Flea: Acid for the Children

Pubblicata nel nostro paese da HarperCollins Italia, Acid for the Children (brossurato, 400 pagine, 20 euro) è un’autobiografia avvincente, dalla lettura assai scorrevole, che ripercorre – con dovizia di dettagli – la scalata al successo “di uno sregolato teppista di Los Angeles che è diventato un’icona del rock”. Tradotto da Stefano Chiapello e introdotto da una poesia inedita di Patti Smith (Innocenza), questo volume racconta una storia di formazione ed è, al contempo, una sentita lettera d’amore alla musica e alla creatività in ogni sua forma. Senza alcun limite.
La firma è quella di Flea, musicista eclettico e attore occasionale nato in Australia (in pochi lo sanno) e cresciuto negli Stati Uniti (questo decisamente di più). Con i RHCP ha pubblicato undici album in studio – il primo è il disco omonimo, datato 1984; l’ultimo è The Getaway, rilasciato cinque anni fa – e tutt’oggi divide il palco con Anthony Kiedis (voce), John Frusciante (chitarra), Chad Smith (batteria). Per conoscere meglio i primi due, suggeriamo di leggere l’autobiografia di Kiedis, Scar Tissue, e la biografia Anima da spremere firmata da Federico Francesco Falco. Mentre per approfondire l’uomo e l’artista Flea (all’anagrafe Michael Peter Balzary, nato il 16 ottobre 1962 a Melbourne) questa autobiografia rappresenta il compendio ideale. Come nel caso di Kiedis (“Anthony e io ci chiamavamo i fratelli siringa”) è lo stesso bassista a descrivere minuziosamente la propria infanzia che, di fatto, inizia a Rye (New York) nel momento in cui i genitori divorziano: sua madre, Patricia, sposa in seconde nozze un jazzista, che invita spesso i colleghi musicisti a casa per delle jam session (“Sono cresciuto terrorizzato dai miei genitori, e in generale dalle figure paterne, che mi hanno causato molti problemi più tardi nella vita”).
Ma sono proprio tali momenti a far sorgere in Flea l’interesse e l’amore nei confronti della musica. Verso il suo amato basso (“con uno strumento affidatogli dalla provvidenza che nelle sue mani parla con voce spettrale, una ruota colorata senza controllo, per poi tornare come un boomerang dove brucia il suo fuoco, al suo cuore creativo”, recita la poetessa e artista statunitense). Ma tutto questo accadrà soltanto nel prossimo futuro. Il presente di Flea, invece, è contraddistinto dal trasferimento a Los Angeles, la città degli angeli (lui che da bimbo sembra sì un piccolo putto irriverente, come da foto che campeggia sulla copertina del libro), dove resta letteralmente affascinato dalla tromba, incensando artisti del calibro di Louis Armstrong, Miles Davis, Dizzy Gillespie, Charlie Haden. Uomini e musicisti che saranno i suoi eroi ancor prima di Jimi Hendrix, di Bob Marley (“diceva che non importa che musica suoni e nemmeno la qualità: tutto ciò che conta è dedicarsi completamente al processo creativo necessario a realizzarla”) e dei Funkadelic.
Ma la situazione va peggiorando e la famiglia, non troppo tempo dopo, si disgrega. Appena tredicenne, Flea comincia a fumare erba, passando in breve tempo a una vera dipendenza dalle droghe pesanti. A 14 anni è già (letteralmente) sulla strada e poco dopo incontra un altro emarginato e tossicodipendente, Kiedis, con il quale decide di formare una band: i Red Hot Chili Peppers (“il mio rapporto con Anthony? Forse se arrivassi davvero a capirlo, l’energia cosmica potrebbe disperdersi, ma non c’è pericolo, perché per me rimane incomprensibile”). Gruppo rock/funk del quale nel libro non si parla molto, se non per brevi accenni: dalla prematura scomparsa del chitarrista Hillel Slovak nel 1988 al primo brano scritto a quattro mani con lo stesso Kiedis (“Anthony mi piacque subito, mi sembrava un disadattato come me”) al primo live portato avanti con in repertorio un’unica canzone della durata di tre minuti.
Era da parecchio tempo che si parlava del libro di memorie di Flea. Già nel 2014, all’interno di un comunicato stampa si leggeva che il musicista stava lavorando alla propria autobiografia nella quale avrebbe condiviso con i propri fan “storie della sua vita intensa e dinamica”. E che Flea avrebbe documentato la sua educazione suburbana nella grande mela fino ad approdare “alla sua giovane vita ribelle nelle strade di Los Angeles”. Ed ecco che Acid for the Children è una sorta di romanzo di formazione, che si snoda fra vagabondaggi, risse, incontri con persone poco raccomandabili, feste allucinanti e allucinate. Un universo che Flea – persona non solo “folle”, ma anche sensibile e a tratti assai fragile – ha imparato ad apprendere fin da giovanissimo. E che esplorerà a fondo, senza negarsi nulla, per tutta l’adolescenza. Ma oggi Flea è un uomo maturo, consapevole: “Quando provo la gioia di dare, sono l’uomo più felice su questa bellissima Terra. Voglio bene a tutti voi e non smetterò mai di provarci”.