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10th Set2012

Pearl Jam – Pearl Jam

by Giuseppe Celano

Meglio. Sì, decisamente meglio delle loro ultime sfornate in studio. Ma potrebbero fare di più, lo sappiamo tutti, anche loro. Inutile recriminare sulla parabola discendente degli ultimi Pearl Jam, sarebbe troppo facile e scontato. A tre anni abbondanti dall’operazione Lost Dogs, i Nostri ci riprovano con l’ottavo album fatto di tredici brani nuovi di zecca. Cosa potremmo dire di una band che ha indelebilmente segnato gli anni novanta? Su che punti potremmo apostrofarli negativamente e su quali altri decantare le loro lodi? Sarebbe un’impresa impossibile da eseguire senza cadere nel banale o comunque senza dimostrarsi di parte. Ci limiteremo ai fatti o alla musica se preferite. I nuovi PJ suonano viscerali, sono ritornati a una dimensione cavernicola e primitiva. Via gli orpelli, solo punk e rock, sudore e sangue, polvere e macerie da cui probabilmente ricostruiranno la loro fortezza, o forse no, ma questo non importa ora. Non c’è più spazio, stavolta, per le sperimentazioni, la band opta per l’uso muscolare delle chitarre, riffano e arraffano i nuovi Pearl Jam. Si riempiono la bocca di assoli potenti e veloci (Life Wasted), ritirano fuori la melodia (Severed Hand). Con molta probabilità Vedder e soci hanno sentito la necessità di scrollarsi di dosso il tanfo di stantio, quell’odore rancido delle loro ultime produzioni. Di colpo, come per magia, si sono risentiti vivi e giovani, forti e spregiudicati. Pearl Jam è un disco sanguigno, nervoso e feroce. È in gioco il loro futuro, e quando il gioco si fa duro…ci siamo capiti.

Non mancano i riferimenti alla politica espressi caldamente nel passato ma senza quella giusta dose d’esperienza e nervi tesi che oggi il combo ha profondamente assimilato e risputato fuori con rabbia. Si schierano apertamente con l’America ferita nel suo ego, messa in ginocchio da un attacco durissimo del 2011 e ridicolizzata dalle successive scelte politiche dell’amministrazione Bush. In questo disco potrete trovare piccole lezioni di classe, guide all’uso malsano del riff penetrante e spezza ossa mutuate dagli Who prima e dagli Zeppelin dopo. Le due “asce” portanti non dimenticano gli insegnamenti, in acido, del loro mentore Jimi Hendrix, si dissetano nel punk malsano e sconnesso dei Dead Kennedys e scelgono qualche strana svisata pop, testimoniata dalla sghemba ballata Parachutes. In Unemployable , non proprio un pezzo riuscitissimo, la testa corre al “Boss” mentre in altri casi l’uso del rifferama marmoreo scomoda perfino gli Ac/Dc. Ottima la performance di Vedder che ha ritrovato la sua solita vena polemica, le sue ferite sanguinano e il suo urlo si fa più vero e credibile. Superata la metà dell’album, l’iniziale urgenza di comunicare un disagio arrivato al limite lascia il posto a atmosfere più strane e complesse, rese intriganti da arrangiamenti più curati.

Ma niente paura perché appena sembra che la band abbia abbassato la guardia ci pensa Big Wave a ristabilire l’ordine delle cose. Quale ordine vi starete chiedendo? Quello di distruggere tutto ciò che non permette il raggiungimento della libertà tanto decantata (spesso a suon di guerre mai del tutto vinte) dal popolo americano. Della stessa pasta sono fatte Worldwide Suicide e Comatose, veri e propri montanti rilasciati di Mike Tyson in persona. Della serie “nelle ballate non ci supera nessuno” arriva Gone, modello Better Man ma senza la stessa classe, che parte con la chitarra arpeggiata per poi confluire nella classica cavalcata in cui tutti i membri della band ci mettono del proprio. Sorvolando su Wasted Reprise e Army Reserve ci si avvia verso il finale che viaggia sulle note di Come Back, una ballata triste e malinconica molto sentita da Eddie, la cui voce sembra tremare visibilmente in ogni sua deliziosa mutazione. Sigilla il tutto Inside Job, una lunga ed elegante crociata rock con tanto di pianoforte, crescendo mozzafiato e finale in classico stile Pearl Jam. Che volete di più da una delle formazioni più importanti degli ultimi vent’anni, che si avvia (non proprio mestamente verso i quarant’anni) e che dal vivo ha ancora la potenza distruttiva dell’eruzione del Krakatoa?

Nessuna band è mai riuscita a mantenere a livelli altissimi tutta la loro produzione: l’età avanza, i tempi cambiano, le mode influiscono e questa regola vale anche per Vedder e soci che di certo hanno visto tempi migliori, ma in confronto ai loro ultimi due sufficienti e sconnessi lavoretti questo sembra davvero un piccolo faro in un mare di mediocrità altrui. I Pearl Jam hanno ritrovato, non sappiamo per quanto ancora, una vena forte e credibile. Non serve altro, almeno a noi.

Autore: Pearl Jam Titolo Album: Pearl Jam
Anno: 2006 Casa Discografica: J. Records
Genere musicale: Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.pearljam.com
Membri band:

Eddie Vedder – voce

Stone Gossard – chitarra

Mick McCready – chitarra

Jeff Ament – basso

Matt Cameron – batteria, percussioni

Tracklist:

  1. Life Wasted
  2. World Wide Suicide
  3. Comatose
  4. Severed Hand
  5. Marker In The Sand
  6. Parachutes
  7. Unemployable
  8. Big Wave
  9. Gone
  10. Wasted Reprise
  11. Army Reserve
  12. Come Back
  13. Inside Job
Category : Recensioni
Tags : Grunge, Pearl Jam
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