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15th Apr2019

The Byrds – Sweetheart Of The Rodeo

by Sara Fabrizi
Cosa resta di una band innovativa e sperimentatrice che però si perde i pezzi per strada? Alla spicciolata se ne stavano andando tutti: Gene Clark fu il primo, seguito poi da David Crosby. Dopo The Notorious Byrd Brothers fu la volta del batterista Michael Clarke. Del nucleo originario restavano il leader (a questo punto sì diciamolo, un po’ despota) Roger McGuinn e il fedele bassista Chris Hillman. Via il cantautorato confessionale di Gene Clark, via il folk rock visionario di David Crosby, esplorata (e io direi inventata!) la psichedelia, quali sarebbero state le prossime mosse dello stratega McGuinn? “E se facessimo un bell’album country? Anzi, se contaminassimo country e rock forgiando un nuovo genere?”, mi sembra quasi di immaginare Hillman, che mai nascose il suo debole per Nashville, rivolgersi con fare interlocutorio a Mr. jingle jingle man McGuinn. E come si fa ad aprirsi al country senza sembrare anacronistici o conservatori bacchettoni? Siamo pur sempre nel 1968. La pensarono bene: invitarono ad unirsi alla band Gram Parsons. Lo scanzonato hippie di Los Angeles, futuro leader dei Flying Burrito Bros, e futuro “grevious angel”, stava già esplorando il country rivoltandolo come un calzino, sporcandolo di rock e trasgressione, inventando un nuovo genere. Era lui l’uomo giusto da accogliere in casa Byrds.

Ed ecco fatto, dividendo le sessioni di registrazione fra Nashville e Los Angeles, prende forma Sweetheart Of The Rodeo. 11 brani, 9 cover fra traditional vari e il solito Dylan e 2 inediti entrambi scritti da Gram Parsons. Apre l’album You Ain’t Go Nowhere, cover dylaniana, pescata dagli allora inediti Basement Tapes. Magnificente, un gioiello di jingle jangle, pedal steel e armonie country. Chiude l’album l’altro tributo a Dylan, Nothing Was Delivered. Il canto del cigno, dell’album, della band stessa (dopo quest’album i Byrds non furono più i Byrds) e anche dei sixties forse. Superba, accattivante, col piglio di una vera hit si pone come il canto libero e liberatorio dell’intero decennio. Armonie vocali, jingle jangle, pedal steel e virtuosismo alle tastiere di Gram Parsons. Lead voice McGuinn, che iniziava a diventare un po’ geloso del fulgido Gram e pensò bene di mantenere per se un ruolo portante. In mezzo a queste 2 magnifiche apertura e chiusura troviamo lo standard gospel di Christian Life, le canoniche I Am A Pilgrim e Life In Prison che sembrano esaltare modi di vivere e di vedere le cose talmente traditional che restiamo sbalorditi e pensiamo “ma sono proprio loro, gli psichedelici Byrds a cantare la tranquillità di una vita cristiana in mezzo alle praterie?”. Sì, sono proprio loro che abbracciano lo spirito originario del country più classic ma in un’ottica di sicuro falsamente fedele, di sicuro irrisoria e sovversiva. Esaltare, a parole, lo stile di vita di nonni e bisnonni, ma farlo col tintinnio jingle jangle di tante rivoluzioni personali e sociali e col sorriso irresistibile di Gram. Mi pare di vederlo, dietro quelle tastiere, che con sfrontatezza e fare ammiccante rende peccaminoso e rock’n’roll pure il country più bigotto. Grazie al fuoco innovatore di Parsons e alla cifra stilistica, garanzia di qualità di McGuinn, il country si svecchia e libera dai gioghi del passato per partorire il country rock. Nasce un genere, hic et nunc.

Due le composizioni originali dell’album, entrambe a firma Parsons: One Hundred Years From Now e Hickory Wind. La prima trabocca di sincerità raccontando il suo stile di vita tipicamente bohémien, disorientante ma irrinunciabile. Qui emerge tutta la sua anima dedita a narrare, tramite le chitarre del country, il suo fuoco interiore che poi ne sarà anche la maledizione. Il tirannico McGuinn si riservò di cantarla, invece avrebbe dovuto lasciarla ai dolcissimi lamenti vocali di Gram. Ne esistono, ad ogni modo, alternative takes cantate da Gram che è doveroso conoscere. L’altro brano, Hickory Wind, è forse una delle perle più fulgide dell’intero canzoniere parsonsiano. E finalmente possiamo ascoltare la sua voce spezza-cuori. Una ballad-elegia che a colpi di steel guitar narra di un’infanzia pura e innocente come un sogno ormai irraggiungibile. Trova posto nell’album anche un tributo al gigantesco Woody Guthrie, con Pretty Boy Floyd dove spadroneggia il country folk delle praterie. I restanti 3 brani sono: You Don’t Miss Your Water, You’re Still On My Mind e Blue Canadian Rockies. Il primo è mesto, pur nei suoi toni da cabaret da saloon. Il secondo è una ballad molto Elvis e solite praterie. Un lamento dolce, ma sostenuto. Il terzo è un traditional molto roots, molto slow, molto rassicurante. Questo il quadro generale, e particolare, dell’album.

Manco a dirlo, per le solite “guerre di potere” con McGuinn, terminate le sessioni di registrazione Gram alzò i tacchi e andò verse nuove brillanti avventure. Di lì a poco avrebbe creato, insieme ad Hillman, la prima vera country rock band della storia, The Flying Burrito Brothers, con il merito di aver “regalato” ai Byrds il loro ultimo grande gioiello.

Autore: The Byrds Titolo Album: Sweetheart Of The Rodeo
Anno: 1968 Casa Discografica: Columbia Records
Genere musicale: Country Rock Voto: 9
Tipo: LP Sito web: http://www.thebyrds.com/
Membri band:
Roger McGuinn – chitarra, banjo, voce
Chris Hillman – basso, mandolino, chitarra, voce
Gram Parsons – chitarra, pianoforte, organo, voce
Kevin Kelley – batteria
Tracklist:
1. You Ain’t Going Nowhere
2. I Am a Pilgrim
3. The Christian Life
4. You Don’t Miss Your Water
5. You’re Still on My Mind
6. Pretty Boy Floyd
7. Hickory Wind
8. One Hundred Years From Now
9. Blue Canadian Rockies
10. Life In Prison
11. Nothing Was Delivered
Category : Recensioni
Tags : Country
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