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30th Apr2021

Saxon – Metalhead

by Giancarlo Amitrano
Non manca nulla alla nostra band per tenersi sempre in forma: la realizzazione di questo Metalhead vede, infatti, Byff nel bel mezzo di una disputa legale per (come al solito) il copyright del marchio del gruppo. Vertenza intentata contro l’ex Graham Oliver, che tenta di appropriarsi del nome della band, ma viene respinto con perdite in Tribunale. L’altra “seccatura”, più importante musicalmente, vede il nuovo abbandono di Glockler, stavolta motivato da ragioni personali, portando il singer alla ricerca immediata di un sostituto, rinvenuto stavolta nel pur valido Fritz Randow, ex Victory, completando così il processo di “germanizzazione” che il gruppo sta portando avanti, avendo label, drumming e management rigorosamente teutonici, tanto per tenersi al passo con i tempi, ormai votatissimi alla ricerca della massima visibilità commerciale, oltre che ovviamente musicale. L’intro di tastiere che apre le giostre ha un qualcosa di notevolmente cupo e drammatico, che in circa due minuti evidentemente tenta prospettare quello che l’album offrirà, riecheggiando (in ciò) quello che un decennio prima avevano fatto i “Preti di Giuda” con l’altrettanto intensissima The Hellion a fare da apripista all’immensa Electric Eye, anche e soprattutto dal vivo con le memorabili entrate di Rob Halford sulle loro note: nel caso del quintetto dello Yorkshire, il brano appare spaziale e gotico al tempo stesso, tanto da essere ideale opener nientemeno che per la titletrack, la quale irrompe subito con un riffone spaccatimpani, il drumming piacevolissimo del nuovo arrivato e specialmente la voce di Byff che appare letteralmente…trasformata; diversamente dalle performance da screamer purissimo, qui ascoltiamo il singer in una versione “sperimentale”, nel senso di essere anzitutto più gutturale e maggiormente propensa alle estensioni del mezzo vocale. La stessa appare anche “effettata” in studio e maggiormente profonda, mentre la coppia Quinn/Scarratt sfoggia un assolo da levarsi il cappello, che dirada gradualmente verso la ripresa della struttura del brano, su cui il singer continua a proporre la sua voce più modulata ed allenata ad arte per tenere a lungo le note che la traccia richiede.

Si passa ad Are We Travellers In Time, su cui la band sfoggia tempi apparentemente medi, ma che sono funzionali allo svolgimento del brano, con Randow ottimo nella sua energica semplicità, non memorabile ma di sicuro effetto: gli arzigogoli delle chitarre sono da sfondo ad un ottimo assolo centrale, che codifica bene l’affiatamento delle due asce, che tornano in fretta a rivestire le rispettive mansioni ritmico-solistiche, senza inficiare l’efficacia del brano, i cui testi certificano l’avvicinamento della band a tematiche che esulano da quelle canoniche del metal, pur ben eseguite e rafforzate da un ossessivo refrain che Byff dispensa a pieni polmoni. L’intro di Conquistador è brevemente spagnoleggiante con la acustica ben armonizzata, salvo poi cambiare registro in fretta con una cavalcata che più che metal potrebbe apparire quasi “power” alla Gamma Ray, band tedesca e quindi dai ritmi ben noti al buon Randow che qui pesta a più non posso e lascia ben scorrere le doppie casse e la grancassa in un ideale mix tecnico e potente. Byff alla grande su toni e timbriche ancora molto manierate e di sicuro effetto, mentre la coppia di asce strabilia ancora una volta per l’esecuzione sicura e solida di quanto di competenza. What Goes Around è un brano apparentemente semplice nella sua struttura, ma il cantato di Byff lo rende tutt’altro che disprezzabile: certo, la base elementare ed i “gridolini” del singer non rendono facile la valutazione della traccia, che comunque procede spedita verso il bersaglio grosso di una buona fase centrale a cura del duo di asce ancora infuocate e necessitanti sempre di sfornare assoli validi e coinvolgenti come quelli che ascoltiamo lungo il brano, abile a chiudere con un corale lavoro del quintetto. Con Song Of Evil si torna a menare fendenti, anche grazie alla sagacia di Randow che con il suo ritmo teutonico dona alla traccia quel quid di energia e potenza che anche Byff coglie con l’esibizione del suo vocione, qui nuovamente affilato. La fase centrale vede semiacustiche ben accennate ed a disegnare il successivo slot elettrificato che qui si appalesa con arpeggi non indifferenti che durano quasi tutto il brano, che Byff chiude degnamente con grida belluine come ai vecchi tempi.

All Guns Blazing non fa sconti, subito in evidenzia la doppia cassa di Randow, mentre Byford parte in quarta come una metal band dovrebbe fare: bridge e refrain molto ben strutturati, con echi di quel sano hard’n’roll tedesco che tanto piace ai vecchi bucanieri delle fucine metalliche; ancora un lavoro non indifferente delle due chitarre, a conferma che la sezione delle sei corde marcia quasi con il pilota automatico, tanto da accompagnarci al successivo ed enorme ritorno della sezione ritmica, che poderosamente ci guida alla fine di un brano che non ha nulla da invidiare a quello omonimo dei “Preti di Giuda” (a volte ritornano). Prisoner evidenzia ancora di più la voce superba di Byff che, pur effettata in studio o magari anche sovraincisa, non perde un’oncia di spessore o valore, grazie ad ottime alchimie da studio che il produttore Charlie Bauerfeind ha instillato nella registrazione, specialmente nelle chitarre che qui appaiono magicamente cristalline e limpide, sia nella fase di accompagnamento che in quella solista, grazie anche al singer che appare migliorare invecchiando, come le migliori annate del vino pregiato. Piss Off va in controtendenza, con un riffone iniziale dai tempi quasi contrari allo svolgimento canonico della traccia: è una traccia hard classica più che metal, pur beandosi di una buona struttura di base. Certo, non tra i brani memorabili del lenght per una sua semplicità di base, ma non mancano al suo interno alcuni momenti di luce purissima, come i distinti e separati assoli di Quinn e Scarratt, che si equivalgono per bravura e tecnica.

Tagliente e deciso, l’intro di Watching You lascia presagire quello che sarà, ovvero una classica cavalcata metallicissima, di ispirazione quasi “doom” in alcuni passaggi: il tema della privacy qui trattato anticipa tematiche relative alla rete di clamorosissima attualità; sempre Byford sugli scudi, “eccessivo” sia sui versi che sui ritornelli, mentre un signor assolo sotto traccia rende il brano ancor più poderoso, diretto e di impatto sonoro. Si chiudono le danze con Sea Of Life, dove sono ancora le chitarre a predominare: il successivo sviluppo semiacustico potrebbe definire il tutto una ballad, quale magari appare per qualche momento ma l’elettricità di fondo spariglia ancora le carte, con Byff ed una voce stavolta molto bella da vecchio marpione del set. Anche i tempi si rallentano, per consentire alla buona sezione ritmica di poter ben tratteggiare le tempistiche di un brano articolato, di durata rilevante tale da consentire vari slot di esibizione ai musicisti, su cui prevalgono ancora le asce che accompagnano fino alla fine e che vanno a sfumare nelle tastiere qui suonate dal singer dei Freedom Call, a chiudere un album che prosegue sulla falsariga della rinascita artistica del gruppo, pronto a tuffarsi nel nuovo millennio con energia rinnovata e rinnovabile, magari non come le pale eoliche ma con la stessa affidabilità e garanzia.

Autore: Saxon Titolo Album: Metalhead
Anno: 1999 Casa Discografica: Spv
Genere musicale: Heavy Metal Voto: 7
Tipo: CD Sito web: www.saxon747.com
Membri Band:
Byff Byford – voce
Paul Quinn – chitarra
Doug Scarratt – chitarra
Tim Carter – basso
Fritz Randow – batteria
Chris Bay – tastiere
Tracklist:
1. Intro
2. Metalhead
3. Are We Travellers In Time
4. Conquistador
5. What Goes Around
6. Song Of Evil
7. All Guns Blazing
8. Prisoner
9. Piss Off
10. Watching You
11. Sea Of Life
Category : Recensioni
Tags : Saxon
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