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05th Nov2021

Royal Hunt – Moving Target

by Giancarlo Amitrano
Un balzone verso la celebrità: questo, il miglior biglietto di presentazione del terzo lavoro della band danese la quale, tenendo ancora fissa la line-up, aggiunge “soltanto” una nuova, enorme, voce al microfono, rappresentata dallo yankee Cooper, il quale porta in dote la sua voce multiforme e, soprattutto, l’essere stato ad un passo dal sostituire nientemeno che Rob Halford in un “certo gruppo”. Cambia anche lo scenario in cui il lenght si addentra: sin dalla copertina, l’album promette fuoco e fiamme, senza indulgere a momenti non intensi, con liriche spinte ed esecuzioni davvero sopra le righe, tanto per non farsi mancare proprio nulla. Sono 10 tracce da ascoltare tutte d’un fiato, per intensità e tecnica tutte in competizione tra loro, alle quali la voce del nuovo singer fornisce quello stacco maggiore rispetto alle pur buone interpretazioni di Henrik Brockmann, che Cooper per la verità provvede a distanziare di parecchie lunghezze, stimolato e “testato” sin dal tour nipponico appena precedente l’odierno album, nel quale tour l’audience del Sol Levante accoglie a braccia aperte il nuovo vocalist. Un vocalist che , alla prova da studio, mostra subito di che pasta sia fatto: Last Goodbye è subito propellente purissimo per la band, che su di un ritmo incalzante costruisce una potente melodia che i cori del collaudato duo Mc Turk/Hansen contribuiscono a rafforzare. Il sound è davvero incalzante, con tempi accelerati ed il drumming di Olsen davvero notevole, senza contare le ovvie ed immancabili tastiere di Andersen che tengono da par loro un ritmo già di per sé indiavolato.

1348 è subito una delle vette dell’album: pura lirica e tecnica sopraffina compongono il cuore della traccia, di per sé drammatizzata dal tono infernale che la sezione ritmica induce ad stamparsi in mente. Ed è qui che la voce di Cooper tocca apici prodigiosi nel descrivere scenari apocalittici di peste e morte che nel Medio Evo sterminò popoli interi. Le superbe voci femminili dragano letteralmente il pezzo facendo sentire la loro presenza immanente, gentile eppur ferma nei momenti topici del pezzo, vero inno antemico della band. Ancora una gemma, con l’esecuzione di Makin’ A Mess: ad un inziale tripudio di percussioni, gong e sintetizzatori, segue una fase di puro barocco abbinato al metallo più sfrenato, nel narrare la storia del protagonista del brano che impersona alla grande pregi e difetti dell’essere umano, esecuzione da urlo del gruppo, che rende presentissima la sensazione della catastrofe imminente e da cui non c’è scampo se non con il sacrificio, rendendo detto pensiero attraverso una performance globale di pura accademia di livello superiore, tanto per rendere ben chiaro che è la matrice classicissima ed impegnata della band a partorire di tali ingegni. Ed eccoci al capolavoro assoluto dell’album: Far Away ed il suo commosso tributo alle vittime del terremoto di Kobe sono una delle punte massime delle metal ballad: l’ugola di Cooper compie qui autentici giri di vite che mettono a durissima prova le sue corde vocali, mentre Andersen disegna con maestria picchi di arcobaleno tastieristico che ha bene in mente nel momento stesso in cui li esegue. Le vette vocali di Cooper vengono continuamente superate persino nel finale, quando il singer ritiene di salire ancora di tono durante la ripetuta esecuzione del refrain, raggiungendo così l’empireo di altri eminenti colleghi di genere, quali ad esempio (tra i primi che ci vengono a mente) il sempreverde Michael Kiske, ma qui resta eterno il valore di un brano che ancora oggi sconvolge per perizia ed esecuzione.

Step By Step parrebbe, con l’intro abbastanza cadenzato, ricondurci verso lidi più ameni e rilassati ma è anche questa una illusione, che viene ben presto spazzata via dai ritmi lancinanti della traccia che pur usa ed abusa di un mid tempo che probabilmente occorre a tenere bene i tempi di ogni singolo strumento, ivi compresi i cori che pure sono sempre ampiamente e piacevolmente sopra le righe, che qui vengono continuamente valicate in un turbinio di abilità e tecnica complessiva. Immancabile, il momento strumentale che si palesa con Autograph: pur godendo di durata striminzita, la traccia consente ad Andersen di valorizzare da par suo un pianoforte che oscilla sapientemente sotto le mani accorte del tastierista, che di questo si bea ampiamente. Con Stay Down si torna alla lirica assoluta, alla ricerca della perfezione sonora, pur in un contesto degradato da ultimi della terra che la società emargina con facilità: l’ascia di Kjaer si fa ideale portatrice di tali lamenti con un lavoro semplice, pulito ed azzeccatissimo che ben rende la drammatizzazione che la band intende rendere e ci riesce in pieno, grazie ancora alla super voce di Cooper, autentico titano dell’album. Give It Up conserva la “cattiveria” di fondo che caratterizza il disco, soprattutto alla luce delle liriche davvero attuali e spinte sino al limite della degradazione morale: in questo è ancora bravo Andersen a modulare i suoi tasti con l’esatta visione delle cose che il singer provvede poi a mettere in pratica con la sua esecuzione ancora dinamica e che stavolta riesce a spaziare dal prog all’AOR con una facilità disarmante.

Si chiudono le danze con Time che miglior epilogo non avrebbe potuto dare: l’acustica dell’intro ed i successivi synth davvero ben azzeccati aprono la strada ad un Cooper ancora portentoso nei suoi arpeggi vocali che lo portano, forse involontariamente, verso sentieri power che nemmeno il buon Kai Hansen ha raggiunto con tanta semplicità. Il concetto del tempo viene qui analizzato ancora con cieco e lucido cinismo e con la voce disincantata di chi nulla si attende dal prossimo, contando solo sulle proprie forze e gridandolo forte a chi ascolta. Ma ciò che interessa è l’aver ascoltato un concept album che definire pietra miliare ancora oggi non è irriverente, grazie alla maestria di Andersen, l’arrivo di Cooper e l’affidabilità degli altri che non recitano solo la parte dei comprimari, ma anzi mettendoci la faccia quando occorra.

Autore: Royal HuntTitolo Album: Moving Target
Anno: 1995Casa Discografica:  Magna Carta
Genere musicale: Hard RockVoto: 7
Tipo: CDSito web: www.royalhunt.com
Membri Band:
Andrè Andersen – tastiere
D.C. Cooper – voce
Steen Mogensen – basso
Jacob Kjaer – chitarra
Kenneth Olsen – batteria
Maria Mc Turk – cori
Lise Hansen – cori
Tracklist:
1. Last Goodbye
2. 1348
3. Makin’ A Mess
4. Far Away
5. Step By Step
6. Autograph
7. Stay Down
8. Give It Up
9. Time
Category : Recensioni
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