Black Sabbath – Headless Cross
Giunto al termine degli anni ’80, Tony Iommi ritiene che il gruppo necessiti di una nuova scarica di adrenalina pura, che faccia piazza pulita degli interlocutori lavori precedenti. La soluzione viene trovata rifondando la sezione ritmica: reclutato al basso Laurence Cottle e soprattutto alla batteria il prodigioso Cozy Powell, con la nuova line-up viene rilasciato nei primi mesi del 1989 Headless Cross, il risultato?! Un uppercut in pieno volto! Riappropriandosi delle sonorità tipiche dei primissimi album, il Sabba Nero si incammina a pieno regime verso 8 tracce di potenza pura, condita da melodie spettacolari, su cui si staglia forte la voce di Martin, qui davvero a livelli super. L’intro di The Gates Of Hell è puramente sulfureo, preparandoci…all’imminente peggio. La title track vale da sola il prezzo del disco: la rullata potentissima di Powell fa arrancare addirittura la sei corde di Iommi che quasi non riesce a tenere il ritmo dell’indiavolato batterista, che in questo invece viene fedelmente seguito dal cantato pulito e spedito di singer. Il refrain ritmicamente scandito e i ripetuti riff inframezzati dal potente lavoro della sezione ritmica ci catapultano subito nell’olimpo della mistica perfezione sonora: siamo appena al secondo brano e già intravediamo la luce di un’esecuzione leggendaria.
Devil & Daughter non lascia feriti sul campo: l’introduzione di Nicholls, il riff già piazzato di Iommi, il cantato demoniaco di Martin e la perfezione delle percusioni non ammettono repliche. Il brano si snoda davvero “speed”, la sei corde lascia basiti per la sua ricerca del massimo nella scala delle note che a cascata si susseguono senza interruzione. Grandioso lo snodo centrale, in cui alla martellante presenza del quintetto si unisce ancora la stridula voce di Martin che in piena epopea metal anni ‘80 si iscrive alla grande nel novero degli screamer. Un non mai abbastanza apprezzato Nicholls introduce alla grande When Death Calls: la voce trasognata che inizialmente ci illude indulgere ad una ballad, presto ci riporta alla durissima realtà sonora di testi durissimi a dismisura portati da un sublime gioco di rullanti e piatti appena accennati, ma presentissimi nell’economia del brano, altra gemma del disco. Ancora rilevantissima la prestazione di Martin, che si consacra alla grande proprio ad opera di questo disco ed in particolare di questo brano, che d’incanto verso il finale si trasforma in una memorabile jam strumentale su cui si erge il titanico singer, quasi drammaticamente piegato in due dalla fatica ma ancora saldo dietro il microfono, mentre Iommi ci danna e strazia l’anima con la sua “deformità” mancina che macina e stritola note, dopo aver ceduto l’onore del riff centrale al super ospite a sorpresa Brian May.
Kill In The Spirit World: quale altra magia riescono a costruire i nostri eroi. Coadiuvati dal solido lavoro di Powell, questo brano si distingue nettamente dagli altri reggendosi su ritmi quasi mid, che lo rendono in alcuni passaggi addirittura quasi progressivo. Molto posato, stavolta, Iommi non si sovrappone alle linee melodiche che qui predominano salvo poi, nella parte centrale, abbandonarsi del tutto all’ispirazione ed all’improvvisazione di Nicholls che con le sue tastiere lo conduce al rilascio di un terremoto di note nell’assolo finale, davvero spettacolare, che ci riporta dritti al 1970. In Call Of The Wild possiamo apprezzare, per l’ennesima volta, il talento purissimo sprigionato da questi autentici fuoriclasse: un Martin toccato dalla grazia raggiunge picchi quasi inarrivabili di cilindrata vocale, mentre Iommi con la sei corde volutamente rallentata e drammaticamente incombente non ci lascia respirare, stante lo snodarsi senza soluzione di continuità del brano tra melodia, potenza e rilassamento finale, su cui ancora dispensare davvero le note selvagge di cui il brano è permeato. Dobbiamo necessariamente unire in unico dittico gli ultimi brani del disco: Black Moon e Nightwing che pur distinti e separati, costituiscono assieme un ‘opera d’arte . Il primo dei due brani si rivela un esercizio di stile per i cinque musicisti che, singolarmente, elargiscono a piene note la loro maestria, che va a confluire nel brano conclusivo, dove il lento e progressivo incedere degli strumenti va a completare quanto dal precedente brano iniziato. Difatti, con un lavoro superbo di tastiere e chitarra slide al punto giusto, viene messo in risalto persino un grande assolo di basso di Cottle, qui sì protagonista assoluto.
Se in Black Moon, il lavoro di Powell è sommamente sopra le righe, tuttavia al pieno servizio dell’economia del brano, in Nightwing il cantato di Martin è egregio nella sua potenza e nella timbrica di spessore, sapientemente condotta dalla sei corde che a più non posso dispensa solo di rara potenza ed intensità e che degnitosissimamente concludono il disco ed il brano che non vuol saperne di congedarsi dall’ascoltatore, concedendo al suo interno un ideale “bis” finale in cui ancora una volta tra acustica e tastiere sembra essere catapultati ancora in una seconda chiamata di un live concert, durante il quale il gruppo si accomiata alla grande dall’uditorio. Ed è ciò che accade esattamente qui: la tensione sonora cessa solo ed esclusivamente al minuto 40 e 31 secondi, quando il gruppo ancora in sottofondo continua la sua ideale cavalcata, che riprenderà a breve con altre performance magistrali.
Autore: Black Sabbath | Titolo Album: Headless Cross |
Anno: 1989 | Casa Discografica: I.R.S. Records |
Genere musicale: Heavy Metal | Voto: 9 |
Tipo: CD | Sito web: http://www.black-sabbath.com |
Membri band:
Tony Martin – voce Tony Iommi – chitarra Laurence Cottle – basso Cozy Powell – batteria Geoff Nicholls – tastiere |
Tracklist:
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Grande album del sabba nero! riscoprirlo con queste parole e’ stato a dir poco entusiasmante! Grazie Giancarlo!!!
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