept live show. Un discorso artistico totale (musicale e figurativo) che Waters porta avanti ancora in ottima forma e avvalendosi di una band eccelsa.

Mi colpiscono le due coriste dotate di voci sovraumane che avranno modo di splendere in tutta la loro potenza nell’esecuzione di The Great Gig In The Sky. Mi colpisce il suo chitarrista, incredibilmente somigliante ad un giovane David Gilmour. Mi colpisce l’umanità di Waters, la sua empatia comunicata al pubblico, l’intermezzo parlato in cui riassume tutte le storture del mondo e ci esorta a resistere e lottare, lo trovo tenero quando accenna qualche frase in italiano. A fine concerto resto ancora un po’ seduta sul lato scosceso della grande location a rielaborare questa invasione di suoni e significati e comprendo che le ossessioni, le paure, le speranze di Roger Waters sono esattamente le nostre.

Roger Waters setlist:

Prima Parte
Breathe (Pink Floyd song)
One Of These Days (Pink Floyd song)
Time (Pink Floyd song)
Breathe (Reprise) (Pink Floyd song)
The Great Gig In The Sky (Pink Floyd song)
Welcome To The Machine (Pink Floyd song)
Déjà Vu
The Last Refugee
Picture That
Wish You Were Here (Pink Floyd song)
The Happiest Days Of Our Lives (Pink Floyd song)
Another Brick In The Wall Part 2 (Pink Floyd song)
Another Brick In The Wall Part 3 (Pink Floyd song)

Seconda Parte
Dogs (Pink Floyd song)
Pigs (Three Different Ones) (Pink Floyd song)
Money (Pink Floyd song)
Us And Them (Pink Floyd song)
Smell The Roses
Brain Damage (Pink Floyd song)
Eclipse (Pink Floyd song)
Mother (Pink Floyd song)
Comfortably Numb (Pink Floyd song)

Live del 14 luglio 2018

Category : Live Report
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02nd Lug2018

Soulfly+Dogs For Breakfast+Nahm@Nuvolari Libera Tribù (CN)

by Igor Cuvertino

Soulfly Nuvolari Libera TribùDopo qualche anno di silenzio torna a farsi sentire il ruggito del Nuvolari Libera Tribù, il festival per eccellenza dell’estate cuneese, che fino a qualche anno fa rappresentava tappa fissa per i tour più gettonati di artisti italiani e a volte internazionali. Da un paio di anni il festival è tornato a respirare grazie anche all’appoggio di molte realtà giovanili della provincia, e quest’anno i ragazzi hanno fatto le cose in grande. Anzi, in grandissimo! Leggere un nome come Soulfly lontano dai canonici capisaldi milanesi/bolognesi della musica pesante è strano, ma è senza dubbio ammirevole il coraggio e anche la scelta di mantenere anche per questa data lo stesso prezzo delle altre date del tour. Si arriva presto e c’è fermento nell’aria. Lo spirito è quello di un evento che sarà unico da queste parti. Ai cancelli gli organizzatori sono chiari: Max Cavalera non gironzolerà per l’area concerti, e non sarà possibile avvicinarlo per foto e quant’altro. I fan devono accontentarsi di qualche scatto davanti al bus marchiato Soulfly che staziona a pochi metri dall’ingresso.

Alle 21:00 inizia puntualissimo il primo open act, ovvero i Niamh. La gente stenta ancora ad accalcarsi sotto al palco, ma i ragazzi riscuotono comunque un buon successo. Suonano un metal contaminato da hardcore, nu metal e tutte le possibili sfumature del caso. Ricordano a tratti gli ultimi In Flames, a tratti invece pescano dal calderone nu metal anni 90/00. Buona la resa, presenza scenica ok per la situazione, peccato i suoni non proprio perfetti dello strumentale. Seguono i Dogs For Breakfast e si comincia a giocare pesante sul serio. Il loro metal hardcore è il preludio perfetto a quello che verrà dopo. Potenti, veloci, precisi. Non si perdono in chiacchiere e ribaltano letteralmente l’impianto sonoro addosso al pubblico. Dimostrano di essere compatti e scafati sul palco, per nulla intimoriti dal nome dell’headliner che vanno ad aprire egregiamente. Vengono accolti molto bene e sicuramente c’è chi cercherà le loro prossime apparizioni per seguirne il percorso (ad esempio il sottoscritto!).

Salgono sul palco senza troppe cerimonie i Soulfly. Il muro di amplificatori è nascosto da teli mimetici che rendono il palco una sorta di war-zone. Max Cavalera si dimostra subito in forma e incita in italiano il pubblico a più riprese arrivando anche a bestemmiare in un mezzo growl che fa letteralmente impazzire la nutrita ala blasfema del pubblico. La voce non perde un colpo e il suo carisma è trascinante, mentre il suo contributo alla sei corde è ridotto a qualche ritmica non troppo impegnativa. Alla sua destra domina il palco il suo braccio destro Mr. Marc Rizzo. Tamarro oltre ogni limite nell’outfit e nell’atteggiamento, si dimostra un guitar hero non da poco. A lui sono dedicati diversi momenti solisti (uno anche con chitarra acustica spagnoleggiante) e il sound dell’intero set ruota intorno alla sua esecuzione. Il pubblico lo adora e lo idolatra, e dalle sue doti tecniche si capisce come mai il buon Max se lo sia portato dietro praticamente in tutti i progetti fondati nell’era post-Sepultura. I due Cavalera si dimostrano all’altezza, per lo meno nell’esecuzione. Da sottolineare la grandissima prova di Mike Leon al basso, davvero un musicista ottimo tecnicamente e anche nell’attitudine sul palco. Dietro le pelli buona la prova di Zyon Cavalera, forse troppo condita da inutili fill e tentativi di tecnicismi fini a se stessi, mentre sarebbe bastata un po’ di potenza in più per reggere il confronto con i suoi illustri predecessori.

La scaletta si apre con Frontlines e Prophecy e toccherà bene o male tutti i lavori della band. Nessuna cover, con l’eccezione di Wasting Away dei Nailbomb e della discutibile chiusura del concerto con paio di strofe solo musicali di The Trooper degli Iron Maiden… ma perché?! Sinceramente inspiegabile dopo un concerto violento e ben studiato chiudere in questa maniera. Il pubblico è caldo e salta senza sosta sulle note di vecchi cavalli di battaglia come Jumpdafuckup, Bleed e Tribe, e viene a più riprese coinvolto da Max Cavalera, il quale addirittura invita due spettatori sul palco a duettare con lui in una sessione di percussioni tribali, e regala gran sorrisoni di intesa alle prime file. I Soulfly ci sono parsi in forma, lontani da atteggiamenti da rockstar e molto coinvolti con il pubblico. Sfoggiano ancora l’attitudine e la compattezza che li hanno resi celebri negli anni, ma d’altronde come ricorda gutturalmente il buon vecchio Max: We Sold Our Souls To Metal!

Soulfly setlist:
Frontlines
Prophecy
Fire
Porrada
Blood Fire War Hate
We Sold Our Souls To Metal
Rise Of The Fallen
The Summoning
Mars
No Hope = No Fear
Downstroy
Marc Rizzo guitar solo
Bleed
Plata o Pomo
Tribe
Drums battle Max/Zyon/Pubblico
Wasting Away ( Nailbomb Cover)
Back To The Primitive
Jumpdafuckup
Eye For An Eye
The Trooper (accennata Iron Maiden Cover)

Live del 30 giugno 2018

Category : Live Report
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27th Giu2018

Zu & Mats Gustafsson@Monk – Roma

by Giuseppe Celano

Zu & Mats Gustafsson Monk - Roma 25 giugno 2018Impossibile mancare alla chiamata degli schiacciasassi Zu rinforzati dal dissonante sax di Mats Gustaffsson (Fire! Orchestra) e con il ritorno dell’ex compagno di viaggi Jacopo Battaglia, presente per questo mini tour di sole sette date. Formati a Roma nel 1997, gli Zu iniziano come esecutori e compositori di musica per rappresentazioni teatrali ma il loro sound si arricchisce con l’arrivo di Roy Paci e nel 1999 debuttano con Bromio. Da quel momento in poi ci saranno avvicendamenti di livello fra cui il chitarrista sperimentale americano Eugene Chadbourne per due dischi live, The Zu Side Of The Chadbourne (2000) e Motorhellington (2001), composto da cover di Motörhead e Duke Ellington. Il secondo step in studio, Igneo del 2002, è supportato dall’infinita esperienza di Steve Albini e seguito da How To Raise An Ox inciso con Mats Gustaffson (2005). L’album viene promosso in tour insieme a mostri quali Fantômas/Melvins Big Band. Poi arriva la svolta con la collaborazione di Mike Patton e, dopo uno split EP con Il Teatro degli Orrori, esce il monolite alieno Carboniferous (Ipecac Recordings) che ospita lo stesso Patton e Buzz Osborne (Melvins). Nel 2011 Jacopo Battaglia lascia il gruppo per concentrarsi su altri progetti e nel 2014 gli Zu tornano sulla scena con il nuovo batterista Gabe Serbian (The Locust).

Alle 22:45 la band è sul palco partendo come un rullo compressore ideato per asfaltare qualunque dubbio e resistenza dei partecipanti che non sono affatto pochi. Stasera stranamente si sente abbastanza bene, il fonico sembra aver trovato un buon compromesso fra potenza, nitidezza e volume. Suonano per un’ora e dieci con disciplina e ordine che lentamente si sfalda volutamente lasciando spazio alla fantasia e al caos controllato attraverso un gioco di sottrazione che punta dritto al golden core dei brani per poi ricostruire il leitmotiv ripartendo dalle linee basiche del basso, infarcite dei killer pattern di Battaglia (con un cognome così non poteva essere altrimenti) su cui s’innestano i boost riff di Massimo Pupillo. Dopo i primi venti minuti, scanditi da Mimosa Hostilis, Carbon e Maledetto Sedicesimo, si entra nel cuore della serata attraverso Obsidian, seguita da Orc ricchi di fraseggi infernali fra i due sassofoni il cui dialogo sfoggia assoli, larsen e call and response decostruendo per innalzare successivamente un muro di suono monumentale.

Nella parte finale del live scorrono fra bordate ultra soniche Axion, Chtonian in cui il combo spinge a fondo i pedali degli acceleratori che li portano velocemente a fine corsa mentre ai presenti ricrescono anche i peli sulla schiena mentre sanguinano abbondantemente dalle orecchie. Anche se ormai è quasi finita, c’è ancora posto per l’encore, preteso a gran voce dal pubblico entusiasta, ostia con cui chiudono uno show perfetto da tutti i punti di vista, classe eleganza suoni e spianamento totale dei fortunati presenti il cui ottundimento sonico finirà probabilmente l’indomani.

Live del 25 giugno 2018

Category : Live Report
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20th Giu2018

Firenze Rocks – Day 2@Visarno Arena (FI)

by Igor Cuvertino

Firenze Rocks - Day 2@Visarno Arena (FI) Guns N RosesDopo l’autentico show dei Foo Fighters a cui il pubblico ha assistito il giorno precedente, ai Guns N’Roses tocca l’arduo compito di dimostrare che lo scettro è ancora nelle loro mani. Firenze è letteralmente invasa dai rockers già dal primo mattino e tutti attendono i Los Angeles boys con un misto di ansia e curiosità: l’intesa avrà retto il peso di anni di contrasti? Sarà solo un carrozzone promozionale? E soprattutto, Axl reggerà più di 10 minuti di concerto? Il piccolo assaggio dato durante il concerto dei Foo Fighters (con l’esecuzione di It’s So Easy assieme alla band di Grohl, leggere qui per i dettagli) lascia ben sperare, i nostri eroi sono sembrati carichi e tutti non vedono l’ora di avere rassicuranti conferme. Prima di parlare di loro, qualche breve commento sui gruppi di apertura, sorprendentemente pescati nella scena un po’ più heavy.

I Baroness suonano in pieno sole, davanti ad un pubblico non proprio avvezzo allo sludge metal che propongono, ma non si risparmiano e il pit sembra apprezzare la loro energia. Anche chi bivacca in zona relax viene almeno scosso dalla botta sonora che invade l’intera arena. A questo proposito, è ottima la resa sonora dei live in tutta l’area, cosa molto apprezzata! Sicuramente non è la loro dimensione, il genere che propongono richiederebbe un pubblico più attento e forse contenuto, ma queste sono le occasioni per sbattere la musica un po’ meno orecchiabile in prima fila e i Baroness ne approfittano con buona personalità.

I Volbeat ci sono sembrati…strani. Pazzi. Rock’n’Roll. I Volbeat approdano alla Visarno Arena e vengono accolti nel migliore dei modi. Il pubblico li segue, li incita e li apprezza parecchio. Presentano uno show compatto ma coinvolgente, che mette l’accento sulla voce quasi rockabilly di Micheal Poulsen , abbandonandosi poi volentieri a sfuriate di doppia cassa e alla chitarra graffiante di Rob Caggiano (ex-Anthrax). I danesi si rivelano un ottimo open act, coinvolgente, cazzuto e di alto livello musicale. Nei panni di headliner è tutta un’altra cosa ma di sicuro li rivedremo di nuovo sul territorio italiano dopo questa ottima prova!

È tempo per i Guns N’Roses. Non si può neanche dire “ore 20:00, si spengono le luci”, dato che a Firenze è ancora giorno pieno, ma questo è l’orario in cui il gigantesco carrarmato usato come intro appare sugli schermi ed inizia a cannoneggiare sulla folla. I californiani iniziano fortissimo, con la già citata It’s So Easy seguita da Mr. Brownstone, entrambe estratte dallo storico album Appetite For Destruction, pietra miliare del rock mondiale che lo scorso anno ha compiuto la bellezza di 30 anni e che verrà suonato quasi per intero nel corso del live. Sul palco saltano e si dimenano come nei bei tempi andati, mantenendo il loro look quasi anacronistico ormai, ma fedele a quello che la gente vuole vedere. Ed infatti il pubblico, per niente deluso, segue con trasporto il live (che supererà le 3 ore di durata) emozionante e a tratti pirotecnico dei Guns. La scaletta è lunga oltre ogni dire, farcita di cover (alcune delle quali forse si potevano eliminare o sostituire con qualche altra chicca per intenditori della loro discografia) tra cui spiccano le immancabili Knockin On Heaven’s Door e Live Or Let Die, ma soprattutto una apprezzatissima versione di Wish You Were Here dei Pink Floyd. Da segnalare anche gli ottimi tributi agli scomparsi Scott Weiland (Slither dei Velvet Revolver) e Chris Cornell (Black Hole Sun dei Soundgarden, quest’ultima particolarmente riuscita).

Ma vogliamo ora rispondere alle vere domande che assalivano tutti nel pre-concerto: come stanno i Guns N’Roses ? Musicalmente alla grande, reggono un concerto di 3 ore con grande energia, non sbagliano un colpo e si dimostrano grandi professionisti dell’intrattenimento. Dal punto di vista visivo, è chiaro che non sono più i 5 amici ventenni ed inseparabili. Ognuno suona nella sua porzione di palco riducendo al minimo le interazioni con gli altri membri, fatta eccezione per Slash e Fortus che condividono molti momenti e duelli chitarristici in cui dimostrano un’intesa non comune. L’atteggiamento è da vere rock star, con pose, costumi, gesti provati migliaia di volte, ma in fondo è per quello che tutti sono li…Fortus e McKagan dimostrano ancora una volta di non essere lì per caso ma di incarnare l’attitudine in persona, mentre un po’ in secondo piano rimangono come prevedibile lo storico tastierista Dizzy Reed a la nuova entrata Melissa Reed (anche lei alle tastiere, primo membro femminile della storia dei Guns, anche se non ufficiale). Alla batteria picchia instancabile Frank Ferrer, unico superstite della formazione allestita da Axl dopo la separazione dagli altri membri.

E poi ci sono loro, due dei rocker più conosciuti, discussi e seguiti al mondo. Slash dimostra come sempre che gli anni hanno aggiunto chili e muscoli, ma non hanno intaccato il suo talento e tanto meno il suo ego. Il palco è in gran parte sottomesso alla sua Gibson che impazza su ogni brano con assoli ridondanti e lunghissimi, che a tratti risultano anche troppo… ma hey, stiamo parlando di Slash… giù il cilindro per lui. La grande incognita Axl si presenta sicuramente appesantito dagli anni, ma sorprende l’energia che mette durante tutto il live, passando dal correre per il palco come un indemoniato a suonare soavemente il pianoforte su November Rain. Da sotto la sua immancabile bandana (e a svariati improbabili cappelli da cowboy) incendia l’arena con rinnovato entusiasmo, reggendo benissimo fino circa a metà concerto. Dopo alcuni dei pezzi più impegnativi rifiata lasciando la scena agli assoli di Slash, e verso il finale inizia ad accusare la fatica. Si sentono un paio di starnazzi davvero sopra le righe, ma in un mondo dove senza Autotune e Vocoder nessuno osa più aprire bocca, non ce la sentiamo di criticare eccessivamente una delle voci più incisive e longeve del rock’n’roll, che in ogni caso fino alla fine dà tutto quello che ha per stupire ed incantare il pubblico fiorentino. Fiamme, coriandoli, fuochi d’artificio, gente che rifiata dopo aver cantato fino allo stremo. Finisce Paradise City e tutto ritorna quieto.

Quello andato in onda alla Visarno Arena non è stato forse paragonabile a quello che devono essere stati i Guns N’Roses ai tempi d’oro, ma resta tangibile la sensazione di aver assistito a quello che nell’ideale collettivo è il rock, e di aver avuto di fronte per una lunga sera una delle più grandi ed influenti band del pianeta.

Setlist Guns N’ Roses:

It’s So easy

Mr.Brownstone

Chinese Democracy

Welcome To The Jungle

Double Talkin’Jive

Better

Estranged

Live And Let Die (Wings cover)

Slither (Velvet Revolver cover)

Rocket Queen

Shadow Of Your Love

You Could Be Mine

Attitude (Misfits cover)

This I love

Civil War

Slash Guitar Solo + Johnny B. Goode

Speak Softly Love (Nino Rota cover ) + The Godfather Theme

Sweet Child Of Mine

Wichita Lineman (Jimmy Webb cover)

Coma

Wish You Were Here (Pink Floyd cover) + Slash & Fortus guitar duet

November Rain (Axl Rose al pianoforte)

Black Hole Sun (Soundgarden cover)

Used To Love Her

Knockin’ On Heaven’s Door (Bob Dylan cover)

Nightrain

Patience

Yesterdays

The Seeker (The Who cover)

Paradise City

Setlist Volbeat:

The Devil’s Bleeding Crown

Lola Montez

Sad Man’s Tongue

Slaytan

Dead But Rising

16 Dollars

For Evigt

Black Rose

Let It Burn

Seal The Deal

Still Counting

Live del 15 giugno 2018

Category : Live Report
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19th Giu2018

Firenze Rocks – Day 1@Visarno Arena (FI)

by Igor Cuvertino

Concerto Firenze Rocks Foo Fighters 14 giugno 2018 Visarno Arena FirenzeChe Firenze Rocks quest’anno avesse deciso di fare le cose davvero in grande lo si era intuito già dall’annuncio dei primi headliner, ma il risultato finale è un bill complessivo da brividi. Foo Fighters, Guns n’Roses, Ozzy Osbourne, Iron Maiden, Avenged Sevenfold, Judas Priest, Volbeat, Helloween… più una serie di ottimi open act. Ci stiamo forse avvicinando ai grandi festival rock europei, avanti anni luce rispetto a noi come organizzazione e mentalità? Forse. Di sicuro la strada è quella giusta per colmare il gap che da anni costringe il popolo del rock ad “emigrare” per assistere a festival di questo livello. Purtroppo per una serie infinita di eventi sfavorevoli (incidenti in autostrada, problemi con l’alloggio, problemi lavorativi), arriviamo a Firenze in estremo ritardo perdendo di fatto tutte le esibizione degli open act, ovvero i nuovi volti del rock virginiano Wolf Alice, The Kills e soprattutto il grande e inimitabile Frank Carter, uno dei personaggi più carismatici del panorama attuale.

Una volta entrati nell’arena del Visarno lo spettacolo è impressionante. Ottima la location, anche se enorme e dispersiva, ma proporzionata alla marea di gente che si riversa sotto al palco e ai maxi schermi per assistere al primo grande nome del festival: i Foo Fighters. Sarebbe inutile spendere parole per descrivere questa band, ancora da molti considerata come “il progetto del batterista dei Nirvana”, ma che in realtà da ben 23 anni sforna dischi di enorme successo ed ha scalato la montagna del rock fino a guadagnarsi il gradino più alto, tra le band contemporanee. Ore 21:00 puntuali, ancora quasi giorno. Una schitarrata trita timpani, un urlo indemoniato, una batteria con livelli sonori spaventosi. Tutto sembra far presagire che nessuno si risparmierà e che non sarà una serata tranquilla. L’incipit del concerto è a dir poco perfetto (dopo un minimo di calibrazione dei suoni), energico e senza respiro. Nessuna pausa tra la potente Run (hit dell’ultimo Concrete And Gold), e le storiche All My Life, Learn To Fly e The Pretender. Poi si prende fiato, Dave Grohl inizia il suo show, fatto anche di scherzi e simpatia oltre che di un’attitudine che ne ha fatto uno dei più grandi rocker dei nostri tempi. La scaletta prosegue alternando i nuovi brani di Concrete And Gold con i vecchi inossidabili successi, che infiammano un pubblico caldissimo ed emozionato.

Dave Grohl è come te lo aspetti. Spettinato, indiavolato, con la sua Gibson azzurra. Il frontman perfetto. La sua intesa con il resto della band è ammirevole, sembra di vedere un gruppo di amici che sa fare il proprio mestiere come pochi altri, ma sempre divertendosi. Nate Mendel (basso) e Rami Jeffee (tastiere) stendono il tappeto sonoro su cui basare il muro di chitarre che domina il palco. Un ispirato Chris Shiflett dà lezioni di assoli e di attitudine, mentre il chitarrista ritmico Pat Smear mantiene per tutta la durata del live lo stesso indecifrabile sorrisetto, di chi comunque ha suonato nei Nirvana e nei Foo Fighters e tutto sommato gli va bene così. Menzione d’onore per Taylor Hawkins, vero co-leader del gruppo. Si dimostra non solo un batterista tra i più dotati ed eclettici del genere, ma anche un ottimo cantante ed intrattenitore. Insomma, uno dei pochi che potevano non far rimpiangere Dave Grohl dietro le pelli. Un po’ lunghi gli intermezzi di presentazione della band, dove vengono eseguite le cover Imagine (John Lennon), Jump (Van Halen), Blietzkrieg Pop (Ramones) e Under Pressure (Queen), quest’ultima con Grohl alla batteria e Hawkins nelle vesti di leader.

La vera chicca arriva verso metà concerto, dove dopo una divertente gag Nate Mendel si rifiuta di suonare un assolo di basso, e all’appello di Grohl se ci fosse un bassista disposto a farne uno, risponde Duff McKagan dei Guns n’Roses. Parte It’s So Easy, canzone bomba della storica band hard rock, durante la quale salgono sul paco correndo ed infiammando l’arena anche Axl Rose e Slash, che danno un gustoso assaggio di quello che sarà la seconda giornata del festival. Il pubblico letteralmente esplode, consapevole di aver assistito a cinque minuti quasi irripetibili della storia della musica. Il concerto procede avviandosi verso la fine, dove durante l’encore viene coinvolta la figlia di Grohl in un’altra riuscitissima gag. Con la consueta Everlong si conclude un lungo concerto, pieno di energia, perfetto nella sua esecuzione tecnica e nella sua pianificazione. I Foo Fighters si confermano animali da arena, dimostrando di essersi pienamente meritati lo status di “pesi massimi” del rock. Possono essere criticati per essere mainstream, per risultare magari di più facile ascolto rispetto ad altre formazioni più ricercate e di nicchia, ma come ricorda lo stesso Grohl beffardamente durante il concerto “Youngs have to learn” e per ciò che si è visto stasera alla Visarno Arena, dai Foo Fighters c’è molto da imparare per chi vuole fare questo mestiere.

 

Foo Fighters setlist:

Run
All My Life
Learn To Fly
The Pretrender
The Sky Is A Neighborhood
Rope (Taylor Hawkins drum solo)
Sunday Rain
My Hero
These Days
Walk
Imagine / Jump / Blizkrieg Pop (presentazioni band)
Under Pressure (Queen cover Dave Grohl alla Batteria, Taylor Hawkins alla voce)
It’s so easy (Guns N’Roses Cover + Slash/ Axl Roses /Duff McKagan)
Monkey Wrench
Wheels
Breakout
Dirty Water
Best Of You
Time Like These
This Is A Call
Everlong

Live del 14 giugno 2018

Category : Live Report
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11th Giu2018

Malt Generation Music Festival 2018@Arluno (MI)

by Piero Di Battista

Malt Generation Music Festival 2018 anti-flagLa terza giornata del Malt Generation Music Festival, rassegna estiva che ha come location il centro sportivo di Arluno, alla porte di Milano, ha visto il punk rock come protagonista principale. I più attesi ovviamente erano gli Anti-Flag, band di Pittsburgh che non ha certo bisogno di presentazioni. Prima di loro però c’è stato un ricco antipasto, composto da Andead, Second Youth e Derozer. Ma andiamo con ordine. Sono le 20:00 e la location non è ancora gremita; tra gente che cena e che consuma le prime birre di una lunga serie, sullo stage iniziano i primi movimenti: sono gli Andead e a loro spetta il compito di aprire la serata. La band milanese, attiva dal 2007, che ha come leader nonché cantante Andrea Toselli, non ci mette molto a coinvolgere il, purtroppo limitato numericamente, pubblico presente sotto lo stage. Il loro punk rock, genuino, a tratti tagliente, ma sempre omogeneo, e con forti influenze made in Social Distortion, cattura e prende, coadiuvato dal fatto che Andrea è un personaggio che, vuoi per i suoi tanti progetti esterni, sa porsi davanti ad un pubblico. La setlist attinge da un po’ tutti e quattro i loro dischi, in particolare dall’ultimo loro lavoro, IV The Underdogs, pubblicato poco più di un anno fa. Tra un brano e l’altro non mancano appelli riguardante il sociale, dove Andrea è particolarmente attivo; è lui stesso a invitare i presenti a supportare la causa e le lotte di Amnesty International, presente con un banchetto all’interno della venue. Bravi sul palco, e ammirevoli per le loro lotte nel sociale, questi sono gli Andead.

I secondi a calcare il palco del Malt Generation Music Festival sono i Second Youth, band nata relativamente da poco e che lo scorso marzo ha pubblicato il disco Dear Road per IndieBox Music, etichetta da anni attiva in questo settore. Il gruppo ha origini che miscelano Londra e la Sardegna, ed è un progetto nato da un’amicizia. Il loro sound risulta fortemente influenzato dalle sonorità punk rock di fine 90’s e primi 2000. I Nostri fanno il loro dovere; la loro esibizione è lineare, di buon livello, senza infamia e senza lode. Bravi sì, ma vogliamo rivederli.

L’area del concerto ormai è gremita, anche perché stanno arrivando i piatti forti della serata: è il momento dei Derozer. La band di Vicenza è un’altra di quelle realtà che non ha bisogno di presentazioni, stiamo parlando d’altronde di un gruppo che da quasi 30 anni calca i palchi italiani e non solo, con successo, il quale ha consentito loro di diventare una dei principali e influenti gruppi del panorama punk rock nostrano. L’ultima loro fatica da studio è Passaggio A Nord-Est, uscito nel marzo 2017, e anche da questo disco i Derozer attingono per la scaletta della serata. Si passa così da brani recenti come Vecchio Punk o La Notte, a brani più datati, e amati in particolare dai fan di vecchia data, come Bar, 144, Fedeli Alla Tribù, fino alla conclusione del concerto, che, come di consueto ha visto i nostri proporre Alla Nostra Età e Branca Day. La loro performance è stata impeccabile; i Derozer si dimostrano, ancora una volta, una sicurezza in ambito “live”, capaci di coinvolgere ed attirare fan vecchi e nuovi. Frasi come “ti amo quando sono sbronzo” non le leggeranno sui libri di storia i nostri figli, ma sicuramente potranno canticchiarle, asserendo che il punk rock italiano non era poi così male. Anzi.

Sono le 23:00 circa ed arriva il momento dei più attesi della serata: gli Anti-Flag. Che dire, al giorno d’oggi, in ambito punk rock, pochi gruppi coinvolgono e intrattengono come loro e la conferma l’abbiamo avuta anche in questa serata. Qualora ci fossero stati dubbi, il loro show è stato impeccabile: Justin Sane, e soprattutto Chris 2, non fanno fatica a trascinare il pubblico a suon di “circle pit!” e “put your middle-fingers in the air!”. La setlist proposta non è altro che un viaggio attraverso la loro discografia, un omaggio a chi li segue sin da Die For The Government (1996), ma anche verso i più giovani, che magari li hanno scoperti con American Fall, ultimo loro disco, pubblicato verso la fine del 2017. Tra brani “nuovi” quali When The Wall Falls, Racists e American Attraction, e meno recenti come Turncoat, The Press Corpse e Broken Bones i quattro americani regalano uno spettacolo a tratti al limite della perfezione, non dimenticando, tra un pezzo e l’altro, critiche verso l’attuale governo a stelle e strisce, nonché l’invito a condannare ogni forma di estremismo nazi-fascista ed a supportare le minoranze. Una sorta di “peace & love” del nuovo millennio, magari meno edulcorato, ma fortemente punk rock. Come loro, e pochi altri, sanno fare. Il punto conclusivo del loro concerto spetta a Brandenburg Gate, e, come consuetudine, viene proposto con la batteria di Pat Thetic in mezzo al pubblico, scena da gli Anti-Flag propongono da anni, e che rappresenta il modo migliore di sentirsi un tutt’uno con i loro fan.

La serata dunque giunge al termine, le band presenti hanno rispettato le attese, la location si è dimostrata all’altezza dell’evento, evento che, tra l’altro, era ad ingresso gratuito, aggiungiamoci che il meteo è stato pure clemente, regalandoci una serata decisamente fresca, cos’altro si poteva desiderare? Più di una nota di merito va all’organizzazione del Malt Generation Music Festival, che, nelle altre serate, ha visto, oltre agli artisti raccontati, anche Hardcore Superstar, Extrema, Rumatera e Folkstone, toccando quindi diversi generi e più tipologie di pubblico. Non ci resta che attendere la prossima edizione.

Live del 9 giugno 2018

Category : Live Report
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23rd Mag2018

Skid Row+Dirty Thrills+Venus Mountains+Cream Pie@Druso (BG)

by Ottaviano Moraca

Skid Row druso bergamo cocnertoGrande serata di Rock al Druso di Ranica (BG) con addirittura quattro gruppi in scaletta. Di uno a causa di un disguido con gli orari purtroppo non leggerete nulla in queste righe. Ed è un peccato perché i Cream Pie godono di ottima fama ed ero curioso di constatare con i miei occhi come se la cavano dal vivo. Mi terrò il dubbio, ma solo fino alla loro prossima esibizione. Indubitabile invece la qualità dei Venus Mountains che sfornano un gustoso hard’n’heavy appropriato nel contesto e sicuramente ben suonato. Nulla di nuovo sotto il sole ma personalmente a me piace anche così: non bisogna essere originali o innovatori a tutti i costi. A mio avviso il rock ha ancora così tanto da dire che una proposta valida si può apprezzare anche senza strampalati orpelli creativi in mezzo ai piedi. Devono pensarla così anche i Nostri che infatti non ci provano nemmeno e con brani ruvidi, diretti, efficaci, ben suonati e composti ancora meglio si incamminano convinti su un percorso ricco di soddisfazioni. La presenza scenica sicuramente non gli fa difetto e con un po’ di esperienza in più ad oliare gli ingranaggi i Venus Mountain avranno tutte le carte in regola per dire la loro in contesti anche più importanti. Forza ragazzi continuate così!

A seguire salgono sul palco per presentare il loro nuovo disco i Dirty Thrills che, lasciatemelo dire, sono una cannonata! Erano anni che il sottoscritto non si accaparrava l’intera discografia di una band direttamente dopo il concerto…invece ieri sono tornato a casa con in tasca entrambi i CD autografati di questi ragazzi che, per la cronaca, sono anche simpaticissimi e disponibilissimi con i fan. Veniamo però alla loro musica che è energia pura. Si tratta di un rock’n’roll di matrice settantiana che ammicca ai Led Zeppelin dei bei tempi andati e non solo perché il cantante si è presentato sul palco strizzato in una camicetta degna del miglior Plant. I brani scorrono rapidi e intriganti e sanno conquistare per le melodie orecchiabili ma non banali e per la notevole tecnica espressa soprattutto alla chitarra e al microfono. Tutti aspettano gli Skid Row e i Dirty Thrills non hanno molto tempo per convincere il pubblico della bontà della loro musica. Il valore della loro proposta è però talmente alto che i Nostri compiono la loro missione egregiamente. La platea resta affascinata, salta e canta con loro perché è impossibile non farsi coinvolgere dal carisma di pezzi così trascinanti e perfettamente eseguiti nonostante l’intrinseca difficoltà. Sentiremo ancora parlare di loro…ed è davvero una buona, anzi ottima notizia!

Ma è già tempo di Skid Row. Confesso di aver approcciato questo concerto portandomi dietro qualche dubbio. Anzi, era vera e propria paura perché il rischio che gli eroi di Toms River fossero ridotti a delle vecchie mummie polverose effettivamente c’era. Era poi la prima occasione per sentire all’opera ZP Theart, verificare come si sia integrato nella band e soprattutto come abbia reinterpretato il repertorio del gruppo. Si comincia: Slave To The Grind. Sassata in faccia e passa la paura. Non saranno quelli di trent’anni fa ma c’è di che star sereni. Bene. Il pubblico, per lo più veterani del rock, li accoglie con calore e dopo un paio di brani, sempre tratti dai primi album, i Nostri si giocano il primo jolly: 18 And Life. Personalmente me la sarei aspettata alla fine, o per il bis, esattamente come l’ha presenta Sebastian Bach quando l’ho visto dal vivo qualche anno fa. Invece no, ma sorprendentemente la mossa si rivela azzeccata perché il pubblico che canta a squarciagola tutta la canzone senza perdere mezza strofa scioglie definitivamente la band che da lì in poi ingrana la quarta, anzi la sesta, e sfreccia sull’autostrada del rock a velocità stratosferica.

Imboccata la discesa gli Skid Row non si sono più fermati e, se è vero che magari non hanno più l’energia di un tempo, è altrettanto vero che non hanno perso nulla del loro carisma e della loro tecnica. A dimostrarlo anche un simpatico siparietto dei chitarristi che si sono dilettati in assoli e facezie per cinque minuti buoni…e io adoro queste, perdonatemi il neologismo, “sboronate”! Non è mancata nemmeno la canonica cover dei Ramones, Psycho Therapy, peraltro cantata dal sempre istrionico Rachel Bolan, a cui sono seguiti altri pezzi classici, tra gli altri Big Guns, Piece Of Me, Makin’ a Mess e Monkey Business fanno la felicità di tutti fino agli immancabili bis. I Remember You e ovviamente Youth Gone Wild chiudono un concerto che ha lasciato soddisfatti restituendoci una compagine affiatata, compatta e convincente sotto tutti i punti di vista. E qui arriviamo al nocciolo della questione perché lo so che vi state tutti ponendo la stessa domanda che mi ponevo io ieri sera: la scelta di ZP Theart risulta azzeccata? Era evidente che aver inserito in formazione un ben noto screamer di estrazione puramente metal, lo conosciamo per aver lungamente militato nei Dragonforce, dichiarasse l’intenzione di un ritorno al passato. Una promessa mantenuta perchè degli ultimi due album, o dei recenti EP della serie United World Rebellion, non c’è stata traccia, con buona pace dei fan della prima ora.

Come detto il materiale presentato dalla band risale agli album originariamente cantati da Sebastian Bach e in questo frangente il nuovo frontman è assolutamente credibile. Il timbro è assimilabile e direi che, pur non potendo magari competere in quanto a potenza con un ricordo che all’epoca aveva vent’anni di meno, complessivamente ha ben figurato. Gli Skid Row ci sono ancora! Evviva! Ora non ci resta che aspettare il nuovo album.

Live del 21 maggio 2018

Category : Live Report
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13th Apr2018

One Dimensional Man+Colla@Circolo Ohibò (MI)

by Marcello Zinno

One Dimensional Man+Colla@Circolo Ohibò (MI)Altra serata all’insegna del rock viscerale quella all’Ohibò di Milano che ha visto gli One Dimensional Man presentare il nuovo album You Don’t Exist, accompagnati dai Colla. Partito il tour del nuovo album, e ormai già bello che rodato, il trio veneto ha girato per diverse regioni italiane portando la propria irriverenza su diversi palchi. Ad aprire lo show i Colla che avevamo già visto esibirsi al Circolo Ohibò (a questa pagina il live report) forse in un’occasione più congrua rispetto al loro stile. I Colla, anche loro veneti, forti del nuovo album Proteggimi, hanno riproposto i loro brani per farli conoscere ad un pubblico parzialmente diverso: in particolare Terra, Fine Novembre e in chiusura Vicenza hanno mostrato un fianco poco scoperto alle distorsioni che il pubblico si aspettava e più affine ad un pop rock orecchiabile, docile, lontano anni luce dall’incazzatura di chi si sarebbe esibito di lì ad un’ora. Forse anche per questo il pubblico, seppur abbastanza numeroso, ci è sembrato un po’ freddino, come nell’attesa di qualcosa che sarebbe avvenuto, in quel posto ma non in quel momento.

Ore 23:00, sono entrati gli One Dimensional Man, in maniera molto naturale sono saliti sul palco mentre la voce registrata di Capovilla enunciava l’elenco dei Presidenti degli Stati Uniti d’America (The American Dream) finendo di proposito su Barack Obama come a non riconoscere il nuovo, il nuovo che (dis)avanza. Gli ODM sono loro, fotte a nessuno che sia passato un ventennio dai loro esordi: sono una band talmente anti moda che durante le varie pause nella loro discografia nessuno parla di scioglimento, nessuno pensa alla morte precoce. Tanto torneranno, i fan ne sono convinti, più di loro stessi. La verità prima o poi torna a galla. Torna alla batteria l’indiavolato Francesco Valente che si fa sentire ad ogni colpo, in anomalo stato di salute appare anche Pierpaolo Capovilla che un qualsiasi redattore potrebbe definire “leader della band” ma che forse lui, dopo una risata beffarda, lo correggerebbe dicendo che è solo “un ubriaco ed attaccabrighe”. Pochissima interazione con il pubblico, le tracce volano nella loro irruenza, in un amalgama di sezione ritmica, chitarra distorta e testi sputati. Testi, perché anche se cantati in inglese, il “Capovilla-pensiero” resta il medesimo di quello de Il Teatro degli Orrori, difensore degli interessi di coloro a cui la società ha tolto interesse e trasformato in merce, o peggio in consumatori. E così arrivano tanti brani estratti dall’ultimo album, come No Friends, che non possono non richiamare lo stile che da sempre ha caratterizzato gli ODM. La coerenza è sicuramente una delle loro (e delle sue) virtù. Ma anche We Don’t Need Freedom, brano che Pierpaolo dichiara di aver scritto nel 1981 e che lui (e anche noi) sentiamo provocatoriamente molto attuale (“We don’t need rock stars, All we’ll want is farmers and soldiers”)

Decibel, irruenza, distorsioni, tutti elementi che arrivano ad un pubblico che si ferma all’apparenza, forma che cela una sostanza fatta di intolleranza verso un mondo che non sentiamo più nostro, non lo sentiamo nostro perché abbiamo ancora un briciolo di dignità verso noi stessi e non possiamo assorbire con indifferenza quello che succede intorno a noi. Tutti i giorni. Ed ascoltare gli One Dimensional Man non può voler dire ignorare questa filosofia, per alcuni spicciola ma pur sempre vera.

Live del 12 aprile 2018

Category : Live Report
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