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11th Ott2012

Van Halen – 5150

by Giancarlo Amitrano

Dopo il successo planetario di 1984, arriva anche per il gruppo statunitense il momento di pagarvi il giusto dazio: l’insofferenza ormai palese di “Diamond” Dave Lee Roth nei confronti del chitarrista raggiunge, come nelle migliori famiglie, livelli insostenibili che inducono il singer a cambiare aria ed a intraprendere di lì a poco un’alternante carriera solista. Non si scoraggia il leader, pur perplesso di fronte alle nuove linee sonore da intraprendere. Viene reclutato allora il “rosso” per eccellenza in ambito musicale: Sammy Hagar, reduce da fortunate collaborazioni da turnista (da menzionare tra le altre il progetto HSAS, con Hagar, Schon, Aaronson e Shrieve). Consapevole che il periodo di “baldoria” musicale di Roth è ormai alle spalle, il gruppo riassembla e rimodula la sua tecnica compositiva e strumentale sulla falsariga delle corde vocali di Hagar, certamente più tecnico e dotato di maggior range sonoro del suo forse più carismatico predecessore. La stesura di 5150 prende così forma negli omonimi studios di proprietà del chitarrista, che già dalla opener-track prende per mano il gruppo e lo consegna al microfonato Hagar che da par suo rivolta come un calzino l’approccio sonoro della band con i suoi virtuosismi, che consentono all’axeman di liberarsi del peso anche compositivo dei brani e dedicarsi nuovamente all’aspetto tecnico recentemente posto in secondo piano dalle performances istrioniche di Roth. Approccio completo quello del chitarrista, anche nell’uso dei sintetizzatori, oggetto della discordia tra i fan: ma con Why Can’T This Be Love il loro uso non viene disdegnato, se viene messo sul piatto di una potenziale top-hit da consegnare alla memoria storica della band. La voce di Hagar è cartavetrata al punto giusto, il riff puntuale e preciso arriva al momento opportuno e persino i cori, da sempre, componente fondamentale nell’economia del gruppo, sono mirabili nel completare l’estensione vocale del singer.

Get Up costituisce una pesante zavorra del passato del leader del gruppo: forse inconsapevolmente, paga il suo debito di riconoscenza a Roth nell’interpretazione del brano che contagia anche Hagar in una trasposizione più “teatrale” del testo, pur con gli ovvii distinguo del caso. Il maggior tasso tecnico del rosso crinito non risente del naturale paragone con il suo plateale predecessore, stante il contesto più solido nella stesura dei brani, scritti a piene mani anche con la sua fattiva collaborazione. La metamorfosi del chitarrista e la sua “adesione” al nuovo è compiuta: Dreams ne è testimonianza diretta e pregnante. Sintetizzatori a iosa e nella fase introduttiva del brano e nel bridge centrale di esso, che quasi non lascia spazio all’interpretazione di Hagar, punto nell’orgoglio tanto da sfoderare una serie di acuti lancinanti da autentico “screamer” dell’epoca (ricordiamo essere nel pieno dei favolosi anni ottanta). Sino alla fine del brano, l’autentico protagonista è certamente il singer che varia su tutta la scala pentatonica onde consentire al pezzo di confermare il rinnovato binomio Hagar/Van Halen e non, come sarcasticamente all’epoca malignato, VAN HAGAR! Anche il nuovo cantante, tuttavia, non rinuncia al piacere di una sana ballad all’interno del disco, tanto per far capire che lui non è da meno nella sua eventuale composizione.

Best Of Both Worlds si attaglia alla perfezione al nuovo arrivato: la tendenza a salire subito di un’ottava nella resa vocale viene in questo caso opportunamente attenuata anche dalla complessità del brano, ballad o meno che sia, in quanto la sei corde tende ad accentrare con il suo lavoro il cantato rigorosamente roco del singer, di modo che anche il ritornello centrale risente di questo ennesimo agonismo tra voce e sei corde, appiattendo in alcuni frangenti la pur valida stesura del brano. Ci riconciliamo, tuttavia, con tutto il resto del disco con la gemma in esso presente dal titolo Love Walks In, un arcobaleno disegnato con perfezione dal quartetto che raggiunge qui una delle vette massime. Ancora synth a far da padroni, ma insieme ad una sei corde nuovamente ispiratissima come da anni non accadeva, e soprattutto una prestazione vocale letteralmente da urlo e una sezione ritmica che nella sua battuta rasenta la perfezione. Cosa aggiungere inoltre al riffone centrale che consacra ancora il chitarrista alla storia? Tutto il pentagramma delle note viene percorso dall’ascia in pochi secondi alla velocità della luce, con distorsioni, tapping e quant’altro si possa ascoltare da orecchio umano. Il cuore dell’album è proprio qui, alla traccia 6 del disco, in tutti i suoi quasi trecento secondi…Il dittico finale nulla toglie e nulla aggiunge: la title-track è un mero esercizio stilistico che tuttavia porta legna in cascina all’economia della band, specie per il mercato d’oltreoceano, sempre attento alle proposte di genere.

Inside è un bel brano nel suo insieme: il periodo di addestramento del singer è ormai terminato se è vero come è vero che è lui ad incarnare l’essenza attuale del gruppo. I fratelli Van Halen sono ispirati ognuno per quanto di ragione ed anche il sottovalutato Anthony regge bene il confronto con altri quotati bassisti dell’epoca. Infatti con il suo lavoro preciso e cadenzato che anche in questo brano si caratterizza dimostra di non meritare ciò che di lì a qualche anno la sorte (musicale) gli riserverà. Il singer, dal suo canto, prosegue invece per la sua strada, che condurrà la band ad altre proposte di varia interpretazione e che susciteranno ancora polemiche infinite tra puristi della prima ora che mal digeriscono lavori come questo, ed altra frange meno oltranziste che concordano sulla nuova linea sonora oramai intrapresa.

Autore: Van Halen Titolo Album: 5150
Anno: 1986 Casa Discografica: Warner Bros
Genere musicale: Hard Rock Voto: 7
Tipo: CD Sito web: http://www.van-halen.com
Membri band:

Sammy Hagar – voce

Eddie Van Halen – chitarra

Michael Anthony – basso

Alex Van Halen – batteria

Tracklist:

  1. Good Enough
  2. Why Can’t This Be Love
  3. Get Up
  4. Dreams
  5. Best Of Both Worlds
  6. Love Walks In
  7. 5150
  8. Inside
Category : Recensioni
Tags : Album del passato, Hard Rock
1 Comm
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One Response to “Van Halen – 5150”

  • Gianluca Scala
    11 Ottobre 2012 20:40

    Ma come si fà a trascurare un brano come Summer Nights nella recensione! Tra l’altro non appare nemmeno nella track list dell’album… Non ci siamo, no no no 😀
    A parte gli scherzi, bella recensione comunque. Io direi voto 8,5. 🙂

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